«ß çíàþ, ÷òî òû ïîçâîíèøü, Òû ìó÷àåøü ñåáÿ íàïðàñíî. È óäèâèòåëüíî ïðåêðàñíà Áûëà òà íî÷ü è ýòîò äåíü…» Íà ëèöà íàïîëçàåò òåíü, Êàê õîëîä èç ãëóáîêîé íèøè. À ìûñëè çàëèòû ñâèíöîì, È ðóêè, ÷òî ñæèìàþò äóëî: «Òû âñå âî ìíå ïåðåâåðíóëà.  ðóêàõ – ãîðÿùåå îêíî. Ê ñåáå çîâåò, âëå÷åò îíî, Íî, çäåñü ìîé ìèð è çäåñü ìîé äîì». Ñòó÷èò â âèñêàõ: «Íó, ïîçâîí

Solo Per Uno Schiavo

Solo Per Uno Schiavo Svyatoslav Albireo Storia di un amore tra due uomini, contornato da sadomaso e fantascienza A Firokami, la Citt?-Stato di Diamante, non vige certo la parit?. La Legge Della Giungla domina le vite dei suoi abitanti. Ricchi e Poveri, Corifei e Schiavi. Cos? ?, cos? ? sempre stato, cos? sempre sar?. Riuscir? l’amore tra due reietti a cambiare lo Status Quo? Translator: Magda Pala Svjatoslav Albireo Solo per Uno Schiavo Il Sogno Di Firokami Traduzione, Editing e Adattamento di MAGDA PALA @AlbireoMKG CAPITOLO UNO “Dove?” chiese, autoritaria, una donna dai capelli scuri. A una prima occhiata, sembrava avere venticinque anni. In realt?, era molto -molto-pi? vecchia. Elegante e all’ultima moda, Aletta era la proprietaria di un hotel. Uno con un nome molto originale, per un albergo. Astoria. Chiaramente, una reputazione coi controcazzi la precedeva ovunque andasse. Accanto a lei, un uomo. Alto, pallido, magrissimo. Il suo essere completamente vestito di nero lo faceva apparire ancora pi? macilento. Le indic? qualcosa, con un cenno del capo. I due erano sul Ponte Principale del transatlantico Dream e osservavano, annoiati, la folla che si abbrustoliva al Sole. Il Mare, una distesa di seta azzurra. La crociera aveva radunato personaggi di ogni tipo. Il fattore VIP era rappresentato da una ricca compagnia di sadici -ufficialmente in incognito, ma neanche tanto- che avevano deciso di passare le vacanze a caccia di nuovi Schiavi da torturare. Ovviamente, quei poveracci ancora non sapevano di esserlo -sia Schiavi che poveracci- ma dettagli. La coppia di osservatori apparteneva alla borghesia di Firokami, la Citt?-Stato di Diamante. Considerata troppo violenta per il resto del Mondo, era anche troppo influente per poterla boicottare. Tale potenza era stata creata molto tempo prima, quando il suo Governo aveva raccolto tutti i reietti del Globo -compresi i mutanti- all’interno delle sue mura. Coloro i quali erano stanchi dei vari regimi mondiali erano pi? che benvenuti. Poi, fu come se Lei -la Citt?- prendesse vita. Accadde tutto dopo che si separ? dal continente d’origine. Il Governo dell’epoca non voleva certo abbandonare una fonte di ricchezza e risorse. Ma i modi amichevoli non funzionarono e l’ostilit? era fuori discussione. Era diventata troppo forte, nessuno sarebbe sopravvissuto a un eventuale attacco. In pochi decenni, Firokami -in maniera del tutto autonoma e razionale- si prepar? alla guerra. Religione contro Scienza. Nemmeno a dirlo, Lei sostenne la Scienza. E divenne imbattibile. Campi di forza, guerrieri geneticamente modificati, armi psicotrope, licantropi, vampiri. Tutto ci? che di pi? fantascientifico si potesse immaginare, una contraddizione dietra l’altra. Non c’era modo di batterlo, quell’esercito. Il Sindaco di allora, Alex Alex -o meglio, Alex?- non accett? alcun compromesso. Dopo la scontata vittoria, nessuno poteva pi? competere con Firokami. Lei stessa non attacc? o invase nessuno. Non lo avrebbe mai pi? fatto. Si limit? a prosperare, recuperare le terre perdute durante l’Anschluss e diventare completamente autosufficiente. La Scienza, nel frattempo, si perfezion? ulteriormente. Lavorare Per Prosperaredella Citta, il motto della Metropoli. Con tale atteggiamento, fu facile attirare nuovi Firokamiani. Ci si trasferiva e si lavorava per il bene comune. La politica di immigrazione pi? semplice e libera dell’universo. Si trattava, per?, della Citt? pi? costosa al Mondo. Non bastava essere miliardari, per potersi permettere di viverci. Il che ? tutto dire. La valuta comune non era semplice moneta. Si trattava di Lingotti, ottenuti dal Diamante Dorato tipico della zona. Non esisteva debito pubblico. Non si commerciava con l’estero. Non si dipendeva da nessuno. Non c’era parit?. Non c’erano diritti. L?, la Legge Della Giungla -scusa preferita da tutti i Capitalisti- era Vangelo. I meno fortunati diventavano Schiavi. Il giro d’affari che ci gravitava attorno era immenso. Soldi duramente guadagnati col sudore della fonte finivano tra le cosce e le labbra degli oppressi. La Societ? prevedeva una gerarchia ben precisa. Era divisa in Padroni, Schiavi e Corifei. Questi ultimi erano baciati dalla Fortuna. Letteralmente. La Citt? si ergeva sulle loro spalle. Tutte le loro propriet? appartenevano alla Capitale. Lei, in cambio, li sosteneva e proteggeva. Qualsiasi cosa potesse accadere, non sarebbero mai e poi mai diventati Schiavi. Inoltre, il Giogo era totalmente volontario. Per quanto l’ultima spiaggia prima dell’accattonaggio possa essere considerata volontaria.Ultronei, questo il loro nome ufficiale. Ma quasi mai veniva usato. La Legge era uguale per tutti. Qualche volta. Ma, in linea di massima, ci si schierava coi Padroni. A meno che qualcuno di loro non prendesse le parti dello Schiavo sotto accusa. Ma si trattava sempre di Padroni particolarmente potenti. Nessuno voleva correre il rischio di ribaltare lo Status Quo, ovviamente. I Corifei erano ci? che rendeva la Citt? viva. Ognuno di loro possedeva una linea telefonica speciale, dove chiunque poteva chiamare e lamentarsi all’infinito. Un Servizio Clienti, in pratica. Erano obbligati a prendere atto di ciascuna lamentela e risolverla.Ma non prestavano la minima attenzione alla classe media e bassa, eccetto che in presenza di uno scontro di interessi. A questo pensava Aletta, mentre socchiudeva i suoi occhietti color fango che lei amava definire nocciola. Continuava a guardare la folla. O meglio, la stava giudicando. “Oh,” sospir?, afferrando la ringhiera. “Tutto chiaro.” Si volt? e, di scatto, tir? un guinzaglio. A esso, legato, un esemplare di eccezionale bellezza. Pelle ambrata, lunghi capelli neri, occhi azzurri, alto, nobile, magnetico. Sulla spalla destra, un tatuaggio. Due lettere, A e D. Completamente nudo, indossava solo dei sandali di pelle. Delle cinghie di cuoio incatenavano il corpo del malcapitato e, al contempo, sottolineavano la sua condizione di sottomissione. Ma tutto si poteva dire, di quello Schiavo, tranne che fosse sottomesso. Sembrava un incrocio tra un predatore in gabbia, pronto a sbranare chiunque si avvicinasse alle sbarre della sua prigione, e un Dio Pagano. Una sorta di Bronzo Di Riace infernale, pericoloso e seducente. Ai Firokamiani DOC era permesso portarsi in giro i loro Schiavi senza abiti addosso. Non c’era Violazione Della Pubblica Morale o Atto Osceno In Luogo Pubblico che tenesse, per il privilegiato 1%. Il Mondo intero abbassava la testa -e, spesso ma non cos? volentieri, le mutande- di fronte alle assurdit? di Firokami. Non si limitavano a essere una potenza. Erano La Potenza fattasi carne. Commerciare con loro significava avere un PIL del ventordici per cento. Quindi, a un certo punto, erano anche un po’ sticazzi dei Diritti Civili e delle minoranze oltraggiate. E il ragionamento non faceva una singola piega. Firokami aveva talmente la faccia come il culo da dichiarare che, finch? ci sarebbero state donne lapidate per adulterio e ragazzini neri uccisi dalle forze dell’ordine, nessuno avrebbe potuto dire mezza virgola sul trattamento riservato ai suoi Schiavi. Inoltre, tali Schiavi non venivano trattenuti contro la propria volont?. Una volta abbandonato il Paese, non era prevista alcuna condanna o persecuzione. Nemmeno dopo richieste di Asilo Politico a stati esteri. Le regolamentazioni imposte dalla Citt? valevano solo al suo interno. Bello, vero? E, invece, no. Gli Schiavi sapevano bene, quanto tutto ci? fosse ipocrita. Nessun’altra nazione aveva bisogno di loro, nessuno poteva accoglierli. Inoltre, la vita -l? fuori- sarebbe stata ancora pi? insopportabile. Di conseguenza, Firokami non poteva fare altro che arricchirsi. Vita natural durante. “Da bravo, fai il tuo dovere,” sussurr? Aletta, mentre allargava le gambe. Lo Schiavo si inginocchi? davanti alla sua Padrona, senza lasciar trapelare alcuna emozione. Le sfior? i fianchi con la punta delle dita. Poi, seppell? il viso tra quelle cosce spalancate. E Aletta grid?. Cazzo, se grid?. Quell’Adone ci sapeva proprio fare. Come poteva non essere cos?? Dopotutto, aveva ben trent’anni di esperienza. Una brillante carriera, iniziata quando aveva otto anni. ? la pratica che rende perfetti, n’est-ce pas? Il socio della donna, annoiato, si accese una sigaretta. Poi, gir? i tacchi e se ne and?. “Ehi! Dov’? che vai, Stine?” gemette Aletta, in preda ai piaceri del cunnilingus ma sempre sul chi-va-l?. “Se permetti, pure io c’ho voglia di un pompino,” rispose l’altro, seccato. “Mica posso restare a guardare te che ti diverti.” E si diresse al Ponte Inferiore. “Ma il divertimento comincia questa sera,” sussurr? lei, prima di arrendersi alle coccole del suo Animale Da Compagnia. Andava bene. Stine era perfettamente in grado di badare a se stesso. Aletta non avrebbe avuto nulla di cui preoccuparsi, se non venire. Poi, venire di nuovo. E, magari, venire ancora. *** L'Oceano e il Sole sembravano respirare. Sembrava quasi stessero per dire qualcosa di davvero importante. Il Ponte Inferiore era il pi? vicino e Ad era in ascolto. Scrutava l’orizzonte coi suoi occhi color ciliegia. Non voleva perdersi una sola parola, se avessero iniziato davvero a parlare. Ma non lo fecero. O, forse, non riusciva a sentirli. Con tutta quella marmaglia che mormorava attorno a lui, come avrebbe potuto? Si stava annoiando. “? scomoda, quella sdraio?” chiese, d’improvviso, un uomo. “Non scomoda come quei vestiti neri che c’hai addosso,” rispose il ragazzo, sgarbato. Stine sollev? un sopracciglio. Ma sorrise e gli si sedette affianco. Sulla stessa sedia. “Adesso s? che ? scomoda,” comment? Ad, mentre sollevava le gambe e le poggiava sulle ginocchia del nuovo arrivato. E, all’improvviso, l'Oceano e il Sole cominciarono a gridare. Urla disperate. Ad si raddrizz?, di colpo. “Stai mica aspettando qualcuno?” Il ragazzo avrebbe voluto rispondere a modo suo. Ma cambi? idea e soppes? l’uomo con lo sguardo. “Cos’? che vuoi?” gli chiese, poi, come se fosse appena arrivato. “Niente,” fu la risposta. Poi, aggiunse, “Non hai paura a parlare cos? a degli sconosciuti? Non puoi mai sapere chi ti possa capitare di fronte.” Si sporse e lo fiss?. “E come potrebbe reagire alla tua maleducazione.” Ad ghign?. Lo divertivano sempre, i boomers che cercavano di intimidirlo. “Un lupo non si preoccupa della reazione di una pecora,” rispose il giovane, acido come poche cose nella vita. Stine sorrise. Immaginava come quelle labbra avrebbero gridato, come quegli occhi cremisi avrebbero pianto, come quella pelle si sarebbe arrossata, sotto le sue cure. E ridacchi?. “Stasera, avvicinati al Quarto Tavolo. Vedrai che ne varr? la pena.” E se ne and?, non prima di aver buttato il mozzicone della sua sigaretta nel drink del ragazzo. Il cui primo impulso fu di tirarlo dietro a quel Vecchiaccio-Di-Merda-Che-Arriva-L?-E-Pensa-Di-Fare-Come-Gli-Pare-Quando-Gli-Pare. Ma si blocc?, quando vide i muscoli di schiena e glutei dello sconosciuto. Un finto magro, poco ma sicuro. Rimase a guardarlo, mentre si allontanava. Dopo di che, si alz?. I battibecchi tra Monsieur Oceano e Mr. Sole non gli importavano pi?. Forse, non gli erano mai importati. *** Aletta era seduta a un tavolo. Un venticello fresco le accarezzava il viso, ancora accaldato dagli orgasmi. Ma quelle sensazioni piacevoli non poterono nulla, contro la sua agitazione. Stine era sparito. Letteralmente. In pi?, tutti -tutti-non levavano gli occhi di dosso dal suo Schiavo. Il suo Schiavo! Se lo stavano letteralmente mangiando con gli occhi. Ma che filibustieri! Poi, lo vide. Stine. La salut? con un cenno del capo, ma non si avvicin? e prosegu? oltre. L’uomo era un gossipparo di prim’ordine, ma -in quel momento- la sua voglia di scopare era pi? forte della voglia di pettegolezzi. Non abbord? nessuno, per?. Quegli Schiavi erano tutti cos? banali e insipidi. Nemmeno tutti assieme avrebbero potuto soddisfare ci? che quel bellissimo giovane gli aveva scatenato. Meglio solo, quindi, che male accompagnato. Non voleva certo passare per disperato. “Ma che ca- Al! Vai l? e scopri cos’? successo! E, soprattutto, quando ? successo! Corri!” esclam? Aletta, spingendo lo Schiavo lontano da s?. Quello si alz?, abituato a ben di peggio, e si diresse verso l’obbiettivo. Due falcate e lo raggiunse, proprio prima che entrasse nella sua cabina. “Padron Stine,” disse. “La mia Signora vuole sapere cosa ? successo. E, soprattutto, quando.” “Cosa e quando?!” Stine corrug? le sopracciglia. Aletta diventava ogni giorno pi? assurda. Poi, guard? il manzo che aveva di fronte. “Entra che ti racconto.” E Al obbed?. Se non l’avesse fatto, sarebbe stato punito dal Padrone. Certo, Aletta lo avrebbe punito per aver acconsentito che un altro lo toccasse. E perch? la stava facendo aspettare. Poteva quasi vederla, dove l’aveva lasciata, che programmava il dopo-cena al Tavolo Quattro. Unghie affilate, espressione corrucciata, mentre preparava la punizione esemplare per il suo essere lento e insolente. In un modo e nell’altro, lo Schiavo ne avrebbe pagato le conseguenze. Non poteva vincere. Ma non era sicuro che gli importasse. CAPITOLO DUE Un bellissimo ragazzo, poco pi? che adolescente, pass? accanto ad Aletta. Lei lo vide, sorrise, allung? una gamba e gli fece lo sgambetto. Lui bestemmi? che manco uno scaricatore di porto. Sollev? lo sguardo e la fiss?. Quegli occhi color ciliegia, se avessero potuto, l’avrebbero uccisa. Apr? la bocca e le disse, “Scusate tanto,” col tono che nessuno mai assocerebbe a delle scuse. Aletta rimase a bocca aperta. Non era proprio la reazione che si aspettava. Ma non si perse d’animo e gli offr? il suo sorriso pi? smagliante. Poi, senza guardarlo, si sistem? meglio sulla sua poltrona. “Siediti, ti offro un caff?,” offr?, soave, sempre senza guardarlo. Di proposito. La risposta non arriv?. Anche se quel silenzio fu molto eloquente. Finalmente, si volt? a guardare il giovane. A quel punto, si aspettava di trovarlo in ginocchio. Terrorizzato per aver osato urtare una dei Padroni, gli occhioni belli pieni di lacrime. Semplicemente perfetto. Ma lui non c’era. Scomparso. Puf. Come se non fosse mai stato l?. Si rese conto, in pratica, che aveva parlato da sola. Come un’idiota qualsiasi. La donna arross? di umiliazione. Quello Schiavo presuntuoso aveva osato non implorare piet?. Le odiava, quelle puttane boriose. Se la facevano coi Corifei e non valevano assolutamente nulla, se non fosse stato per la loro bellezza. Si trovava sulla nave per incontrare Alsheh Mareh, la Lady Gaga di Firokami. Sicuro come la Morte che era quella la ragione. E se ne sarebbe pentito, eccome, per tutta la vita. Aletta ghign?, pensando agli altri prima di lui. Tutti caduti tra le grinfie di Stine e mai pi? risollevatisi. Sarebbe successo anche a quel San Sebastiano. Sarebbe stata proprio lei a fare in modo che accadesse. *** I Padroni adoravano sfondare culi. Non si curavano di prepararli prima. Era -quasi- voluto. E Stine non faceva differenza. Anzi, era maledettamente violento. Pi? degli altri. La sua era una missione. Doveva, per forza, dimostrare costantemente che lui era un Padrone e loro degli Schiavi. Nel caso di Al, una Bestia. Quindi, ancora pi? inferiore. “Allora, troia, ti piace?” gli sussurr? all’orecchio. “S?, Padrone,” rispose, come d’abitudine, lo Schiavo. Mancava solo sbadigliasse. Ma Stine non ci bad?. Probabilmente, dato che non lo riguardava personalmente, nemmeno se ne accorse. Gli sborr? dentro, senza tante cerimonie. Poi, si sdrai? sul letto. Completamente rilassato, ignor? del tutto la presenza accanto a lui. Il poveraccio rimase col culo in aria, in attesa di ordini. Era ancora duro. “Posso venire, Signore?” chiese, infine, quando divenne insopportabile. Di certo, un Padrone non l’avrebbe fatto di sua sponte. “Apri la bocca. Poi, potrai venire.” E l’uomo lo fece inginocchiare. Dopo di che, inizi? a pisciargli tra le labbra. Al sapeva che non se la sarebbe cavata solo con una chiavata a secco. E, senza alcuna emozione, cerc? di non perdersi nemmeno una goccia. Nel frattempo, si toccava furiosamente. Quel Padrone, tanto decantato nella sua depravazione, lo annoiava da morire. Tutti loro lo annoiavano da morire. Credevano di essere stocazzo, ma erano fotocopie gli uni degli altri. Pensavano le stesse cose, agivano nella medesima maniera. E, da bravi narcisisti patologici, erano convinti di essere tutti particolari ed eccentrici. Pisciargli in bocca. Wow, che originalit?. Ovviamente, si tenne tutto per s? e cerc? di bere il pi? velocemente possibile. Ma il piscio gli fin? comunque nel naso e sugli occhi. Quando fin?, si ritrov? in una pozza dorata. Stine, soddisfatto e tronfio, cominci? a rivestirsi. Molto lentamente. E osservava quella grande e terribile bellezza che si veniva addosso. “Pulisci,” gli ordin?, poi. Un’altra richiesta molto originale. Leccare il pavimento.Al stava lottando con se stesso per non cadere addormentato nei suoi stessi liquami. Quindi, si chin? in avanti e cominci? a leccare. Stine lo guardava col sorrisino che tutti i siti di seduzione online, palesemente salvati tra i preferiti del Padrone, definivano da-stronzo. Al provava sempre qualcosa di molto simile alla piet?, per tale mancanza di consapevolezza di s?. Era palese quanto quel tipo stesse godendo nell’umiliare lo Schiavo. Era davvero convinto di essere il primo, il solo e l’unico ad averlo fatto. Faceva quasi tenerezza. Quasi. Una volta terminato tale teatrino, il Padrone tir? il guinzaglio e si diressero -insieme- sul Ponte. Tutti si girarono a guardare la Bestia. E i sorrisini da-stronzo si sprecarono. *** Aletta, vedendo Stine e Al all’orizzonte, ridacchi?. Le piaceva, quella vista. Eccola, la differenza tra uno Schiavo e un Padrone. Si pu? essere pi? alti, pi? forti, pi? attraenti. Ma ? la forza di volont? che gioca il ruolo di punta. Quando la coppia si avvicin?, la donna mise su un’espressione contrariata. “E dov’? che sei stato?” chiese. Stine pos? il guinzaglio, accese una sigaretta e si guard? attorno. Come se non avesse proprio nulla a che fare col ritardo dello Schiavo. “Mi dispiace, Signora. Stavo aiutando Padron Stine a rilassarsi.” “E io ti punir? per questo. L’hai fatto apposta? Ti piace essere castigato? L’avrai praticamente implorato di scoparti. Sai fare solo quello! Non sei nemmeno in grado di versarmi un bicchiere d’acqua!” Si sent? subito meglio. Prendersela con gli Schiavi aveva il potere di farla stare bene. La vergogna provata poco prima, dimenticata. In quel momento, qualcun altro era pi? umiliato di lei. O cos? lei pensava. E ci? le bastava. “Mia Signora, Voi siete la mia priorit?. Ma non posso rifiutarmi, se un altro Padrone mi comanda. Sono uno Schiavo. No ? una parola che non posso dire. Mai.” Nemmeno una nota di colore traspar? da quella voce. Ma un brivido dolce percorse la schiena della donna, a sentire quelle parole. Il Dio Pagano era talmente umiliato da essere stato costretto a giustificarsi. Bene. “Sdraiati sul fianco,” gli ordin?. Quello obbed?, subito. Sapeva cosa la donna voleva. Sapeva tutto in anticipo. Perch? gli faceva sempre le stesse pallosissime richieste. “Toccati, puttana, lo so che ti piace,” gli sibil?. Lo Schiavo cominci? a toccarsi. Veloce, ma senza la minima passione. “Mettici pi? impegno! E non dimenticarti i coglioni,” aggiunse Aletta, mentre gli spingeva la base rigida del guinzaglio nel culo gi? martoriato. La Bestia inizi? ad ansimare. “Fa male, Padrona. Fa tanto male.” Ed era vero. Ma non voleva certo che si fermasse. Il dolore era una consolazione. Solo cos? sapeva di essere ancora vivo. “Vi prego, Signora,” implor?, poi, falsissimo. E Aletta sorrise. Ci credeva davvero, povera stella. “Pensi, forse, che non lo sappia? Non distrarti! Pi? forte!” Stine, nel mentre, continuava a guardarsi attorno. “Hai mica visto un ragazzo? Giovane, bellissimo, occhi rossi, sfrontato da morire.” “S?, era qui. Se n’? andato,” rispose la donna, facendo dentro-fuori con la base del guinzaglio. Poi, aggiunse, “Hai gi? organizzato qualcosa?” “L’ho invitato al Tavolo, per cena.” “Awww, ma quanto sei premuroso!” E scoppi? a ridere, lo stesso suono di mille vetri in frantumi. Ossia, fastidioso. Al stava tentando di venire, in fretta, ma quel rumore lo mise a dura prova. Voleva ascoltare i discorsi dei due Padroni, ma prima doveva portare a termine l’ordine ricevuto. Quindi, si dedic? alle sue personali fantasie. Un prato verde, tanti fiori bianchi, una scogliera stagliata sul cielo azzurro, una casetta dal tetto verde, un orticello, un amante grazioso, risate sulla spiaggia, tenersi per mano, ascoltare il Mare cristallino e i suoi misteriosi sussurri. Il sesso sarebbe stato piacevole. Niente forzature, niente manipolazioni. Nessuno dei due avrebbe provato dolore. L’amore avrebbe reso tutto fantastico, nient’altro. Avrebbe guardato il suo innamorato negli occhi, con rispetto, sempre. Gli avrebbe sorriso e goduto della sua felicit?. L’avrebbe fatto stendere sull’erba, lo avrebbe baciato ovunque e poi- Al diede un ultimo strattone e si venne in mano. Aletta butt? il guinzaglio per terra, mentre la Bestia riprendeva fiato. “Vorresti guardare l'acqua?” gli chiese, soddisfatta. “Sissignora,” sospir? lo Schiavo. E Aletta recuper? il guinzaglio, legandolo al tavolo. “Torno a prenderti prima di cena.” “Grazie, Signora.” La Padrona sentiva gli sguardi invidiosi delle altre donne su di s?. E quanto le piaceva! Poi, gli accarezz? la spalla e si allontan?. Finalmente solo, lo Schiavo si guard? attorno. Niente sedie. Ovvio. Ma anche se ci fossero state, non le avrebbe usate. Da seduto, non avrebbe potuto vedere l’Oceano. E se Aletta si fosse accorta che non stava obbedendo, avrebbe potuto decidere di inventarsi qualche altro passatempo. Le sue interiora si contrassero. Il dolore, stranamente, non era ancora scemato. Sussult?, quando si mosse troppo bruscamente. Fortuna che non c’era nessuno, a vedere che stava effettivamente soffrendo. Perch? avrebbero voluto farlo soffrire un po’ di pi?, quei pezzi di merda. Era diventato Schiavo all’et? di otto anni. Prima, aveva vissuto in un orfanotrofio gestito dalla Chiesa. La stessa Chiesa che, poi, lo aveva introdotto al Mondo della Schiavit? della Contea di Dora. Firokami autorizzava le peggiori perversioni. Avere pi? di una confessione religiosa non era nulla di speciale. Nessuna era pi? importante di un’altra. I rappresentanti di ciascuna avevano gli stessi diritti e doveri. E le stesse depravazioni. Forse, erano pure pi? sregolati dei comuni mortali. Quella era la sua vita, il suo stato sociale. Talmente prezioso che non gli era nemmeno permesso di andarsene in giro da solo. Sempre legato, spesso rinchiuso. Non si poteva correre il rischio che venisse rubato. O, peggio, che scappasse. Perch? lui, di fuggire, ci pensava continuamente. Ma dove sarebbe andato? Cosa avrebbe fatto? Completamente nudo, senza denaro, senza la minima conoscenza. Forse, avrebbe potuto sopravvivere nella foresta. Ma come ci sarebbe arrivato? Fino a che punto sarebbe sopravvissuto? E quando l’avrebbero catturato? Non voleva pensarci. Fantasticava su indipendenza ed emancipazione, ma non gli sembrava il caso di agire. Da quando era bambino, gli era stato inculcato che fosse solo un giocattolo, nato per quel motivo ed esclusivamente quello. Era stato nutrito a pane e umiliazioni. La verit? era che aveva paura della Libert?. Non la conosceva. Come poteva mantenersi, da solo? Certo, sapeva cucinare e tenere pulito. Ma come avrebbe pagato la casa dove avrebbe vissuto? Non sapeva niente di concreto. L’ignoto lo spaventava pi? degli abusi subiti a Dora da tutti quei preti pedofili. I suoi pensieri furono interrotti da un respiro affannoso. Sicuramente l’ennesima Padrona che si toccava ammirando i suoi muscoli. Patetico. I suoi sogni di un amante gentile, con cui vivere in una casetta sulla scogliera, divelti all’improvviso. Si volt? subito, perch? non sia mai che quella Padrona pensasse fosse un maleducato. Ma di fronte a lui, un altro Schiavo. Uno di lusso, con gli occhi che sembravano ciliegie. Faceva sicuramente parte dell’?lite di Firokami. Quel colore di occhi era troppo raro per non essere altrimenti. Al gli sorrise. Erano colleghi, dopotutto. Non aveva nulla da temere dalla concorrenza. Il ragazzo si avvicin?. Era bellissimo. “Ciao,” disse, timido. “Ciao,” rispose Al. E il nuovo arrivato si insinu? accanto a lui. Senza invito. “Ti fa male?” gli chiese, con dolcezza. Al non aveva mai incontrato prima d'ora uno Schiavo D’Alto Borgo che si preoccupasse per gli altri. Avide puttane, li definiva Aletta. E, per quanto gli costasse ammetterlo, aveva ragione. Quei giovani amavano gioielli e lingotti. Li amavano pi? di loro stessi. Al era sempre pi? confuso. Il ragazzo gli accarezz? la guancia, dove il piscio si era incrostato. La Bestia sussult?. Si sentiva a disagio. Perch?? Emozioni rischiose si stavano pericolosamente risvegliando in lui. Scosse la testa, fissando il ragazzo. “No,” disse. Quella fragile, perfetta bellezza lo fissava a sua volta. Ovunque. Poi, lo sguardo si blocc? sul cazzo della Bestia. E sorrise. Moscio, s?, ma bello e fiero. Era quasi primordiale. E, sotto quello sguardo cremisi, Al divenne duro. Per l’ennesima volta in pochissimo tempo. Imbarazzo. Quella parola non descriveva affatto lo stato in cui versava. Tale sensazione era quasi sconosciuta, certamente dimenticata. E scatt? in piedi. Il giovane lo guard?, dal basso verso l’alto. Poi, scoppi? a ridere. Profumava di fresco, ma anche di caldo. Di noci, ma anche di fiori. Dolce, ma avventato. Si alz? anche lui. Aveva addosso solo un paio di mutandine. Talmente ridotte che, se anche non le avesse indossate, sarebbe stata la stessa cosa. Si avvicin?, felino, e cominci? ad accarezzare l’erezione della Bestia. Il ragazzo era molto pi? basso e gracile di lui. Quindi, si sollev? in punta di piedi per poterlo baciare. Fu a quel punto che Al si risvegli?. “Cosa stai facendo?” “Cerco di rimorchiarti,” grugn? il giovane, mentre respirava -a pieni polmoni- l’odore dell’altro. “Qui?!” E Al si stup? di se stesso. Da quand’? che era diventato cos? timido? “Certo che no! Andiamo nella mia cabina,” rispose il ragazzo, acido e seducente, mentre tirava il guinzaglio. Quel corpo era cos? reale, cos? allettante. Al, d’improvviso, lo strinse. Dopo di che, si chin? in avanti e lo baci?. Le mani che scivolavano sulle spalle e la schiena di quel giovane sconosciuto e sfacciato. Si stacc?. “Sono uno Schiavo,” disse, aggrappandosi alle ultime vestigia del suo buonsenso. “Lo vedo,” gli sorrise l’altro, accoccolandosi meglio tra le sue braccia. Poi, il baratro. Accadde tutto molto in fretta. Le mutandine sparirono, le gambe si spalancarono, la schiena si arcu?, le labbra gemettero. La Bestia si spingeva, nervosa, dentro quel culetto oh-cos?-stretto e oh-cos?-impaziente. Tutto scomparve. C’erano solo loro due. L’ultimo barlume di razionalit? dirottato all’urgenza di non venire subito. Impresa titanica, con quell’acerba bellezza che gli si agitava in grembo. Come non venire, con tutta quella pelle sotto le dita? “Di pi?, ti prego, ancora,” gli sussurrava quello, dopo ogni spinta. Dentro, fuori, su, gi?. Lo Schiavo cerc? in tutti i modi di resistere, mentre seppelliva il viso tra i riccioli del ragazzo e il cazzo nel suo culo. Ancora dentro, ancora fuori, ancora su, ancora gi?. I gemiti si fecero sempre pi? acuti. I gridolini si trasformarono in urla. Le carezze vennero sostituite da graffi. Poi, quel giovane venne. E fu la cosa pi? bella che Al vide in tutta la sua vita. Ma il piacere fu talmente forte da diventare insostenibile. Il ragazzo tent? di allontanarsi da quello spiedo che lo stava devastando. Ma la Bestia non ci stava. Nossignore. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi scappare quel gioiello prezioso. Quindi, fece l’unica cosa possibile. Gli afferr? i fianchi, lo immobilizz? sulla sua erezione e martell? -incessante- quel posticino particolare. Profondo, tra le natiche, l’entrata per il Paradiso. Artigli affilati gli lacerarono la pelle delle spalle. Ma il suo orgasmo fu cos? perfetto che lui nemmeno li sent?. Strinse forte quell’angelo tra le braccia. Non voleva lasciarlo, ma come poteva trattenerlo? Non aveva nulla. Nulla. Per la prima volta, il desiderio di Libert? si fece impellente. Doveva trovare una soluzione. Doveva strappare quelle catene. Doveva scappare, con lui. Ma dove? Verso l’Oceano? Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa. “Come ti chiami?” gli chiese. Perch?, ovviamente, i convenevoli prima di tutto. Ma non sent? mai la risposta. Si volt?, d’improvviso, percependo una presenza accanto a s?. Melinda, un’amica-nemica di Aletta, era a un palmo da lui. E sogghignava sadica. “Vattene,” disse, quindi, spingendo via il ragazzo. “Non avvicinarti mai pi? a me.” Ma mentre lo disse, qualcosa gli mor? dentro. Il giovane lo guard? e la Bestia sper? che il suo sguardo contraddicesse in toto le parole appena pronunciate. Lui lo fiss?, le palpebre pesanti di lussuria, le labbra gonfie di baci. Un attimo dopo spar? tra la folla. Erano circondati. Doveva agire cos?. Era l’unico modo. L’avrebbero portato via. Via da lui. No, non l’avrebbe permesso. Sarebbe morto, piuttosto. CAPITOLO TRE Melinda si avvicin? e gli tocc? il culo. Cos?, di botto, senza senso. Al non si volt?. Non subito, almeno. Doveva prima affrontare quella tempesta di sentimenti e sensazioni, cos? estranei, che gli si agitava dentro. Un sospiro, prima di tornare alla realt?. La donna afferr? il guinzaglio e lo condusse al Ristorante. “Stasera sar? davvero molto divertente. Se ti comporterai bene, avrai una bella sorpresa,” gli promise. Poi, sorrise e si strizz? i seni tra le mani. Al, senza nemmeno pensare, si inchin? e inizi? a baciarli. Puzzavano di borotalco. “Ottimo lavoro,” comment? Melinda. Al lanci? uno sguardo alla folla. Nessuna traccia del ragazzo, logicamente. Nel Ristorante, Aletta recuper? il suo Schiavo. Lo fece inginocchiare davanti alle sue cosce aperte e non ebbe nemmeno bisogno di dirgli cosa fare. Tuttavia, nessuno ci bad?. L’intero locale stava osservando il Quarto Tavolo, s?, ma era Stine colui che attirava l’attenzione. Tutti erano in attesa di vedere la Preda. I pi? maligni si aspettavano che il Padrone si desse alla caccia. Finalmente, Ad fece il suo trionfale ingresso in sala. Non sembrava alla ricerca di niente e nessuno, non si guard? mai attorno, ma si diresse -sicuro- verso la tavolata numero Quattro. Le mani come in preghiera, la testa bassa. Gli uomini presenti divennero quasi duri, a quella vista, mentre le donne si incazzarono come faine. Quel bimbo era pi? bello di loro!Aletta si innervos? talmente tanto da stringere pericolosamente le cosce attorno alla testa della Bestia. Fu un miracolo che non fin? decapitato. Ma lo Schiavo non si accorse del suo arrivo. N? sent? nulla, della conversazione successiva. Peccato, perch? ne sarebbe stato orgoglioso. Alcuni uomini iniziarono a proporre eventuali turni col nuovo arrivato, qualcun altro afferm? di averlo visto per primo. Stine non si scompose. Anzi, si rilass? meglio sulla sedia. “Ciao,” sorrise il ragazzo. “Salve,” rispose il Padrone, battendosi su un ginocchio come invitandolo a sedersi. Troppo facile. “Sto andando via. Sono solo venuto a riportarti una cosa che hai dimenticato, stamattina, quando ci siamo visti.” E il cocktail, col mozzicone di sigaretta che ancora ci galleggiava dentro, venne rovesciato addosso al sorriso da-stronzo dell’uomo. L’intero Ristorante trattenne il fiato. Poi, il Padrone bestemmi? e cerc? di afferrarlo. Ma il ragazzo aveva tutta l’intenzione di vendere cara la pelle. Artigli? quell’avanbraccio e lo sfregi?. “Non ho paura del sangue arterioso, io,” sibil?. “Non avresti dovuto afferrarmi a mani nude. Avresti dovuto spararmi, in mezzo agli occhi. Cos? mi avresti fermato. Forse.” Sporca di sangue, la mano si mosse in un gesto di saluto. Uno particolarmente vezzoso. Poi, quella bellezza si gir? e se ne and?. “Bastardo!” esclam? Aletta. Tir? forte i capelli della Bestia, allontanandolo da s? e ridandogli l’udito. “Non ho pi? voglia di venire.” Poi, gett? un piatto a terra. Cocci e cibo si mischiarono pericolosamente. “Mangia!” ordin?. E Al obbed?. Senza il minimo interesse n? per il sushi di prima qualit? n? per la porcellana affilata. Tutto ci? fece imbestialire ancora di pi? la sua Padrona. Melinda approfitt? della confusione per calpestare ogni singolo boccone. Perch? cos? le andava. Poi, disse all’altra donna, “Non essere cos? arrabbiata. Vedrai che Stine lo trover? e se lo scoper? a dovere. E domani verr? a chiedere scusa, come si conf? alla sua specie.” E rise. “Questo lo rende ancora pi? interessante, non trovate?” aggiunse, poi. Nessuno rispose. Stine and? in bagno. Quando torn?, sembrava quasi non avesse subito danni. Amir, il proprietario di una rete di supermercati, si mise subito a leccargli il braccio offeso. Il Padrone guard? in direzione di quella puttanella senza vergogna. Ma era troppo lontano, ormai. Soprattutto, non prestava la minima attenzione n? a Stine n? alla sua indignata squadra di supporto. Era come se non fossero nemmeno l?. L’uomo era furioso. “Gli coster? molto caro,” promise. E non era tipo da minacciare invano. CAPITOLO QUATTRO Ad era sdraiato sul letto della sua cabina. Teneva stretto un cuscino, ondeggiando su un fianco. Nella sua mente e tra i tessuti del suo sistema nervoso, il breve ma intenso rapporto avuto con la Bestia era stato come un lampo luminoso. Quel riverbero non accennava a spegnersi. Nemmeno dopo aver giocato con un nativo di una trib? oceanica. Quel tizio avrebbe sborrato tutta la sera, solo guardandolo in quegli occhi cremisi. Ma Ad aveva pensieri solo per il Dio Pagano. Venne riportato alla realt? da un violento bussare alla porta. Il cuore cominci? a martellargli, furioso, nel petto. E se fosse stato lui? Si alz? di scatto e si lanci? ad aprire la porta. Stine aveva avuto tutta l’intenzione di frustare a sangue quello stronzetto impudente, per poi trascinarlo nella sua suite. Ma vederlo l?, sulla soglia, nudo e stupendo, lo blocc?. Per quanto avesse un’alta opinione di s? e una reputazione degna di essere chiamata tale, il Padrone non aveva mai avuto occasione di osservare Schiavi D’Alto Borgo cos? da vicino. In realt?, non gli era nemmeno mai interessato scoparsi esemplari di tal fatta. Ma quel ragazzo, ecco, quel ragazzo era tutta un’altra storia. Il diretto interessato, per?, non contraccambiava affatto il sentimento. Infatti, una volta capito che non si trattava della Bestia, sbatt? la porta sui cardini cos? forte da far tremare gli stipiti. Il Padrone si ritrov?, suo malgrado, a bussare. Di nuovo. “Apri immediatamente, se non vuoi farlo sapere a chiunque,” intim?, seccato. Ad scoppi? a ridere. Ma chi credeva di essere, quel vecchio? Sticazzi se anche tutta la nave fosse accorsa alla sua cabina. Riacchiapp? il cuscino e lo strinse pi? di prima. Ricordandosi di come quell’uomo lo avesse fatto venire in un modo cos? devastante, inizi? a toccarsi. I colpi sempre pi? insistenti e gli avvertimenti sempre pi? minacciosi non gli davano fastidio. La porta avrebbe retto contro un uragano e ci? gli bastava. “Oh, mio Dio,” mugugn?, mentre pensava a quelle mani enormi che gli cingevano la vita. Doveva rivederlo. Era essenziale che lo trovasse. E in fretta, pure. Vattene, non avvicinarti mai pi? a me, gli aveva detto, per?, subito dopo. E Ad si rattrist?. Poteva mica essere che fosse uno di quelli a cui piaceva conquistare la preda? Magari non apprezzava chi si concedeva subito, senza nemmeno essersi presentato. Ma non gli importava chiss? tanto. Voleva sentire, di nuovo, tutto quel potere su di lui. Dentro di lui. Ad sapeva che nessuno, nemmeno un Dio Pagano, poteva rifiutare il piacere che lui era capace di offrirgli. Soprattutto una volta scoperto il suo potenziale. Avrebbe scommesso qualsiasi cosa che avrebbe voluto possederlo e dominarlo. Stine si arrese. O, almeno, cos? sembr? al ragazzo. Si sbagliava. Era solo andato alla Reception a chiedere una copia della chiave per poter entrare nella sua cabina. Ma Ad non poteva saperlo. E non gli poteva fregare di meno. Si infil? un paio di pantaloncini e corse fuori, alla ricerca della Bestia. Quando Stine torn?, convinto di aver rovesciato la situazione, tent? -di nuovo- l’approccio del bussare. Nessuna risposta. Ridacchiando, us? il passe-partout ed entr?. Sfoggiando il suo miglior sorriso da-stronzo, ovviamente. Ma non vide nessuno. Doveva essersi nascosto, il micetto. Inizi?, quindi, ad ispezionare ogni angolo. Controll? perfino sotto il letto. Niente. Nothing. Rien. Nada. Íè÷åãî. Afferr? la coperta sul letto. Si era gi? immaginato come avrebbe costretto quella giovane bellezza a succhiarglielo, per poi farlo piangere e implorare. Non poteva mica scoparsi un letto vuoto! Per quanto tempo ancora quella puttana doveva farglielo odorare?! In preda alla rabbia, gett? per aria qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Finch?, esausto, non si sdrai? sul materasso. Odorava di Ad. Odorava di desiderio. E Stine si calm?. Dopotutto, quel rizzacazzi sarebbe dovuto rientrare all’ovile. Prima o dopo. E lui sarebbe stato l?, pronto, ad aspettarlo. *** Ad non aveva la minima idea di dove cercare la Bestia. Sperava di trovarlo, di nuovo, sul Ponte Principale. L’ultima volta, stava osservando l’Oceano. Ma era buio e c’era ben poco da vedere. Il ragazzo si appoggi?, comunque, alla balaustra. Dove mai poteva essere? *** Al era sdraiato per terra, accanto al giaciglio di Aletta. Gli aveva concesso una coperta, ma non un materasso. La verit?? A lui andava benissimo. Da solo, a contatto col pavimento gelido, nell'oscurit?, era molto pi? facile sognare. Soprattutto dopo che il corpo dell'amante dei suoi sogni aveva acquisito caratteristiche pi? che reali, giusto quella mattina. *** “Ti ho preso, bastardo,” sibil? qualcuno alle sue spalle. Ad si sent? afferrare da dietro, per poi essere spinto in un angolo. Si divincol? e riusc? a vedere chi fosse l’aggressore. Amir. Non aveva dubbi. Stine non si era arreso manco per niente. Anzi, aveva chiamato i rinforzi. Quello si mise a mordicchiargli la nuca. Come se bastasse a fermarlo! Allung? una mano, alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa che potesse usare come arma. La trov?. Subito, la rote? sul polso e la spinse indietro, colpendo l’uomo allo stomaco. Il ragazzo, in realt?, mirava all’inguine. Ma dovette accontentarsi, visto che il risultato fu il medesimo. Si liber? dalla stretta e vide cos’aveva effettivamente usato. Una paletta, di quelle con cui si raccoglie la sabbia, ma d’oro massiccio. Non ebbe il tempo di ammirarne la fattura perch? Amir stava tornando all’attacco. Quindi, gliela conficc? nella coscia. Di nuovo, aveva mirato all’inguine. Ma chiss? perch? non riusciva proprio a fare centro. Non perse tempo a pensarci e si lanci? dritto verso la sua cabina. Le molestie, in s? e per s?, non gli davano fastidio. Non lo avevano mai turbato. Sembrava attirarle molto pi? degli Schiavi, certo, ma lui non lo era. Per?, nessuno sembrava capirlo. Firokami, tutto sommato, gli piaceva. Ci si era trasferito solo per frequentare l’Universit?. Era nato e cresciuto nell’Isola di Kee-Niu. Si era laureato a pieni voti e avrebbe potuto diventare molto ricco, se avesse voluto. Ma i Kee-Niani avevano altri valori. Lingotti, gioielli, sete e merletti gli provocavano l’orticaria. Lui era abituato a vestirsi di Sole e di Vento. Alle mani di quegli uomini, preferiva le carezze dell’acqua e dell’erba. Uscire dal campus universitario fu un’impresa. Anche se laureato, gli insegnanti non volevano proprio lasciarlo andare. Una bellezza come la sua, cos? esotica, non era facilmente rimpiazzabile. Ma un’orda di nuovi bellissimi giovani arriv? in Citt? giusto nel periodo della sua sessione e riusc? a mascherare la sua etnicit?. Cos?, riacquist? la sua Libert?. Non solo. Avendo finito perfettamente in corso e primo del suo anno, ricevette anche un generoso premio di Laurea dalla stessa Firokami. Era definitivamente libero. Tutta quella gente che voleva renderlo uno Schiavo era a dir poco ridicola. Se avesse voluto, loro sarebbero stati i suoi Schiavi. Ma a lui non importava nulla di dominio e sottomissione. Era, comunque, il prezzo da pagare per vivere lontano da casa. Non si curava di ci?, si limitava a guardare e passare. Una volta raggiunta la sua cabina, si accorse che c’era qualcuno al suo interno. Sbirci? e vide Stine, addormentato, nel suo letto. Patetico. Sollev? gli occhi al cielo, esasperato. Gir? i tacchi e attravers? il corridoio. Direzione, la cabina del Capitano della nave. Il Comandante Stor stava gi? dormendo, quando buss?. Poteva essere uno dei suoi sottoposti. O la sua ninfetta. Oppure un passeggero. A ogni modo, doveva alzarsi. Quando apr? la porta, ci? che vide gli mozz? il fiato. Una meravigliosa creatura ciondolava sulla soglia. L’aveva gi? notato, quel ragazzo. Forse si trattava dell’amante di qualche Corifeo? Decisamente s?, uno cos? bello doveva essere uno Schiavo Di Lusso. “S??” gli sorrise l’uomo. Ad gli si avvicin? e, nella sua migliore interpretazione di Lady Macbeth, cinguett?, “Oh, Capitano! Mio Capitano! Aiutatemi! C’? un uomo nella mia cabina! Nel mio letto! Ho tanta, tanta paura! Non ho trovato nessuna guardia! Avrei chiesto a loro, prima di disturbare Voi, ma non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego!” “Non aggiungere altro! Mi vesto subito!” esclam? il Capitano. Una brava persona? Mamifacciailpiacere! Non vedeva l’ora di buttare fuori qualcuno dalla sua nave. E a calci in culo, per di pi?. Tutto, pur di accaparrarsi la gratitudine di un Corifeo. Magari, lo avrebbe fatto ringraziare personalmente dal suo adorabile Schiavo. “Oh, grazie! Grazie, mio Capitano! Mio eroe!” cinguett?, ancora, il ragazzo. Stor si vest? alla velocit? della luce. Poi, una volta cinte le delicate spalle di Ad con un braccio, lo condusse attraverso il corridoio. “Vediamo un po’ chi ? che ha sbagliato stanza.” Stine era ancora addormentato. Ancora per poco. Venne bruscamente svegliato da uno spintone. Indignato, era pronto a farla pagare a chiunque avesse osato. Ma non ne ebbe il tempo. “Ehi! Cos’? che ti credi di fare nella cabina di questo ragazzo?” url? il Comandante, indicando Ad. “Non avere paura, figliolo. Probabilmente ha solo alzato un po’ troppo il gomito e si ? confuso. Non ? vero, compare?” “L’ho chiusa a chiave, prima di uscire. Me lo ricordo perfettamente,” disse, innocente, quell’esotica bellezza. Stine si sedette sul letto e, con tutta la nonchalance del Mondo, si accese una sigaretta. Stor lo guardava, scioccato. “La mia ? una cabina per Non-Fumatori,” sussurr? Ad. “Spegni quella cazzo di sigaretta, Padrone, e torna nella tua cabina. Adesso!” Stine si alz?. “Questo ? il mio Schiavo. Tu, che cazzo ? che vuoi? Chi sei?” “Sono il Capitano di questa nave. E questo passeggero ? sotto la mia protezione!” Stor non poteva credere alle sue orecchie. “Faccio questo lavoro da quarant’anni e mai, e dico mai, uno Schiavo ? venuto a bussare -nel cuore della notte- per chiedermi di sbattere fuori a calci il loro Padrone! Vai via, adesso, o dovr? arrestarti e lasciarti al prossimo porto!” esclam?, volutamente calcando il tu. “Come ti permetti! Io sono Stine Darmush!” “Lo so chi sei, Padrone. E ti rispetto molto. Ma questo passeggero ? sotto la mia protezione. E ho tutte le ragioni per credergli. Quindi, ascoltami. Hai una gioielleria di successo. Tutti gli Schiavi, incluso il qui presente, indossano qualcosa creato da te. Immagina che scandalo, se venisse fuori che ti rimorchi gli Schiavi degli altri? Pensa a tutti i problemi che avresti con, che ne so, Padron Son!” Stor, mentre parlava, si accorse che Stine stava cercando di afferrare il ragazzo. Sospir?, ma sorrise. Per legge, non poteva espellere nessun Padrone. Aveva cercato di spaventarlo, ma un uomo con la mente annebbiata dalla lussuria ? un osso duro da spezzare. “Oppure con Elm!” Stor sorrise tutto il tempo, come per far capire al Padrone che lui lo capiva. Come resistere a tale bellezza! Ma le regole, il galateo, i cazzi e i mazzi, blah blah blah. “Non posso certo ignorare le conseguenze, soprattutto da parte di tali cittadini.” “Ma questo Schiavo ? mio,” continuava a ridacchiare Stine. “No, non lo ?!” Il Capitano stava iniziando a perdere la pazienza. Inoltre, il ragazzo alla porta era palesemente annoiato. “Se lo fosse davvero, parlerebbe cos?? Davanti a te? Se l’hai comprato, dimmi dove. E perch? non ? nella tua cabina. Non farmi sollevare un polverone! Non costringermi a contattare le autorit? di Firokami e denunciare uno dei suoi beniamini! Penso che non ci vorr? molto, al vero Padrone, per dimostrare che non hai alcun diritto sulla sua carne.” Stine era duro come roccia. Lui lo sapeva, Stor lo sapeva, i muri lo sapevano. L'oggetto del suo desiderio era l?, in piedi sulla porta, aspettando che i due uomini si mettessero d’accordo e lo lasciassero rientrare nella sua cabina. A entrambi, per un secondo, pass? per la mente che avrebbero potuto divertirsi -insieme- con quella puttanella. Ma a che prezzo? Sarebbero morti, dopo atroci sofferenze, nel giro di pochi giorni. Nessun orgasmo ne sarebbe valsa la pena. Quindi, uscirono nel corridoio. Finalmente, Ad era tornato Padrone della sua cabina! “Grazie, mio Capitano, grazie mille! Trover? il modo di ringraziarla! Non esiti a chiedermi qualsiasi cosa!” promise il giovane, prima di chiudersi dentro. Stine e Stor rimasero in piedi, l?, davanti alla porta per qualche secondo. Stor non aveva smesso di sorridere un solo istante. Stine se avesse potuto dare fuoco alla porta con la forza dello sguardo l’avrebbe fatto. Poi, d’improvviso, la porta si riapr?. Veloce, un accendino vol? dalla fessura e cadde a terra. Stine lo lasci? l?. “Raccogli la tua spazzatura,” gli disse il Capitano. “Lasciami i coglioni in pace!” rispose quello, prima di andarsene. “Ti ho rivolto la parola per sbaglio e mi hai fatto scendere la besciamella alle ginocchia!” Stor raccolse l'accendino, si avvicin? a un cestino e ce lo gett? dentro. Si gir? e si diresse verso la sua, di cabina. Per tutto il resto della nottata, non fece altro che ricordare quelle bellissime labbra che mormoravano, “Ho tanta, tanta paura! Non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego”. Si addorment?, solo dopo essersi toccato a dovere. CAPITOLO CINQUE Al si alzava, ogni giorno, molto presto. Cercava di andare in bagno durante la notte, mentre la sua Padrona dormiva. Non sempre, per?, ci? era possibile. Aveva bisogno di un permesso speciale, anche per fare pip?. Ma non doveva assolutamente svegliarla, per chiederglielo. In linea di massima, era meglio non far sapere ad Aletta che lui, in bagno, ci andava. Perch?, a quel punto, lei avrebbe voluto sapere perch? lui -in bagno- ci stava andando. E cosa ci andava a fare e come lo faceva. La prospettiva di morire di blocco intestinale era molto pi? allettante di quel ridicolo terzo grado. Quella mattina, Al era stato pi? discreto del solito. Dopo l’incidente col bellissimo Efebo era cruciale non attirare l’attenzione. Non pi? del solito, almeno. Quindi, aveva gi? obbedito a mezza dozzina di richieste assurde. Era l? che svolgeva il suo allenamento -Aletta lo voleva sempre pompato e senza un filo di grasso- quando uno degli Schiavi di Melinda piomb? nella suite. La notte prima, Amir era stato trovato sul Ponte Principale. Svenuto, insanguinato, derubato. Le guardie erano gi? all’opera. “Devo andare! Tu finisci i tuoi esercizi! Se scopro che non hai combinato nulla, ti aumento il carico!” minacci? la donna, prima di correre fuori dalla stanza. E Al obbed?. Non che avesse chiss? che altro da fare. Sicuramente Aletta sarebbe rientrata subito. Ma Aletta non rientr?. La Bestia, quindi, decise di sfidare la sorte. Prese un libro e inizi? a leggere. Poteva farlo solo in quei rari momenti in cui ci si dimenticava di lui. Lui adorava leggere. Avrebbe voluto farlo sempre. Aveva una grande immaginazione, ma era riuscito a finire pochissimi libri. Spesso era stato interrotto, proprio sul pi? bello. E quel libro, lui, non l’aveva mai pi? visto. Oltre trent’anni di Schiavit? l’avevano svuotato. Era vivo, ma era morto dentro. Non aveva una vera e propria opinione emotiva. Nessuno gli chiedeva un parere. E quando succedeva, la sua risposta doveva corrispondere al volere dei Padroni. Un perfetto Animale domestico, creato per soddisfare ogni tipo di desiderio. Quelli di tutti, tranne il suo. Non si poteva dire nulla sul suo carattere. Semplicemente, non ne possedeva uno. Non aveva bisogni particolari che richiedessero soddisfazione. Non c'era nulla che Aletta potesse fare per dargli un po’ di gioia. Non che lei l’avrebbe fatto, sia ben chiaro. Dopotutto, era dovere di Al portare gioia ai Padroni. Non viceversa. A ogni modo, il libro del giorno si intitolava, ‘Pi? Forte Della Morte’. L’autore, Albireo, era famoso per le tematiche e le storie a sfondo omosessuale. O, forse, quel genere era quello pi? popolare a Firokami. La trama era molto semplice. Il figlio di un ricco uomo d’affari di Frican torna a casa dall’Universit? e si innamora di uno Schiavo zombie. A met? lettura, intrigato e confuso, Al sbirci? la fine. E fu ancora pi? confuso. Una conversazione tra due personaggi di cui, ancora, non aveva letto nulla. L’Amore ? sempre pi? forte. Sia della Vita, sia della Morte. Fine. L’Albireo era famoso anche perch?, nelle sue opere, il lieto fine era una costante. Anche se quei personaggi erano, apparentemente, morti. L’importante ? stare assieme a chi si ama. Cos? pensava Al, anche se lui non avrebbe mai avuto un lieto fine del genere. Ritorn?, comunque, a leggere dove aveva interrotto. Arriv? esattamente fino al momento in cui il padre -disperato- decide di non interferire con la storia tra suo figlio e lo Schiavo, in modo da fargli capire da solo che razza di errore sia mischiarsi coi morti. E proprio in quel momento, Aletta entr? nella stanza. La Bestia era seduta, a gambe incrociate, sul pavimento. Aletta lo guard? e sorrise. Brutto segno. Lo Schiavo, per?. Non si scompose. Chiuse il libro e lo rimise a posto. Aletta si sedette, mentre poggiava una borsa sul tavolo. “Che follia! Dove andremo a finire! Aggredire un Padrone! Sar? sicuramente uno Schiavo che non ? stato educato a dovere. Posso solo immaginare cosa gli faranno, quando lo troveranno. Tu cosa pensi che dovremmo fare, a Schiavi del genere?” chiese Aletta. “Punirli, Padrona,” rispose Al. “Certo,” annu? la donna. Poi, indic? la borsa. “Ti ho portato la colazione. Mangia.” Al si alz?, raccolse la busta e si rimise sul pavimento. Zuppa, un po’ di carne, del succo di frutta. Si trattava palesemente di avanzi. Non era certo la prima volta. Ma il pensiero che il giorno prima si fosse scopato un Angelo del Paradiso e quella mattina una donna sul viale del tramonto, gli faceva specie. Non aveva proprio fame, ma non poteva disobbedire a un ordine. Poi, lo avrebbero lasciato senza cibo per giorni. Quindi, infil? una mano nel sacchetto e prese la prima cosa che gli capit?. Lo Schiavo aspettava pazientemente la vecchiaia. A quel punto, avrebbe smesso di essere interessante per i Padroni. Nessuno avrebbe speso tempo e denaro per un restauro. Avrebbe dovuto aspettare una decina d’anni, non di pi?. Non vedeva l’ora di essere vecchio e brutto. La sua Padrona adorava la carne fresca. Perdeva tempo con lui solo ed esclusivamente perch? la sua bellezza era fuori dal comune. Ma alla prima ruga gli avrebbe dato un calcio in culo ben assestato. E non ci sarebbe stato nulla tra lui e il Mare. Ma, in quel preciso istante, Aletta era l? che gli toccava le natiche con la punta delle sue scarpe tacco dodici. “Mettiti a quattro zampe, per mangiare.” Lo Schiavo obbed?. E la punta di quel tacco dodici gli penetr? lo sfintere. “No, sdraiati e mangia,” ordin?, di nuovo, Aletta. Lo Schiavo obbed? un’altra volta, sperando fosse l’ultima. Ma Aletta infil? il tacco fino al calcagno. Quel sottile pezzo di metallo riapr? abrasioni vecchie, mentre ne apriva di nuove. E Al url?. “Vi prego, Padrona! Fa male!” implor?, irrigidendosi. La donna, per tutta risposta, rise e inizi? a fare avantindietro. “Certo che fa male. Deve fare male! Mica mi diverto, senn?!” La sofferenza della Bestia era quasi commovente. Sarebbe stata capace di scioglierle il cuore, se ne avesse avuto uno. Al rugg? di dolore, stringendosi la testa fra le mani. Come avrebbe voluto essere uno Schiavo Zombie in un lontano Paese dimenticato. “Hai due scelte. Disabituare il tuo intestino a lavorare come si deve oppure diventare un Cuore per i Padroni. Non ringraziare me. ? stata un’idea di Gene!” “Non so cosa significhi, Signora. Potreste spiegarmelo, per favore?” Aletta si appoggi? allo Schiavo, sorridendo. “Ti faremo un clistere, dopo ogni pasto. Tempo un mese, il tuo intestino non vorr? pi? essere tale. Perch? non ci riuscir?,” disse, raggiante, mentre sfilava -finalmente- il tacco dal culo di Al. Solo per calpestargli i testicoli, subito dopo. La Bestia non aveva pace. “E il Cuore sar? proprio qui, tra le tue palle. Che non ti verranno tagliate solo perch? Gene ? pi? che contrario. Chiss? poi perch?.” “Ma mia Signora. Volete rinunciare a me per darmi ad altri Padroni?” chiese lo Schiavo. “Macch?! Il tuo destino ? quello di morire sotto la mia propriet?, fattene una ragione,” disse. Poi, rise. “Chi mai rinuncerebbe a te?” “Ma Signora. Perch? mi fate scegliere, tra intestino e Cuore? Voi avrete sicuramente gi? deciso.” “Emb?? Voglio che tu scelga lo stesso!” rispose la donna, senza mai smettere n? di ridere n? di schiacciare i testicoli -ormai martoriati- di Al. Al era certo che, qualsiasi cosa scegliesse, Aletta l’avrebbe obbligato a fare il contrario. Cosa scegliere, quindi, tra la padella e la brace? “Distruggete il mio intestino, Signora. Il mio culo diventer? il luogo pi? pulito dell’universo, per i miei Padroni,” disse, infine, Al. La sua cautela era quasi visibile, mentre pronunciava quelle parole. “Bene. Mangia,” ordin? la donna, tornando a sedersi e osservandolo. Lo Schiavo ripens? alle parole che aveva sentito migliaia di volte, quando si trovava ancora a Dora. Morirai qui. E invece era stato comprato da Aletta. Anche lei, talvolta, lo diceva. Ma la Bestia sperava davvero si sbagliasse. Dopotutto, le capitava -molto spesso- di parlare a vanvera. Quindi, continu? a trangugiare la sua colazione. La donna sorrise tutto il tempo. Quando fin?, Al scopr? il motivo del suo buonumore. Un vibratore. Ecco cosa nascondeva. Quell’arnese era enorme. Ci aveva gi? a provato, ma non si adattava affatto alla Bestia. L’ultima volta lo aveva perfino tagliato. Al rabbrivid?, quando la sua Padrona lo accarezz? con quel glande di gomma. Si ferm? proprio sull’entrata. E lo Schiavo rabbrivid?. “Lo riconosci? Siete vecchi amici, mi pare.” “Vi prego, mia Signora! Perch? volete punirmi?” implor? lo Schiavo. E sembrava crederci. “Ma non ? una punizione!” esclam? Aletta, con lo stupore pi? fasullo che potesse tirare fuori. “Si tratta di una ricompensa! Sborrerai fino all’ora di cena! Non sei contento?” Il concetto di Premio periodicamente veniva abbinato a quello di Punizione. Senza nessuna logica, ovviamente. I Padroni agivano cos? perch? cos? era, punto. Un gruppo di bambini troppo cresciuti a cui piace impiccare lucertole e gattini, giusto per. Non provavano nemmeno a nasconderla, la loro natura. Capitava che il bullismo fosse talmente estremo che perfino uno Schiavo navigato come Al se ne lamentasse. Aletta lo sapeva e lo puniva di conseguenza. Sperava, in tal modo, di scacciare la Bestia. “Vi prego! La mia ricompensa pi? grande ? quella di ammirarvi e stare con Voi! Non perdete tempo a ricompensarmi!” esclam? Al. Ma, in realt?, quel cambio nella routine lo interessava. Poi, voleva riprovarci. Chiss? che quella volta sarebbe stato in grado di ingoiarlo tutto. Aletta rise. Era riuscita a spaventare un Dio Pagano. Poverella. Mica l’aveva capito che fingeva! “Alza quel culetto, da bravo,” cantilen? la Signora. E Al obbed?. Come sempre, i Padroni si rivelavano creature stupide. La donna tir? fuori una lama e incise lo sfintere del poveretto. Era passato del tempo, troppo tempo. E se si fosse abituato e non si fosse tagliato? Meglio prevenire. Dopo, spalm? la verga di lubricante. Quando -poi- inizi? a preparare il passaggio, Al cominci? a masturbarsi. Un disperato tentativo di alleviare il dolore. Ma la Padrona non era affatto d’accordo e gli strizz? le palle. “Se ti contorci, io -queste- te le strappo.” Lo Schiavo si blocc?. Allontan? le mani dal suo scroto e se le port? al volto. Quando la punta venne, lentamente, introdotta, url?. Il dolore fu come lava rovente nel suo intestino. Bene. “Perch? mai devi fare sempre queste sceneggiate ogni volta che ti infilo qualcosa in culo? Non stai mica morendo!” Al tremava, coperto di sudore freddo. Il dolore era acuto, fisso e pulsante. Calde lacrime gli rigarono il viso. Finalmente, qualcosa di nuovo! La donna aveva infilato quel coso tutto fino alla fine, dove lo blocc? con un plug. Poi, gli tocc? il cazzo. Stranamente, era ancora duro. “Ma che bravo! Guarda, non ti metto nemmeno l’anello!” disse, aprendo il portatile. Al non si mosse. Cerc? di rilassarsi, ma il dolore non accennava a diminuire. Anzi, il buco si strinse. Di conseguenza, divenne ancora pi? doloroso. Lo Schiavo strinse i pugni, tirandosi i capelli. Tremava tutto. Poi, vennero i singhiozzi. Dopo, si pisci? addosso. Non si era mai sentito cos? vivo. Aletta sorrise. Tutto il tempo. “Padrona, mia Padrona! Vi prego, basta,” pianse la Bestia, sperando di non essere ascoltato. “Ma che dici? La cena ? ancora lontana! Goditelo!” rispose la vipera. “A meno che non ci sia qualcos’altro che catturi la mia attenzione. Sono tutti al capezzale di Amir, adesso. Io sto cercando quel nuovo bocconcino su Internet. Cos? verr? a giocare con noi!” D’improvviso, il lampo di genio. E se-? “Potrei punire qualcuno per Voi, Signora,” propose Al. E si sent? una merda, quando lo fece. Ma quel dolore non lo stava facendo ragionare. E quell’Efebo era troppo conturbante, per lasciarselo sfuggire. Aletta si volt?, di scatto, il volto illuminato dalla gioia. Uno spettacolo orribile. “Bello! Punirai il ragazzino in pubblico! Non ti limiterai a scopartelo a sangue, oh no, lo punirai come si deve! Voglio che lo umili nell’intimo! Ma sappi una cosa,” aggiunse, poi, maligna. “Se non ti impegnerai, se non farai del tuo meglio, se non mi piace come ti comporti, se dovesse dispiacerti per lui, povero te! Quello che stai subendo ora, ti sembrer? il Paradiso.” Dopo di che, gli si avvicin?. Poi, tir? fuori il vibratore. Piano piano. Al si pisci?, di nuovo, addosso. “Ora vai in bagno e pulisciti. Puoi riposare, almeno due orette. Tanto, quello l?, non si far? vedere prima di pranzo.” CAPITOLO SEI Tutta la Compagnia era riunita sul Ponte Superiore. Stine annu?, quasi impercettibile. “Okay,” disse Aletta, capendo al volo. Poi, si volt? verso Al. “Vedi quel ragazzo? Prima fila, terza sdraio. Bene, vai e colpisci. Vedi di non deludermi.” E Al lo vide. Aveva sperato fino all’ultimo che non si trattasse di lui. Aletta lo aveva usato altre volte, come mezzo di vendetta. Litigava con qualcuno, o qualcuno osava non leccarle il culo, e lei colpiva. Usando proprio lui. Era la sua arma. Ma in quel momento, la vittima era il suo Angelo. Tutti quei discorsi riguardavano lui. Si erano incazzati. Ma perch?? Al non lo sapeva. Si avvicin?, col gelo nel cuore, non appena ricevuto l’ordine. Sicuramente i Padroni l’avevano gi? adocchiato, ancor prima che loro due si conoscessero. E come dar loro torto? Una tale bellezza non passava certo inosservata. Il piano era sempre uguale. Al avrebbe lusingato la vittima e quella ci sarebbe cascata con tutte le scarpe. Poi, una volta venuta a conoscenza che era tutta una finzione istigata da Aletta -e non perch? Al trovasse l’oppresso di turno particolarmente attraente- l’umiliante martirio poteva cominciare. Ma non quella volta. Doveva assolutamente avvisare il ragazzo, dirgli di fuggire dalla nave. Ma come? Ormai era di fronte a lui. Che fare? Improvvisazione era la parola chiave. “Ciao”, esord? Al, inginocchiandosi accanto alla sdraio. Ad apr? gli occhi, restando senza fiato. Si ricordava, eccome, di cotanta magnificenza. Il suo microslip stava gi? diventando stretto. “Ciao a te”, rispose, quindi, sorridendo. Al incombeva su di lui, i lunghi capelli che celavano il volto da sguardi troppo abili nella lettura delle labbra. “Devi nasconderti e abbandonare la nave. La crociera la finirai un’altra volta,” bisbigli?. “Adesso?!” Quella dichiarazione arriv? completamente inaspettata. Quei bellissimi occhi cremisi fissarono, stupiti, la Bestia. “No,” sussurr? Al, mentre lo accarezzava. “Dopo che ti avr? scopato”. La reazione di Ad fu immediata. Emise un lungo gemito di aspettativa, gi? in preda alla lussuria e al ricordo delle sensazioni provate sotto quelle stesse mani. Sollev? il volto, per poterlo baciare, ma Al seppell? il volto tra i suoi capelli. Non poteva mostrare il minimo cenno d’affetto. Ne moriva, ma non poteva farlo. Avrebbe dovuto essere crudele. Perci?, si sedette e attir? quel bellissimo viso tra le sue cosce. Poco prima di seppellire il suo cazzo nella gola del ragazzo, quello url?. Spalancando meravigliosamente la bocca. I Padroni iniziarono ad arrivare, accompagnati dai loro Schiavi. Ognuno di loro ordin? ai servitori di toccarli. Non specificarono nemmeno il come, non avevano bisogno di alcuna tecnica per poter godere. Quello spettacolo era pi? che sufficiente. Tra la folla, Stine e Gene condividevano lo stesso Schiavo. Amir, alla faccia della convalescenza, stava abusando di un ragazzino. E brutalmente pure. Al, dal canto suo, era combattuto. Quell’Efebo era splendidamente terribile. Quando gli venne in gola, quasi non si strinse. Ingoi? tutto con gioia. Era sbagliato. Se mostrava piacere, i Padroni gliel’avrebbero fatta pagare. Decise di aumentare il carico. Non gli diede tempo di riprendersi. Gli afferr? i capelli sulla nuca e lo guard?. Le labbra gonfie, un rivolo di bava che sgorgava da un lato, gli occhi lucidi, bellissimo. Oh, quanto avrebbe dato per possedere tale gemma! Ma quei pensieri erano pericolosi. Lo afferr? e lo sbatt? sulla sdraio. In un attimo, gli fu sopra. E lo penetr?, senza nemmeno prepararlo. Si rese subito conto che, comunque, non ne avrebbe avuto bisogno. Quella bellezza riusciva ogni volta a stupirlo. Ad cominci? a muoversi e gemere, contorcendosi in preda all’estasi. Non andava bene proprio affatto! Al cerc? di distrarsi da quell’immenso piacere, pensando a come umiliare la sua vittima e -allo stesso modo- a non offenderla. Anche se, a ben vedere, per offendere tale famelico bocconcino ci sarebbe voluto un miracolo. Si guard? attorno. Tutti i Padroni erano impegnati a scopare col vicino pi? prossimo. Tutti quanti. Riport? la sua attenzione alla meravigliosa creatura che aveva davanti. Ad tutto sembrava, tranne che umiliato. La Bestia doveva escogitare qualcosa e al pi? presto. Ma quel folletto ribelle si dimenava oh-cos?-sinuosamente sotto di lui che gli era impossibile pensare. Allora con una mano gli afferr? -di nuovo- i capelli, tirando forte. L’altra gli immobilizz? un fianco.Le spinte divennero pi? violente e mirate. Abbandonata la criniera, si concentr? sul piccolo ma delizioso pene del giovane. E strinse. “Oh, mio Dio!” url? quello, pi? volte. Al si stava innervosendo. Possibile non gli importasse un beato accidente che se lo stesse scopando, con rabbia, davanti a tutti? Senza che fosse stato lui ad approcciarlo? Come poteva portarlo a ribellarsi e nascondersi, se la sottomissione pubblica non lo umiliava minimamente! Anzi, se la stava godendo come un ossesso! Non voleva ricorrere al dolore fisico, ma sembrava l’unica soluzione. Afferr? i testicoli, quasi glabri, e stratton?. Il ragazzo url?, per la prima volta, di dolore. Ma si strinse alle spalle della Bestia, come in cerca di protezione. “Sei un Dio!” grid?, tra i gemiti. “Sei il mio Dio!” Al ebbe quasi il coraggio di ammosciarsi, mentre era ancora sepolto in quel calore. Non glielo aveva mai detto nessuno. Mai, in pi? di trent’anni! La felicit? gli fece venire un coso alla gola. Subito, per?, percep? la malvagia invidia dei Padroni. Lui un Dio? Un cazzo di Schiavo?! Ma quando mai! Doveva risolvere e in fretta. Ritorn? a masturbarlo e quello venne, un suono melodioso che Al gi? conosceva. Sapeva l’effetto che avrebbe provocato. Infatti, poco dopo, i Padroni lo imitarono. Ma Al era un professionista. Rimase concentrato sul compito. Nulla avrebbe potuto distrarlo. Continu? a spingere, sempre nello stesso punto. Il ragazzo urlava, abbracciandolo disperato. Ci volle pochissimo perch? ritornasse duro. La Bestia ag? d’istinto. Sollev? una mano e la lasci? cadere sul volto del giovane. Non fu uno schiaffo, ma -da lontano- lo sarebbe sembrato. Era ci? che contava. Riafferr? quei capelli di seta e tir? di lato, esponendo la gola. Digrign? i denti, prima di affondarli in quella tenera carne. Forte. Sangue fresco e profumato gli si rivers? tra le labbra. Ad singhiozz?. Dolore? Piacere? Entrambi? Mistero, ma fu delizioso. “Sei il mio Dio,” ripet?, tra i gemiti. Niente, non cedeva di mezzo millimetro. Cosa ci voleva, per spezzarlo? Non c’era verso di farlo spaventare. Nemmeno ferirlo era servito a qualcosa. A mali estremi, quindi, estremi rimedi. “Ascoltami,” gli sussurr?. “Ho bisogno che tu lotti con me. Fingi che ti stia stuprando e che non ti piaccia. Cerca di liberarti e scappare. Puoi farlo?” Il ragazzo lo guard?. Gli occhioni belli colmi di lussuria. Poi, si morse il labbro. Se lo morse talmente forte da spaccarlo. “Vuoi che implori?” chiese. No, seriamente. Chi cazzo era, quell’elfo?! “Certo,” rispose la Bestia, prima di baciarlo. Bacio che venne ricambiato imperiosamente. Subito, lo Schiavo si allontan?. Per Ad, quello, fu il segnale. Inizi? a dimenarsi e cerc? di staccarsi da lui. “Ti prego, no! Lasciami!” url?, in maniera molto convincente. Troppo convincente. Se si ignoravano i gridolini di due secondi prima, ovvio. Ma i Padroni non erano esattamente in grado di intendere e di volere. In linea generale e ancora meno in quel momento. Al, quindi, usc? di botto da quel corpicino delicato. Spinse il giovane a terra, tra le sue gambe. “Succhia!” gli ordin?, malvagio. Ad scosse la testa, in lacrime. Allora lo afferr?, di nuovo, per i capelli e glielo mise a forza in gola. Quel piacere, di nuovo. Viscoso. Miele e sangue. Mentre succhiava, Al infil? un piede tra le cosce dell’Efebo e accarezz? il buchetto -appena usato- con l’alluce. Ad stava dando prova di essere un grande attore. Cercava di spostarlo e, contemporaneamente, se lo spingeva dentro. Lo Schiavo fece, ancora, finta di schiaffeggiarlo. Quando venne, sent? i muscoli di quella gola famelica che lo succhiavano fino all’ultima goccia. Una volta venuto, lo butt? sul pavimento. Mentre si trovava schiena a terra, gli calpest? -piano- i testicoli. “Hai capito cos’? che devi fare? Alla prossima fermata, scendi da qui e vatti a trovare un protettore!” “Ma ne ho gi? uno!” piagnucol? Ad. “Allora vedi di stargli attaccato, notte e giorno!” A quel punto, Ad si sollev? e inizi? ad accarezzare la bellissima Bestia. Piano, con reverenza. “Va bene. Ma perch? devo scendere? Lui ? gi? qui,” disse, guardandolo implorante. “Bene! Vedi di attaccarti a lui!” Beata ingenuit?. Non ci arrivava proprio che si stesse riferendo a lui. Sput? in bocca a quel prodigio della natura e lo maltratt?, per finta, qualche altro istante. Giusto per essere sicuro. Poi, riusc? a chiedergli, in un soffio, “Come ti chiami?” “Ad, e tu?” “Al,” rispose la Bestia. Subito, si ricord?. “Alon,” si corresse. Era quello il suo nome. Quand’era stata l’ultima volta che l’aveva usato? Che qualcuno l’aveva chiamato cos?? Finiti i convenevoli, si alz? e gli diede un calcio. Uno leggero, quasi un buffetto, per allontanarlo. “Corri,” gli disse. Ad lo guard?, le lacrime agli occhi. Lacrime di piacere, ovviamente. Venne, immediatamente, circondato da marpioni di ogni et? che fecero a gara per occuparsi di lui. Ma il ragazzo non rimase a scegliere il suo salvatore. Si alz? di scatto e scapp? nella sua cabina. “Ehi! Torna qui e continua lo spettacolo!” rise la folla. Tutti applaudirono, mentre la Bestia si ricomponeva. Una delle Schiave di Melinda, Selena, gli sorrise. Ma Aletta lo trascin? via. Il resto della cricca li segu? nella suite della donna. “Notevole! Davvero notevole,” comment? Gene. “S?! Bravissimo, Al,” segu? Melinda. Aletta gli stava accarezzando i lunghi capelli, facendoli scivolare tra le dita. “Perch? non hai pisciato addosso a quel piccolo figlio di troia, me lo spieghi?” domand?, cattivo, Amir. A quel pensiero, Stine e Gene ebbero un brivido. Un caldo fiume giallo su quella puttana capricciosa. Ebbero quasi un’erezione. Ma Aletta divenne cupa. Le era passato il buon umore. “Gi?,” disse, poi. “Perch? non l’hai fatto?” L’atmosfera era stata rovinata. Selena trem? per la Bestia. Non le era mai passata, quella cotta adolescenziale. “Maddai, su, non ci avr? pensato!” intervenne Melinda. “Mica ? un Padrone, lui! Poverino, che ne sa di certe cose?” Aletta non l’ascolt?. Tir? fuori il vibratore, ancora sporco. “Mettiti a quattro zampe. Subito,” ordin? alla Bestia. Dalle stelle alle stalle, in meno di un minuto. CAPITOLO SETTE Al sapeva quale orrore lo attendeva. Quel vibratore gigante avrebbe riaperto tutte le ferite e ulcere che avevano appena iniziato a cicatrizzarsi. Poi, l’avrebbero curato col ‘SalvaGente’ -panacea all’ultimo grido, in quel di Firokami, pure pi? famoso dell’Aspirina- che avrebbe guarito la qualsiasi. Selo avessero lasciato in pace, per qualche giorno. Ma non sarebbe andata cos?. Gli uomini erano l? per scopargli pure il cranio, passando per l’uretra. Le donne non vedevano l’ora di pisciare su ogni singolo, minuscolo, taglietto che si ritrovava. Non sarebbe stato nulla fuori dall’ordinario, in tempi normali. Ma era appena caduto in disgrazia. Non aveva sottomesso abbastanza la puttana che aveva aggredito Amir. E se avessero scoperto che, in realt?, l’aveva aiutato? Non voleva nemmeno pensare alla caccia che si sarebbe aperta a bordo per trovarlo. E a quello che sarebbe successo, una volta acciuffato. Il suo Angelo, il suo Amore. No, non l’avrebbe permesso. Si inginocchi?, subito, davanti alla sua Padrona. Doveva ingoiare l’orgoglio e implorare. Non l’avrebbe fatto perch? temeva il dolore, ovviamente, ma per salvare quel giovane che lo stava facendo impazzire. Poteva anche funzionare. Dopotutto, era sempre sull’orlo della narcolessia. Nessuna tortura pi? lo smuoveva. Quel cambiamento avrebbe acceso qualcosa, nei Padroni. Si sarebbe impegnato. Sarebbe stato Katherine Hepburn. “Vi prego, mia Signora!” implor?, gettandosi ai piedi della donna. “Lasciate che lo trovi e lo porti qui! Gli piscer? ovunque, lo giuro!” “E come pensi di fare? In questo momento star? sicuramente piagnucolando nella sua cabina. Oppure, pi? probabile, si star? facendo consolare da qualcuno. Quindi, te lo richiedo. Com’? che pensi di portarlo qui e finire l’opera, troia?” rispose Aletta, palesemente incazzata nera. Non aspett? nemmeno la risposta, prima di aggiungere, “Non temere. Il tuo amico gommoso qui presente sapr? come stimolarti la fantasia. Magari, la prossima volta, sarai un pochino pi? creativo.” Non stava funzionando. Doveva aggiungerci un po’ di Meryl Street, alla sua performance. “Stasera! C'? un ballo. Parteciper? sicuramente, lo far? l?.” “Mica male, come idea,” comment? la donna, accendendo il vibratore e provando le varie velocit?. “Ma dovremo pur ammazzare il tempo, fino ad allora.” “Vi soddisfer? tutti! Abbiate piet?, non fatelo!” continu? a implorare, giusto per. La sua idea era stata accettata. L’Efebo era salvo. Doveva solo mantenere la facciata. Cazzo gliene fregava di quel dildo gigante? Aveva visto e provato di peggio. Certo, sarebbe stato inconveniente e scomodo e un’autentica rottura di coglioni. Ma, alla fine, sticazzi. “Ovvio che lo farai,” sbott? Aletta. L’approvazione degli altri Padroni era molto, molto, importante per lei. Come tutti i narcisisti, era insicura. E come tutti gli insicuri, adorava essere invidiata. L'ultima cosa che voleva era che qualcuno mettesse in discussione il suo rigore. Quella col cuore tenero era Melinda. Certo, aveva anche lei la sua bella reputazione. Gli Schiavi maschi non le duravano pi? di due anni. Li uccideva, tutti, in modi crudeli e disgustosi. Aveva un occhio di riguardo, per?, per le Schiave donne. Non la si vedeva mai, senza una ragazza accanto. Nel frattempo, Aletta stava lubrificando il vibratore. Fissando Al per tutto il tempo. Come stavano facendo tutti i presenti. Quella Bestia umiliata e sottomessa era una visione. Chiss? come si sarebbero sentiti umiliati loro, se avessero anche solo sospettato che -quella- era tutta una finta e che la Bestia stava semplicemente ottenendo ci? che voleva! “Non preferireste frustarmi?” Alon era carico a pallettoni. Si stup? di se stesso, per quell’uscita. “Faremo entrambe le cose, stai sereno,” rispose Aletta, cadendo drittadritta nella trappola. Amir, beato tra il suo Schiavo e quello di Gene, risero di gusto. Stine si concesse un sorriso. Gene, invece, era impegnato con Selena. La toccava, assente, pensando alla prossima orgia. Alon, sentendosi sempre pi? Joan Crawford, butt? all’aria la dignit? e si aggrapp? -singhiozzando- alle gambe della sua Padrona. “Vi prego! Vi supplico! Vi imploro!” Cazzo se era convincente! La donna guard? Amir. Quello, con una scrollata di spalle, punt? il pollice verso il basso. L’Imperatore aveva deciso. Anche Melinda scroll? le spalle. Ma il suo pollice era sollevato. Stine rimase immobile. Voleva vedere l’andazzo, prima di esprimersi e seguire il gregge. Gene abbandon? le grazie di Selena e pollice verso pure per lui. Quindi, anche il gioielliere -da brava pecorella- decise per il no. “Vedi? Tre contro due, dolcezza,” disse, sarcastica, Aletta. “Ma cos? non potr? pi? ballare,” sussurr? lo Schiavo. Lo fece perch?, se avesse parlato a voce alta, molto probabilmente sarebbe scoppiato a ridere davanti a tutti. “E allora non ballerai, semplice.” “Perch?, poi?” chiese, subito, Amir. “Mica saranno le palle che ti impediranno i movimenti!” “Nossignore, le palle non mi danno per niente fastidio,” rispose, leggerissimamente preoccupato, Alon. Quell’Amir doveva sempre aggiungere benzina al fuoco, mannaggiallui. Intravedendo una degenerazione del suo piano, ripass? velocemente il tutto. Si era umiliato, aveva implorato, aveva singhiozzato. Cosa mancava? Ma certo! La ciliegina sulla torta. A quattro zampe, nessuno poteva resistergli. Aletta fu fin troppo felice di penetrarlo con quella verga di gomma. E glielo dimostr?. Inesorabilmente, tutti i tagli che aveva nello sfintere si aprirono. Ma quell’eventualit? era gi? stata messa in conto. Al strinse i denti. Ai Padroni piaceva, quando gli Schiavi cercavano di trattenere le urla. Ma, in effetti, gli faceva male. “Perch? sei cos? silenzioso?” chiese, garrula, la Padrona. Poi, accese il vibratore. E allora s? che Alon url?. Ma pi? di sorpresa che altro. Non che la donna sapesse la differenza, comunque. “Quanto ? bello?!” sospir? Amir, ammirando l’Adone. “Silenzio,” disse Stine, indicando Aletta. “Cosa?” chiese Amir. “Sembra proprio che la nostra ragazza preferita stia piangendo,” ridacchi? il gioielliere. Aletta lo sent?, si rese conto di stare veramente piangendo e -imbarazzata- si alz?. Stine approfitt? di tale d?faillance per spogliarsi alla velocit? della luce e lanciarsi sul povero Alon. La noia. “Manca qualcosa,” disse. E, sempre molto innovativo, incominci? a pisciare sul viso dello Schiavo. Di nuovo. Nemmeno lui sapeva il motivo, ma adoravafarlo. Con la Bestia, pi? che con chiunque altro. Amir, ammirando la scena, si sent? legittimato a sdraiarsi sul pavimento e afferrare i testicoli di Al. Subito, inizi? a graffiare e tirare e strizzare. Le signore non furono da meno. Aletta -asciugatasi le lacrime- prese a calci la schiena di quello Schiavo, cos? impertinente da averla fatta piangere. Melinda la segu? a ruota. Lo sapeva che ci sarebbe stata una buona ragione per indossare quegli scomodissimi tacchi a spillo, quando li aveva scelti la mattina! Mir? proprio alla spina dorsale. Poi, si gir? verso le sue Schiave e ordin?, “Fatevi scopare da qualcuno. Chiunque andr? bene.” Ma non controll? di essere stata effettivamente obbedita. Stine, alla parola scopare, reag? di conseguenza. Si inginocchi? e sbatt? il cazzo in gola ad Alon. Il poveraccio aveva l’inguine in fiamme. Quando quasi soffoc? a causa di quell’uccello mal-lavato, cerc? solo di farlo venire il pi? in fretta possibile. “Vedete di spingere quel vibratore pi? a fondo!” ordin? Aletta, mentre lo Schiavo di Gene l’accarezzava. Ma era Alon che guardava. Non l’avrebbe mai ammesso, ma quella Bestia la eccitava da morire. Nessuno era come lui, nell’intero Universo. O, almeno, a Firokami. Che per lei equivaleva alla stessa cosa. Amir non si fece ripetere l’ordine due volte. E, senza smettere di tirare lo scroto di Alon, gli forz? il vibratore ancora pi? in profondit?. Bruscamente, il pezzo di gomma spar? tra le natiche dello Schiavo. Alon url?. O, meglio, ci prov?. La sua gola era troppo impegnata per emettere alcun suono. In compenso, ingoi? ancora di pi? l’intera lunghezza del Padrone. Il quale non aveva la minima intenzione di venire cos? velocemente. Anzi, afferr? un frustino e lo colp? in faccia. Stine, la solita pecora, afferr? la prima frusta che vide e copi? il socio. Lo Schiavo si copr? automaticamente il volto, ma i Padroni non volevano sentire ragioni. “Non osare!” sibil? Amir, continuando a tirargli i testicoli martoriati. Lo Schiavo ulul? -per finta- di dolore, ma non tent? pi? di evitare i colpi. Primo, era stato un riflesso condizionato. Secondo, c’era Selena. Sapeva che se la sarebbero presa anche con lei. Quell’Anima buona lo guardava, triste, mentre Gene la insozzava. E al Padrone non and? gi?. “Che cazzo ? che c’hai, cogliona?” le strill?. Non si accorse dello sguardo tra i due Schiavi. Figurarsi se avesse perso tempo con le relazioni che gli Schiavi avevano fra di loro! Per?, vide cosa Amir stesse combinando e gli chiese, “Ma che fai?” “Voglio inchiodargli le palle a terra,” rispose quello, come fosse la cosa pi? normale del Mondo. “Cos? la smette di agitarsi!” Gene sorrise, maligno. “Cos? ogni volta che vorremo giocarci, non potr? scappare,” sghignazz?. “Inchiodaglieli al comodino, dai!” Amir aveva gi? i testicoli in posizione, quando lo Schiavo url?. E lo fece pi? forte che mai. Ma che cazzo di porcate si stavano inventando, con i suoi testicoli, quegli psicopatici?! Stine, ben lontano dal climax, non apprezz? che quella gola cos? esperta si fosse liberata della sua sacra verga. E fece schioccare la frusta, ma sul pavimento. Aveva visto che lo Schiavo non c’entrava assolutamente nulla. Sapeva essere magnanimo e giusto. Qualche volta. Quindi, se la prese coi colleghi. “Amir!”, esclam?, irritato. “Smettila di far cazzate a cui non frega una mazza a nessuno!” Gene scoppi? a ridere, scuotendo la testa. “Smettila tu! Gli vuoi rovinare la faccia, per caso? Come far? a sedurre qualcuno, stasera?” “Non deve sedurre! Deve umiliare! Deve sottomettere! Da quando si ha bisogno di un bel faccino, per farlo?” Alon, approfittando della distrazione, si lanci? sulle gambe di Gene. Le abbracci? strette e, nel mentre, il vibratore si mosse. Fu un dolore immane, ma pens? di sfruttarlo per aggiungere pathos alla sua supplica. “Vi prego, Padroni, vi supplico! Non fatelo! Non mi muover? pi?, lo giuro!” E, a pensarci bene, avere i coglioni inchiodati -che fosse a un comodino o a una libreria- poteva essere seccante. “Beh,” ponder?, o finse di farlo, il Padrone. “Per umiliare qualcuno, ? necessario avvicinarsi. Giusto? E il nostro micetto potrebbe scappare. Io lo farei!” “Ha due scelte. Accettare il suo destino o gettarsi in Mare aperto,” disse Stine. Subito, sollev? la mano per colpire lo Schiavo ai piedi di Gene. Ma si ferm?. Alon piangeva. Un altro riflesso condizionato, legato al fatto che Amir aveva appena trafitto il primo testicolo con un chiodo d’argento. “Oh, ma guarda,” comment? Gene. “Sembra proprio diventerai parte dell’arredamento. Ma a che pro, Amir? Voglio dire, non potr? nemmeno prepararci un caff?! Rester? l? per sempre? Che spreco!” “Mi spieghi per quale stracazzo di motivo critichi sempre ogni mia iniziativa?! Ti lamenti, ma non mi sembra tu abbia chiss? quale idea originale da proporre!” sbott? Amir. E si distrasse dalla delicatissima operazione che stava compiendo. E il martello colp? troppo forte. Un fiotto di sangue caldo lo colp?. Alon rugg?. Strinse le gambe di Gene, quasi facendolo cadere, e si pisci? addosso. No buono. Il Padrone si rese conto che stavano per giocarsi lo Schiavo del secolo. Con un sussulto, afferr? il martello da Amir ed estrasse il chiodo dal testicolo della bestia. O, almeno, da quello che ne era rimasto. “La lezione ? finita,” disse, poi, prendendo Alon per i capelli e trascinandolo in camera da letto. “Cos’?? Salti la fila?!” gli disse Stine. “Ma che cazzo ne so,” sospir? Gene. Stine scoppi? a ridere. “mA cHe CaZzO nE sO!1!1!” lo scimmiott?. La diceva sempre, quella frase. “Okay,” si rivolse a Selena. “Adesso dimmi perch? a Gene non sei piaciuta.” La ragazza cominci? a piangere. Non voleva far arrabbiare Padron Stine, ma lui la terrorizzava. Tutti loro la terrorizzavano. E tutti loro la circondarono, non lasciandole alcuno scampo. *** Gene, nel frattempo, gett? Alon sul letto. “Ma che caz- arrampicati! Fai qualcosa! Mica ti ci devo mettere io, qui sopra!” “Grazie! Grazie, Padron Gene! Grazie non avermi fatto tagliare i testicoli! Mi avete salvato! Grazie!” Alon era nel panico. Talmente tanto, che continu? a stare nel personaggio. “Oh, non c’? di che. Cos’? che volevo fare, invece di tagliarteli? Bah, levati questo cazzo di vibratore dal culo! In fretta! Stai tremando tutto, mi si stacca la testa a vederti cos?!” Il Padrone aveva aperto una bottiglia di Cognac, versandosene un bicchiere. Poi, guard? lo Schiavo. “Non dirmi che non puoi farlo da solo? ? un vero peccato!” Alon guard? quel Padrone che prima lo salvava e poi non lo aiutava. Continuando a non capire, gli rivolse il suo miglior sguardo da cucciolo bastonato. Inutilmente. “Allora, cos’? che volevo fare?” Gene era pensoso. Butt? gi? il liquore. Subito dopo, si inginocchi? sul letto e -di botto- tir? via il vibratore. La reazione di Alon fu, semplicemente, venire. “Gli altri Padroni volevano tagliarmi i testicoli e farci una vagina,” sussurr? lo Schiavo, tra gli spasmi di piacere. “Oh, e di certo tu -questo- non lo vuoi,” disse, sarcastico Gene. E via con un altro sorso di Cognac, direttamente dalla bottiglia. Dopo, la guard?. Ed ebbe un’idea. Si vers? il contenuto sulla mano e inizi? a strofinare le ferite della meravigliosa creatura che giaceva di fronte a lui. Tale creatura non mosse un solo muscolo. Principiante. “Avete ragione, Padrone. Non lo voglio,” disse, la voce roboticamente calma. “E perch? mai? Su quali basi tu, uno Schiavo, non vuoi qualcosa?” gli chiese l’altro. “Credo che un culo sia pi? stretto di una figa, Padrone.” Logica ineccepibile. “Non lo so,” disse Gene, con falsa noncuranza. Quello Schiavo, per?, ci aveva preso di brutto! Ma non poteva certo ammetterlo. Aveva una reputazione, lui. E se avesse parlato? Non poteva rischiare. “Magari, invece, ? anche meglio! Dovremmo provarci.” Alon ci manc? poco sbadigliasse. Si ferm? a met? e tramut? lo sbadiglio in un’espressione spaventata. Il Padrone ne sembr? molto soddisfatto. Quel viso era bello sempre, nonostante le ferite. “Ma nessuno, poi, ti rimetterebbe a posto. Inoltre, la tua Padrona ? una donna. Etero, per di pi?. Che ci fa un’etero con una vagina, quando pu? avere il tuo culo?” Poi, sbuff?. “Sai che? Io mi sono veramente ma veramente rotto i coglioni di vedere ogni volta la stessa scena! Ogni cazzo di volta ti sfondano il culo! Sei sempre martoriato, l? sotto!” E osserv? lo scempio che la Compagnia aveva causato, non vedendo l’espressione da e-che-non-lo-so della Bestia. “Ma ormai il danno ? fatto. Che posso farci?” Gene si sedette sul letto, fissando il volto di Alon. Alon, dopo trent’anni di esperienza, non sapeva come trattare quel Padrone cos? strambo e lunatico. Quindi, and? a braccio. Poteva essere che fosse uno di quei finti alternativi che solo perch? tutti fanno una cosa, lui no perch? non deve mischiarsi alla massa. Ma, sottosotto, ha le stesse voglie e gusti di tutto il resto del gregge. Di solito, a quelli cos?, piacciono le bionde con gli occhi azzurri. L’originalit?. “Se mi permettete, Padron Gene, potrei cavalcarvi. Non sentirete affatto che ho il culo sfondato.” Ci aveva preso? Chiss?. “? mica la prima volta che ti scopo?” chiese quello. “Lascia stare, ti farebbe male e non per merito mio. Digrignerai i denti, a causa dei tagli. Inoltre, dopo quel mostro di gomma, devi essere larghissimo. E non puoi nemmeno succhiare! Non con una faccia cos?!” Sbuff?. Era stanco, annoiato. Si sentiva tradito, quasi offeso, dalla vita. “Che devo fare? Restituirti? Lasciare che ti inchiodino a un tavolo? Che ti frustino in faccia?” Eccola, la reazione. La tipica reazione. Alon non sbagliava mai a giudicare un Padrone. “Far? qualsiasi cosa, Padron Gene! Qualsiasi!” lo implor? Alon, sapendo che era quello che ci si aspettava. Erano tutti cos? pallosi. “Tipo? Cos’? che potresti fare? Sentiamo.” “Sdraiatevi, mio Signore,” sugger?, seducente. “Giuro che non digrigner? i denti.” “Lo farai senza accorgertene, ? un riflesso,” rispose Gene. Per?, ovviamente, ci si sdrai? eccome sulle lenzuola. Patetico. Faceva solo perdere tempo, con quei capricci. Per?, fece qualcosa di inaspettato. Si rialz? subito. “Prima, facciamo qualcosa per questa faccia. Stai qui.” E si allontan?. Lasciando un Alon basito. Che si fosse sbagliato? Macch?, sicuro andava a prendere uno spaccadenti o qualche altro attrezzo bondage. Ma la Bestia si sbagliava. Di Nuovo. Gene era andato a cercare un SalvaGente. Quello Schiavo ne aveva un enorme bisogno. Rientr? nel salotto, dove i suoi colleghi erano tutti presi dall’orgia pi? triste della storia. Sollev? gli occhi al cielo. Sempre lo stesso teatrino. Una volta tornato in camera, si occup? delle abrasioni di Alon. Ogni tanto schioccava la lingua. Lo Schiavo non si mosse mai. Era troppo scioccato per qualsiasi cosa. Ma veramente lo stava medicando?! Stava dormendo? Era morto e quella era una sorta di anticamera per l’Inferno? Quando il Padrone fin?, si lasci? di nuovo cadere sul letto. “Devi essere affamato,” chiese, poi, fissando il soffitto. “Se il Padrone me lo permette, sar? pieno del suo sperma,” sugger? Alon, aggrappandosi a ogni idea gli saltasse in testa. Quello non era un Padrone come gli altri. Che cazzo doveva fare?! Inizi? a massaggiare i piedi dell’uomo. Prima con le mani. Poi, con la lingua. Lo baci? ovunque. Disegn? un percorso, dalle caviglie all’inguine. Infine, fece scivolare il cazzo del Padrone fino in fondo alla gola. Le sue dita gli massaggiarono glutei e cosce, mentre faceva roteare la lingua sulla punta. Dal canto suo, Alon sfregava i suoi poveri testicoli contro la gamba di Gene. L'uomo gemette, stanco. Alon cercava di dargli pi? piacere possibile, in segno di gratitudine. E in segno di che-cazzo-faccio-houston-abbiamo-un-problema. Quando sembr? venire, lo Schiavo strinse i testicoli e la base del pene. Impedendogli di svuotarsi, gli si mise a cavalcioni e si infil? il cazzo nello sfintere. Non era pi? massacrato, ma non aveva avuto bisogno di alcun lubrificante. Poi, strinse le natiche e cominci? a dondolarsi. Alon sapeva che Gene era un tipo silenzioso. Era l’unica cosa che sapeva di lui, in realt?. Era la prima volta che scopavano, ma l’aveva visto durante orge varie. Non si capiva mai quando stesse per venire. Nessuna tensione, nessun corrucciamento di sopracciglia, niente. Nemmeno dopo riusciva a rilassarsi. Non era una persona comune. In tutto ci?, Gene inizi? a masturbarlo. Lo fece intensamente, osservando ogni minimo dettaglio. Significava pericolo. Gli era venuta in mente qualche idea. E poteva sfociare in dramma. All’improvviso, Alon sent? dolore. Ecco perch? cos? attento. Lo stava aspettando, il digrignamento. Ma Alon ne sapeva una pi? del Diavolo. Usando il trucchetto di poco prima, apr? la bocca e mascher? le smorfie di dolore in smorfie di piacere. Si muoveva brusco, poi lento. Faceva palpitare l’ano, poi lo apriva del tutto. Sempre muovendosi avanti e indietro, su e gi?. Dopo il trattamento di Aletta, gli risult? molto facile. Gene sembr? apprezzare, perch? venne pochi minuti dopo. Lo cap? dalla sborra che gli colp? le pareti interne, perch? dalla faccia avrebbe potuto benissimo trovarsi alla fermata dell’autobus. Alon strinse subito i glutei, intrappolando quella carne turgida fino all’ultimo. “Oh, mio Dio,” ansim? Gene. Il robot aveva parlato.Alon non os? muoversi. L’aveva mica rotto? Forse che s?, forse che no. Aspettava un ordine, uno qualsiasi. Non voleva lasciare quella stanza, per?. Quindi, ondeggi? ancora una volta. Nel dubbio, meglio essere sicuri. “Un po’ oscurantista, questa mancanza di sadismo,” comment? Gene. “Ma starai sicuramente morendo dalla voglia.” E afferr? il cazzo duro dello Schiavo. Quello venne subito. I tremori di dolore mascherati da esperti lamenti di piacere. Gene sembr? cascarci. Alla fine, non era poi chiss? quanto diverso dagli altri. “Va bene,” disse, poi. “Allora, le palle, le tagliamo al novellino. Okay?” Alon s’irrigid?. Sapeva perfettamente a quale novellino si stesse riferendo. “E se fosse gi? col suo protettore?” domand? la Bestia, con tutta la nonchalance di cui era capace. Poi, aggiunse, “Se volete, Padrone, potete tagliare me.” Era estremo, ma doveva assolutamente tenere tutti loro lontano da Ad. Alla finfine, che caspio erano un paio di testicoli? Poteva vivere senza. “Oh, non ? che faccia differenza -per me- chi tagliare,” disse. “Ma che ti prende, per?? Prima non vuoi, poi vuoi. Io boh.” Alon era esausto. Mentalmente esausto. Quel Padrone lo stava portando al manicomio. Ma doveva tentarle tutte. “Padrone, col dovuto rispetto, quel novellino non sa proprio com’? che si scopa!” “Gli insegneremo.” “Ma sar? noioso!” “E chi ? che non ? noioso, di grazia?” rispose Gene. “Sar? comunque molto piacevole, da guardare.” “Dopo il primo utilizzo, non sar? pi? cos? bello.” “Vedremo. Se non ci piace, lo butteremo via. Dovr? dire ad Aletta di accendere la cinepresa, al ballo. Sarai ripreso, mentre lo punirai. Sar? un bel film, degno di Kubrik.” “Il Padrone non sar? presente di persona?” “No, ho un affare urgente. Proprio a quell’ora. E, detto tra noi, dubito Stine riesca a trovare questo novellino. Fa tanto il macho, ma non vale nulla.” “Cosa devo fare, quindi, Padrone? Per non rovinare tutto?” “Oh, non saprei,” sospir? Gene. “Chiunque sia, scopatelo a sangue. O qualcosa del genere. Pisciagli addosso. Meglio! Pisciagli in bocca, mentre te lo succhia!” Poi, fece schioccare la lingua. “Potresti buttargli gi? i denti. E prenderlo a calci nelle palle. Le solite cose, insomma,” termin? Gene. S?, le solite cose trite e ritrite. Di nuovo, non cos? diverso. “Vi ringrazio, Signore,” disse Alon, comunque, senza la minima intenzione di mettere in pratica quei consigli. “Figurati. E ricordati di raccoglierti i capelli. Voglio vedere i tuoi occhi, durante l’opera.” “Sar? fatto, Padrone.” CAPITOLO OTTO Prima di cena, Aletta fece un clistere -in via preventiva- ad Alon. La Compagnia si diede appuntamento, subito dopo, al ballo. L?, il giovane Ad stava gi? dettando legge sulla pista. La Bestia si guardava, erratico, attorno. Era alla ricerca di una persona, una sola, che potesse anche solo lontanamente essere spacciata per un Protettore degno di una tale bellezza. Ne trov? un bel po’ e tutti, -tutti-la fissavano, quella bellezza. “Eccolo l?,” sibil?, maligno, Amir. Aletta colp? Alon sulla nuca. “Datti da fare,” gli disse. “O mi dar? da fare io, col tuo amico di gomma.” Le minacce della Padrona non erano mai vane. Quella, nello specifico, l’aveva gi? attuata. Lei, placidamente addormentata. E lui, tutta la notte a pecorina, inesorabilmente pieno di quel mostro sintetico. Si mosse tra la folla, infastidito. L’idea di umiliare -di nuovo- Ad, in pubblica piazza, lo faceva sentire uno schifo. Non era riuscito a salvarlo la prima volta e doveva sottoporlo a nuovi, imbarazzanti, pericoli. Per?, quando se lo trov? davanti, non pot? fare a meno di essere felice. Era cos? bello, sarebbe rimasto ore a guardarlo. Ma non fece in tempo ad assaporare quel momento, che venne circondato da dozzine di uomini e donne. Tutti sorridenti, tutti che tentavano di attirare la sua attenzione, tutti che volevano ballare con lui. La Bestia, per?, aveva una missione. Non si ferm? e si avvicin? ulteriormente al ragazzo. Ballava da solo. O, almeno, ci stava provando. Un tizio assurdo lo stava letteralmente trascinando a s?. Lui resisteva, ma per quell’uomo -essendo maschio- “No”sembrava significare “S?”e “Sparisci”lo percepiva come “Prendimi, sono tuo”. Ad apr? gli occhi, pronto a graffiare quel proto-stupratore. Quando, d’improvviso, vide Alon. E avrebbe s? voluto graffiare, ma in tutt’altra maniera. I due si guardarono e tutto il resto spar?. Alon abbracci? quel corpo sottile, baciandolo sul collo. L’altro si strusci? lascivo su tutti quei muscoli ondeggianti. “Dov'? il tuo protettore?” “Proprio qui.” Alon annu?, credendo che al Magnaccia piacesse guardare il suo ragazzo venire scopato da estranei. L’innocenza. Quindi, lo sollev? e -una volta che quelle lunghe gambe furono saldamente allacciate alla sua vita- sussurr?, “Devo strapparteli di dosso o te li togli da solo?” Ad rise di gusto. Alon si ritrov? a sorridere. Perch? si sentiva sempre cos? bene, quando stava assieme a lui? “Me li tolgo io,” disse, ma rimase immobile. “Poi, che devo fare? Devo implorarti di smettere e cercare di scappare?” “S?,” sospir? Alon, direttamente nell’orecchio di quella graziosa creatura. E lo show ebbe inizio. Di nuovo a terra, Ad inizi? a tremare. Sotto lo sguardo della Bestia, lentamente, si tolse i sottili pantaloni bianchi. Niente biancheria intima. ‘Fanculo l’autocontrollo. Alon lo afferr?, come aveva visto fare a tanti -troppi- padroni e lo risollev?. Il giovane gli si aggrapp? alle spalle, sospirando. In un attimo, lo Schiavo lo penetr?. Senza alcuna fatica. Quel birichino si era preparato, anche quella volta, in anticipo. Alon, di conseguenza, non si fece problemi a scoparlo -forte- davanti a tutta la sala. In pochi minuti, gli venne dentro. L’Efebo si rivers? tutto sui suoi addominali. Ma non era finita. La Bestia lo butt? a terra, ma non si sdrai? sopra di lui. Rimase in ginocchio, imponente e dominante, ad osservarlo dall’alto. Poi, allung? le mani sui suoi capezzoli turgidi. Ad si ricord? all’ultimo di dover fingere di stare subendo una violenza e lo spinse via. Alon non si fece intimorire e continu?. Il giovane si lamentava e la sua voce era cos? dolce che quasi ci credette. Quasi. Ma la folla, invece, si lasci? fregare. Alcuni ridevano, alcuni incitavano, alcuni applaudivano, tutti approvavano. “Ti prego! Lasciami, ti prego!” implorava il ragazzo. Alon non obbed?. Le spinte si fecero veloci e violente. Ad cerc? in tutti i modi di allontanarsi, costringendolo a bloccargli i polsi. Cos? sottili che gli serv? una sola mano. L’altra la us? per chiamare uno dei camerieri. A quei balli, servivano sempre un cocktail speciale. Lo Sborratore, si chiamava. Un nome, una garanzia. Ne trangugi? due di seguito. Al terzo, per?, non ingoi?. Si chin? a baciare Ad e pass? il liquido nella sua bocca. Gli effetti ebbero subito presa sul ragazzo. Divenne pi? lascivo, pi? trattabile. Lo Schiavo, subendo gli effetti sia del drink che dell’amante, ne approfitt? subito. I due divennero un groviglio di carne, sudore e singhiozzi. Tutto era delizioso. Talmente delizioso che Al quasi si scord? dell’unica richiesta, pi? o meno, sensata di Gene. Coron? quella scopata epica pisciando addosso al bellissimo giovane. Quello non si lasci? scappare nemmeno una goccia. O, almeno, cos? aveva pianificato. Pioggia dorata cadde sulla sua pelle ambrata. Quando un fiotto gli fin? negli occhi, si ricord? il patto. Inizi? quindi a urlare e tentare di allontanarsi. Poi, colp? l’inguine della Bestia con un pugno. Faceva tutto parte della performance. Esattamente come la reazione che ne segu?. Un frustino appar? letteralmente dal nulla -e con nulla si intende uno dei Padroni l? accanto- e venne abbattuto sulle membra di quell’impertinente. Il tutto continuando a svuotarsi la vescica. Una volta finito, gli diede un buffetto sulla guancia. Si gir? e se ne and?. Il ragazzo rimase in mezzo alla sala, nudo, le mani a coprire il volto. Un uomo sulla cinquantina fece cenno a un cameriere che si avvicin? subito al ragazzo in lacrime. Alon pens? si trattasse del suo Protettore. Sembrava un tipo tosto. E si allontan? tranquillo. “Bravo! Ottimo lavoro!” si compliment? Aletta. Amir non aggiunse nulla. Era fatta, poteva rilassarsi. Per modo di dire. La serata prosegu? come al solito, tra cocktail afrodisiaci e sessioni coatte di BDSM. Dopo, la donna affid? Alon a Stine. Sarebbe stato lui a condurlo in cabina. Lei aveva da fare, ma li avrebbe raggiunti. Ci? significava che Alon non avrebbe nemmeno potuto pensare di rilassarsi, quella sera. Stine si accese una sigaretta, mentre si guardava attorno. “Vieni qui, mettiti a quattro zampe e alza il culo,” gli ordin?. Alon obbed?. La noia che lo assaliva di gi?. *** Ad, coincidenza, stava leggendo proprio lo stesso libro che aveva appassionato Alon quella mattina. Solo che a lui nessuno lo avrebbe portato via. Nessuno lo avrebbe interrotto. Tranne Aletta. La donna piomb? nella sua cabina, senza bussare n? annunciarsi. Il giovane era talmente scioccato da tanta superbia che nemmeno reag?. “Ma ciao, sgualdrina,” salut?. Ad sollev? un sopracciglio. Ma chi cazzo si credeva di essere?! “Primo, come sei entrata. Secondo, cosa ci fai qui. Terzo, levati dai coglioni e vattene,” elenc? il legittimo cliente della stanza. Poi, aggiunse, “No, sai che? Primo, levati dai coglioni e vattene. Sticazzi del resto.” Era stato anche piuttosto educato, secondo i suoi standard. Aletta, di scatto, si slacci? la cintura dell’abito. Quel tessuto leggero le cadde di dosso, lasciandola nuda. Il suo corpo, una cornucopia di chirurgia estetica. “Smettila di resistere, ragazzino, non hai scelta.” Ad, se possibile, fu ancora pi? scioccato. Con disprezzo, le lanci? il libro addosso. “Vattene via, zoccola! Ma guardati, fai schifo!” Aletta sgran? gli occhi. Ma sarebbe morta prima di ammettere che quelle parole l’avevano offesa. Quindi, rise. Dopotutto, lei sapeva di essere bella. Fasulla, ma pur sempre attraente. A settantasette anni mangiava la pastasciutta in testa a qualsiasi ragazzina di venti. O cos? credeva, poraccia. Si rivest? e raccolse il libro da terra. “Preferisci i maschioni, nevvero?” gorgheggi?. Era proprio il tono di voce che pi? infastidiva Ad. Rabbrivid? di rabbia e disgusto. “Mi sembra chiaro!” rispose. “Te ne vuoi andare o no?” E spalanc? la porta della cabina, indicandole l’uscita. Aletta, per tutta risposta, si sedette sul letto. “Cos’? che leggi, di bello?” chiese, raccogliendo il libro appena lanciatole. “Vediamo. ‘Pi? Forte Della Morte’. E dimmi, ti piace?” “S?, molto,” rispose. “Adesso vattene o chiamo il Capitano. Ringrazia di essere una vecchia pazza, altrimenti ti avrei preso a calci in culo. Vattene, ho detto!” Aletta, alla menzione del Capitano, decise di non sfidare la sorte. Almeno per quel giorno. Quello Schiavo si stava comportando come tutti gli Schiavi non ancora domati. Gli sarebbe passata. Una volta che la sede di Dora fosse stata notificata, anche lui si sarebbe piegato. “Non hai idea di cosa ti aspetta,” disse la donna, mentre usciva. Prima di allontanarsi definitivamente, per?, non resistette ed allung? una mano sui genitali del giovane. Lui la colp? immediatamente. Quella vecchia troia stava mettendo alla prova la sua pazienza. “Lo so. Mi attendono grandi gioie e infinite prosperit?. Per non parlare dell’incontro con un bellissimo straniero alto e moro! Ora, vai pure a unirti al mio fanclub. Vanta gi? un membro. Sicuro che lo conosci. ? uno stramboide secco, tipo tossicomane, sempre vestito di nero.” Era la perfetta descrizione di Stine. “Abbi rispetto,” sibil? la donna. Ad rise di scherno. Dopo di che, sbatt? la porta e mise su il chiavistello. Aveva poca voglia di ricevere altre visite. Ridicoli, tutti quanti. Erano gelosi perch? l’avevano visto con Alon. Alon. Non faceva altro che pensare a lui. Era gi? la seconda volta che faceva la parte della donzella corteggiata. Non che gli dispiacesse, ma non era proprio il suo stile. Era il momento di agire. Avrebbe dato la caccia a quel cazzo di Dio. Fu ci? che pens?, mentre si coricava e scivolava in sogni fatti di carne e sudore e singhiozzi. CAPITOLO NOVE Aletta rientr? alla base. Stine si volt? a guardarla, mentre la donna si versava un drink e svuotava il bicchiere in un sorso solo. L'uomo spense un’altra sigaretta nello sfintere di Alon, per gettarla -poi- assieme alle altre. “Credo che, per oggi, abbia finito di ballare. Miss? che dovrai prenderlo in braccio,” rise. Aletta annu?. “Ovvio.” I due, quindi, si baciarono. Ma Stine usc? dalla stanza, mentre lei inizi? a spogliarsi. L’incontro con quel ragazzino sfacciato aveva fatto accrescere la sua voglia di scopare a livelli inimmaginabili. Voleva un maschio e lo voleva subito. “Vieni qui e lavora, invece di bighellonare,” disse ad Alon. “Vado prima a lavarmi, Padrona?” chiese lui, trattenendo uno sbadiglio. “Non ne hai bisogno,” rispose la donna, con una scrollata di spalle. La Bestia si alz?, lentamente. Ogni movimento era pura agonia. Ma nulla poteva superare la sua ennui. Inoltre, non ? che potesse disubbidire. Aletta si sedette sul bordo del letto. Sorridente, accarezz? le lenzuola. “Vieni qui,” disse. Alon si avvicin? e si sdrai? accanto a lei. La donna lo avvicin? a s? e lui quasi soffoc? nel suo petto. “Coraggio,” sospir?. “Datti da fare.” Alon l’abbracci?, per poi accarezzarla. Conosceva quell’atteggiamento. Era raro, ma la sua Signora non aveva quasi segreti per lui. Sapeva che voleva essere baciata e sapeva che pretendeva ricevere complimenti. Anche esagerati, non importava. Ma prima, la penetr?. Dopotutto, una cosa per volta. “Dimmi che sono bella, dimmi che sono una bomba a letto,” sussurr?. “Siete deliziosa, mia Padrona.” “Di pi?.” “Siete bellissima, mia adorata,” mormor? Alon, muovendosi sempre pi? veloce. La donna chiuse gli occhi, in estasi. Venne tra quelle forti braccia, ignorando -come sempre- che lo Schiavo era costretto a tutto ci?. Ma subito dopo, tutto torn? uguale a prima. Ogni giorno, Aletta faceva un clistere alla Bestia. Mezz’ora dopo ogni pasto. Cos?, perch? poteva. E come ogni giorno, la Compagnia si riuniva in piscina. Quel pomeriggio, la discussione verteva su come rapire Ad. “Presto avremo carne fresca, tra i ranghi,” disse Amos, uno degli Schiavi di Gene. Era un giorno speciale. Infatti, non solo gli Schiavi potevano nuotare nella stessa piscina dei loro Signori ma -evento pi? unico che raro- avevano avuto perfino il permesso di comunicare fra di loro. Alon fissava l’acqua, fingendo non gli importasse di nessuna conversazione e nessun novellino da rapire. Dopo la piscina, tutta l’allegra combriccola decise di ritirarsi -di nuovo- nella suite di Aletta. La donna guidava il suo Schiavo, tenendogli il cazzo in mano. A mo’ di guinzaglio. Ad vag? come un disperato alla ricerca della Bestia per tutto il santo giorno. All’improvviso, gli parve di vedere una schiena -e un fondoschiena- piuttosto familiare. Corse subito incontro alla sua cotta, felice di averlo trovato. Non si accorse n? di Aletta n? di Stine. In realt?, non li ricordava. O, meglio, non ricordava i loro volti. Non poteva farci nulla. Quando qualcuno non lo interessava, lui lo cancellava dalla memoria. Ma successe qualcosa che lo blocc?. Innanzitutto, quel David era circondato da mezza dozzina di persone. Poi, indossava delle catene. Inoltre, una donna lo stava trascinando per l’uccello. Il ragazzo non capiva. Successivamente, uno di quei tizi insignificanti lo fece inginocchiare e lo costrinse a succhiarglielo. Ad era sempre pi? confuso. Non era mica uno Schiavo? Si appoggi? al muro, mordendosi le nocche. Che fare? Che pensare? Ma osservare quella grande e terribile bellezza cos? sottomessa fece scattare qualcosa nel giovane. E se ci fosse stato lui, al posto di quel vecchio? Avrebbe potuto possederlo. Gli sarebbe appartenuto. Sarebbe stato tutto suo, solo suo. Tali pensieri vennero bruscamente interrotti quando quel bavoso venne in bocca ad Alon. Subito dopo, tutta la cricca spar? dietro a una porta. Ad si avvicin?. Non sapeva se bussarla o sfondarla a calci. Nel dubbio, un po’ di entrambe. Almeno, cos? aveva intenzione di fare. “Oh, ma chi ? che abbiamo qui?” disse una voce alle sue spalle. “So-” “Troppe chiacchere,” lo interruppe l’altro. Apr? la porta della suite e lo spinse dentro. Senza saperlo, lo sconosciuto gli aveva fatto un immenso favore. Si trovava proprio dove voleva essere. Tutti i Padroni si girarono a guardare i nuovi arrivati. “Gene?!” esclam? Aletta. “Sono sbalordita!” “S?, beh, immagino,” rispose il Padrone. “Dove l'hai trovato?” chiese Melinda. Poi, rise. “? proprio da te! Vecchio marpione!” “Era dietro la porta. Quindi, adess-” Il giovane si guard? a malapena attorno. Una volta individuato Alon, si mosse verso di lui. Stine lo afferr? subito per la spalla, affrontandolo faccia a faccia. “Ben fatto. Fate partire il conto alla rovescia! Ci ? entrato di sua sponte, nella tana del lupo.” Ad si scroll? di dosso quella mano sudaticcia e continu? a camminare verso la Bestia. Stine -da bravo maschio che non ci arriva - lo afferr? per i capelli, tirandolo indietro. “Non ho finito di parlare.” “Esticazzi?! Non sono certo qui per te!” esclam? l’Efebo, guardando Alon. “No, vabb?! Ma che, c’ha veramente creduto?!” rise Aletta. “Cos’?, il bel bambino non aveva capito che Al ? uno Schiavo?” Ad ebbe conferma ai suoi sospetti e paure. Che cazzo di triste mondo malato permetteva che uno cos? fosse sottomesso a gentaglia simile?! Ma non si fece buttare gi? di morale. “Come no! Sono qui per comprarlo, infatti! Quanto vuoi?” propose, col pi? smagliante dei sorrisi. Ad Alon quasi cadde la mascella. Cosa pensava di fare, quell’incosciente? Era stato catturato, bench? non se ne rendesse conto. L’avrebbero distrutto, corpo e spirito. Dove cazzo era il suo Protettore? Si ritrov?, suo malgrado, a fissare il bel viso di Ad. Pensava di non rivederlo mai pi?. E avrebbe preferito cos? che saperlo in pericolo. Invece, eccolo che sfidava i Padroni. Il suo sogno di una vita insieme stava crollando davanti ai suoi occhi. “Vuoi averlo?” chiese Stine, col suo tipico sorrisetto da schiaffi. Ad annu?. “Cosa ci dai, in cambio?” “Cosa volete?” “Questo Schiavo non ? in vendita,” continu? a sogghignare Stine. “Ma puoi sempre restare qui. Quando te lo meriterai, se te lo meriterai, potrai giocarci.” “Oh,” disse Gene a Melinda. “Quando Stine avr? finito di mettersi in mostra, voglio che il novellino spompini Al come si deve. Dopo, in camera mia, gli taglier? le palle.” Detto ci?, gir? i tacchi e usc?. “Cosa intendi con 'meritare'?” chiese Ad. “Se farai il bravo bimbo obbediente,” ridacchi? Stine. “Per quanto tempo?” “Per quanto tempo cosa?” domand?, per davvero, il Padrone. “Per quanto tempo dovr? obbedire, prima di meritarmelo?” “Finch? non decider? cos?.” “E, poi, lo farai?” “Ma certo che s?,” promise Stine. “Per?, potrebbero volerci anni.” “Andata,” annunci? il ragazzo, raggiungendo Alon. “Posso parlare, Padrone?” chiese la Bestia. Stine annu?. “Non pensate che il suo Protettore non approver? questa decisione, Signore?” “Non ? qui, mi pare. In pi?, si ? offerto volontario. Sto solo rispettando la sua richiesta.” “Ma non credete che si accorger? della sua mancanza?” “Emb??” “Potremo avere dei problemi, Padrone.” “E allora glielo restituiremo,” comment?, con una scrollata di spalle, Stine. Ad, nel frattempo, ragionava. Suo padre, il suo vero Protettore, avrebbe approvato la sua scelta? “Non posso certo andarmene senza di lui,” si precipit? a dire, stringendosi ad Alon. Stine lo afferr?, di nuovo, per i capelli. “Devi chiedere il permesso per qualsiasi cosa tu voglia fare, hai capito?” “Allora, potrei avvicinarmi ad Alon?” chiese, scontroso. Stine scosse la testa, fissandolo. Ad lo fiss? a sua volta. “Cosa?” chiese, poi. “Dopo ogni richiesta, devi aggiungere ‘Padrone’ o ‘Signore’,” disse. Poi, indicando le donne, “Oppure ‘Padrona’ e ‘Signora’, chiaro?” Ad abbass? la testa, cercando di non ridere in faccia a quel vecchio ridicolo. “Bene. Posso avvicinarmi ad Alon, Signora?” Tutti gli Schiavi scoppiarono a ridere. Alon era terrorizzato di vedere quella bella testolina rotolare, mozzata, sul parquet. Ma non pot? che esserne impressionato e orgoglioso. Quel ragazzo era pieno di sorprese, lo adorava sempre di pi?. Stine, per?, non apprezzava n? critiche n? prese in giro. Tre Schiavi ricevettero tre sonore scudisciate, il tutto mentre tirava i capelli del novellino. Dopo di che, lo trascin? nella sua stanza. “Te lo puoi scordare, oggi. Se non ti piace, vattene. ? la tua ultima occasione.” Alon, con lo sguardo, implor? Ad di andarsene. Ad lo guard?, senza sbattere ciglio. “Vattene,” mim? lo Schiavo, con il labiale. “Perch??” Perch? non appartieni a questo posto! voleva urlargli. “Scappa.” Con una sola parola, Alon cerc? di trasmettere tutto l'orrore della situazione. Ad scosse la testa. E Stine lo spinse verso una delle stanze. Quella di Gene. “Divertiti,” disse Stine al collega, mentre sbatteva la porta sui cardini. Alon fiss? l’uscio. Lo fiss? per molto tempo. Il terrore lo stava soffocando. Aguzz? l’udito, cercando di sentire qualcosa. La sua immaginazione era a briglia sciolta. Uno spaventoso quadro di un Ad inevitabilmente e dolorosamente distrutto. Molto presto, non ebbe bisogno di sforzarsi, per sentire. Un grido isterico. Poi, un altro. La voce di Ad. E quella di Gene?! Cosa stava succedendo, l? dentro? Anche i Padroni erano scioccati. Perch? Gene gridava? Stine, a prova della sua grande intelligenza, era l’unico che rideva. “Gene non sta pi? nella pelle,” disse ad Amir. “Non ci credo finch? non lo vedo,” rispose l’altro. “Padrone, posso mica dare una sbirciatina?” gli chiese, timido, Amos. Amir scroll?, vago, le spalle. Alon stava per avere un attacco di panico. Inizi? a contare i listelli del pavimento. Poi, pass? ad analizzare i colori. Dopo, elenc? cinque cose che poteva odorare e cinque che poteva toccare. Quando Stine parl?, aveva appena cominciato a calmarsi. “Vieni qui,” gli ordin? il Padrone, sbottonandosi i pantaloni. Cristo, perch? era sempre cos? soporifero?! Lo Schiavo obbed? e si mise in ginocchio. L’uomo si posizion? dietro di lui e lo penetr?, brusco. Nel frattempo, Aletta si stava vantando con Melinda dei suoi nuovi stivali di Chanel. Aveva fatto un affare, in uno dei porti di passaggio. Poi, all’improvviso allung? una gamba verso il volto di Alon. “Ti piacciono?” gli chiese. “S?, Signora,” rispose, atono, lo Schiavo. “Allora baciali, che aspetti? E vedi di non dimenticarti le suole, non le ho pulite da quando sono rientrata.” Alon si mise a leccare, obbediente. Ma aveva la testa da tutt’altra parte. Êîíåö îçíàêîìèòåëüíîãî ôðàãìåíòà. Òåêñò ïðåäîñòàâëåí ÎÎÎ «ËèòÐåñ». Ïðî÷èòàéòå ýòó êíèãó öåëèêîì, êóïèâ ïîëíóþ ëåãàëüíóþ âåðñèþ (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=66740783&lfrom=688855901) íà ËèòÐåñ. Áåçîïàñíî îïëàòèòü êíèãó ìîæíî áàíêîâñêîé êàðòîé Visa, MasterCard, Maestro, ñî ñ÷åòà ìîáèëüíîãî òåëåôîíà, ñ ïëàòåæíîãî òåðìèíàëà, â ñàëîíå ÌÒÑ èëè Ñâÿçíîé, ÷åðåç PayPal, WebMoney, ßíäåêñ.Äåíüãè, QIWI Êîøåëåê, áîíóñíûìè êàðòàìè èëè äðóãèì óäîáíûì Âàì ñïîñîáîì.
Íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë Ëó÷øåå ìåñòî äëÿ ðàçìåùåíèÿ ñâîèõ ïðîèçâåäåíèé ìîëîäûìè àâòîðàìè, ïîýòàìè; äëÿ ðåàëèçàöèè ñâîèõ òâîð÷åñêèõ èäåé è äëÿ òîãî, ÷òîáû âàøè ïðîèçâåäåíèÿ ñòàëè ïîïóëÿðíûìè è ÷èòàåìûìè. Åñëè âû, íåèçâåñòíûé ñîâðåìåííûé ïîýò èëè çàèíòåðåñîâàííûé ÷èòàòåëü - Âàñ æä¸ò íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë.