Èñêàòü â ðàçðåæåííîñòè ÷óâñòâ Áûëóþ ñèëó, ðàäîñòü, ñâåæåñòü, Êîãäà ðàññâåò áåç òó÷ âñå ðåæå È îòäàí âå÷íîìó âðà÷ó. Ñîâñåì íå ìíîãèì ïî ïëå÷ó. Êóäà êàê ïðîùå, ñîãðåøèâ, Íàçâàòü ïðåñûùåííîñòü è ñêóêó Íåïîíèìàíèåì è ìóêîé. Ïèñàòü… Ëîìàòü êàðàíäàøè Î êðàé «íàäëîìëåííîé» äóøè, Ðûõëèòü, êàòàòü êàê ñêàðàáåé Êîìîê çàñòèðàííûõ ñòðàäàíèé, Êàê áóäòî ñâûøå ê

Delitti Esoterici

Delitti Esoterici Stefano Vignaroli Stefano Vignaroli DELITTI ESOTERICI Stefano Vignaroli La prima indagine del Commissario Caterina Ruggeri Copyright © 2011 - 2018 Stefano Vignaroli Tutti i diritti riservati PROLOGO Estate 1989 Confine tra Nepal e Repubblica Popolare Cinese Quando gli Sherpa giunsero in prossimit? dell'ennesimo ponte sospeso, in uno stentato inglese, spiegarono alle due donne, che li avevano assoldati a Kathmandu, che non sarebbero mai andati oltre quel punto. A loro non era consentito sfidare le proprie divinit?, avevano troppa paura. Nessuno di loro si era mai avventurato oltre quel ponte e chi, in passato, aveva osato farlo, non era mai pi? ritornato. Se le donne avessero voluto proseguire, lo avrebbero fatto a loro rischio e pericolo. Avrebbero lasciato loro lo stretto indispensabile da portare in spalla negli zaini, alcuni viveri, delle tavolette di cioccolato, un fornelletto da campeggio e la leggera tenda biposto a igloo. Loro sarebbero rimasti tre giorni, non di pi?, ad aspettarle. La giornata era tersa, l'aria rarefatta dei quasi quattromila metri di quota donava al cielo un colore azzurro intenso, e le vette delle montagne pi? alte della Terra sfidavano, con le loro guglie innevate, lo stesso cielo limpido. Aurora e Lar?s avevano sfilato le calde giacche a vento in goretex, che le avevano fino allora protette dalle improvvise bufere di neve, spesso affrontate durante i cinque giorni precedenti. Il loro scopo non era certo quello di provare l'ebbrezza di una vacanza estrema, bens? quello di raggiungere il Tempio della Conoscenza e della Rigenerazione, per incontrare il Grande Patriarca. Avrebbero potuto attingere al sapere universale conservato al tempio e divenire cos? adepte del livello pi? alto della setta. Sapevano gi? che, da quel punto in avanti, avrebbero dovuto proseguire da sole, affidandosi al loro intuito e ai loro poteri. Se avessero fallito, se avessero sbagliato strada, sarebbe stato impossibile per loro salvarsi. Avrebbero solo trovato la morte tra quelle montagne. Aurora pag? il pattuito al capo Sherpa dicendogli che, se voleva, se ne poteva andare anche subito. Ma l'uomo dai lineamenti asiatici, che reggeva le redini di un lama, scosse la testa e ripet?: «Three days.» Scald? un t? forte per le due donne e le conged?, salutandole con un cenno della mano. L'anziana e la sua giovane amica issarono gli zaini in spalla e si avventurarono sul ponte, sospeso sopra un abisso di almeno ottocento metri di altezza. CAPITOLO I Caterina Ruggeri La voce del comandante dell'aereo che avvertiva i passeggeri dell'ormai imminente atterraggio mi riport? alla realt?. Solo un'ora di volo da Ancona a Genova, ma la mia mente era stata impegnata in un turbinio di pensieri. I fatti degli ultimi giorni avevano portato la mia vita a una svolta. Pensavo al mio passato e pensavo al mio futuro. Ora avevo un incarico importante, ero stata nominata commissario a Imperia e non avrei mai creduto che questa nomina arrivasse cos? presto. Come responsabile delle Unit? cinofile della Polizia di Stato presso l'aeroporto Raffaello Sanzio di Ancona avevo trascorso anni entusiasmanti. Avevo avuto la possibilit? di realizzarmi in ci? che mi era sempre piaciuto fin dalla tenera et?, lavorare con i cani della polizia e addestrarli, dai cani antidroga a quelli per il soccorso nelle macerie, dai cani antisommossa a quelli cosiddetti molecolari, adatti alla ricerca di tracce e persone scomparse. D'altro canto, oltre a essere impegnata in un lavoro che mi piaceva moltissimo, avevo avuto anche il tempo di dedicarmi allo studio e laurearmi in Giurisprudenza, specializzarmi in Criminologia e sperare nell'agognato avanzamento di carriera. Di sicuro la passione per i cani non l'avrei mai abbandonata, quella passione che mi era stata trasmessa da un mio cugino veterinario, Stefano, ora cinquantenne, direttore sanitario della Clinica Veterinaria Aesis. Stefano era stato sempre il mio segreto amore, fin da ragazzina. Mio cugino di secondo grado, dodici anni pi? grande di me, mi aveva sempre attratto in maniera particolare. Il ricordo di un Ferragosto di venticinque anni prima era sempre vivo nella mia memoria. Allora ero poco pi? che una bambina, avevo frequentato la seconda media e dovevo ancora compiere tredici anni, mentre lui si era da poco laureato in Veterinaria a Perugia. Ero in vacanza con la mia famiglia, il pap?, la mamma e i miei due fratellini gemelli, Alfonso e Stella, in un'amena localit? dei Monti Sibillini, a 1.400 metri di quota. Mio padre, patito di vacanze alternative, non ci avrebbe mai portato in vacanza in albergo, e quindi usufruivamo del nuovissimo carrello tenda, da lui appena acquistato. La mia famiglia e quella di Stefano erano molto unite. Il mio cugino ci aveva raggiunti di buon mattino, insieme alle sue due sorelle e sua madre, per trascorrere insieme a noi il Ferragosto. La giornata si presentava gi? splendida, serena, limpida, senza nuvole in cielo. L'aria frizzante della montagna ispirava una bella camminata e cos? decidemmo di raggiungere un rifugio distante un'ora e mezzo di cammino dal luogo in cui eravamo accampati. Da l?, un'altra mezz'ora di salita impegnativa permetteva di raggiungere una cima denominata Pizzo Tre Vescovi. Per tutto il percorso avevo ignorato la mia cuginetta coetanea, cercando di rimanere il pi? vicino possibile a Stefano e conversare con lui. Mi aveva parlato dell'Universit?, dei suoi progetti attuali e futuri, del come e del perch? di recente avesse lasciato la sua fidanzata, con cui aveva condiviso oltre cinque anni di vita. Io e Stefano eravamo i pi? appassionati di montagna e i pi? temprati alla fatica fisica, cos?, giunti al rifugio, mentre gli altri avevano deciso di riposarsi e dedicarsi alla raccolta di mirtilli e lamponi, noi due avevamo prolungato l'escursione fino in vetta. Mio padre ci aveva accordato di ritrovarci al campo per pranzo entro l'una. Con un gesto un po' infantile ma mirato, avevo preso Stefano per mano e mi ero avviata con lui su per il sentiero scosceso e faticoso. Lo spettacolo in vetta aveva ripagato la fatica per arrivarvi. In una giornata cos? limpida si poteva scorrere lo sguardo dai monti dell'Umbria verso Ovest, al Mar Adriatico verso Est, dai monti del Pesarese verso Nord, alla sagoma massiccia del Monte Vettore verso Sud, che chiudeva l'orizzonte e impediva di gettare lo sguardo verso i monti della Laga e l'Abruzzo. Osservavo il panorama, ma soprattutto guardavo i meravigliosi occhi verdi di Stefano, che mi indicava i nomi delle varie montagne che riusciva a riconoscere. Pi? lo osservavo e lo ascoltavo, pi? mi sentivo attratta da lui, che aveva un viso simpatico, ornato da una leggera barba, i capelli folti e scuri e due occhi che a me piacevano in una maniera incredibile. Essendo poco pi? che una bambina, non sapevo di preciso cosa significasse innamorarsi, ma in quei momenti capivo che stavo provando delle sensazioni nuove e che forse, per la prima volta, ero caduta vittima di questo strano sentimento. Eravamo ridiscesi sempre conversando e scherzando, e avevamo raggiunto il resto della compagnia, giusto in tempo per il pranzo preparato da mia madre, un'ottima amatriciana, accompagnata da salsicce alla brace e, per finire, i lamponi raccolti da fratelli e cugine durante l'escursione. Al termine del pasto avevo proposto a Stefano di sdraiarci al sole. Avevo recuperato un plaid e ci eravamo allontanati un po', fuori dalla vista degli altri. Mi ero sfilata maglietta e jeans ed ero rimasta con un bikini rosa, appena sufficiente a coprire i miei seni ancora immaturi. Anche lui si era liberato della maglietta. Ci eravamo sdraiati l'uno accanto all'altra, godendo del sole pomeridiano che riscaldava la pelle. A un certo punto, mi ero girata verso di lui e avevo premuto i miei piccoli seni contro il suo torace. «Insegnami come si bacia un ragazzo!» Lui mi aveva guardato con aria interrogativa, ma io, affatto intimorita, avevo avvicinato il mio viso al suo, socchiudendo gli occhi. Avevo percepito le sue labbra unirsi alle mie e, per un attimo, ero andata in estasi. Non so quanto fosse durato, credo pochi attimi. Quando Stefano si era reso conto di ci? che faceva si era arrestato e, sia pur in maniera delicata e forse a malincuore, mi aveva allontanato da s?. «Caterina, non ? cosa possibile tra noi due, non dovevo lasciarmi andare. Sei una ragazzina molto carina e diventerai una bellissima donna. Hai due occhi azzurri splendidi, che spiccano ancor di pi? sotto la tua cascata di capelli mori. Non avrai alcuna difficolt? a trovare un bel ragazzo, adatto a te. Io ti conosco da quando eri in fasce e ti assicuro che ti voglio tanto bene, ma come a una sorella! E poi dodici anni di differenza sono un abisso. Tu sei poco pi? che una bambina e io sono gi? un uomo quasi pronto a sposarsi. Comunque, a Settembre partir? per la scuola di specializzazione in Malattie dei Piccoli Animali e rimarr? a Pisa per due anni. Ti assicuro che ti scriver? e ti far? avere il mio indirizzo. La mia amicizia e il mio affetto per te ci saranno sempre, ma consideriamo l'episodio di oggi come un gioco e non parliamone pi?.» Arrossendo, avevo fatto s? con la testa, ma quel bacio sarebbe rimasto nella mia mente e nel mio cuore come il pi? bello che avessi mai ricevuto. A quel tempo i cellulari non esistevano, e quindi i contatti si potevano tenere solo scrivendosi lettere e cartoline o tramite i telefoni fissi. Perci?, per qualche tempo, i rapporti con Stefano erano stati sporadici e solo due anni dopo ero riuscita a trascorrere di nuovo qualche giorno con lui. Avevo terminato il primo anno di Scuola Superiore ed ero stata promossa con ottimi voti, ma l'estate si preannunciava noiosa e senza grandi prospettive di vacanze in quanto, in famiglia, i litigi tra mio padre e mia madre erano sempre pi? accesi e i due non riuscivano pi? a trovare un accordo su alcunch?. Inoltre mio padre stava andando incontro a crisi depressive sempre pi? frequenti. Era una calda giornata di Luglio quando mia madre mi aveva chiamato, dicendomi che mio cugino Stefano chiedeva di me al telefono. Mi ero precipitata all'apparecchio con il cuore in gola. «Ciao Caterina, ho superato l'esame del secondo anno di specializzazione e ho qualche giorno di vacanza prima di iniziare i due mesi di tirocinio nella Clinica universitaria. Poi, a Ottobre, dovr? presentare la mia tesi, quindi per me si preannuncia un'estate molto impegnativa! Perch? non mi raggiungi qui a Pisa e ci concediamo un giro in turistico Toscana? Una bella vacanza far? bene a entrambi, per te come distrazione dalla tua situazione familiare, per me come breve pausa dalle fatiche dello studio!» Chiesto il permesso ai miei, che non avevano creato alcun problema, avevo preso il treno e raggiunto Pisa. Stefano mi aspettava nell'atrio della stazione. Gli avevo affibbiato il mio borsone e mi ero ritrovata a bordo della sua auto, una Citroen 2CV, con la quale avremmo girato la Toscana nei giorni successivi, pernottando in ostelli od ospitati presso suoi amici dell'universit?. Avevamo visitato bellissime citt?, Pisa stessa, San Gimignano, Siena, Arezzo. Ci eravamo spinti anche sull'Appennino Tosco-Emiliano per una breve escursione fino alle sorgenti dell'Arno, sempre animati dalla nostra ormai assodata passione per la montagna. Infine avevamo raggiunto Firenze, dove ci aveva ospitato suo fratello, iscritto alla facolt? di Architettura, ma che tutto faceva tranne che studiare. L'ultima sera, dopo cena, faceva caldo e io ero stanca. Passeggiando sul Lungarno, avevamo raggiunto Ponte Vecchio. Era una splendida serata, la luna quasi piena in cielo si rispecchiava nel fiume e lo spettacolo era proprio romantico. Approfittando della stanchezza, mi ero appoggiata a Stefano, passandogli un braccio intorno al collo. Lui, in risposta, aveva afferrato delicatamente la mia mano, che penzolava dalla sua spalla, carezzandola un po'. Poi aveva stretto i miei fianchi con l'altro braccio. Eravamo rimasti cos?, in silenzio, vicini e abbracciati, guardando il paesaggio fiorentino. Mi aspettavo un bacio, e invece non accadde nulla. Avrei voluto che quel momento non finisse mai, sarei voluta rimanere l? cos? per sempre, e invece, il mattino seguente, mi ero ritrovata alla stazione di Firenze, pronta a far ritorno a casa. La breve vacanza era terminata, ma io pensavo ancora all'abbraccio della sera precedente, sentivo ancora la mano che sfiorava la mia. Ero innamorata? Forse. Giunta a casa, avevo trovato mio padre e mia madre impegnati nell'ennesimo litigio, e questo fatto aveva spento tutta la poesia creatasi nei giorni precedenti. Com'? possibile, avevo pensato, che due persone che si sono amate, che hanno condiviso la loro vita per oltre vent’anni, arrivino a trattarsi cos?? In quel momento avevo realizzato che il matrimonio non faceva proprio per me. Avevo quasi 19 anni quando, in una tiepida giornata di inizio autunno, mio padre si era ucciso, sparandosi un colpo alla tempia. Come fosse venuto in possesso di una pistola, non lo seppi mai. Fatto sta che la sua vita era stata segnata da una tragedia, avvenuta circa dodici anni prima, in cui era rimasto ucciso il mio fratellino di circa tre anni. A mio padre la domenica piaceva cucinare, preparando la brace nel caminetto, dove cuoceva di tutto, spiedini, salsicce, verdure gratinate, polli allo spiedo e altre prelibatezze. Il giorno dell'incidente, come suo solito, aveva acceso il fuoco e preparato tutto l'occorrente sul tavolo. Alfonso, per gioco, aveva preso una graticola e si era messo a correre per la stanza. Cercando di scongiurare un pericolo, mio padre lo aveva rincorso, lui era inciampato e caduto a terra. La graticola era volata in aria e gli era ricaduta sulla nuca. Una punta metallica aveva trovato giusto lo spazio tra due vertebre cervicali, infilandosi nel midollo spinale e provocando la morte immediata del piccolo. Il pap? non si era mai dato pace per questo episodio. Insieme a mia madre, avevano deciso di avere un altro figlio per compensare la perdita e cos?, dopo qualche tempo, nacquero i due gemelli. Il fatto di chiamare uno dei due bimbi di nuovo Alfonso non era stata affatto una brillante idea, perch? ogni volta che i miei pronunciavano il suo nome ritornava loro in mente la tragedia. Col passare del tempo, miei genitori litigavano sempre pi? spesso. Mia madre ogni volta faceva ricadere la responsabilit? della morte del bambino sul marito, che era andato incontro alla depressione, per combattere la quale aveva iniziato a frequentare delle sedute di psicoterapia. Il suo terapeuta, a un certo punto, lo aveva imbottito di psicofarmaci che, anzich? farlo star meglio, lo avevano portato al tracollo psichico e, alla fine, al suicidio. Avevo sentito un forte rumore provenire dallo studio e mi ero precipitata nella stanza di mio padre con un brutto presentimento. Lo avevo trovato accasciato alla scrivania, con accanto un laconico biglietto, dove aveva scritto solo una parola: “Perdonatemi”. Non ero riuscita a versare una lacrima. Mia madre non sembrava neanche troppo dispiaciuta della perdita, anzi forse per lei era stata una liberazione. Sentivo il bisogno di parlare con qualcuno che non fosse mia madre, con qualcuno che mi comprendesse, e l'unico che poteva farlo era Stefano. Lo avevo raggiunto nel suo Studio Veterinario, alla periferia di Jesi e solo tra le sue braccia ero riuscita a dare sfogo a tutte le mie lacrime. «Ho sofferto troppo in questi ultimi anni, ho visto troppo male intorno a me e vorrei rimediare impegnandomi in un lavoro che sia utile a qualcuno e, nello stesso tempo, che sia di mia soddisfazione personale. Dammi tu un consiglio, ti prego!» Lui mi aveva sorriso, cercando di asciugare le mie lacrime. «Ti sei diplomata da poco con il massimo dei voti, hai una buona conoscenza di psicologia e sociologia, in pi? adori gli animali, i cani in particolare. Se pu? interessarti, un mio cliente, un sovrintendente della Polizia di Stato, mi ha esposto giusto qualche giorno fa un progetto per la realizzazione di un’unit? cinofila dipendente dalla Questura di Ancona. In attesa che arrivino i fondi e le attrezzature, gli ? stato assegnato un Pastore Tedesco, da utilizzare come cane antidroga al porto. Perch? non provi la carriera in Polizia? Ti ci vedo bene! Poi, una volta entrata, avrai la possibilit? di far valere le tue qualit? di esperta cinofila. Io sono qui e ti aiuter? sempre quando ne avrai bisogno!» Al momento, avevo giudicato l'idea un po' bizzarra, ma poi, considerando anche che non mi ritenevo donna dal matrimonio, data la pessima esperienza di quello dei miei genitori, pochi giorni dopo mi ero presentata in Questura ad Ancona e avevo compilato la domanda di ammissione al corso per allievi agenti. Terminato il corso, la carriera non sarebbe stata facile come credevo. Era trascorso diverso tempo prima di essere chiamata in forza e, nel frattempo, mi ero iscritta alla facolt? di Giurisprudenza a Macerata, dedicandomi soprattutto alla criminologia. Non ero riuscita ad affrontare neanche un esame, in quanto alfine era giunta la lettera di assunzione con la qualifica di agente scelto, di stanza presso la Questura di Ancona. All'inizio sembrava che a nessuno interessasse delle mie qualit? di criminologa e delle mie doti nel saper lavorare con i cani. Passavo lunghe giornate a bordo delle volanti per le strade della citt?, fermando auto ai posti di blocco o arrestando ubriachi, drogati e prostitute. Di certo non era il lavoro che mi ero aspettata e inoltre, finito il turno, ero talmente esausta che era impensabile mettersi sui libri per riprendere lo studio. Ma non abbassavo la guardia e cercavo sempre l'occasione per dimostrare ai miei superiori le mie vere capacit?. Dopo un paio di anni di servizio, l'avanzamento al grado di sovrintendente era automatico e cos? si era aperta per me la possibilit? di seguire i colleghi ispettori in qualche indagine. L'idea di un gruppo cinofilo dipendente dalla Questura di Ancona era stata invece monopolizzata da un collega, il sovrintendente Carli, distaccato al porto, dove quest'ultimo non faceva altro che far fiutare qualche turista di passaggio dal suo Pastore Tedesco, cos? da sfilare di tanto in tanto, al malcapitato di turno, pochi grammi di droga dalle mutande. Ma la droga vera, quella che sapevamo benissimo transitare a chili attraverso il porto di Ancona, non l'aveva mai intercettata. Finalmente, un giorno si present? la mia grande occasione. Insieme all'ispettore Ennio Santinelli, un tipo in gamba, ma a cui mancava quella marcia in pi? che serve a distinguersi dagli altri, stavo indagando su un traffico di cani rubati, che secondo noi venivano esportati all'estero, dopo essere stati ripuliti dell'eventuale tatuaggio. Secondo il collega erano per lo pi? cani da caccia che poi avevano mercato in Grecia, Albania e Turchia. Secondo me c'era dell'altro, anche perch? spesso si trattava di cani meticci e di tutte le et?, anche anziani. Avevo interpellato Stefano e anche a lui, come veterinario, la cosa non quadrava troppo. «Se si vuol speculare con traffici internazionali di cani, o sono cani da caccia di alta genealogia e giovani, o sono cani addestrati al combattimento. Qui c'? qualcosa che non torna» mi aveva detto al telefono. Una mattina di marzo era giunto in centrale un fax dalla Greca. Un'associazione animalista segnalava che a Patrasso, a bordo un traghetto destinato ad Ancona, era stato imbarcato un TIR, che ufficialmente trasportava cavalli. Ma, in mezzo agli equini, c'erano almeno un centinaio di cani trasportati in condizioni disumane. Il sovrintendente Carli quel giorno non era in servizio e l'ispettore Santinelli, un po’ per il freddo pungente della mattinata, un po’ perch? non voleva invadere il campo del collega, era un po' restio ad avviarsi verso il porto. «Non credo che questa cosa c’interessi pi? di tanto» aveva detto Santinelli. «Vai tu, Caterina, a dare un'occhiata e, se lo ritieni necessario, fai intervenire il Servizio veterinario pubblico.» Giunta alla banchina dove era attraccato il traghetto proveniente dalla Grecia, avevo subito notato un bel trambusto d’animalisti, che reclamavano il sequestro immediato degli animali. D'altra parte, il capitano del traghetto sosteneva che a bordo, come da convenzioni internazionali, le autorit? italiane non potevano intervenire e lui aveva ricevuto un messaggio dall'armatore greco di non far sbarcare il TIR, che avrebbe fatto ritorno a Patrasso. Tutto ci? mi convinceva sempre di pi? che mi trovavo in presenza di un losco traffico. Avevo chiesto i documenti del TIR, il piano di viaggio e i documenti accompagnatori degli animali. Camion, motrice e rimorchio, provenivano dalla Turchia e avevano come destinazione finale Hannover. Dai documenti di trasporto, risultava che il mezzo doveva trasportare solo cavalli destinati alla macellazione. Cercando di esprimermi in lingua inglese con l'autista greco, ero riuscita a carpirgli l'informazione che, in mezzo ai cavalli, venivano trasportati anche alcuni cani. Mi aveva mostrato alcuni certificati sanitari, attestanti la vaccinazione antirabbica e altri trattamenti, ma che, scritti in greco, erano ben poco comprensibili. L'autista asseriva di avere una quarantina di cani a bordo, mentre gli animalisti sostenevano ce ne fossero almeno un centinaio. Avrei voluto far sbarcare il camion per controllarlo con calma, ma il capitano della nave continuava a opporsi. Avevo bisogno di uno stratagemma. Avevo afferrato il cellulare e, anche se a quei tempi le tariffe di telefonia mobile fossero ancora molto salate, avevo chiamato Stefano, che mi aveva fornito la dritta. «Se gli animali sono in viaggio da pi? di 24 ore, per il loro benessere e per le vigenti leggi internazionali, devono essere abbeverati, alimentati e fatti riposare, quindi imponiti sul capitano e fai sbarcare il TIR. Vedrai che non potr? rifiutarsi. Se non si attenesse alle regole, infatti, rischierebbe di perdere il suo ben retribuito lavoro.» Il capitano aveva minacciato che, in seguito, avrebbe protestato ufficialmente, ma al momento aveva fatto sbarcare il camion. Al suo interno, in effetti, c'erano pochi cavalli e tantissimi cani. Avevo chiamato subito l'ispettore Santinelli e il magistrato di turno, perch? avevo intenzione di porre sotto sequestro l'intero carico. Avevo ottenuto ci?, superando la riluttanza del collega e del magistrato, che erano davvero inquieti, in quanto si sarebbe dovuto trovare un posto adeguato per ricoverare tutti gli animali. Quando ero riuscita a controllare i cani, centodue all'appello finale, mi aveva colpito il fatto che erano tutti cani di media taglia, tutti meticci e tutti con groppe dalla muscolatura prominente. Perch? no? pensai tra me e me. Potrebbero aver trovato un modo per contrabbandare qualcosa infilandola nel sottocute di questi poveri animali! Ma come faccio a spiegarlo ai miei superiori? E qui era intervenuto Stefano, ancora una volta, con il suo prezioso aiuto. Avevo provveduto a far sistemare i cavalli nella stalla di un suo amico e i cani in un moderno canile, costruito da poco, che lui seguiva dal punto di vista sanitario. Il canile era dotato di un'attrezzatissima infermeria, dove Stefano eseguiva interventi di pronto soccorso su cani feriti. La dotazione prevedeva anche un ecografo, usato per diagnosticare le gravidanze delle fattrici ospitate. Bisognava agire in fretta, perch? gi? si stavano muovendo avvocati di fama internazionale per ottenere il dissequestro degli animali, e ci? faceva aumentare ancor di pi? i sospetti e le ipotesi di traffici illeciti. Anche il collega Carli stava facendo fuoco e fiamme, perch? avevamo invaso il terreno di sua competenza. Invocava conoscenze importanti nelle alte sfere, addirittura al Ministero degli Interni, ed esigeva che il caso fosse ricondotto a lui. «Proviamo a fare qualche ecografia alle groppe di questi cani» mi aveva detto Stefano, carezzando con affetto una di quelle simpatiche bestiole. Non appena tosato il pelo del cane, ci eravamo accorti che l'animale presentava una cicatrice lineare su ognuno dei due lati, a fianco della colonna vertebrale lombare. «Sono cicatrici perfette. Non sembrano tagli chirurgici, perch? non si evidenziano i segni trasversali dei punti di sutura. Ma un chirurgo che sa lavorare bene, eseguendo una particolare sutura sottocutanea, pu? ottenere cicatrici estetiche come queste. Io stesso non saprei far di meglio.» Poi aveva appoggiato la sonda dell'ecografo sulla parte interessata. «C'? una densit? anomala del tessuto sottocutaneo. Direi di portare alcuni di questi cani in sala chirurgica per andare a vedere che cosa si nasconde sotto le cicatrici.» Aveva anestetizzato un cane, preparando chirurgicamente la zona anatomica individuata e tagliando proprio sopra la cicatrice. Sporco di sangue, aveva estratto un involucro ben sigillato, che in trasparenza mostrava una polvere bianca. Di certo non era n? farina, n? zucchero. «Droga» avevo affermato. «Con tutta probabilit? cocaina o eroina, proveniente dall'Afghanistan e destinata alla Germania attraverso la Turchia, la Grecia, l'Italia e l'Austria. Hanno inventato un bel trucco ma, secondo me, qualcuno che conosco glielo ha suggerito. I cani antidroga sentono solo l'odore di altri loro simili e la droga in dogana non viene scoperta. L'intervento chirurgico viene effettuato all'origine, quindi si aspetta che le ferite cicatrizzino e il pelo degli animali ricresca. Ma poi, all'arrivo, questi animali magari vengono massacrati, addirittura uccisi, pur di tirarne fuori il prezioso contenuto.» Avevo informato della scoperta il magistrato, il quale aveva disposto che gli animali fossero operati in condizioni sicure, asportando il contenuto in droga, e poi fossero curati a dovere. In seguito si sarebbero potuti cedere in affido a persone di buon cuore. Stefano, nella sua clinica, si era adoperato giorno e notte per intervenire su tutti i cani, concedendosi poche ore di riposo e sapendo che non avrebbe visto neanche un centesimo alla fine del lavoro. Ma, pur di assicurarmi un successo, avrebbe fatto questo e altro. Alla fine ci eravamo ritrovati con duecentoquattro sacchetti, contenenti ognuno mezzo chilo di droga, che il laboratorio della scientifica aveva confermato essere eroina pura. Un valore di centotrenta miliardi delle allora vecchie Lire (all'incirca sessanta milioni di Euro). Avevamo scoperto anche che il sovrintendente Carli era invischiato nella storia fino al collo, arrestandolo per favoreggiamento. A quel punto l'indagine passava per competenza all'Interpol, che avrebbe cercato di individuare la rete di narcotrafficanti, a partire da tutti gli elementi da noi messi a disposizione. Qualche giorno dopo, il questore mi aveva convocato nel suo ufficio per le congratulazioni di rito. «Complimenti, Ruggeri! Grazie al suo intuito, abbiamo eseguito un gran bel lavoro e al Ministero si sono complimentati con noi. Ho gi? firmato la proposta per il suo avanzamento di grado a Ispettore Capo. Inoltre, abbiamo anche scoperto che Carli stava facendo di tutto per insabbiare le proposte e i fondi che arrivavano dal Ministero per il progetto delle unit? cinofile. Ora che Carli non c'? pi?, proporr? che la responsabilit? del progetto passi direttamente sotto la sua direzione. Potr? disporre dei fondi come meglio crede, decidere come costruire la struttura, ma soprattutto scegliere i cani e gli uomini. Da parte mia la proposta ? di lasciare il porto alla Guardia di Finanza, che gi? controlla la dogana, mentre noi avremo uno spazio tutto nostro presso l'aeroporto Raffaello Sanzio, che dall'anno 2000 sar? potenziato. Che ne dice?» «Grazie Dottore, ma non credo di meritare tutto ci?» replicai, abbassando lo sguardo. «Ho fatto solo il mio dovere!» Le parole di quella conversazione lontana nel tempo risuonavano ancora nella mia mente, quando la voce gracchiante dell'altoparlante mi fece trasalire. «Ringraziando per aver scelto la compagnia Nuova Alitalia, si avvertono i Signori passeggeri che tra dieci minuti circa atterreremo all'aeroporto Cristoforo Colombo di Genova. Sono le ore nove e trenta del primo Luglio 2009, la temperatura a terra ? di circa 28 gradi, ? previsto tempo sereno stabile con temperature in aumento e venti da Sud-Est. Vi auguriamo una buona permanenza. Grazie e arrivederci su queste linee aeree.» Certo, ci erano voluti altri due anni per mettere in piedi il Distaccamento Cinofili presso l'aeroporto Raffaello Sanzio. Su una parte di terreno che era stato di pertinenza dell'Aeronautica Militare, era stato realizzato l'insediamento esattamente come l'avevo in testa: dodici box chiudevano su tre lati un ampio campo di addestramento. Il quarto lato era occupato dalla palazzina dei servizi, ricavata da un vecchio edificio dell'Aeronautica. A piano terra vi era un'attrezzata infermeria per i cani, con tanto di apparecchio radiologico, ecografo, fornito armadietto di medicinali, nonch? una sala chirurgica per gli interventi d'urgenza. Un paio di stanze erano riservate al disbrigo delle pratiche amministrative, mentre al piano superiore avevo il mio alloggio, una stanza da letto, un bagno e una piccola cucina. Per diversi anni il luogo sarebbe stata la mia casa e il mio tetto, oltre che la mia sede di lavoro, anche in considerazione del fatto che ero sempre pi? convinta che mai mi sarei legata a un uomo. Avevo scelto i cani personalmente nel centro cinofilo della Guardia di Finanza, a Castiglione del Lago, e in quello della Polizia di Stato a Nettuno, vicino Roma, dove avevo seguito, a suo tempo, il corso di addestramento. Volevo dei cani perfettamente addestrati e volevo coprire tutte le specialit? possibili. Avevo condotto dunque a Falconara Marittima due Pastori Tedeschi, da utilizzare come cani antidroga, e altri due cani della stessa razza, affiancati da un Rottweiler, come cani antisommossa e per gli interventi di ordine pubblico. Come cani molecolari e da macerie, quindi destinati a interventi di protezione civile, avevo optato per una coppia di Labrador Retriever e un Samoyedo. Avevo selezionato poi due Weimaraner per il lavoro con gli esplosivi, mentre un altro Pastore Tedesco, un grosso maschio, era stato scelto per l'attacco e la difesa personale. Un box, rimasto vuoto per eventuali altre specialit?, sarebbe stato in seguito occupato dal mio Springer Spaniel, Furia, un cane del tutto negato per la caccia, ma dal fiuto eccezionale, capace di seguire una pista e ritrovare persone scomparse solo a partire da un semplice oggetto appartenuto a chi doveva rintracciare. Ma Furia sarebbe arrivato diversi anni dopo l'inizio dell'attivit? del distaccamento. Anche gli uomini erano stati scelti tra i pi? validi in forza nella Polizia di Stato delle varie province marchigiane. Ogni uomo era associato a un cane, come suo conduttore, pertanto doveva essere non solo esperto nella stessa specialit? dell'animale, ma doveva avere la pazienza di addestrare e curare il proprio cane come fosse un figlio o una parte di se stesso. Avevo qualche perplessit? nel proporre all'ispettore Santinelli di essere il mio vice. Di solito c'? qualche difficolt? nell'accettare di essere subordinati a una persona di cui si ? stato superiore, ma egli aveva accettato di buon grado, vuoi per la sua passione per i cani, vuoi forse per una passione anche per me, che non avrei mai condiviso. All'inizio dell'estate del 1997 eravamo finalmente pronti a partire. L'inaugurazione del distaccamento era avvenuta in presenza di importanti autorit?, il Prefetto, i Sindaci di Ancona e di Falconara Marittima e funzionari del Ministero degli Interni. Al termine della nostra dimostrazione del lavoro con i cani, in azioni simulate di ricerca di droga, di esplosivi e di azioni mirate a bloccare malviventi, la giornata si era conclusa con un'esibizione delle Frecce Tricolori. Con mio grande rammarico, unica nota triste della giornata, appresi che quello era l'ultimo avvenimento pubblico a cui partecipava il questore Ianniello, ormai prossimo al pensionamento. A neanche 26 anni di et?, insomma, avevo un incarico di responsabilit? e di grande soddisfazione. Di certo anche il sostegno di Stefano, sia come medico dei nostri cani, sia come consueto amico, non era venuto mai meno. Tutti i cani scelti lavoravano egregiamente. Solo riguardo al Rottweiler mi ero dovuta pentire della scelta. «Per tenere a freno la folla» mi aveva avvertito Stefano, «hai bisogno di cani che facciano scena, che incutano timore in chi li ha di fronte, che siano i tifosi allo stadio o i manifestanti in piazza. Ma i cani non devono mai provocare lesioni personali. Il Rottweiler ? un traditore. Sembra un bonaccione, ? l? buono e seduto che ti guarda, sembra non curarsi neanche di te. Ma come gli capiti a tiro, senza neanche avvertirti con un ringhio, ? capace di sbranarti vivo. La forza delle sue mascelle ? superiore a quella di qualsiasi altra razza di cani. Misurata con il dinamometro, la forza del suo morso arriva a 230 Kg, contro gli 80 Kg del Pastore Tedesco e i 120 Kg del Mastino Napoletano. ? in pratica una macchina da guerra. Non ti fidare mai di lui!» Con mio rammarico, dopo che Thor, questo il nome che gli era stato assegnato, si era reso responsabile di qualche brutto scherzo in addestramento ai danni del suo conduttore, era stato necessario riformarlo. Di solito un cane viene riformato al termine della sua carriera, quando ? ormai troppo anziano per svolgere le sue funzioni e, nella maggior parte dei casi, il conduttore, che ormai ha un rapporto particolare con il cane, lo adotta e lo mantiene presso di s?, in considerazione del fatto che ? un animale che ha ancora qualche anno di vita. Se ci? non avviene, il cane riformato deve essere sottoposto a eutanasia, anche perch? non ? pensabile che cani cos? addestrati finiscano in mani di persone non fidate. Ero consapevole che la fine di Thor sarebbe stata l'iniezione letale e non riuscivo a darmi pace, ma guardavo il suo conduttore, con un braccio ancora fasciato, e non potevo assumermi la responsabilit? che ci? accadesse di nuovo. Thor era stato ben presto sostituito da un altro Pastore Tedesco, questa volta scelto da me in un allevamento locale. L'avrei tirato su fin da cucciolo e l'avrei addestrato io stessa fino al momento di assegnarlo a un conduttore. A parte lo spiacevole episodio di Thor, le giornate trascorrevano veloci. Tutti i giorni la squadra era impegnata in addestramento per almeno due o tre ore, poi c'erano i servizi, il controllo antidroga alla dogana dell'aeroporto, i servizi durante fiere e mercati alla ricerca di possibili borseggiatori o spacciatori. A volte eravamo chiamati anche in luoghi distanti, per interventi di protezione civile, in occasione di terremoti o altre calamit? naturali, per recuperare eventuali superstiti sotto le macerie, oppure per la ricerca di persone disperse in montagna, non solo in occasione di slavine o valanghe, ma anche solo perch? magari si erano perdute durante un'escursione. La fama della mia squadra, nel tempo, aveva superato i confini marchigiani e spesso venivamo chiamati per servizi anche molto distanti dalla nostra base. Nella squadra mancava un cane che sapesse fiutare una pista, seguire delle tracce, insomma aiutare il poliziotto anche in un'indagine, oltre che in un'azione. Sarebbe giunto in seguito, e sarebbe stato il mio Furia, uno Springer Spaniel, figlio di una cagna dell'Ispettore Santinelli. Il flusso dei miei pensieri fu a un certo punto interrotto in via definitiva dalla frenata dell'aereo sulla pista e dalla conseguente apertura del portellone. Stava per iniziare un capitolo tutto nuovo della mia vita. CAPITOLO II Stavo cercando di orientarmi nella sala arrivi dell'aeroporto per capire dove fosse il nastro trasportatore da cui sarebbero arrivate le mie valige, quando un energumeno in perfetta divisa estiva della Polizia di Stato si avvicin? a me con fare deciso. Sar? stato alto almeno un metro e novanta, capelli a spazzola, occhi azzurri e barba perfettamente rasata, i bicipiti che stentavano a essere contenuti nella mezza manica della camicia dell'uniforme. Accenn? un saluto militare, poi, ripensandoci, mi tese la mano. «Dottoressa Ruggeri immagino! Sono l'ispettore Mauro Giampieri e da questo istante sono al suo servizio. Ho perentorie istruzioni da parte del questore, dobbiamo raggiungere subito la scena di un crimine. Si tratta di un delitto avvenuto questa notte a Triora, un paesino nell'entroterra di Imperia. Ho gi? dato disposizioni a un agente di ritirare il suo bagaglio e portarlo al distretto di polizia. Mi segua, non abbiamo tempo da perdere.» Ero un po' frastornata, e lo seguii senza fare obiezioni, anche se avrei desiderato iniziare in maniera diversa, prendendo un taxi fino a Imperia e insediandomi nel mio nuovo posto di lavoro dopo essermi data almeno una rinfrescata in un albergo. Quando poi vidi l'auto dai colori bianco e azzurro della Polizia di Stato, nel parcheggio riservato alle forze dell'ordine, verso la quale ci stavamo dirigendo, non potei fare a meno di provare un brivido: una Lamborghini Gallardo nuova di zecca. Sapevo dell'esistenza di quell'auto meravigliosa, capace di raggiungere una velocit? di 320 Km orari, attrezzata con computer di bordo dalle varie funzionalit?, collegato per mezzo di un sistema satellitare agli archivi informatici della criminalpol e dell'interpol, solo per averne letto qualcosa sulle nostre riviste. «Credevo che questo gioiello fosse riservato alla Polizia Stradale» dissi, cercando di rompere il ghiaccio con l'Ispettore, che continuava a mantenere il suo passo deciso. Giunti a pochi passi dall'auto, le quattro frecce lampeggiarono emanando un bip. «Questa ? diversa da quella in dotazione alla Polstrada, non come modello, ma come dotazioni e come prestazioni. Avr? modo di spiegarle molte cose strada facendo, si accomodi!» Quando fummo in auto, inser? una card in un'apposita fessura del cruscotto e digit? un codice su un tastierino numerico. Stava per schiacciare il pulsante d'avvio del motore, ma si ferm? e inizi? ad armeggiare con un contenitore. «Il suo avambraccio destro, Dottoressa! Le inoculer? un microchip, contenente alcune informazioni su di lei, come dati anagrafici, gruppo sanguigno, storia clinica, ma che funzioner? anche come localizzatore satellitare, nel caso ce ne fosse bisogno. Sar? un attimo, non sentir? dolore. Sono gli ordini, purtroppo. Ne ho dovuto inoculare uno anch'io.» La sua pseudo disciplina militare cominciava a darmi un po' sui nervi e accennai una protesta. «Non sono mica un cane che rischia di perdersi!» Con rapidi movimenti, apr? una bustina sterile contenente un tampone imbevuto di disinfettante e poi, da un'altra, estrasse un iniettore dall'ago di calibro enorme. Nonostante le mie proteste, afferr? il mio braccio e mise in atto la procedura. «Tenga il tampone premuto per qualche istante e allacci la cintura di sicurezza. Stiamo partendo.» L'accelerazione incoll? la mia schiena al sedile dell'auto. La Lamborghini, in pochi secondi, raggiunse una velocit? molto superiore a quella consentita dal codice della strada, in breve infil? il casello autostradale e si mise a viaggiare ad una velocit? che sfiorava i 200 km orari. «Lei, Ispettore, sembra pi? un militare che un poliziotto. Non conosco il suo curriculum, ma credo che lo studier? con attenzione. Comunque, visto che dobbiamo lavorare insieme e io ho sempre odiato i formalismi, proporrei di darci del tu e chiamarci con i nomi di battesimo, io sono Caterina.» Mi rispose, sciogliendosi un po'. «Mauro. Le confesso... ti confesso che in effetti, fino a qualche mese fa, ero nell'esercito. Ho seguito il contingente italiano in missioni all'estero in varie riprese e fino allo scorso Natale ero di stanza in Afghanistan. Ero a Nassirya nel 2003, in occasione della strage di soldati italiani, e me la cavai senza neanche aver riportato una ferita. Sono stato anche in Iraq e in Bosnia-Erzegovina. Sono ancora molto abituato alla disciplina militare. Comunque, sono esperto in esplosivi, lotta al terrorismo e alla guerriglia organizzata, guida in condizioni estreme... Credo che il questore ci abbia voluto in coppia per risolvere un caso davvero scabroso, di cui poi ti parler? un po'. Intanto ti illustro le caratteristiche di quest'auto, che per ora non ha paragoni in Italia. Come vedi, qui sulla plancia abbiamo al centro un display da dodici pollici, che sembra un navigatore GPS, ma che ha molte altre funzionalit?. ? un vero e proprio PC, che oltre ad avere accesso internet tramite connessione satellitare, ci consente di consultare le banche dati della polizia, non solo italiana, ma di tutto il mondo. Quello ? un piccolo scanner, collegato al sistema, nel quale possiamo inserire delle impronte digitali, prelevate con dei pezzetti di scotch, e avviare una ricerca sulle banche dati cui siamo collegati. Alla funzionalit? touch screen, molto interessante per lavorare sul menu principale, possiamo aggiungere le funzioni di una tastiera standard, che andiamo a estrarre da quel cassettino l? sotto. Apri il vano portaoggetti, troverai una pistola, che ? gi? stata assegnata a te, e un palmare. Sia tu che io abbiamo un palmare identico, con il quale ci possiamo interfacciare col computer di bordo dell'auto. Anche il palmare, come il microchip che ci siamo inoculati, consente alla centrale, e a uno di noi dall'auto, di individuare la nostra localizzazione esatta con sistema GPS.» «Accidenti, a giudicare da tutto ci? che mi stai dicendo, l'indagine che ci hanno assegnato dovrebbe essere ben rischiosa. Neanche il mitico agente 007 ha tutta questa tecnologia a disposizione!» «E in effetti non sbagli. Da diversi anni a Triora si verificano eventi strani: scompaiono delle persone in circostanze misteriosi, senza all'apparenza lasciare alcuna traccia. Finora hanno indagato i Carabinieri, senza venire a capo di nulla. Sulla principale indagata, una certa Aurora Della Rosa, che la gente del paese definisce come maga, o meglio, strega, non sono mai riusciti a raccogliere prove sufficienti e quindi le indagini brancolano ancora nel buio. Stanotte, nel bosco vicino Triora, si ? sviluppato un incendio, che ? giunto a minacciare la casa stessa di Aurora. Al termine delle operazioni di spegnimento, i Vigili del Fuoco hanno rinvenuto il cadavere carbonizzato di una donna. Credo che gi? il medico legale e la scientifica siano sul posto. Stavolta niente Carabinieri e RIS, l'indagine ? nostra. Proprio per i tuoi studi sull'esoterismo e sulle sette, il questore di Imperia ha richiesto la tua presenza e questo delitto, chiss? in base a quale casualit?, ? stato consumato giusto in concomitanza col tuo arrivo. Ora dovremo darci da fare, e non poco!» In effetti, dopo alcuni anni di intenso lavoro con le unit? cinofile, la squadra era divenuta talmente addestrata ed efficiente, che io mi ero potuta concedere qualche spazio personale e ricominciare anche a frequentare la Facolt? di Giurisprudenza a Macerata. Sapevo che con la laurea avrei potuto aspirare a un importante avanzamento di carriera, ma non era questo che mi spingeva a studiare, bens? la mia innata passione per la criminologia, che era seconda solo a quella per i cani. Mi ero interessata in particolare ai crimini compiuti da adepti di sette cosiddette esoteriche. Partendo dall'episodio delle Bestie di Satana, avvenuto qualche anno prima, in cui dei balordi, per coprire l'assassinio di una ragazza e fuorviare le indagini, avevano inscenato messe nere e riti satanici, avevo iniziato a studiare le vere sette esoteriche. Avevo cercato di scavare a fondo, per farmi un'idea di quali fossero le loro origini, che si perdevano nella notte dei tempi, per capire cosa si nascondesse dietro i loro riti e di quali delitti si fossero macchiati i loro adepti in un passato sia prossimo che remoto. In Italia, la Liguria era uno dei luoghi dove era noto che alcuni adepti ancora si riunissero e praticassero in segreto i loro rituali, che a volte prevedevano sacrifici di animali o di persone. L'Inquisizione aveva combattuto le sette fino al XVII secolo inoltrato, condannando a morte i proseliti con l'accusa di eresia o di stregoneria. Tutto questo mi affascinava in particolar modo, cos?, con la mia tesi dal titolo "Sette esoteriche e crimini perpetrati dai loro adepti", mi laureai nel Luglio 2008 con il massimo dei voti. E quindi, proprio in virt? di questi miei studi, ora, dopo neanche un anno dalla laurea, ero stata chiamata a ricoprire l'incarico di commissario nel distretto di polizia di Imperia, proprio in quella zona dove esisteva ancora un'intensa attivit? legata alle sette. Attraverso il finestrino vedevo sfilare, uno dopo l'altro, diversi caselli autostradali. In pochi minuti eravamo gi? oltre l'uscita di Savona, per continuare a velocit? sostenuta verso Imperia. «Perch? in tutto ci? gli inquirenti vedono l'ombra delle sette?» chiesi, riemergendo dai miei pensieri. «Tutto sommato, se consideriamo le Bestie di Satana, famose in questi luoghi, possiamo ben capire che sono tutte montature e l'esoterismo non c'entra nulla.» «In questo caso invece ci sono fondati elementi per pensare a una setta, anche se tutta la trama, che ? iniziata parecchi anni fa, rimane buia. Non sono mai stati rinvenuti cadaveri, fino a quello di oggi e, in base a questo nuovo elemento, si pu? iniziare a pensare che anche le persone scomparse in precedenza siano state uccise, ma i delitti siano stati coperti, a suo tempo, in maniera impeccabile. Stanotte forse ? accaduto qualcosa di imprevisto e l'assassino, o gli assassini, non sono riusciti a occultare il cadavere, come negli altri casi. Forse hanno tentato di dare alle fiamme il corpo della vittima, ma un cambiamento improvviso di vento, che da queste parti non ? infrequente, ha scatenato un incendio non pi? controllabile. Consideriamo che ? stata la stessa Aurora a chiamare i soccorsi, perch? la sua abitazione era minacciata dall'incendio.» «Qual ? il suo alibi? Sappiamo cosa ha raccontato?» «Ha detto di essere rientrata molto tardi, per essere stata a cena in un ristorante pi? a valle, e che, avvicinandosi alla sua dimora, ha avvistato la luce rossastra dell'incendio. Ha chiamato il 115 con il suo cellulare quando ancora era a un paio di chilometri da casa.» «Bene, faremo le opportune verifiche. Ma parlami delle persone scomparse in precedenza.» «Ci vorrebbe molto a raccontare il tutto nei dettagli. Cerco di riassumerti le cose in breve, poi avremo modo di vagliare tutto il materiale che ci ? stato inviato dalla questura e dal tribunale. C'? un bel fascicolo da studiare, ed ? gi? sulla tua scrivania. La prima persona di cui si sono perse le tracce ? colei che abitava nella stessa casa di Aurora e che si faceva chiamare con lo stesso nome. Nel 1989 questa signora sessantenne, nota come chiromante, erborista, guaritrice, veggente, maga, decise di andare nelle montagne del Nepal per raggiungere un tempio nel quale avrebbe dovuto rigenerare il proprio spirito, il proprio corpo e la propria anima. Raggiunse Kathmandu insieme a una sua seguace, una giovane rumena, una certa Lar?s Dracu. Le due donne assoldarono degli Sherpa, che le accompagnarono fino a un certo punto. Quando insistettero per andare verso una zona inesplorata, interdetta agli Sherpa per le loro credenze religiose, questi ultimi le lasciarono sole, dicendo che le avrebbero aspettate per tre giorni, dopo di che le avrebbero date per disperse. Non si seppe pi? nulla delle due, ma dopo qualche mese si present? a Triora una ventenne che sosteneva di essere la nipote di Aurora. Appellandosi all'omonimia, si arrog? il diritto di prendere possesso dell'abitazione della nonna. Anche questa giovane Aurora sembrava avere poteri soprannaturali, ma ben pi? potenti di quelli della presunta ava. I pochi abitanti del posto, che avevano conosciuto Aurora in giovent?, non potevano che notare la straordinaria somiglianza della giovane con l'anziana scomparsa, tanto che molti si convinsero che la strega avesse trovato, nel suo viaggio in Nepal, un elisir di giovinezza e fosse riuscita a ringiovanire nell'aspetto fino a tornare ragazza. Ma, a parte questo, nei boschi intorno Triora iniziarono a verificarsi strani episodi. Si diceva in paese che, nelle notti di luna piena, le streghe avessero ricominciato a praticare i loro Sabba, indetti proprio dalla giovane Aurora. A parte i Sabba, molte erano le visite che riceveva Aurora nella sua abitazione. Oltre i postulanti che richiedevano rimedi a base di erbe per la cura dei malanni, o elisir di vario tipo per risolvere travagli amorosi, ogni tanto giungevano persone particolari, da lei ospitate come adepti di una setta esoterica, di cui ora non ricordo il nome. Questi soggetti, essenzialmente donne, raggiungevano il luogo al fine di attingere il sapere nell'antica biblioteca, che era stata sempre conservata con gelosia nella casa da Aurora dalle sue antenate, e via via arricchita dalle stesse nel corso dei secoli. Una di queste giovani donne, Mariella Carletti, detta La Rossa, nel 1997 part? da un paesino dell'Abruzzo, in cui era gi? nota come guaritrice e veggente, lasciando detto che avrebbe raggiunto Triora al fine di superare le ardue prove che le avrebbero consentito di diventare un'adepta del settimo livello, uno dei pi? elevati, e che sarebbe tornata con poteri che nessuno avrebbe mai immaginato. Non fece mai ritorno. A Triora, questa bella ragazza, alta, dai fluenti capelli rosso fuoco, gli occhi azzurro chiaro, la carnagione pallida e piena di efelidi, non pass? inosservata. All'imbrunire del 21 giugno, data coincidente con il solstizio d'estate, si diresse nel bosco dove si diceva avessero luogo i Sabba, dopo di che scomparve. Un particolare interessante ? che quella notte ci fu un principio di incendio, ma molto limitato. Sembra si fosse incendiato un camion in disuso da tempo, ma il fatto non riusc? a essere collegato in nessuna maniera alla scomparsa della ragazza. La carcassa bruciata del camion ? ancora l?, non fu mai asportata. Il caso, a suo tempo, fu archiviato come opera di teppisti. Nel 2000, tre giornalisti, due uomini e una donna, di un noto mensile a tiratura nazionale che ha sede e redazione a Genova, vollero eseguire una loro piccola indagine sulla scomparsa della ragazza, avvenuta tre anni prima. Con la scusa di un reportage su streghe e stregonerie a Triora, si piazzarono con una tenda canadese proprio nel bosco dove si riunivano le streghe, in prossimit? della Fonte della Noce, con la speranza di assistere a qualche rito satanico o cose del genere. Per qualche giorno raccolsero informazioni sul processo posto in atto contro le streghe di Triora sul finire del '500. Tentarono anche di ottenere un'intervista esclusiva con Aurora, che per? non la concesse. La notte tra il 20 e il 21 Agosto i tre giornalisti scomparvero in circostanze misteriose. All'interno della tenda, trovata vuota la mattina seguente, furono trovati alcuni quaderni di appunti con il materiale raccolto. Tali quaderni vennero riconsegnati alla rivista che, in suffragio dei tre, pubblic? un articolo di ben otto pagine sulle streghe di Triora. L'ultima frase scritta sul quaderno di uno dei tre giornalisti era in stampatello maiuscolo a grandi caratteri e sottolineata: “MIO DIO!” Qualcosa o qualcuno l'aveva sicuramente spaventato a morte. Dei giornalisti scomparsi non si seppe pi? nulla.» Intanto avevamo oltrepassato Imperia, eravamo usciti dall'autostrada al casello Arma di Taggia e avevamo imboccato una strada provinciale che risaliva uno stupendo fondovalle, correndo parallela al corso di un fiume. Era la prima volta che vedevo luoghi che sarebbero poi divenuti familiari. Stavamo percorrendo la Valle Argentina, percorsa dal fiume omonimo, una stretta vallata con pochi insediamenti umani. Il verde dei boschi rigogliosi spiccava contro l'azzurro intenso del cielo limpido nella calda giornata di inizio Luglio e, dentro di me, si riaccendeva la vecchia passione per la montagna. Sognavo gi? di camminare sui sentieri che si addentravano in quei boschi. Risalimmo oltre un piccolo centro abitato, Molini di Triora, per giungere a Triora, un paese dalle fattezze medioevali, arroccato in cima a un cocuzzolo. Oltrepassato il centro, la strada ridiscendeva e, dopo poco, ci fermammo in uno spiazzo, dove erano parcheggiate un paio di auto della polizia, una jeep dei vigili del fuoco e una camionetta del corpo forestale attrezzata per lo spegnimento degli incendi boschivi. «Bene» dissi, «quello che mi hai detto ? molto interessante ed effettivamente l'odore delle sette, oltre quello di bruciato, si avverte eccome! Si tratta ora di capire fino a che punto c'entri l'esoterismo e quanta invece sia la responsabilit? degli adepti nella scomparsa delle persone che hai menzionato e nell'omicidio di questa notte, se si tratta di omicidio e non di semplice incidente.» «Caterina, mi raccomando, qui la prudenza non ? mai troppa. A parte le streghe, potremmo trovarci di fronte a criminali senza scrupoli nel corso di questa indagine. Prendi la pistola e memorizziamo ognuno il numero del palmare dell'altro, cos? di poterci chiamare in caso di necessit?. Andiamo!» Afferrai il palmare, ma lasciai la pistola nel cassetto portaoggetti dell'auto, in quanto ritenevo che in quel momento non ne avrei avuto alcun bisogno. CAPITOLO III Aurora Della Rosa Lar?s non aveva paura di attraversare il ponte sospeso. Cerc? con lo sguardo gli occhi azzurro verdi di Aurora, che le trasmisero tutta la forza e l'energia di cui aveva bisogno. Era poco tempo che la conosceva, ma si fidava di lei e dei suoi poteri esoterici. Lar?s Dracu era originaria della Transilvania, una regione della Romania, che alla fine degli anni '80 era ancora governata da un dittatore comunista. Gi? a diciotto anni si era guadagnata la fama di strega anticomunista e, per non cadere nelle mani della polizia segreta del generale Ceausescu, con non poche difficolt? aveva raggiunto l'Italia. Si era spinta fino a un paesino della Liguria, dove sapeva vivesse un'adepta della sua stessa setta, che l'avrebbe aiutata e l'avrebbe guidata nella prosecuzione del suo cammino verso il livello pi? alto, quello oltre il settimo, quello della conoscenza universale. Quando giunse a casa di Aurora, il giorno dell'equinozio di primavera, all'ora media, not? che la sua ospite la stava aspettando sulla soglia con la porta aperta. Non ne fu sorpresa, in quanto conosceva i poteri veggenti della maga. Si sent? osservare da lei con compiacimento. Lar?s si presentava come una bellissima ragazza, dai capelli neri lucidi, tirati indietro e raccolti in un corto codino, gli occhi scuri, quasi neri, i lineamenti del viso delicati. Le linee sinuose del corpo lasciavano immaginare, sotto vestiti attillati, una perfezione di seni, glutei e gambe rari a vedersi. La maga le appariva come una sessantenne in ottima forma, dai capelli biondi leggermente striati di bianco, gli occhi che cangiavano colore dall'azzurro al verde, a seconda della luminosit? dell'ambiente. Il suo corpo aveva ancora il vigore di una quarantenne e la sua pelle era liscia, tirata e non solcata da rughe evidenti. Il suo sguardo era magnetico e, quando i suoi occhi incontrarono quelli di Aurora, Lar?s prov? un forte impulso sessuale nei confronti della maga. Aurora pronunci? alcune parole in una lingua incomprensibile ai comuni mortali. Non si era espressa in lingua occitana, tipica di quella zona di confine tra l'Italia e la Francia, ma la giovane era stata in grado di capirla, per averla appresa da bambina, quando sua mamma l’aveva iniziata alle pratiche magiche ed esoteriche. Il Semants era l'antica lingua degli adepti, la cui origine si perdeva nella notte dei tempi, un idioma conosciuto gi? all'epoca dell'Egitto dei Faraoni da maghi e sciamani, ma che aveva origini anche pi? antiche. Lar?s fu invitata da Aurora a entrare in casa e fu condotta in un salone quadrato. Una delle pareti del salone era occupata per intero da una specchiera, per cui si aveva l'impressione che la stanza fosse molto pi? ampia di quanto in realt? non era, mentre nelle altre tre pareti vi erano scaffalature, in cui trovavano posto molti libri e manoscritti e alcuni vasi di porcellana, del tipo di quelli usati in tempi andati nelle farmacie e nelle erboristerie. Lar?s fu attratta soprattutto dal pavimento, in marmo lucidissimo di diversi colori, giallo, turchino, verde smeraldo. Con le piastrelle colorate, come fosse un mosaico, era stato realizzato il disegno di uno dei principali simboli esoterici, un pentacolo, una stella a cinque punte, inscritto in un cerchio, a sua volta inscritto nel perimetro quadrato della stanza. Il simbolo dello spirito, una specie di asterisco, disegnato sulla piastrella pentagonale centrale, delimitata dalle linee dalla cui unione prendeva origine la stella a cinque punte, indicava il centro esatto della stanza. In ognuno degli altri settori in cui il pavimento era diviso dalle linee e dagli archi di cerchio si potevano riconoscere alcune figure, ognuna legata alla simbologia esoterica: la luna crescente e la luna calante, la luna piena, la congiunzione del sole con la luna nell'eclissi parziale e nell'eclissi totale, e altri ancora. Lar?s era allo stesso tempo affascinata e imbarazzata. «Nella casa in cui sono vissuta, in Transilvania, c'era un salone identico a questo» disse rivolgendosi ad Aurora nella stessa lingua in cui poco prima aveva parlato la maga. «La piastrella centrale indica il punto esatto in cui in passato ? accaduto un evento importante, che sia esso un fatto meraviglioso o di estrema negativit?. La mia mamma adottiva, Cornelia, raccontava che, in corrispondenza della mia dimora, tanti secoli or sono, un principe sceso dai Monti Carpazi, in una notte di luna piena, aveva amato una bellissima fanciulla e dall'accoppiamento era nata la bambina che avrebbe dato origine alla nostra progenie. Ma, a parte questa leggenda, sono anche a conoscenza del fatto che, provocando l'abbassamento della piastrella centrale, scatta un meccanismo di apertura di una sala segreta, nascosta dietro la specchiera. Cornelia sfilava dal collo una catena d'oro in cui era infilato un anello, dove era incastonata una pietra a forma di pentacolo, che si adattava alla perfezione a una serratura, nascosta dietro uno scaffale. Poi faceva abbassare la piastrella pentagonale, cosicch? la specchiera si spostava e lasciava accesso alla stanza segreta. L? erano conservati libri, manoscritti, pergamene, anche molto antichi, che le sue ave le avevano tramandato e che era il sapere a cui concedeva di avere accesso a coloro che aspiravano a divenire adepti del settimo livello.» «Da come parli, e da quello che percepisco con i miei poteri, so che tu hai gi? potuto prendere visione di quei documenti e possiedi, come me, i poteri e la sapienza del settimo livello, pertanto ? inutile che apra a te la stanza segreta. Insieme, invece, potremo affrontare il cammino che ci porter? al livello pi? alto, quello del Sapere Universale.» Mentre parlava, Aurora aveva preso del tabacco da un prezioso contenitore di porcellana e lo aveva messo in due cartine, per arrotolarle con abilit? a formare due sigarette. Ne offr? una a Lar?s, poi accese un fiammifero, avvicinandolo prima alla sigaretta della giovane, poi alla sua. Aspirando un'ampia boccata di fumo, Lar?s cap? che al tabacco erano state aggiunte sostanze stupefacenti ed eccitanti, ma lei era gi? abituata a fumare quel tipo di miscela. Se non lo fosse stata, sarebbe caduta preda del volere della maga, come in un'ipnosi provocata sia dalla droga che dai poteri occulti di Aurora. La droga stimol? invece in lei il desiderio sessuale, si avvicin? ad Aurora e si lasci? baciare e carezzare. Spente le sigarette, le due si spogliarono e giacquero insieme sul nudo pavimento, fino a che Lar?s raggiunse l'orgasmo. «Adesso che abbiamo unito i nostri corpi, uniremo le nostre menti e le nostre anime» disse Aurora alla ragazza ancora ansimante per il piacere provato. «Oggi ? un giorno particolare, unico, e dobbiamo sfruttare i nostri poteri, uniti, per evocare lo spirito di Artemisia, la mia ava bruciata al rogo giusto quattro secoli fa.» Lar?s seguiva incuriosita il discorso, mentre osservava che la luce che entrava dalla finestra stava diminuendo e gi? la luna piena era evidente nel cielo ancora azzurro del tardo pomeriggio. «Il 21 marzo 1589, quattrocento anni fa esatti, Artemisia fu legata al palo, conficcato nel terreno proprio l?, dove ora vedi la piastrella pentagonale contrassegnata dal simbolo dello spirito. Oggi ? l'equinozio di primavera, la luna piena fra qualche ora verr? oscurata dall'ombra della terra in un'eclissi totale. ? una congiunzione astrale molto rara a verificarsi. Notte ideale per un Sabba, ma non ? questo che ci interessa. Tu sei arrivata qui in queste ore, perch? io da sola non avrei avuto la forza di fare quello che stiamo per fare.» Prese delle forbici affilatissime e si tagli? accuratamente i biondi peli pubici, fino a rendere la zona genitale del tutto glabra. Li raccolse dentro un calice dorato e la stessa cosa fece poi con i peli pubici di Lar?s, molto pi? scuri dei suoi. Quindi prese da alcuni contenitori delle erbe essiccate, compresa un po' di quella miscela che avevano fumato in precedenza, e amalgam? il tutto, aggiungendo dell'olio, dopo di che depose con cura il calice al di sopra della piastrella centrale. Prepar? altre due sigarette, che avrebbero fumato, ancora nude, fino a raggiungere un certo grado di oblio, fin quasi alla trance. Intanto si era fatto buio e in cielo risplendeva il grande cerchio della luna, che lentamente veniva oscurato dall'ombra della Terra, in quel raro momento magico di allineamento dei tre corpi celesti. Nel momento in cui la luna fu completamente oscurata e la sua posizione era evidente solo come un alone rossastro, le due donne, nude, sedute sul pavimento unirono le mani e i piedi a formare un cerchio intorno e sopra il calice. Aurora pronunci? una formula magica: «Has Sagad?, Artemisia.» La finestra si spalanc?, una saetta entr? nel salone e and? a incendiare il contenuto del calice. Si lev? un fumo grigiastro, dal cattivo odore di carne bruciata, che ricordava l'odore della strega messa al rogo quattro secoli prima. Il fumo si modell? e prese le sembianze di una donna che, volteggiando e danzando, raggiunse Aurora e si fuse con il suo corpo. Adesso Aurora era Artemisia e Artemisia era Aurora. Lar?s assisteva inerme a questo fenomeno. Quando l'ultimo filo di fumo scomparve assorbito dal corpo di Aurora e il contenuto del calice si fu dileguato del tutto, le due donne caddero in un sonno profondo ed ebbero la visone di ci? che era accaduto quattrocento anni prima. Aurora viveva la visione in prima persona, nei panni di Artemisia, mentre Lar?s la viveva come spettatrice, mescolata alla folla che assisteva al supplizio della strega. Artemisia era legata al palo, sotto i suoi piedi erano state sistemate fascine derivanti dalla potatura degli olivi, e poi ciocchi pi? grossi di legna resinosa di pino e di abete. Il tutto era stato anche cosparso di olio per lampade. Agli altri quattro pali, che erano stati disposti a semicerchio dietro il suo, rispetto agli spettatori, erano state legate le sue quattro compagne: Viola, Emanuela, Alessandra e Teresa. Quest'ultima detta anche "il maschiaccio", in quanto era stata sorpresa pi? volte mentre giaceva con altre donne, era stata addirittura tacciata di essere un ermafrodita, persona in cui convivevano organi sessuali maschili e femminili. Era una donna dal clitoride talmente sviluppato da simulare un piccolo pene, capace anche di raggiungere l'erezione. Queste ultime quattro donne non sarebbero state bruciate, anche se qualche fascina era stata deposta ai loro piedi. Avevano confessato le loro colpe e avevano indicato Artemisia come loro “guida spirituale”, pertanto erano state legate ai pali, sia come monito alla popolazione locale, che per assistere da vicino al supplizio della loro ispiratrice. Come mai stava per aver luogo l'esecuzione, dal momento che il Doge di Genova aveva messo il veto agli Inquisitori della Chiesa, assicurando alle donne che non avrebbe permesso, in quei tempi moderni, una condanna a una morte cos? atroce? Il Doge andava fiero del fatto che un suo concittadino avesse scoperto, neanche un secolo prima, una nuova terra, l'America, mettendo fine a quel periodo buio che era stato il Medioevo. Non avrebbe pertanto mai permesso che la Chiesa, tramite l'Inquisizione, facesse bruciare vive queste donne, anche se erano state giudicate colpevoli di stregoneria, eresia, commistione con il diavolo, delitti contro Dio, contro la Chiesa e contro gli uomini. Il tutto era cominciato un anno e mezzo prima, nell'autunno del 1587, quando il Podest?, Stefano Carrega, e il parlamento locale, avevano indicato le streghe abitanti alla Ca Botina come principali responsabili della grave carestia, che da qualche tempo si era abbattuta su tutta la zona, e avevano chiesto al Vescovo di Albenga di istituire un processo alle presunte streghe, affinch? fosse messa fine alle loro malefatte con una punizione esemplare, la condanna al rogo. Erano giunti in paese due inquisitori, due frati domenicani vestiti di nero, uno era il Vicario del Vescovo e l'altro il Vicario dell'Inquisitore di Genova. I “corvi”, come li chiamava la gente del luogo, fecero arrestare le cinque streghe abitanti alla Ca Botina, le quali, sotto tortura, accusarono molte altre donne del paese, non solo di origini contadine, ma anche appartenenti alle famiglie pi? nobili. A un certo punto gli inquisitori erano arrivati ad arrestare circa duecento presunte streghe e il Consiglio degli Anziani, considerato anche che gi? due donne erano morte, una per le torture inflitte, un'altra caduta da una finestra in seguito a un tentativo di fuga, decise di rivolgersi al Doge di Genova, perch? ponesse fine al processo e facesse s? che venissero condannate solo le vere streghe, quelle della Ca Botina, il gruppo legato ad Artemisia, in tutto tredici donne e una fanciulla di 13 anni. Il governo genovese, quindi, non del tutto convinto della regolarit? del processo a Triora, decise di interessarsene pi? da vicino. Passarono alcuni mesi in cui, mentre il Doge di Genova e il Vescovo di Albenga non trovavano un accordo sulla competenza per procedere, le donne rimanevano in prigione alla merc? di carcerieri che non risparmiavano loro umiliazioni e ne abusavano anche sessualmente. Nel successivo mese di Maggio, giunse a Triora l'Inquisitore Capo, per visitare le donne in carcere e accertarsi della situazione. Dopo averle di nuovo sottoposte alla tortura del fuoco, conferm? le accuse per le tredici donne e lasci? libera la ragazzina. Le donne furono processate con le accuse di reato contro Dio, commercio con il demonio, omicidio di donne e bambini. Ad Agosto si giunse alla conclusione del processo, con la condanna a morte per Artemisia e le altre quattro donne pi? unite a lei: Emanuela Giauni, detta Emanuela la Capricciosa, Viola e Alessandra Stella e Teresa Borelli, detta Teresa il Maschiaccio, per la sua abitudine di portare i capelli corti, vestire abiti maschili e giacere con altre donne. Quando sembrava che ormai l'esecuzione della condanna delle cinque donne, per impiccagione e incenerimento dei resti, fosse imminente, intervenne il Padre Inquisitore di Genova, chiedendo che fosse rispettata la sua carica, fino a quel momento estromessa dal processo. Spettava a lui, infatti, in quanto rappresentante dell'Inquisizione di Roma, giudicare i crimini delle streghe. Cos? le cinque condannate vennero trasportate a Imperia e da l?, a bordo di una nave, fino a Genova, dove furono rinchiuse nelle carceri governative, in quanto l'Inquisizione non aveva posto sufficiente, andando a far compagnia ad altre presunte streghe di altre cittadine della zona. Tutto sembrava andare per il meglio, in quanto il Doge aveva promesso che avrebbe fatto in modo, ora che erano sotto la sua protezione, di salvare loro la vita. Le avrebbe tenute in carcere per un periodo, poi, quando la popolazione si fosse dimenticata di loro, le avrebbe rese libere, col patto di non fare ritorno al loro paese di origine. Ma il maligno, sotto le spoglie mortali del Podest? e del capo del Consiglio degli Anziani di Triora, ci mise lo zampino. Non fu difficile, per gli scagnozzi assoldati dai due illustri personaggi, corrompere i carcerieri con poche monete d'argento, sostituire le cinque streghe con altrettanti cadaveri di povere donne, morte per malattia o per gli stenti dovuti alla carestia che ancora imperversava tra i monti dell'alta Valle Argentina, e riportare le cinque streghe a Triora per un'esemplare esecuzione pubblica. Legata al palo, Artemisia ripercorreva con la mente le principali tappe della sua vita, a partire dalla sua iniziazione, quando, poco pi? che tredicenne, si ritrov? al centro del cerchio magico, creato da sua mamma, sua nonna e altre adepte della setta, nei pressi della Fonte della Noce, una fontana situata sotto un grande albero di noci. Gi? allora aveva percepito la forte presenza del Maligno, una forza negativa all'esterno del cerchio, che voleva le sue vittime per assimilarne i poteri e diventare impareggiabile nella sua malvagia potenza. Gli insegnamenti trasmessi dalla mamma e dalla nonna, l'acquisizione dei poteri della veggenza e dell'uso del tatto e della vista per percepire e guarire i mali del corpo e dell'anima, erano stati da lei sempre utilizzati a fin di bene. Aveva appreso i poteri curativi delle erbe,diventando abile nel produrre pozioni che abbassavano la febbre, che toglievano i dolori, che aiutavano le donne partorienti durante il travaglio. Aveva imparato a usare, nelle giuste dosi, spore di funghi velenosi, da applicare su ferite infette per far regredire le secrezioni purulente. Aveva imparato a fabbricare talismani, a recitare le formule magiche di rito, a eseguire incantesimi di invisibilit?, a formare i cerchi magici protettivi. Ma non aveva mai usato i suoi poteri per scopi malvagi, mai. Eppure, alla fine, era stata additata come strega e, insieme alle sue quattro compagne pi? fidate, Emanuela, Viola, Alessandra e Teresa, era stata imprigionata e torturata con la corda, con il fuoco e con l'acqua. All'inizio dell'estate del 1588 era giunto nella sua cella il Podest?, Stefano Carrega, che era colui che aveva iniziato la caccia alle streghe e, in quel momento, Artemisia aveva capito che era lui che rappresentava il male, la grande minaccia che incombeva su di lei e sulle sue amiche. Gi? indebolita dalle torture, fu denudata e legata mani e piedi a due pali di legno disposti formare una croce di Sant'Andrea, cosicch? avesse braccia e gambe divaricate. I carcerieri le rasarono i peli della zona genitale, poi la lasciarono sola con il Podest? che le si avvicin? sollevando la tunica e mostrando un grosso membro gi? in erezione. Non c'era possibilit? per Artemisia, legata com'era, di sottrarsi alla violenza sessuale, ma era conscia di dover essere forte in quella situazione, di non dover cedere al piacere, altrimenti, con l'atto sessuale, l'uomo le avrebbe sottratto tutti i suoi poteri e le sue conoscenze, assumendole su di s?. Ne usc? vittoriosa. Mentre sentiva il caldo eiaculato penetrare nelle sue viscere, dispose la sua mente a essere il pi? lontano possibile da l?, a vagare per i boschi a lei cari, e il suo corpo a non provare neanche un fremito, neanche un sussulto. Il Podest?, non essendo riuscito a raggiungere i suoi scopi, divenne furibondo. «Peggio per te, strega! Morirete sul rogo, tu e le tue compagne, e la forza delle fiamme trasferir? su di me i vostri poteri.» Il fatto di aver vinto quella battaglia le aveva dato un barlume di speranza e quando, nonostante la condanna degli inquisitori, lei e le sue quattro compagne vennero trasferite a Genova, pens? che il pericolo si fosse allontanato. Certo, dopo il rapporto col Podest? non le era pi? venuto il ciclo mensile. Era evidente che portava in grembo un figlio, o meglio, come poteva percepire, una figlia. Si rifiutava di ammettere che fosse figlia del maligno. L'avrebbe comunque iniziata alle pratiche magiche ed esoteriche, proprio come era stato fatto con lei da sua madre e da sua nonna, anzi, sentiva in cuor suo che quella figlia avrebbe avuto dei poteri soprannaturali davvero forti, in grado di contrastare qualsiasi potenza maligna e portare avanti nel bene la sua stirpe. Ma, dopo qualche mese, il maligno era rientrato in attivit?, si era alleato con il Consiglio degli Anziani e aveva inviato a Genova degli uomini incappucciati per riportare lei e le sue quattro compagne a Triora, dove sarebbero state giustiziate. Nel mese di Marzo Artemisia era quasi a termine gravidanza. Quando giunse a Triora, il capo del Consiglio degli Anziani, Giulio Scribani, volle accertarsi di persona del suo stato, in quanto non poteva permettere che, insieme alla strega, fosse bruciata sul rogo una creatura innocente. Artemisia us? tutti i suoi poteri per penetrare nella mente dell'anziano, in cui inculc? il concetto che lei si sarebbe sacrificata sul rogo, purch? il suo sacrificio fosse servito a salvare sua figlia e le sue compagne. Il Podest? aveva fatto allestire i cinque roghi e gi? pregustava lo spettacolo di quella sera, in cui, per una rara congiunzione astrale, in quel giorno di equinozio di primavera, giorno di plenilunio, si sarebbe verificata un'eclissi totale della luna. Ma Giulio impose il suo volere. «Non voglio assistere a una barbara strage. Ho mandato una levatrice da Artemisia, conosce i sistemi per procurarle un parto anticipato. Il neonato sar? affidato a una nutrice. Solo Artemisia, che ? la pi? potente delle streghe, sar? bruciata. Le altre, legate ai loro pali, assisteranno alla sua esecuzione, poi saranno marcate in modo tale che chiunque le incontri le riconosca come streghe e le eviti. Ognuna di loro ha gi? uno strano tatuaggio sulla gamba destra, nella parte interna del polpaccio. Vi sono raffigurati tre tomi, che rappresentano i libri che hanno consultato e che hanno studiato per diventare adepte della loro setta. Faremo completare il tatuaggio con delle fiamme che avvolgono i libri e lo stesso tatuaggio sar? fatto a ogni primogenito femmina nella discendenza di queste streghe!» Il Podest? lanci? lampi di odio nei confronti dell'anziano, ma non poteva contraddirlo. Almeno avrebbe potuto assumere la parte dei poteri di Artemisia. Ma questa, legata al palo, in attesa che le fiamme fossero appiccate alla sua catasta, rimaneva concentrata e formava una barriera protettiva nei confronti delle sue amiche, che erano in contatto telepatico con lei. La posizione a semicerchio degli altri patiboli dietro il suo favoriva la protezione. Cos?, quando dalla folla degli spettatori si levarono grida «Non le risparmiate, bruciatele tutte!» e un uomo, con una torcia accesa in mano, riusc? a scavalcare la barriera delle guardie e avvicinare la fiamma al rogo di Teresa, due armigeri lo presero sottobraccio e lo rispedirono in mezzo al pubblico con un calcio be assestato nel sedere. L'uomo rotol? a terra e si ferm? proprio ai piedi di Lar?s, che gli lanci? uno sguardo di disapprovazione. Pochi istanti dopo, il boia prese una torcia da un braciere, prima la sollev? in alto per mostrare a tutti le fiamme, poi la avvicin? alla catasta di legna ai piedi di Artemisia, che si incendi?. Artemisia, prima che le fiamme cominciassero ad avvolgere il proprio corpo, rivolse lo sguardo alla luna, che in quel momento era oscurata dal fenomeno dell'eclissi e percepibile solo come una sfera rossastra circondata da un alone, e lasci? andare il suo spirito. Doveva evitare che i suoi poteri e la sua sapienza si trasferissero a Carrega, indirizzandoli invece, con l'aiuto telepatico delle compagne, alle quali il suo sacrificio aveva salvato la vita, verso la bambina che aveva da poche ore partorito e che si sarebbe chiamata Aurora, la prima luce del mattino. In breve, le fiamme ebbero ragione del corpo di Artemisia e lo avvolsero, la donna si trasform? in torcia umana, i capelli bruciarono, i vestiti si incenerirono, lasciando scoperta la carne, che divent? prima rossa, poi nera. La sagoma di Artemisia, che ancora si torceva, era ormai solo intuibile in mezzo al muro di fuoco, che ardeva rombante. Alla fine Artemisia, con un ultimo prolungato grido di dolore, spir?, mentre le fiamme continuavano a svolgere il loro crudele lavoro. Al termine, al suolo sarebbe rimasto solo un mucchietto di ceneri. Quando Aurora e Lar?s ritornarono alla realt? erano ancora nude, distese sul freddo pavimento di marmo, con i corpi imperlati di sudore per la tensione dell'esperienza appena vissuta. Aurora, ancora stordita, afferr? un kimono di seta, lo indoss?, e ne offr? uno simile alla ragazza, che era in preda ai brividi e fu ben felice di indossarlo. Quindi Aurora and? in cucina a preparare una tisana rilassante, tornando dopo qualche minuto con due tazze fumanti, che spandevano un aroma di menta nel salone. «Perch? abbiamo avuto questa visione? Qual ? il significato?» chiese Lar?s, cominciando a riprendersi. «Credo di aver capito che il maligno, che ? rimasto quiescente per quattro secoli, stia riprendendo vigore e voglia sacrificare delle vittime per aumentare la sua forza e la sua potenza. Dobbiamo fare attenzione, perch? quelle vittime potremmo essere io, tu o le altre nostre sorelle, discendenti di coloro che quattrocento anni fa scamparono alla morte tra le fiamme.» «Come possiamo prepararci ad affrontarlo? Abbiamo abbastanza forza per farlo?» «Mia cara Lar?s, tu e io dovremo affrontare un lungo e periglioso viaggio fino al tempio dove vive il Grande Patriarca, che ci offrir? l'accesso al sapere universale, di cui egli ? custode. Ci saranno date la forza e la sapienza necessarie.» Passo dopo passo, reggendosi alle corde laterali, erano giunte circa a met? del ponte che oscillava a ogni loro movimento, quando una folata di vento pi? forte fece gelare il cuore di Lar?s, che cerc? di nuovo gli occhi di Aurora per sentirsi rassicurata. Con cautela, le due sfilarono gli zaini dalle spalle, indossarono le giacche a vento e proseguirono fino a raggiungere la radura erbosa al di l? del ponte. Da l? iniziavano almeno cinque sentieri, che si dirigevano in direzioni diverse. Quale poteva essere quello giusto da seguire? Aurora vide due rami incrociati con della terra smossa intorno, cerc? un lungo ramo e, facendo attenzione a non andare a calpestare la terra smossa, distrusse la croce poi, con lo stesso ramo, disegn? un cerchio in terra, recitando delle parole che Lar?s riconobbe come quelle di un contro incantesimo. Qualcuno aveva messo in atto un sortilegio, per metterle in difficolt? sul cammino da seguire. Ma Aurora aveva molta esperienza. Completato il cerchio e rivolte le parole verso il cielo, fu evidente che dalla radura aveva inizio un solo sentiero, che era quello da seguire. Attraversata la lingua di un ghiacciaio, il sentiero volgeva in discesa, fino a che le praterie d'altura lasciavano il posto a un bosco, sempre pi? fitto man mano che si scendeva. Ad ogni bivio, ad ogni biforcazione del sentiero, le due, d'istinto, sapevano sempre quale direzione seguire. Il bosco offriva frutti e bacche mangerecci e ogni tanto si rinveniva una fonte d'acqua fresca per cui, anche se i viveri di scorta cominciavano a scarseggiare, non c'era modo di dover soffrire la fame o la sete. Anche le temperature si erano fatte pi? gradevoli e non vi era pi? necessit? di avere indosso le giacche a vento. Il quinto giorno di cammino, uscendo dal fitto bosco, si ritrovarono in un'amena vallata, in fondo alla quale videro la loro meta. Il tempio era una costruzione antichissima che si era mantenuta intatta nel corso dei secoli e dei millenni, costruito com'era sulla solida roccia in un luogo non accessibile ai comuni mortali. Ci? che dest? lo stupore delle due donne fu la centrale idroelettrica che si intravedeva sul retro del tempio. Una cascata, con la forza di un salto di alcune centinaia di metri, alimentava le turbine che fornivano energia elettrica all'antico edificio. Accanto alle turbine, una serie di pannelli solari provvedevano a fornire acqua calda e contribuivano anch'essi a generare elettricit?. Un antesignano impianto fotovoltaico, non ancora in funzione, completava la centralina, che rendeva quell'oasi del tutto autonoma dal punto di vista energetico. Giunte all'ingresso del tempio, furono accolte da due uomini dall'aspetto fisico statuario. «Siate benvenute al tempio della Conoscenza e della Rigenerazione. Il Grande Patriarca vi sta aspettando e, appena possibile, vi ricever?. Nel frattempo saremo le vostre guide, vi condurremo ai vostri alloggi e faremo in modo di rendere piacevole la vostra visita in questo incantevole luogo. Di qualsiasi cosa abbiate bisogno, chiedete e cercheremo di accontentarvi. Io sono Ero e il mio compagno ? Dusai.» I due uomini, vestiti solo con corte tuniche colorate, erano alti e possenti, i muscoli evidenti sembravano scolpiti, richiamando alla memoria antiche statue greche. Ero aveva capelli biondi, ricci, piuttosto lunghi, carnagione chiara, anche se lievemente abbronzata, e occhi azzurri del colore del cielo, Dusai moro, i capelli neri corti, gli occhi scuri e la carnagione del colore dell'ebano. Mentre Dusai si prendeva cura di Aurora, Ero si inchin? avanti a Lar?s e prese il suo bagaglio. I quattro, attraversato un cortile quadrato, si addentrarono nell'edificio e camminarono lungo corridoi decorati. Gli affreschi alternavano scene di caccia a scene di guerra e di accoppiamenti tra animali. Arrivarono, infine, in un chiostro, al centro del quale vi era una piscina. Sotto i portici si aprivano le porte delle stanze degli ospiti. Qui le decorazioni rappresentavano accoppiamenti tra uomini e donne, in tutte le posizioni possibili e immaginabili tratte dai pi? impensabili manuali di Kamasutra. Le due donne furono invitate dai loro ciceroni a entrare ognuna in una stanza, dove furono aiutate a spogliarsi e a rilassarsi con un lungo e accurato massaggio tonificante. Dopo un paio d'ore le due donne e i due uomini si ritrovarono insieme all'interno della piscina per godere dei piaceri di un buon bagno nell'acqua tiepida della vasca, e del sesso offerto in maniera spontanea e sensuale da Ero e Dusai. Spossate dai giorni di cammino, ma rigenerate nello spirito, Aurora e Lar?s furono rifocillate. La tavola imbandita offriva montone arrosto con contorni di saporite verdure e un'incredibile variet? di succulenti frutti. Al termine del banchetto, si ritirarono nelle loro stanze per sprofondare in un meritato sonno ristoratore. L'indomani, di buon mattino, i ciceroni portarono a ognuna delle due donne una profumatissima tazza di t?, accompagnata da dolcetti a base di uva sultanina e mosto, dicendo loro di prepararsi per essere ricevute dal Grande Patriarca. I loro compagni del giorno precedente le accompagnarono fino ai piedi di una scalinata, che conduceva ai piani superiori. Da quel momento sarebbero state accompagnate da una guida ben pi? anziana e molto meno attraente, in quanto a Ero e Dusai non era concesso salire al cospetto del Patriarca. Hiamal?, cos? si chiamava la nuova guida, era una persona che dimostrava almeno un'ottantina di anni, ma si diceva che ne avesse molti di pi?. Una lunga barba grigia ornava il suo viso e i capelli lunghi e argentei erano raccolti dietro la nuca in una lunga treccia. Salut? le donne nell'antica lingua e le invit? a salire. Nonostante l'et?, l'anziano affront? con agilit? la scalinata, ramo dopo ramo, fino ad arrivare al quinto livello. Aurora e Lar?s si resero conto di essere su una specie di torre che sovrastava il tempio e che, dalle finestre, si poteva ammirare la costruzione in tutta la sua magnificenza. L'anziano Hiamal? si inginocchi? avanti a una porta in legno, decorata con stupendi intarsi, e invit? le due donne a fare altrettanto. Come se qualcuno avesse avvertito la loro presenza, anche se non annunciati, la porta si spalanc? e le due donne si trovarono al cospetto del Grande Patriarca. «Non c'? alcun bisogno che vi prostriate avanti a me» disse, congedando l'anziano e invitando le due donne a entrare nella sua stanza. «Siete le benvenute. Vi stavo aspettando da tempo, la percezione del vostro arrivo era forte dentro di me. Mi presento a voi, fedeli adepte, che aspirate al sapere universale. Da quando sono in questo luogo mi faccio chiamare Roboamo, anche se questo non ? il mio vero nome, in onore del figlio del Re Salomone che cos? si chiamava. La tradizione vuole che questo tempio sia stato fatto edificare proprio dal saggio Re in questi luoghi inaccessibili, tra queste che sono le pi? alte montagne della Terra, per fare da scrigno e da protezione al libro di magia pi? antico e pi? esatto, scritto proprio di suo pugno, “La chiave di Salomone”. Le leggende narrano che tale libro sia stato ritrovato, dopo qualche secolo dalla morte del famoso Re, all'interno della sua tomba, conservato in un contenitore in avorio insieme a un anello recante il suo sigillo. In molti cercarono di tradurre quello scritto prima in Latino, poi in Francese, ma nessuno riusc? appieno nell'intento, in quanto quello era solo un falso e Re Salomone aveva fatto in modo di renderlo incomprensibile. L'originale “Chiave di Salomone” ? invece conservata nel Sancta Sanctorum di questo tempio e solo poche sagge persone, nel corso dei millenni, vi hanno potuto avere accesso. Forse tu, Aurora, potrai entrare a far parte di quei pochi eletti, ma non precorriamo i tempi. Voi siete qui per accedere al sapere conservato in questo luogo cos? come, prima di voi, sono giunte persone desiderose di consultare importanti testi, che sono stati raccolti qui da tempo immemorabile. Sono giunti sacerdoti di qualsiasi tipo di religione, ma anche importanti uomini di scienza, grazie ai quali questa costruzione ? stata dotata di moderni comfort. Avete visto voi stesse l'impianto per la produzione di energia elettrica. Non ? semplice far arrivare qui materie prime per la costruzione di tali impianti. L'ultimo scienziato che ci ha fatto visita era un Italiano, la cui idea era quella di trasformare l'energia dei raggi solari, ma anche quella insita nella luce stessa, in energia elettrica, per mezzo di microcelle, che lui chiamava celle fotovoltaiche, in onore del suo compaesano Alessandro Volta. Ma, mentre in voi vedo delle aure positive, intorno a lui aleggiava un'aura scura, tendente al nero, indice di malvagit? e perfidia d'animo.» «Come si faceva chiamare?» chiese Aurora, incuriosita e intimorita. «Ha avuto accesso al sapere, anche se avete dubitato di lui?» «Mia cara Aurora, tu hai un'aura di un azzurro intenso, come il cielo limpido, e quindi hai il cuore puro, ma sei molto sensibile agli influssi esterni, perch? ti fidi di tutti. Ed ? per questo che sei accompagnata da Lar?s, che ha un'aura rossa come il fuoco e che rivela il suo carattere impulsivo, determinato, pronto a sacrificare anche la sua stessa vita per aiutare chi le ? vicino. Non posso rivelarti il nome di quella persona. Chiunque arrivi qui ha accesso ai testi e ai manoscritti che vi sono conservati. Poi sta a lui decidere come usare il sapere acquisito, se nel bene o nel male. Vedi, ogni religione tende a identificare il bene con Dio e il male con un'altra divinit? contrapposta. Che poi Dio venga chiamato Javh?, Vishnu, Odino o Allah e il diavolo Satana, Lucifero, Seth o Sehuet ? indifferente. Il bene e il male ? dentro ognuno di noi e l'eterna lotta tra di loro si consuma nel nostro animo. In alcuni prevale il bene, in altri il male.» «Grande Patriarca, rivelaci il percorso per accedere al Sapere Universale» riprese Aurora, «e ti saremo grate e ti onoreremo per il resto della nostra vita mortale.» «Vedete, ci sono due vie per raggiungere l'obiettivo, una pi? rapida e una pi? lenta. Lar?s, che ? giovane seguir? questa seconda via, avr? tutto il tempo di consultare i testi, assimilare quanto contenuto in essi e imparare a usare, con l'aiuto dei Maestri, il suo Terzo Occhio, quello della saggezza, quello con cui riuscir? a percepire l'aura delle persone che le stanno intorno e penetrare i loro pensieri, entrando in contatto con la loro mente. ? un percorso lungo che io stesso a suo tempo ho intrapreso, e che richiede costanza, concentrazione e applicazione. Per te, Aurora, che hai invece premura di assimilare tutto in fretta e tornare alla tua patria per combattere le forze maligne, ho in serbo una strada pi? breve.» Battendo le mani, chiam? Hiamal?, che condusse Lar?s fuori della stanza, mentre da un'altra porta entrarono due giovani ancelle con una tisana fumante per l'anziano patriarca. Roboamo bevve con cura poi, da un vassoio che gli veniva porto da una delle due ancelle, prelev? un astuccio e ne estrasse una siringa. «Papaverina. Inoculata nel corpo cavernoso del pene, consente un'erezione duratura per un soddisfacente rapporto, anche per una persona anziana come me. Ti trasmetter? tutto il mio sapere e la mia scienza tramite la congiunzione carnale, dopo di che avrai accesso al Sancta Sanctorum.» Le ancelle aiutarono Aurora a spogliarsi e a coricarsi sui cuscini disposti all'uopo sul pavimento, poi si presero cura del vecchio, lo liberarono dei vestiti, gli praticarono l'iniezione, lo massaggiarono per bene, e quando capirono che era pronto a consumare il rapporto con la nuova arrivata, si ritrassero in un angolo della stanza. Il rapporto con l'anziano procur? ad Aurora un immenso piacere. Chiuse gli occhi e si abbandon? alle spinte di Roboamo. Al culmine dell'eccitazione, raggiunto l'orgasmo, cap? che con il flusso di sperma stava penetrando in lei un calore che la pervadeva dalla punta dei piedi all'ultimo capello. Stava assimilando in un sol colpo tutto il sapere che l'anziano aveva accumulato in decenni di permanenza in quel luogo inaccessibile. A un certo punto, Aurora si rese conto che Roboamo era immobile sopra di lei. Aveva ancora il pene eretto, per effetto della papaverina, ma non respirava pi?, era spirato. Con un delicato movimento, spost? di lato il corpo di Roboamo e con non poca difficolt? si sganci? da lui. Mentre le ancelle si prendevano cura del defunto, Aurora si rivest? e venne assalita dalla paura: come raggiungere il Sancta Sanctorum senza la guida di Roboamo? Ma poi, concentrandosi, cap? che, oltre al sapere, aveva assimilato tutto quello che era conservato nella sua memoria, e quindi conosceva gi? la strada da seguire per raggiungere la meta. Ma c'era di pi?, il rapporto appena consumato l'aveva trasformata, aveva la pelle pi? liscia, i seni pi? sodi, le gambe pi? snelle, i capelli meno sottili, insomma si sentiva ringiovanita. Cerc? uno specchio, che le restitu? l'immagine di una ventenne, l'immagine di lei stessa ma con quaranta anni in meno. Con le mani si tocc? il volto, come per accertarsi che quello che vedeva fosse reale e non fosse una visione. Le rughe erano sparite, i suoi occhi verdi brillavano, non c'era ombra di opacit? nel cristallino, i capelli erano tornati al loro color castano chiaro naturale. Ma non era tempo di soffermarsi su futili elementi. Doveva raggiungere la “Chiave di Salomone”. Cercando di seguire i ricordi impressi nella mente di Roboamo, ridiscese le scale fino a piano terra. In un salone dalle pareti decorate, cerc? una statua dorata che raffigurante un gatto. In corrispondenza del collo di quest'ultimo not? un medaglione dalla forma di un pentacolo. Lo ruot? e vide aprirsi un passaggio nella parete di fondo, l'unica su cui non si aprivano finestre. Entr? in un lungo corridoio semibuio, illuminato ogni tanto dalla fioca luce di antiche lampade a olio. Al termine del corridoio una scala a chiocciola scendeva nei sotterranei, fino a un altro salone riccamente decorato. And? dritta verso una massiccia porta dorata, arricchita da bassorilievi in oro zecchino, raffiguranti episodi della vita del Re Salomone. Non vi era serratura per aprire tale porta, n? altri marchingegni. Per accedere al Sancta Sanctorum occorreva un comando vocale, diverso a seconda dei giorni della settimana e delle ore del giorno. Aurora, calcolando che in quel momento avrebbe dovuto invocare la luna, pronunci? a gran voce: «Levanah!» La massiccia porta dorata inizi? a scorrere all'interno del muro a doppia testata, lasciando libero accesso alla pi? segreta delle stanze del tempio. Al centro della stanza, sopra una colonna di circa un metro e venti di altezza, un cofanetto d'avorio custodiva il libro e l'anello con il sigillo di Salomone, il pi? potente talismano di tutti i tempi. Non senza emozione, apr? lo scrigno. Il libro era al suo posto, ma non l'anello. Chi era giunto l? prima di lei era riuscito a trafugarlo, assicurandosi una potenza non indifferente e difficile da combattere, qualora utilizzata per scopi malefici. Ma ora la maga non aveva tempo di pensare, aveva tutta la notte per poter assimilare quanto Salomone aveva scritto tantissimi secoli prima, cosa che non aveva ricevuto dalla memoria di Roboamo, in quanto egli, anche se aveva accesso al Sancta Sanctorum, non aveva mai avuto il coraggio di affrontare il sacro testo. Quando fu sicura di avere imparato a memoria tutte le formule e le invocazioni, ripose la Chiave nel cofanetto e usc?, percorrendo a ritroso il cammino fatto per arrivare fin l?. Quando usc? nel salone, not? che dalle finestre iniziavano a entrare le prime luci dell'alba. Ruot? il medaglione sulla statua del gatto, riportandolo alla posizione iniziale, e il passaggio da cui era appena uscita si richiuse. Era ora di tornare a casa, in Liguria, e questa volta il viaggio sarebbe stato breve. Avrebbe usato il teletrasporto, che era una delle nuove magie che aveva appena appreso. Ma prima doveva congedarsi da Lar?s. Torn? al chiostro, dove si trovavano le stanze degli ospiti, incontr? Ero e Dusai gi? alzati che conversavano sul bordo della piscina. A entrambi sfugg? un apprezzamento sul nuovo aspetto di Aurora. «Accidenti! Fosse stata cos? l'altro giorno!» comment? Dusai. La maga evit? di ribattere e buss? alla porta di Lar?s, che era ancora immersa nel mondo dei sogni. Assonnata, Lar?s apr? la porta e guard? la giovane con aria interrogativa. Quando si rese conto che era la sua compagna di viaggio, si stropicci? gli occhi pensando che ancora stesse sognando. «S?, sono io!» disse Aurora. «Me ne sto andando, ma rimarremo in comunicazione telepatica. Quando avr? bisogno di te, lo saprai, e avrai modo di raggiungermi nel pi? breve tempo possibile.» Poi avvicin? le sue labbra a quelle di Lar?s, e la baci?. «A presto!» Aurora usc? dal tempio e raggiunse una radura isolata, dove si sedette in terra, avendo cura di non incrociare le gambe, si concentr? sul luogo in cui doveva recarsi e pronunci? la formula magica. Come catturato da un vortice, da una specie di tromba d'aria, il suo corpo svan? per riapparire a Triora, all'interno della sua dimora. «Eccomi a casa!» CAPITOLO IV Ci dirigemmo a piedi verso la scena del delitto, che era gi? stata delimitata dalle strisce di plastica bianche e rosse con la scritta "Polizia di Stato". Il luogo era annerito dall'incendio e bagnato dall'acqua usata per spegnerlo, ma quello che pi? colpiva era l'odore nauseabondo che si era costretti a respirare. L'odore della carne umana bruciata, che ancora aleggiava nell'aria, era davvero insopportabile. Quando vidi il corpo, riuscii a trattenere a stento un conato di vomito. A prima vista sembrava un manichino, piegato su stesso, addossato a un cancello metallico che chiudeva una specie di grotta, la forma umana annerita dalle fiamme. Non c'era pi? traccia dei capelli e in qualche zona si intravedevano le ossa in mezzo a qualche brandello di pelle incartapecorita. Si intuiva che era il corpo di una donna dalla sagoma dei seni. All'altezza di polsi e caviglie si notavano come dei filamenti di plastica fusa, indice di qualcosa che doveva essere servita per legare la vittima al cancello. Il medico legale stava eseguendo i primi rilievi sul corpo, mentre gli uomini della scientifica erano in paziente attesa che questi terminasse per iniziare il loro lavoro. Dicendo a Mauro di attendermi, mi avvicinai oltrepassando la barriera di strisce di plastica. Quando avvert? la mia presenza, il medico sollev? la testa e sfil? i guanti di lattice, scuotendo la testa. La persona che stava porgendo la mano verso di me era una donna sulla trentina, minuta, capelli corti mori, occhi scuri e un piccolo piercing dorato al naso. «La dottoressa Ruggeri, immagino! Piacere, dottoressa Ilaria Banzi, medico legale.» «Che cosa mi pu? dire di questa povera donna?» «Veramente raccapricciante, nella mia sia pur breve carriera non ho mai visto niente di simile. Non so dire ora se fosse viva o morta quando ? stata data alle fiamme ma, dal momento che sembra evidente che sia stata legata mani e piedi a quel cancello con del nastro adesivo, penso proprio che sia stata bruciata viva. Questo particolare ce lo dir? l'autopsia. Per il momento posso dire che siamo in presenza di soggetto di sesso femminile, intorno ai trentacinque, quarant’anni al massimo, a giudicare dalla dentatura, ma non posso essere precisa neanche in questo, in quanto il fuoco ha alterato tutto. Appena la scientifica avr? fatto i suoi rilievi, disporr? il trasferimento del corpo all'obitorio e nel pi? breve tempo possibile le invier? il referto necroscopico. Tra poco sar? qui anche il magistrato. Le auguro buona fortuna, non sar? un'indagine semplice!» Mi congedai da lei e andai verso gli uomini in uniforme. «Si sa qualcosa dell'identit? della vittima?» chiesi. «Sicuramente non aveva documenti addosso!» fu la risposta sarcastica di un sovrintendente, che fulminai con lo sguardo. «Capisco, non era una battuta felice. Ci? che sappiamo ? che la vittima ? stata legata con del grosso nastro adesivo, quello da pacchi per intenderci, all'inferriata metallica ed ? stato appiccato il fuoco. Quella specie di grotta ? in realt? una vecchia legnaia, all'interno della quale c'era legna secca e altro materiale infiammabile. Dal momento che in questa zona si parla tanto di streghe, abbiamo pensato che qualcuno abbia voluto simulare l'esecuzione di una strega al rogo. Magari un gioco sadico tra due amanti, perch? no? Lei si fa legare, consenziente, lui accende un fuocherello per dare pi? verve al gioco, ma poi la situazione sfugge di mano, si alza il vento, scoppia l'incendio e per la donna, cos? legata, non c'? scampo. Ci siamo fatti quest'idea.» «Molto fantasiosa, direi, e mal supportata da elementi probatori. A lei piace fare giochetti di questo tipo con la sua compagna?» Forse colpito nella sua intimit?, arross?, si schiar? la voce e cerc? il modo di defilarsi: «Sta arrivando il magistrato. Ora sar? lui a formulare le ipotesi giuste. Mi perdoni, le mie erano solo congetture.» Il magistrato era un uomo sui cinquant'anni, capelli brizzolati, alto quasi quanto Mauro, magro. A vederlo somigliava a un rapace, con il naso adunco, le labbra strette e gli occhiali da lettura alzati sulla fronte. Si avvicin? a Mauro, che gli strinse la mano e mi present?. «Dottor Leone, la dottoressa Ruggeri. La mia collega ? appena arrivata da Ancona e si ? gi? trovata nel pieno delle attivit?.» «Gi?, vedo! Bene, credo che qui per me al momento ci sia poco da fare. Tenetemi aggiornato sulle indagini e cercate di chiudere questo caso nel pi? breve tempo possibile. Non siamo abituati a tali delitti efferati in questa zona e non voglio noie con i giornalisti.» Cercai di intervenire, chiedendogli se volesse interrogare insieme a noi la proprietaria della limitrofa abitazione, la famosa Aurora, ma lui si conged? con una morbida stretta di mano e un “Buon lavoro!”. Chiss? perch? ho sempre odiato le persone che quando ti danno la mano non la stringono, comunque intentai un sorriso a denti stretti e risposi: «Grazie.» Quando si fu allontanato, mi rivolsi a Mauro. «Se ora arrivasse anche il questore di Imperia e fosse altrettanto simpatico, rischierei di giocarmi il posto che ho appena ricoperto. Mi capisci, vero? Bene, mentre la scientifica fa il suo lavoro qui, andiamo a conoscere questa strega.» Mauro mi sorrise con aria complice e mi segu? volentieri. Tutto sommato iniziava a starmi simpatico e presto avrei scoperto che, dietro l'aria da Rambo tutto muscoli, nascondeva un'intelligenza spiccata ed era un buon osservatore, tutti elementi che ne facevano un bravo poliziotto ed un valido collaboratore. Un sentiero attraversava la vegetazione, usciva sulla strada sterrata da cui eravamo giunti e conduceva a un edificio isolato, una specie di casa colonica, dall'aspetto antico, ma in ottime condizioni. Sullo spiazzo antistante faceva bella mostra di s? l'auto della padrona di casa, una Porsche Carrera di colore grigio metallizzato. Ci accolse una bella quarantenne, bionda, gli occhi di un verde-azzurro raro a vedersi, pi? alta di me, la carnagione chiara, liscia, senza una ruga evidente. Indossava un kimono scuro con degli strani disegni, in cui riconobbi alcuni simboli esoterici, chiuso sul davanti solo da una cinta. A ogni passo faceva capolino dall'abito una lunga coscia rosata. Il decolt? dava buona visibilit? al prosperoso seno e non lasciava molto spazio all'immaginazione. Vidi lo sguardo di Mauro posarsi con interesse sul soggetto, forse con la speranza che prima o poi l'insulsa vestaglia fosse caduta in terra, rivelando al suo occhio tutte le grazie della sua proprietaria. «Accomodatevi, sono Aurora Della Rosa, e abito in questa umile dimora. Scusatemi, ancora devo riprendermi dallo spavento! Avevo timore che qui andasse tutto a fuoco questa notte. Dentro questa casa ho un patrimonio di libri e manoscritti, anche molto antichi, alcuni unici al mondo e, oltre alla mia incolumit?, ho temuto molto di perdere tutto tra le fiamme.» Ci accomodammo in un salone quadrato, dove notai scaffali pieni di libri e pergamene. Un'intera parete era occupata da una specchiera e il pavimento era in marmo lucidissimo di vari colori che, come un mosaico, rappresentava la figura di un pentacolo. Non credevo ai miei occhi. Vi trovavo riassunto tutto ci? che, a suo tempo, avevo studiato sull'esoterismo e sulle sette. «Della Rosa.» dissi, ripetendo il suo cognome. «De La Rose era il nome di una casata francese di famosi Templari, i cavalieri custodi del tempio e del Sacro Graal.» «Si dice esistessero fin da prima dell'avvento del Cristianesimo. I templari erano i custodi del tempio di Salomone a Gerusalemme, il tempio delle cui rovine ? rimasto solo il Muro del Pianto, sacro agli Ebrei. Poi si pass? a identificarli come custodi del Santo Sepolcro. Nel Medioevo, in Francia, furono dichiarati eretici, forse perch? si pensava che tenessero nascosto il Sacro Graal e non permettessero neanche al Papa di poter accedere al suo nascondiglio, o forse perch? erano a conoscenza di importanti segreti che la Chiesa non voleva fossero resi pubblici. Furono torturati, molti bruciati vivi, ma non furono mai del tutto annientati. S?, ha ragione, la mia famiglia ? originaria della Francia, della zona di Avignone. I De La Rose, che avevano dei possedimenti in quei luoghi, combatterono contro gli inglesi nella Guerra dei Cent'anni, subendo molte perdite. Alla fine del milletrecento, alcuni membri della famiglia si stabilirono in questa zona di confine tra l'Italia e la Francia, un luogo tranquillo in mezzo ai monti. Ma poi sembra che l'Inquisizione, anche qui, non abbia dato tregua ad una mia antenata, che verso la fine del cinquecento fu processata con l'accusa di stregoneria.» Parlando, estrasse dalla tasca del kimono un portasigarette argenteo, all'interno del quale erano riposte delle sigarette che, all'apparenza, sembravano arrotolate a mano. Ne scelse una, la port? alla bocca e tese il portasigarette verso di noi. «Grazie, io non fumo» dissi. «E le sarei grata se si astenesse anche lei dal farlo. Il fumo mi infastidisce.» Senza nemmeno considerare ci? che avevo detto, accese la sigaretta, dirigendo verso di me, quasi a mo' di sfida, la prima densa nuvola di fumo che esal?. Non so come trattenni la mia ira, ma ci riuscii. «Bando alle chiacchiere, Aurora Della Rosa! Dove era questa notte quando ? scoppiato l'incendio?» Aspir? di nuovo e rispose emettendo fumo insieme alle parole. «Ieri sera sono stata a cena in un ristorante pi? a valle, "Da Luigi". Non mi andava di cucinare e sono uscita. Stavo rientrando quando ho visto il bagliore dell'incendio e ho chiamato io stessa i soccorsi con il cellulare.» «Verificheremo ci? che sta affermando. E, mi dica, immagino che lei riceva i suoi clienti qui in casa. Mi hanno detto che lei ? una maga, che giungono qui persone di ogni provenienza ed estrazione sociale, per chiedere consigli, acquistare pozioni, e via dicendo. A giudicare dalla sua auto, ? un lavoro che rende. Non voglio esprimere la mia opinione sul suo lavoro, voglio solo chiederle se ha ricevuto una cliente particolare, una donna, nei giorni scorsi, che potrebbe essere la vittima di cui abbiamo rinvenuto il cadavere.» «Mio Dio» interloqu? Aurora, mostrandosi sorpresa. «L'incendio ha fatto una vittima? Chi poteva esserci nel bosco a quell'ora di notte?» «Questo spereremmo ce lo indicasse lei! Su, faccia uno sforzo, non credo le sia difficile.» Con aria pensierosa, aspir? ancora del fumo. «Checch? lei pensi del mio lavoro, Dottoressa...?» «Ruggeri, Caterina Ruggeri.» Gett? un'altra nuvola di fumo nella mia direzione. «Vede, il lavoro che svolgiamo noi maghi ? rispettabilissimo. Io pago le mie tasse e aderisco anche al sindacato dei maghi, e non vendo fumo, come quello di questa sigaretta. La gente viene perch? si fida di me, e io devo rispettare anche un codice deontologico e proteggere il diritto alla riservatezza dei miei clienti.» «Vorrebbe invocare il segreto professionale, per caso?» Con noncuranza, spense la cicca in un posacenere e prosegu?. «Non sto qui a vendere amuleti o ingannare i miei clienti sul loro possibile futuro. Ho delle buone conoscenze di erboristeria e so quali sono i malanni che possono essere curati con le erbe officinali e quelli che invece vanno affrontati in maniera convenzionale. In molti vengono qui a chiedere buoni consigli e io li elargisco, sulla base della mia scienza e della mia esperienza. Nessuno si ? mai lamentato di essere stato ingannato da me, io dico sempre quello che il mio interlocutore si aspetta, e tutti se ne vanno contenti e con il cuore arricchito.» «Gi?, ma impoveriti nel portafoglio. Andiamo, conosco bene la vostra categoria, siete in grado di far credere alle persone che i vostri inganni siano grandi rimedi. Potrei essere d'accordo sulla medicina naturale, ma sul resto...» «Dottoressa Ruggeri, non sia prevenuta! Noi tutti siamo portati a credere che ci? che vediamo e che sentiamo e che tocchiamo sia la verit?, che non ci sia altro che non quello che ? percepibile dai nostri cinque sensi, ma a volte non ? cos?. Dentro questa stanza si possono creare effetti ottici e acustici che fanno sembrare vero ci? che non ? e falso ci? che ?. Provi a toccarmi, a mettere una mano sulla mia spalla e appoggiarsi a me!» Mi avvicinai e cercai di toccarla, ma la mia mano percep? il vuoto dove effettivamente vedevo la sua immagine. «? un gioco di specchi» dissi. «Una specie di trucco da prestigiatori!» «E ora si porti al centro del pentacolo, sulla piastrella centrale, e parli. Sentir? la sua voce risuonare nelle sue orecchie come provenisse da un potente impianto stereofonico.» «Certo, effetto dell'acustica della sala! Era cos? anche negli anfiteatri romani. Questione di architettura! Lei sta sviando il discorso, sta cercando di distrarmi dai miei obiettivi. Mi hanno detto che tra i suoi visitatori, vi ? una categoria particolare, adepti di una setta che riconoscono in lei una santona. Essi vengono qui per avere accesso alla sua biblioteca e completare l'iter che prevede il raggiungimento di vari livelli di conoscenza delle arti esoteriche. Ha ricevuto di recente tali visite?» «La setta di cui parla si chiama "Enomolas id ivres", e non ? una setta satanica. I suoi adepti, attraverso i vari livelli, assumono conoscenze ignote ai comuni mortali. Da secoli chi arriva qui, o in altri tre o quattro luoghi sparsi nel mondo simili a questo, aspira al raggiungimento di uno dei pi? alti livelli di conoscenza, il settimo, per raggiungere il quale esiste un duro percorso. Da generazioni la mia famiglia ? custode di testi cui pu? avere accesso solo chi ha completato i precedenti livelli. Chi vuol andare oltre, per raggiungere la Conoscenza Universale, deve affrontare il pellegrinaggio al Tempio della Conoscenza e della Rigenerazione, che si trova in una sperduta vallata tra Nepal e Tibet, difficilissima da raggiungere.» «Immagino che lei abbia gi? affrontato questo pellegrinaggio, ma non ? questo che voglio sapere. Le ripeto la domanda, ha ricevuto la visita di una di queste adepte negli ultimi giorni?» «L’ho gi? detto ad altri poliziotti e carabinieri che mi hanno interrogato. L'ultima visita di questo tipo risale al 1997, quando venne una maga originaria di un paesino dell'Abruzzo, Sant'Egidio alla Val Vibrata. Si faceva chiamare Mariella La Rossa. Mi disse che prima di affrontare le prove cui l'avrei sottoposta voleva visitare i luoghi magici nei boschi e nei dintorni di Triora, la Fontana di Campomav?e e la Fontana della Noce, la Via Dietro La Chiesa e il Lagu Degnu. Era il giorno del solstizio d'estate, una delle date tipiche in cui streghe e maghi si danno convegno, anche in questi luoghi, per il rituale Sabba. Mariella si allontan? al tramonto e non fece mai ritorno.» «E lei di certo non partecip? al Sabba e non immagina neppure che fine abbia fatto Mariella! Andiamo, sappiamo benissimo che questi cosiddetti Sabba sono l'occasione per compiere riti satanici, a volte violenze sessuali, altre volte sacrifici di animali o di persone. Con il vostro brainwashing convincete alcune persone, le pi? deboli dal punto di vista psicologico, di venire purificate, di rinascere a nuova vita e via dicendo, purch? si sottopongano alle violenze che proponete durante i riti . Per non dire poi di tutti coloro che truffate a scopo di lucro. Non sono rari i casi in cui qualcuno ha perso tutti i suoi averi per seguire un Guru.» «Le ho gi? detto che la nostra non ? una setta satanica. Chi entra nella nostra organizzazione lo fa per sua libera scelta e per il desiderio di raggiungere elevati gradi di conoscenza. Le ripeto che non sono una venditrice di fumo, e tutto quello che dico o predico si ? sempre avverato. Mi faccia vedere la sua mano sinistra e mi guardi negli occhi, dottoressa Ruggeri. Visto mai che lei non sia una di noi, magari a sua insaputa? Vedo che ha sofferto da ragazza, vedo dei lutti in famiglia che l'hanno segnata, vedo una vita sentimentale complicata, ma che si ? risolta di recente in maniera positiva. Lei ha dei poteri superiori alla norma, ha delle percezioni non indifferenti, ha un'aura molto forte, rossa come il fuoco, nulla le sfugge in chi le sta davanti, neanche un particolare. E ora vada, dottoressa Caterina Ruggeri, di lei ho saputo tutto quanto c'era da sapere.» Senza neanche rendermene conto, mi ritrovai fuori della casa di Aurora, nel cortile, seguita da Mauro che, con un sorriso ironico, comment? ci? di cui era stato testimone. «Quella donna ha dei poteri ipnotici. Ti ha fatto fare tutto ci? che voleva. In pratica ci ha sbattuto fuori a modo suo e, come tutti gli altri che ci hanno preceduto, ce ne stiamo andando anche noi con la coda tra le gambe.» «Gi?, ma la strega ha ragione, a me non sfugge nulla, neanche un particolare. Torneremo con un'altra strategia. Devo solo avere il modo di riflettere e di venire qui preparata. Torniamo a controllare se la scientifica ha terminato il suo lavoro e poi diamo un'occhiata intorno. Come si chiamavano quei luoghi che ha nominato la malefica a proposito di Mariella La Rossa?» «Fontana di Campomav?e, Fontana della Noce, Via Dietro la Chiesa e Lagu Degnu.» «Accidenti, complimenti, hai una buona memoria! Con te non servono registratori o taccuini!» «Gi?, comunque ricorda che il palmare ci pu? tornare utile per registrare le conversazioni. ? un modello molto sensibile e anche tenendolo in tasca ? in grado di registrare.» «S?, grazie d'avermelo detto. Di sicuro sar? utile anche per fare delle foto!» Gli uomini in tuta bianca e guanti di lattice stavano portando a termine il loro lavoro sulla scena del crimine. Mentre uno scattava delle foto, un altro raccoglieva del terriccio intorno alla vittima inserendo i campioni all'interno di bustine di plastica, un altro ancora spargeva del Luminol, per la ricerca di eventuali tracce occulte di sangue. «Trovato qualcosa di interessante?» chiesi. «Sembra che l'incendio sia stato appiccato servendosi di liquido infiammabile, non benzina, ma qualcos'altro che cercheremo di individuare in laboratorio. Abbiamo trovato anche tracce di cera, derivante forse da una torcia di carta pressata e cera, una di quelle che si usano nelle processioni, nelle fiaccolate, per intenderci.» mi rispose uno dei tre. «Avete trovato la torcia?» «No, dottoressa. Per? stiamo prelevando anche detriti carbonizzati, forse possiamo trovarvi qualcosa di utile. Appena finito il lavoro in laboratorio le invieremo un rapporto dettagliato. Per ora qui abbiamo finito. La Polizia Mortuaria ? arrivata e possiamo far trasferire il cadavere all'obitorio.» Ritornando verso il piazzale dove era parcheggiata la nostra auto, un cartello in legno, che indicava la Fonte della Noce, attir? la mia attenzione. «Andiamo a dare un'occhiata?» mi rivolsi a Mauro e, senza neanche attendere la sua risposta, imboccai il sentiero che si addentrava in una zona di bosco fitto. Avanzammo per un breve tratto e guadagnammo una radura dominata da un grosso albero di noci, in prossimit? del quale, da un fontanile, sgorgava un invitante zampillo d'acqua. Dato il caldo e le fatiche della giornata, sia io che Mauro ingurgitammo qualche sorso di acqua freschissima, poi iniziammo a guardarci in giro per scorgere qualcosa di particolare, qualche segno, qualche indizio. A prima vista sembrava non esserci nulla di interessante. Mentre mi rammaricavo di non avere con me il mio fido Furia, impareggiabile cercatore di tracce, il mio occhio cadde proprio vicino al grande albero, dove notai della terra smossa. «? stato fatto un disegno sul terreno con un oggetto appuntito, un coltello o un bastone a punta. Di solito gli appartenenti alle sette eseguono dei riti in determinati luoghi, disegnando dei simboli, pentacoli o altro, che alla fine vengono eliminati. Sembra che qui il disegno sia stato cancellato in fretta e furia, dato che ancora se ne vedono alcune parti. Si scorgono anche alcune scritte. Forse la cerimonia ? stata interrotta o disturbata e gli adepti si sono dovuti dileguare, altrimenti avrebbero avuto molta pi? cura nel cancellare ogni traccia.» «Pensi a una Messa Nera, magari con sacrificio, che so, di un animale, di una vergine, di uno degli stessi adepti?» «Per ora non penso nulla, mi limito a osservare e fare bagaglio di ci? che vedo e sento. Di elementi ce ne sono tanti, ma non so ancora quali possano essere utili e quali no. Il sentiero si dirige da quella parte. Proseguiamo?» Dopo pochi passi la vegetazione diveniva talmente intricata che sembrava che il sentiero finisse. Stavo per tornare sui miei passi, quando intravidi, a una trentina di metri, una sagoma arrugginita. «Deve essere la carcassa del mezzo del taglialegna andato a fuoco anni fa. Nessuno si ? preoccupato di asportarla, anche perch? il proprietario era defunto da anni. Data la vegetazione, direi che non riusciremmo mai a raggiungerla» fu il commento di Mauro. «Gi?, dovremo portarci un'attrezzatura adatta a sfoltire la vegetazione per andare a darci un'occhiata» risposi. «Torniamo all'auto ora!» Ci avviammo ad andatura moderata gi? per i tornanti che riconducevano verso il fondo valle, percorrendo l'incantevole Valle Argentina. Superato l'abitato di Molini di Triora, la strada scendeva ancora. Un cartello pubblicitario indicava che da l? a poche centinaia di metri avremmo trovato il ristorante "Da Luigi". «Vogliamo verificare l'alibi della strega?» proposi a Mauro. «S?, volentieri» fu la sua replica. «E visto che ? pomeriggio inoltrato e non abbiamo messo ancora niente sotto i denti, proporrei di sfruttare il ristorante anche per la sua funzione specifica.» Il locale a quell'ora era deserto. Ci sedemmo a uno dei tavoli e aspettammo che comparisse qualcuno. Il proprietario del locale, un uomo sui quarantacinque anni, sovrappeso, la faccia rubizza e sudaticcia, non tard? a farsi vivo. «Posso esservi utile, signori? Purtroppo a quest'ora in cucina abbiamo poco.» «Polizia» lo apostrof? Mauro. «Le andrebbe di rispondere a qualche nostra domanda?» «Immagino si riferisca al delitto della scorsa notte. Il luogo ? abbastanza distante da qui. Come posso aiutarvi?» «Lei conosce Aurora Della Rosa, vero?» intervenni. «Certo, ? una cliente affezionata, ogni tanto capita qui e io approfitto per chiedere qualche consiglio. Soffro di sciatalgia e lei ha dei rimedi toccasana a base di erbe, molto meglio della medicina convenzionale.» «Ieri sera ? stata qui?» «S?, ? arrivata verso le nove e mezzo e se ne ? andata a mezzanotte inoltrata. Era strana, piuttosto taciturna rispetto al solito. Ha ordinato da mangiare, ma credo che non abbia toccato cibo. L'ho anche dovuta riprendere perch?, seduta al tavolo, si era accesa una sigaretta e fumava in sala. Non erano presenti molti avventori, e nessuno si sarebbe lamentato, ma essendo proibito dalla legge, sa, sono dovuto intervenire!» «Era sola?» «S?, sola.» «E solitamente viene da sola o in compagnia?» «Dipende. A volte s?, viene sola, ma spesso ? in compagnia di una sua amica mora, una bella donna dall'accento straniero. Sembra che le due facciano coppia, qui in zona si dice che siano lesbiche.» Per pronunciare queste ultime parole si avvicin? a noi, abbassando il tono della voce. «Omosessuali» lo corressi. «S?, ? giusto. Oggi, nelle grandi citt?, non vi si fa pi? neanche caso, ma nelle nostre zone non siamo molto abituati a certi atteggiamenti.» «Bene, mio caro Luigi, basta cos?! Direi che io e l'ispettore Giampieri gradiremmo mangiare qualcosa. Che cosa ci propone?» «Beh, come vi dicevo prima non c'? molta scelta a quest'ora. Vi posso consigliare un bel piatto di trofie liguri al pesto alla genovese con fagiolini e patate, un piatto unico che vi lascer? di certo soddisfatti.» «Ce ne porti due porzioni abbondanti.» Era ormai quasi sera quando raggiungemmo Imperia e parcheggiammo avanti al distretto di Polizia. «Eccoci qua» disse Mauro. «Hai raggiunto il tuo nuovo posto di lavoro. Qui siamo in una zona decentrata della citt?, mentre la Questura ? proprio in centro, in Piazza del Duomo. Credo che domani mattina, prima di iniziare qualsiasi attivit?, dovremo farci un salto. Il questore ? uno che tiene molto ai formalismi e quindi ti dovrai pur presentare a lui!» Mauro mi guid? in un labirinto di corridoi e uffici, fino a raggiungere quello che sarebbe stato il mio ufficio. «Certo, ma prima di recarmi in Questura, gradirei fare conoscenza con il personale in servizio qui. Pensi che sia possibile incontrare gli uomini in prima mattinata?» «Far? in modo che siano tutti qui, salvo eccezioni giustificabili, alle otto. Per ora, credo tu voglia riposare. L? in fondo c'? una stanza con un letto e il bagno ? nel corridoio. Troverai i tuoi bagagli e, di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, sappi che io passer? la notte nella guardiola.» «Beh, finch? non trover? una sistemazione migliore, mi adatter?, poi vedremo. Adesso sono troppo stanca per cercarmi un altro alloggio. E poi, comunque, sono abituata a vivere nel posto in cui lavoro!» Diedi un'occhiata alla mia scrivania, dove gi? troneggiava uno scatolone, contenente tutti gli atti delle indagini sulle persone scomparse a Triora. Non avevo certo voglia di metterci le mani al momento, anche perch? temevo che qualsiasi cosa pescata l? dentro avrebbe potuto modificare le idee che mi ero fatta nel corso della giornata. Meglio ragionare a caldo e non farsi influenzare dal lavoro degli altri! A ogni buon conto, il mio occhio si pos? su una copia di una rivista mensile. La afferrai, la sfogliai e mi soffermai sull'articolo che parlava dei misteri di Triora, uscito in occasione della scomparsa dei tre giornalisti, che facevano parte della redazione della rivista: Stefano Carrega, Giovanna Borelli e Dario Vuoli. Era riportato, in un riquadro, uno spezzone tratto da appunti del quaderno del Vuoli, rinvenuto all'interno della tenda abbandonata dei tre. Che senso ha cercare le streghe? Soprattutto, chi sono e come si riconoscono le streghe oggi? Non c'? pi? Inquisizione che ce le indichi. Forse esistono ancora, forse hanno solo un aspetto diverso. Nel 1587 era pi? facile riconoscerle: “Le vedrete mettere immagini di cera e sostanze aromatiche sotto la pala dell'altare. Ricevono la Comunione del Signore non sopra, ma sotto la lingua, perch? possono cos? facilmente cavarsi dalla bocca il corpo di Cristo per servirsene nelle loro pratiche odiose. Inoltre ci? che distingue una strega da una peccatrice, o da una donnaccia, ? la capacit? di volare nella notte”... Gi?, magari verso la fine del '500 ancora la gente comune non sapeva riconoscere i trucchi e le illusioni di queste ciarlatane, e li prendeva per magia o stregoneria. Ma nel XXI secolo, andiamo! Questi tre giornalisti erano andati a cercare le streghe nel loro paese, e magari le avevano trovate! E si erano fatti rapire da loro? Ma via! Questa era tutta una montatura, ma a che scopo? Nascondere un delitto, voler far sparire le proprie tracce, o per quale altro motivo? E cosa c'entrava la setta, come diavolo si chiamava? Enomolas id ivres. Cosa poteva significare? Con la mente affollata da questi interrogativi, mi andai a lavare e mi ritirai nella stanza indicatami da Mauro. Le giornate erano lunghe e anche se erano quasi le nove di sera, fuori c'era ancora luce. Mi distesi sul letto senza neanche tirar gi? le coperte. Mi stavo appisolando, quando sentii bussare alla porta. Era Mauro, che recava un bicchiere di carta con una bevanda fumante. «Non ? dei migliori, ? T? del distributore automatico, ma ho pensato che poteva essere piacevole prima di coricarsi. Hai voglia di qualcosa da mangiare?» «No, grazie, devo ancora digerire le trofie.» «Beh, comunque ho una notizia per te. Il tuo cane, Furia, sar? qui al pi? tardi entro domani pomeriggio. Ho fatto ripulire il box in cortile, dove il tuo predecessore teneva il suo Pastore Tedesco. Penso che, per il momento, possa essere una buona sistemazione.» «Grazie di tutto, Mauro! Ma ora lasciami riposare. Sono molto stanca e domani dovremo affrontare un'altra giornata davvero intensa! Buonanotte.» Cercai nella valigia una leggera camicia da notte, mi spogliai e mi misi a letto. Mi addormentai e sognai streghe che volavano a cavallo delle loro scope, che si riunivano per invocare Satana, che partecipavano a Sabba sotto grossi alberi di noci. E poi inquisitori che le catturavano, le torturavano, le processavano e le facevano bruciare al rogo. Ma il fuoco non riusciva a consumare i loro corpi e ridevano e scherzavano, nonostante i vestiti e i capelli in fiamme. E, alla fine, le streghe si allontanavano dal luogo del supplizio, palleggiando tra loro bambini in fasce. CAPITOLO V L'indomani mi alzai di buon ora e iniziai a sistemare il mio ufficio. Verso le sette e mezzo notai che il distretto iniziava ad animarsi. Le stanze si riempivano, qualcuno si faceva un caff? al distributore, altri scherzavano e si scambiavano battute nell'attesa di dedicarsi all'attivit? lavorativa. Era un clima che mi ricordava gli anni di servizio trascorsi in questura ad Ancona. Iniziai a girare per i corridoi e salutare chi incontravo, erano tutti molto affabili e ricambiavano il mio saluto con un sorriso o una cordiale stretta di mano. Bene, il mio nuovo posto di lavoro non era male! Riconobbi il sovrintendente che avevo apostrofato la mattina precedente a Triora. «Buongiorno, sovrintendente...?» «D'Aloia, Dottoressa, mi chiamo Walter D'Aloia, ai suoi ordini!» «Bene, D'Aloia, riusciresti a procurarmi una di quelle lavagne a fogli bianchi e dei grossi pennarelli di vari colori? Ho bisogno di fare il punto sull'indagine e scrivere degli schemi mi aiuta a non perdere di vista nulla.» «Nel giro di qualche minuto le far? avere tutto ci? che ha chiesto.» «Grazie. Vi aspetto tutti alle otto in punto per le dovute presentazioni.» All'ora stabilita, una ventina di persone, di cui quattro donne, erano schierate avanti a me, mentre Mauro era al mio fianco e me le presentava, elencando nomi, gradi e attitudini di ognuno. «Un'ottima squadra!» commentai. «Io e l'ispettore Giampieri saremo molto impegnati nelle indagini sull'omicidio di Triora quindi, per quanto riguarda le normali attivit?, esse saranno coordinate dall'ispettore Gramaglia, che ? il pi? anziano di voi. La sovrintendente Laura Gigli, che ? un'esperta informatica, aiuter? invece noi due. Non credo che io e l'ispettore Giampieri ce la faremmo a condurre a termine da soli un'indagine che appare cos? complessa. Nei limiti del possibile e quando sar? il momento, mi avvarr? comunque della collaborazione di tutti voi, quindi tenetevi pronti. Ora ritornate pure alle vostre attivit?. Mauro, Laura! Voi no, rimanete qui con me.» Quando fui sola con i due, presi in mano un pennarello e cominciai a tramutare i miei ragionamenti in schemi, che via via scrivevo sul foglio bianco. «Da ieri abbiamo una vittima, ma credo che dovremmo partire da venti anni fa e cercare di capire come e perch? alcune persone sono scomparse a Triora, mentre altre ne sono comparse. Abbiamo la sessantenne Aurora, che se ora fosse viva dovrebbe avere ottant’anni. Part? per il Nepal con una ragazza rumena, Lar?s Dracu, alla fine degli anni '80, e delle due donne si perse qualsiasi traccia. Partite dall'aeroporto internazionale di Fiumicino nel giugno 1989, non c'? alcuna segnalazione di un loro rientro in Italia. Dopo qualche mese, per?, comparve un'omonima ventenne, che ? l'Aurora Della Rosa che abbiamo conosciuto ieri, la quale si spacci? per la presunta nipote della strega e si insedi? nella sua abitazione. La differenza di et? fra le due potrebbe farci credere che sia la figlia e non la nipote della vecchia Aurora, ma qualcuno in paese asserisce addirittura che la vecchia e la giovane siano la stessa persona, in quanto, nel viaggio in Nepal, la strega avrebbe trovato il modo di ringiovanire. Il primo compito per te, Laura, ? quello di verificare gli archivi anagrafici di Triora. E veniamo a Lar?s Dracu. Scomparsa nel nulla in Nepal? Ritornata in Romania, o presente qui a Triora? Chi ? la mora dall'accento straniero che a volte accompagna Aurora al ristorante "Da Luigi"? Voglio una ricerca sui database delle persone scomparse, Laura, voglio sapere tutto ci? che c'? da sapere su Lar?s.» In un angolo del grande foglio bianco scrissi in stampatello “AURORA” e “LARIS” e rinchiusi i due nomi in un cerchio. «La seconda persona scomparsa ? Mariella La Rossa. Nel 1997 part? dall'Abruzzo e giunse a Triora, visit? alcuni luoghi cari alle nostre streghe, la Fontana della Noce, la Fontana di Campomav?e, la Via Dietro la Chiesa e il Lagu Degnu, si inoltr? nel bosco, in una notte di luna piena, e scomparve nel nulla. Escludendo a priori che l'abbia rapita Satana, che fine ha fatto? ? rimasta nascosta per anni nei boschi di Triora? O ? stata uccisa, e il suo cadavere ? stato occultato da qualche parte? E che nesso c'? con il camioncino andato a fuoco, nella stessa notte, per opera di presunti teppisti? Se abbiamo una morta bruciata oggi, la stessa fine potrebbe essere stata riservata, a suo tempo, a Mariella La Rossa. L'assassino allora magari ebbe il tempo e il modo di far sparire il cadavere! Quindi un'altra ricerca sar? incentrata su questa Mariella e sul camioncino andato in fiamme dodici anni fa.» Scrissi i nomi “MARIELLA” e “CAMIONCINO” su un altro angolo del foglio e li cerchiai. «Nell'anno 2000 scomparirono nel nulla tre giornalisti, due uomini e una donna: Stefano Carrega, Dario Vuoli e Giovanna Borelli. Di loro e della loro storia abbiamo molti elementi, a giudicare dal contenuto di quello scatolone...» «Un momento» mi interruppe Laura. «io sono originaria di questi luoghi, abito a Molini di Triora, e conosco bene la storia delle streghe inquisite nel 1587. Due dei cognomi che hai appena nominato ricorrono nella storia delle streghe di Triora. Anzi, Stefano Carrega ? omonimo del Podest? di Triora ai tempi del processo, mentre Teresa Borelli era una delle cinque streghe della Ca Botina, le principali inquisite. La Borelli era la strega indicata dagli abitanti del luogo come "Teresa il Maschiaccio".» «Altre omonimie! Bene, a questo punto credo che dovrei documentarmi bene su questo processo alle streghe. Chiss? che l'ipotetico assassino non prenda spunti dalla storia!» Andai a scrivere in un terzo angolo del foglio “CARREGA”, “BORELLI” e “VUOLI” all'interno do un altro cerchio. «Del processo c'? una versione ufficiale e una versione tramandata per via orale dai vecchi di Triora, che ? ben diversa, ma ? molto difficile da interpretare perch? ? raccontata solo in lingua occitana» intervenne Laura. «Cercher? di avere entrambe le versioni.» «Benissimo, Laura! Ma giungiamo a ieri, giorno in cui ? stato rinvenuto un cadavere carbonizzato di una donna, di cui non conosciamo l'identit?. Dovremo aspettare i risultati dell'autopsia e dei rilievi della scientifica per cominciare a ragionarci. Ancora abbiamo pochi elementi.» Nell'ultimo angolo del foglio scrissi “VITTIMA”, cerchiai anche quest'ultima parola, poi, al centro del foglio, a caratteri cubitali, andai a riportare il nome della setta, “ENOMOLAS ID IVRES”. Collegai infine con delle frecce ognuno dei quattro cerchi disegnati in precedenza al nome scritto al centro. «Tutto sembra ruotare intorno a questa setta. Dobbiamo capire il significato di questo strano nome, a quali attivit? si dedicano gli adepti e chi ne tira le fila. In altre parole dobbiamo conoscere chi sia santone, o guru, di questa setta. Secondo me Aurora Della Rosa c'? invischiata e non poco. E non racconta tutto quello che sa, ? molto abile a sviare i discorsi e a crearsi alibi attendibili. Mauro, credi che il Barbagianni possa autorizzare una perquisizione dell'abitazione della strega?» «Ah, intendi il Dottor Leone? Ma, come l'hai chiamato? Il Barbagianni? Fantastico! ? un magistrato molto pignolo e, senza elementi sufficienti, non autorizzer? mai una perquisizione. ? uno che non ama avere noie.» «Bene, quindi dovremo agire d'astuzia, ho gi? in mente qualcosa. E adesso al lavoro. Tu Laura dedicati alle ricerche che ti ho chiesto, e tu, Mauro, prepara l'auto, che si torna su a Triora!» «Alla faccia della mia disciplina militare!» esclam? Mauro. «Ti ricordo che non andremo da nessuna parte prima di essere passati in Questura. Ne va della nostra testa.» «E va bene, speriamo che il questore non ci riservi ore di anticamera. Aspettami gi? in auto, arrivo tra qualche minuto.» Di sicuro Mauro pens? che dovessi aggiustarmi il trucco, nello standard di civetteria riservato alle donne, ma non era cos?. Mi cambiai, indossando comodi abiti sportivi e scarpe da tennis. Non era infatti il caso di ritornare in mezzo ai boschi e camminare per sentieri di montagna e strade sterrate in tailleur e scarpe lucide. Dopo cinque minuti ero in auto di fianco a Mauro, che mi osserv? allibito. «Sei incredibile, Caterina! Ti vuoi presentare al questore vestita cos??» «L'abbigliamento non ? in funzione del questore, ma dell'indagine. Hai intenzione di rimirarmi ancora o vuoi far partire questa dannata auto?» Part? sgommando e, grazie a slalom in mezzo al traffico, incredibili contromano, invasioni di corsie preferenziali riservate a bus e taxi, senza mai scendere al di sotto dei novanta chilometri orari, nel giro di quattro minuti e venticinque secondi raggiunse Piazza del Duomo. Con un incredibile testa coda, ottenuto con l'aiuto del freno a mano, si infil? in maniera millimetrica tra altre due auto della Polizia di Stato, in uno dei parcheggi riservati alla Questura. «Se non ? necessario, ti pregherei di evitare tutte queste scene!» gli feci, scendendo dall'auto e cercando di riprendermi. La testa mi girava un po', sentivo quasi mancarmi, ma mantenevo il mio aplomb nonostante sentissi le forze che stavano per abbandonarmi. Sempre con Mauro come guida, ci dirigemmo all'ingresso del palazzo e salimmo su un ascensore per guadagnare il terzo piano. Percorso un lungo corridoio dal pavimento lucidissimo, giungemmo alfine all'ufficio del questore. Il dottor Perugini ci ricevette subito, e di questo rimasi piacevolmente sorpresa. Era un uomo basso, un po' grassoccio, dal viso tondo e i capelli disordinati, quasi somigliante all'attore americano Denny De Vito. Si alz? dalla scrivania e mi strinse la mano con vigore. In piedi avanti a me, notai ancor di pi? la sua bassa statura. S? e no, la sua testa giungeva all'altezza della mia spalla, mentre Mauro, in confronto a lui, appariva un gigante. Eppure ispirava simpatia, e in seguito avrei scoperto in lui una notevole intelligenza e un'ottima abilit? nella gestione dei suoi dipendenti. Conclusi i soliti preamboli, ritorn? a sedere dietro la sua scrivania. «Ho grande fiducia in lei, dottoressa Ruggeri, e so che non mi deluder?. Metter? a sua disposizione tutti i mezzi che vorr? per giungere a una conclusione di quest'indagine. Mi raccomando, priorit? assoluta. E se ha problemi con il magistrato, non abbia timore di rivolgersi a me. Vada, ora, e mi tenga aggiornato.» Tornati all'auto, raccomandai a Mauro di guidare ad andatura moderata e di fermarsi non appena avesse visto un negozio di ferramenta. Individuato l'obiettivo, vi entrai per acquistare delle grosse cesoie da giardiniere. Era infatti mia intenzione raggiungere a tutti i costi il camioncino bruciato e vederlo da vicino. «Oggi vorrei esaminare per bene la scena del delitto, senza gente intorno, e poi raggiungere la carcassa del camioncino del taglialegna. Ci sar? utile darci un'occhiata dentro, anche se, a distanza di cos? tanto tempo, dubito di trovare qualcosa di interessante. Vorrei visitare anche gli altri luoghi, l'altra fontana e il lago, e tornare anche a casa di Aurora. Quando saremo dalla strega, io cercher? di distrarla il pi? possibile, in modo che tu possa dare una sbirciata in giro e, se possibile, raccogliere alcuni indizi, che so, qualche impronta digitale, qualche elemento che possa aiutarci a incriminarla, o a scagionarla.» «Vuoi che piazzi qualche cimice?» «No, per il momento no. Per le intercettazioni ambientali dovremmo ottenere l'autorizzazione del magistrato!» Giunti sul posto, parcheggiammo nel solito luogo e proseguimmo a piedi. Volevo osservare per bene ll'inferriata a cui era stata legata la vittima. Le sbarre erano ossidate dalle fiamme, ma era evidente che non c'era da l? possibilit? di accesso all'antro, che doveva avere la funzione di legnaia. L'inferriata metallica era infissa nel terreno e nelle pareti di roccia e, all'interno di quella specie di grotta, si vedevano solo detriti inceneriti e inumiditi dall'acqua usata dai pompieri. «Nessuno dei nostri ha provato a entrare qui!» riflettei a voce alta, rendendo Mauro partecipe dei miei ragionamenti. «Forse ritenevano non ci fosse nulla di interessante. E poi non c'? possibilit? di accesso se non segando queste spesse sbarre» fu la replica del mio vice. «Se ? una grotta adibita a legnaia,a uso della vicina dimora, che senso ha non potervi entrare a prelevare la legna? Un primo ragionamento potrebbe far pensare che la grotta non sia fine a se stessa, ma che in qualche modo comunichi con l'abitazione per mezzo di un tunnel, ad esempio, una specie di passaggio segreto. Oppure potrebbe esserci un altro ingresso, magari nascosto tra la vegetazione. Hai una torcia elettrica, Mauro? Proviamo a fare un po' di luce l? dentro!» «Una torcia elettrica no, per? possiamo utilizzare il display del palmare! No, non si riesce a vedere il fondo, ci sono troppi detriti.» «Accidenti, ma torner? qui con il mio cane e sono sicura che scoprir? qualcosa di interessante. Raggiungiamo il camioncino, ora!» Superata la Fonte della Noce, imboccammo il sentiero che portava alla carcassa dell'automezzo e cominciammo ad aprirci strada tra la vegetazione a colpi di cesoie. Alcune piante spinose, quali rovi, rose selvatiche e biancospini, riuscirono comunque a infliggermi graffi superficiali a braccia e mani. Ogni tanto io e Mauro ci scambiavamo il pesante attrezzo e alla fine, dopo una mezz'ora abbondante, giungemmo in prossimit? il mezzo. Era uno di quei piccoli camion con cassone in uso negli anni '60. Sul muso si riusciva ancora a leggere la marca OM e il modello, Lupetto, che era individuato da una scritta metallica in corsivo, attaccata in obliquo sulla parte anteriore della scocca. Del camion rimanevano solo le parti metalliche ossidate, per lo pi? ricoperte da vegetazione rampicante che prendeva origine dal terreno sottostante. Provai ad aprire lo sportello dal lato guida, ma era bloccato. Essendo il finestrino del tutto assente, decisi arrampicarmi per dare una sbirciata all'interno. Sull'anima metallica del volante riuscii a notare dei pezzi di filo di ferro. «Dammi una spinta Mauro, voglio entrare nell'abitacolo.» Mi sentii sollevare come un fuscello e mi ritrovai dentro il rudere. In effetti, gli spezzoni di filo metallico attaccati al volante potevano stati utilizzati a suo tempo per immobilizzare un'ipotetica vittima all'interno dell'abitacolo. Notai qualcosa sul fondo, vicino alla pedaliera, come una massa di plastica fusa, che cercai di staccare aiutandomi con un coltellino. Fuoriuscii dal rudere con i vestiti luridi, ma con in mano un trofeo. «Che cos'??» chiese Mauro. «Non lo so ancora. Materiale fuso credo, ma di certo non appartiene a un tappetino di gomma. Mettilo in una busta, chiederemo alla scientifica di individuarne la natura. L'idea che qui sia stato consumato un delitto ? sempre pi? palese. La vittima, magari tramortita, viene legata al volante con del filo di ferro, quindi il mezzo viene incendiato. Poi l'assassino, o gli assassini, riescono ad asportare il cadavere e occultarlo da qualche parte, lasciando dietro di s? solo la carcassa di un vecchio camion divorato dalle fiamme.» «Quindi un'altra esecuzione con il fuoco!» «Gi?, probabilmente dentro il camioncino ha trovato una morte orribile Mariella La Rossa, ma chi condusse l'indagine a suo tempo fu superficiale e non colleg?, o non volle collegare, l'incendio del camion alla scomparsa della donna. Torniamo alla Fontana della Noce. Voglio capire qualcosa dei disegni ancora visibili sul terreno.» Giunti alla fonte, ci dissetammo, poi cercai di interpretare a i simboli disegnati in terra. Da quello che ricordavo delle ricerche svolte per la mia tesi, un pentacolo, disegnato in prossimit? di una fonte sacra agli adepti delle sette, con un coltello o un attrezzo a punta consacrato, indica sempre un luogo dedicato a un rito. A seconda dei disegni e delle scritte che vengono usati, i riti possono essere di diversa natura. Se vengono incisi nel terreno i quattro nomi potenti con cui veniva chiamato Dio nell'antichit?, il sacerdote invoca gli spiriti, li chiama a s? per chiedere loro aiuto. A volte, per ingraziarsi gli spiriti e assicurarsi i loro favori, si pu? ricorrere a sacrifici, di animali ad esempio, o altre volte, ma pi? di rado, di essere umani. Con il sangue della vittima si scrive ci? che si chiede agli spiriti invocati, di solito sotto forma di metafore, incomprensibili a chi non fa parte della setta. Nel nostro caso, si riusciva ancora a visualizzare, nel terreno, una delle cinque punte del pentacolo e, accanto a essa, un segno che indicava il simbolo della Terra. «Il pentacolo ? la rappresentazione del microcosmo e del macrocosmo. Esso combina, cio?, in un unico simbolo, tutta la misticit? della creazione, tutto l'insieme dei processi su cui si basa il cosmo. Le cinque punte del pentacolo simboleggiano i cinque elementi metafisici, acqua, aria, fuoco, terra e spirito. C'? un'apertura tra due mondi, il mondo degli stregoni e quello dei comuni viventi. C'? un luogo dove i due mondi si incontrano. L'apertura ? l?, si apre e si chiude come una porta al vento» declamai, recitando a memoria quanto avevo letto in un testo di esoterismo. Mauro mi guard? meravigliato. «E tu credi a queste cose?» «Certo che no. Questo ? ci? che lo sciamano, il guru, il santone della setta, vuole che i suoi adepti credano, per poterli avere in pugno, per poter convincere i suoi sottomessi che anche se chiede un sacrificio, le eventuali vittime sacrificali devono solo essere contente di andare incontro alla morte.» «Quindi, secondo te, qui ? stato eseguito un rito in cui ? stato chiesto un sacrificio umano? La vittima ? stata catturata, portata poco pi? in l?, legata all'inferriata e sacrificata col fuoco?» «Gi?, e magari, sotto l'effetto delle droghe che di certo le avranno somministrato, era pure felice di bruciare viva.» «Secondo te, Caterina, potrebbe essere Aurora la santona della setta, l'artefice di tutto ci??» «Non lo so, non abbiamo ancora elementi a sufficienza. Ma, dal momento che l'ora di pranzo ? passata da un bel pezzo e non abbiamo ancora messo niente sotto i denti, proviamo a farci invitare a pranzo dalla strega? O preferisci tornare da Luigi?» «Non vorrei cadere vittima di qualche boccone avvelenato preparato da Aurora per l'occasione. Meglio le trofie al pesto!» Al ristorante chiesi a Luigi quale fosse la via pi? agevole per raggiungere il Lagu Degnu. «Il Lago Degno ? un luogo eccezionale, ma bisogna essere ben attrezzati per raggiungerlo. Ci sono due vie. Un sentiero parte da Molini e risale il torrente Argentina fino al lago. Ci vogliono degli stivali, perch? c'? da camminare per alcuni tratti dentro il letto del torrente, laddove esso ? incassato in una stretta gola. Il lago ? formato dal Rio Grugnardo, che si getta nel Torrente Argentina con un salto di 15 metri, per cui, giunti sul luogo potrete ammirare una splendida cascata che si getta nel laghetto sottostante. Quest'ultimo, nonostante sia un piccolo specchio d'acqua, ? piuttosto profondo in certi punti. L'altra via ? un sentiero che scende da Triora, ma per percorrerla bisogna essere attrezzati di corde, imbragature e moschettoni. Vi sono alcuni passaggi in cui il sentiero si perde e occorre discendere delle pareti di roccia. Fino alla cascata ci sono un paio di pareti attrezzate con delle ferrate, ma ? consigliabile non fidarsi troppo e comunque assicurarsi con la corda. Poi, se dalla cascata volete scendere al lago, dovrete comunque calarvi con l'attrezzatura da roccia, altrimenti il lago lo vedrete solo dall'alto.» «Lo hai chiamato Lago Degno. Come mai su a Triora lo chiamano Lagu Degnu?» chiesi a Luigi. «Oh, ? l'espressione dialettale. Anche se queste terre, in tempi passati, facevano parte del regno di Sardegna, il fatto che le espressioni dialettali siano ricche di u non deriva dal sardo. Anche le espressioni liguri sono ricche di questa vocale. In zona poi, il ligure si mescola con l'occitano e chi non ? del luogo rischia di non capirci niente quando ci sente parlare.» Gli sorrisi, pensando che anche nel dialetto dell'entroterra marchigiano si riscontrava spesso la stessa vocale. Pagai il conto e uscimmo all'aperto. «Bene, direi che, a questo punto, dovremmo ritornare dalla nostra cara Aurora. Io cercher? di distrarla, di farla parlare, magari rimanendo sul vago, senza scivolare nell'argomento del delitto. Tu, con discrezione, cerca di raccogliere qualcosa di utile. Dobbiamo portare a casa alcuni indizi, Mauro, per convincere il dottor Leone della necessit? di perquisire la casa della strega da cima a fondo!» Parcheggiata l'auto accanto alla Porsche Carrera, ci avviammo verso l'ingresso di casa Della Rosa. Non c'era campanello elettrico, ma solo una corda legata a una campana. Non feci in tempo a tirare la corda, perch? l'uscio si apr? e apparve la bionda Aurora in vesti succinte, una canottiera rosa e una cortissima gonna di jeans. «Ho percepito il vostro arrivo» disse. «Accomodatevi, oggi ? una giornata splendida, limpida, e se mi seguirete sulla terrazza potrete ammirare una stupenda panoramica sulla valle Argentina e sulle montagne che segnano il confine con la Francia.» «Ottimo» dissi, strizzando l'occhio a Mauro. «Io sono un'appassionata di montagna e adoro i bei paesaggi!» Ci condusse sulla terrazza, da cui in effetti si godeva una splendida vista. «Posso offrirvi una delle mie tisane rilassanti? Credo proprio che ne abbiate bisogno!» «Vada per la tisana, purch? non sia troppo rilassante» risposi. «Possiamo rientrare in salone per goderci questa bevanda, signora Della Rosa?» «Certo, accomodatevi. Ritorno tra pochi istanti.» Spar? in cucina. Non si poteva presentare occasione migliore, ma dovevamo essere veloci per non farci sorprendere. Mentre io davo uno sguardo ai libri e alle porcellane sugli scaffali, Mauro si dava da fare con maniglie e oggetti,quali posacenere e soprammobili, per rilevare qualche impronta digitale. La mia attenzione si pos? su un antico vaso di porcellana bianco e azzurro con scritto in caratteri gotici “Shepenn rosso”. Ne sollevai il coperchio e vidi che conteneva una specie di tabacco. Ne presi un pizzico e lo misi in una bustina di plastica trasparente. «Potrebbe essere droga» sussurrai a Mauro. «Con questo nome in Oriente, nell'antichit?, veniva indicato il papavero da oppio.» Quando Aurora rientr? con tre tazze di tisana fumante dal forte odore di menta, sia io che Mauro stavamo di osservare incuriositi il contenuto degli scaffali. La tisana era assai delicata e aveva davvero un effetto rilassante. Finito di bere dalla sua tazza, la strega decise di accendersi una delle sue sigarette. Strano a dirsi, ma l'aroma del fumo della sigaretta non mi infastidiva, anzi ne ero attratta. «Vedr?, dottoressa Ruggeri, che uno di questi giorni ne fumer? una insieme a me.» «Non credo proprio, non ho mai fumato in vita mia e non penso che inizier? a quasi quarant'anni. Piuttosto, vorrei chiederle il significato del pentacolo disegnato su questo spettacolare pavimento. Ho studiato la simbologia e i simboli esoterici, ma qui ne vedo alcuni che non conosco. Riconosco il simbolo dello spirito, al centro, le otto linee che prendono origine da un punto e si irradiano verso i punti cardinali, gli stessi indicati dalla rosa dei venti.» «Brava, Dottoressa. So che lei ? ferrata in materia. Vede, l? dovrebbe aleggiare ancora lo spirito della mia ava Artemisia, bruciata al rogo in un giorno particolare del 1589. Il palo a cui era legata sembra fosse infisso nel terreno proprio in quel punto preciso. Gli altri simboli indicano ci? che accadde dal punto di vista astrale nello stesso giorno. Era l'equinozio di primavera, il 21 Marzo, era una notte di luna piena e in quella notte ci fu un eclissi totale di luna.» «S?, comincio a dare un'interpretazione ai simboli. Per?, da quello che ho appreso, le streghe di Triora non furono bruciate. Furono imprigionate, torturate, processate, condannate, ma l'esecuzione non ebbe mai luogo, in quanto il Doge di Genova si oppose.» «E questa ? la versione ufficiale, secondo la quale la mia ava e le sue quattro affezionatissime seguaci morirono in prigione a Genova. Ma forse non and? proprio cos?. Lei ? abile e scoprir? la verit?. Non sar? io a raccontargliela.» Avvicin? molto il suo viso e i suoi occhi al mio volto e mi sbuff? del fumo in faccia. Abbassai lo sguardo, per non guardarla dritta negli occhi, e mi ritrovai ad ammirare le sue gambe perfette, snelle, allungate, senza ombra di cellulite. In quel momento, con mia meraviglia, provai un forte desiderio sessuale nei suoi confronti. Osservavo le sue labbra vicinissime alle mie e avevo voglia di unirmi a lei in un bacio appassionato. Cercai di scacciare i pensieri che mi turbavano e feci un passo indietro per allontanarmi da lei. Strega ammaliatrice , pensai dentro di me. Ma come fa ad avere certi poteri? Ci congedammo da lei e ritornammo all'auto. La giornata stava volgendo al tardo pomeriggio ed era ora di rientrare in sede. «Ho come l'impressione di essermi persa qualcosa. Guardando l'orologio, mi rendo conto che ? passato pi? tempo di quello di cui ho avuto la percezione materiale!» dissi a Mauro appena usciti all'aperto. «Solo un po'? Quella strega ti ha incantato di nuovo. Ti ha parlato in una lingua incomprensibile, mentre tu la ammiravi dalla testa ai piedi. A un certo punto ho pensato che vi sareste baciate. Per? io ho approfittato della situazione per raccogliere qualche altro elemento, che poi ti mostrer?. La strega era talmente concentrata su di te e sulle parole che stava declamando che non ha fatto caso a me. Avrei potuto slacciarle quell'insulsa gonnella di jeans, lasciandola in mutande, e neanche se ne sarebbe accorta. Adesso guida tu, io voglio avviare subito qualche piccola ricerca sul computer di bordo.» Non appena staccai la frizione e pigiai il pedale dell'acceleratore, la Lamborghini scatt? in avanti come un cavallo imbizzarrito tenuto alle redini da un cavaliere inesperto. Mauro, concentrato sul display del computer, sembr? non far caso al mio stile di guida, che dopo qualche istante adattai alle caratteristiche dell'auto. Capii che dovevo assumere un'andatura moderata, tenendo il piede destro appena appoggiato sul pedale dell'acceleratore, cos? da non provocare brusche impennate alla velocit?. Dopo qualche minuto di silenzio, in cui Mauro era concentrato sul computer e io sulle curve della strada maledetta, il mio collega proruppe in un esclamazione. «Bingo! Qualcosa lo abbiamo trovato. La maggior parte delle impronte digitali che ho rilevato appartengono alla padrona di casa. Per il confronto ho acquisito una sua impronta dalla tazza in cui ho bevuto la tisana. Nei database non risulta alcuna corrispondenza delle impronte di Aurora con quelle di criminali schedati. E fin qui, direi, niente di nuovo. Per? ho un'impronta sul vaso di porcellana contenente il tabacco e un'altra sulla maniglia della porta d'ingresso che hanno rispondenza con individui schedati. E indovina un po'! La prima ? di Lar?s Dracu, la rumena di cui si sono perse le tracce venti anni fa. La polizia rumena aveva a suo tempo arrestato la giovane come presunta sediziosa e l'aveva schedata. Dopo la caduta del regime comunista, anche i database della polizia segreta furono resi accessibili e quindi ho avuto accesso al dato. In ogni caso la scheda ? stata aggiornata in seguito, in quanto era stata segnalata la fuga dal paese di questa donna, descritta come pericolosa criminale, addirittura potenziale assassina, e le foto segnaletiche erano state inviate a tutti i posti di controllo frontalieri d'Europa. Le ultime notizie su di lei risalgono all'estate del 1989, quando riusc? a passare sotto il naso di un doganiere italiano, all'aeroporto internazionale di Fiumicino, sotto il falso nome di Clarissa Draghi. Con falso passaporto italiano, si imbarc? su un volo diretto a Kathmandu. Dopo pochi giorni il doganiere, guardando la foto segnaletica che aveva attaccata davanti a s?, not? la forte somiglianza con la ventenne che era transitata di l? e avvert? la polizia nepalese, la quale avvi? delle ricerche. In Nepal furono rintracciati gli sherpa che avevano accompagnato lei e la sua compagna di viaggio fino al confine cinese, ai limiti della regione del Tibet. Gli sherpa dissero che avevano aspettato invano per tre giorni il loro ritorno. Pertanto, se le due donne non erano state arrestate dalla polizia di frontiera cinese, si erano perse tra le montagne, trovando morte quasi certa.» Distraendomi un po' dalla guida, ma senza permettere alla Lamborghini di prendermi la mano, proruppi in un'esclamazione. «E invece morta non ?, se abbiamo le sue impronte qui dopo venti anni!» «Gi?. Ma veniamo all'altra impronta, che corrisponde a tale Stefano Carrega, il giornalista genovese scomparso nel 2000 qui a Triora insieme a due suoi colleghi. Classe 1949, negli anni '70 risultava iscritto alla facolt? di Lettere e Filosofia a Bologna. Fu arrestato durante una manifestazione studentesca. Accusato di rissa, violenza nei confronti di una sua compagna di universit?, resistenza a pubblici ufficiali e detenzione illegale di armi, in quell'occasione fu schedato. Non ha altri precedenti.» «Beh, quelli erano i cosiddetti anni di piombo. E quindi anche lui ? in zona ed ? a stretto contatto con la signora Della Rosa! Ma siamo sicuri che siano impronte recenti? E credi che questi elementi siano sufficienti a convincere il dottor Leone ad autorizzare una perquisizione della casa di Aurora?» «Di sicuro le impronte non risalgono a venti anni fa, in quanto non sarebbero pi? evidenziabili. Che questi indizi siano sufficienti ad autorizzare una perquisizione, ne dubito, per? ci stiamo immettendo in una strada che da qualche parte ci dovrebbe condurre. Inoltre, ho fotografato con il palmare una delle scaffalature, dove c'? qualcosa che non mi convince. Ora scarico via bluetooth la foto sul computer e la ingrandisco per osservarne i dettagli. C'? una fessura che fa pensare a una specie di porta nascosta, forse un passaggio segreto. Ho provato a tirare o spingere lo scaffale, ma non accade nulla.» «Sar? presente un meccanismo di cui solo Aurora ? a conoscenza! Figuriamoci se poteva essere cos? semplice!» «S?, forse, o magari non c'? nulla ed ? solo una mia impressione. L'ultima cosa che ho notato, mentre tu eri imbambolata davanti a lei, ? stato un notebook acceso. Mi sono trattenuto a stento dall'inserirci una chiavetta USB, per scaricare i dati. non ho messo in atto il mio proposito solo per paura che, da un momento all'altro, Aurora si sarebbe girata e mi avrebbe sorpreso. Per? sono riuscito a capire che il computer ? connesso alla rete tramite una linea ADSL della Telecom e sono riuscito a memorizzare sia l'indirizzo IP, sia l'ID del computer, per cui non dovrebbe essere difficile accedere ai dati da un computer remoto.» «Prima di stoccare un affondo ad Aurora, che potrebbe essere prematuro, voglio portare a termine l'esame di tutti gli elementi che abbiamo a disposizione, ma soprattutto ci tengo a visitare gli altri tre luoghi che non abbiamo avuto ancora modo di osservare: il Lago Degno, la fontana di Campomav?e e la Via Dietro la Chiesa. Sono convinta che potremmo trovarci qualche sorpresa.» Continuai a guidare con prudenza il bolide, che sotto le mani di Mauro invece sfrecciava come una saetta, fino a raggiungere il distretto. Quando vidi parcheggiato l? avanti il furgoncino della Polizia Cinofila di Ancona, il mio cuore fece un balzo. Parcheggiai e scesi di corsa dall'auto, cercai con lo sguardo l'autista del mezzo e incontrai alfine il suo sguardo sorridente. «Agente Bernardini! Mi hai portato Furia? Finalmente! Dov'?? Ancora dentro il furgone?» «Buonasera dottoressa, e ben trovata, anche se la vedo messa ancor peggio di quando lavorava con i nostri cani. Ma da dove viene, da un percorso di guerra, da una prova di sopravvivenza? No, il suo Furia non ? nel furgone, l’ho sistemato nel box in cortile, l’ho gi? rifocillato e ho lasciato acqua a disposizione. Lo trover? in perfetta forma! Ora, se non le dispiace, vado a riposare un po' prima di riprendere la strada del ritorno.» «Ti ringrazio, agente, e salutami tutti gi? in Ancona.» «Certo! Sentiamo molto la sua mancanza dottoressa. A presto!» Ricordavo bene il giorno in cui l'ispettore Santinelli, che era anche un cacciatore, aveva portato con s? un cucciolo di Springer Spaniel, figlio di una sua cagna. «Ho provato questo cane, ha un fiuto eccezionale ma ha un grosso difetto, ha paura degli spari, per cui non ? adatto alla caccia. Tu, Caterina, non hai un cane tutto tuo. Ha sei mesi, ? un maschio, ? in perfetta salute e regolarmente vaccinato. L’ho chiamato Furia, perch? ? sempre in attivit?, non si acquieta mai, insomma ? un vero terremoto. Tienilo tu, sono sicuro che con le tue capacit? farai di questo cane un vero fenomeno!» Avevo accettato la sfida e sistemato Furia nell'unico box vuoto. Sapevo che lavorare con un cane cos? non sarebbe stato semplice ma, dopo qualche mese,ero riuscita a dominare la sua esuberanza. Gli avevo insegnato a obbedire a semplici comandi, che aveva appreso senza difficolt?, dopo di che mi ero dedicata a lavorare sul suo fiuto. Avevo anche fatto visitare Furia da Stefano, che aveva confermato essere un cane in perfetta salute, resistente alla fatica fisica e dal fiuto eccezionale. «Vedrai, ti dar? enormi soddisfazioni! Questo deve essere il tuo cane, non lo affidare a nessun’altro e vedrai che campione ne verr? fuori!» E in effetti, Furia mi avrebbe riservato grandi soddisfazioni e non me ne sarei mai separata per alcun motivo. Era per questo che, prima della partenza, non avendo intenzione di farlo viaggiare all'interno della stiva di un aereo, avevo organizzato per lui un viaggio a parte, con la complicit? di uno dei miei fidati collaboratori delle unit? cinofile. A quel punto, non potei evitare di correre subito in cortile e subire le feste e le leccate affettuose di Furia. Mi gettai in terra e gli permisi di venire sopra di me, abbracciandolo e rotolandomi per gioco insieme a lui, col risultato di rendermi ancor pi? lercia di quanto non fossi gi?. Quando salii di sopra, lungo i corridoi incontrai diversi sguardi, stupefatti dal modo in cui ero conciata. Mi venne incontro Laura, con un pacco di fogli in mano, che rappresentava il risultato delle sue ricerche. Mauro, d'altra parte, mi informava che erano pronti i primi risultati dell'autopsia, che il medico legale aveva bisogno di parlarmene, e che avevamo inoltre a disposizione i risultati degli esami della scientifica. «Datemi un attimo di tempo per sistemarmi. Ci vediamo tra dieci minuti nel mio ufficio.» Mi diedi una rinfrescata veloce, mi cambiai gli abiti luridi ed entrai nella mia stanza ancora intenta a rifinire il mio trucco, osservando il mio viso nello specchietto dell'astuccio del fard. A un certo punto notai, riflesse dallo specchietto, le scritte che avevo tracciato sul grosso foglio bianco quella mattina. «Ma certo, come non averci pensato prima?» fu la mia riflessione. «ENOMOLAS ID IVRES, letto da destra a sinistra diventa SERVI DI SALOMONE. Quindi la setta fa rifermento al Re Salomone, uno dei pilastri della religione ebraica.» Qualcosa era sfuggito alla strega, durante la prima delle nostre conversazioni, su Salomone, ma io non avevo approfondito il discorso, perch? pensavo che mi stesse fuorviando. Forse l'avrei dovuta lasciar parlare. Ricordavo bene che uno dei testi pi? importanti a cui fanno riferimento le sette esoteriche ? la “Chiave di Salomone”. In quel momento squill? il telefono. Era la dottoressa Banzi, il medico legale, a cercarmi. «Mi scusi, Commissario, ma vista l'ora tarda e visto che, nonostante i miei messaggi, lei non mi ha richiamato, ho pensato di riprovare prima di andare a casa. Le ho mandato un primo rapporto sull'autopsia, ma ci tenevo a parlarle di persona.» «Mi dica pure. Cosa ha scoperto di interessante?» «La vittima era una donna fra i trentacinque e i quarant'anni ed ? morta a causa del fuoco. La fuliggine nei polmoni prova che era viva quando il suo corpo ? stato dato alle fiamme.» «? stata bruciata viva, insomma. Che fine orribile!» «Non sono state rinvenute altre lesioni sul cadavere, quindi ho pensato che sia stata stordita con dei sedativi o della droga, e questo lo sapremo nei prossimi giorni, se riusciremo a rilevarne qualche residuo dall'esame dei reni e del fegato. Il fatto che il cadavere sia carbonizzato rende tutto pi? difficile. Abbiamo un elemento, forse l'unico, che pu? farci risalire all'identit? della vittima. Anche se la pelle ? stata molto alterata dal fuoco, sulla gamba destra, nella parte interna del polpaccio, subito al di sopra del malleolo, si riesce a notare la presenza di un tatuaggio. Ho chiamato i suoi colleghi della scientifica per vedere se si riusciva, con i loro metodi, a visualizzare il disegno originale. Hanno fatto delle foto e mi hanno riferito che ci avrebbero lavorato. Poi le faranno sapere. ? una cosa che non trover? nella mia relazione, ma ci tenevo a dirgliela. A presto dottoressa, e buonanotte!» «Grazie di tutto, e buon riposo a lei.» Uno dietro l'altra, entrarono nel mio ufficio Mauro e Laura. «Mauro, gi? conosco i risultati dell'autopsia e ho parlato con il medico legale. Qualcosa di interessante sui rilievi della scientifica?» «Qualcosa s?, direi. Il liquido infiammabile con cui ? stato appiccato il fuoco ? olio per lampade, una sostanza insolita, di uso non proprio comune. Per queste lampade, nell'antichit?, come combustibile si utilizzava l'olio d'oliva, oggi si utilizza un derivato del petrolio a bassa densit?, che produce meno fumo. Ci sono poche ditte che lo producono e sar? facile verificare se una di queste ne ha venduto un certo quantitativo qui in zona. L'altro elemento interessante ? il tatuaggio. Con la spettrografia al computer, quelli della scientifica sono riusciti a visualizzare un tatuaggio, impresso nella gamba destra della vittima. Rappresenta tre libri affiancati avvolti da fiamme. Una particolarit?? Sappiamo che Mariella La Rossa, la ragazza scomparsa nel 1997, aveva un tatuaggio identico nella stessa zona della gamba destra!» «Quindi, come immaginavo, tra le due c'? un legame. E tu, Laura, che cos’hai da riferire?» Êîíåö îçíàêîìèòåëüíîãî ôðàãìåíòà. Òåêñò ïðåäîñòàâëåí ÎÎÎ «ËèòÐåñ». Ïðî÷èòàéòå ýòó êíèãó öåëèêîì, êóïèâ ïîëíóþ ëåãàëüíóþ âåðñèþ (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=57160111&lfrom=688855901) íà ËèòÐåñ. Áåçîïàñíî îïëàòèòü êíèãó ìîæíî áàíêîâñêîé êàðòîé Visa, MasterCard, Maestro, ñî ñ÷åòà ìîáèëüíîãî òåëåôîíà, ñ ïëàòåæíîãî òåðìèíàëà, â ñàëîíå ÌÒÑ èëè Ñâÿçíîé, ÷åðåç PayPal, WebMoney, ßíäåêñ.Äåíüãè, QIWI Êîøåëåê, áîíóñíûìè êàðòàìè èëè äðóãèì óäîáíûì Âàì ñïîñîáîì.
Íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë Ëó÷øåå ìåñòî äëÿ ðàçìåùåíèÿ ñâîèõ ïðîèçâåäåíèé ìîëîäûìè àâòîðàìè, ïîýòàìè; äëÿ ðåàëèçàöèè ñâîèõ òâîð÷åñêèõ èäåé è äëÿ òîãî, ÷òîáû âàøè ïðîèçâåäåíèÿ ñòàëè ïîïóëÿðíûìè è ÷èòàåìûìè. Åñëè âû, íåèçâåñòíûé ñîâðåìåííûé ïîýò èëè çàèíòåðåñîâàííûé ÷èòàòåëü - Âàñ æä¸ò íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë.