«ß çíàþ, ÷òî òû ïîçâîíèøü, Òû ìó÷àåøü ñåáÿ íàïðàñíî. È óäèâèòåëüíî ïðåêðàñíà Áûëà òà íî÷ü è ýòîò äåíü…» Íà ëèöà íàïîëçàåò òåíü, Êàê õîëîä èç ãëóáîêîé íèøè. À ìûñëè çàëèòû ñâèíöîì, È ðóêè, ÷òî ñæèìàþò äóëî: «Òû âñå âî ìíå ïåðåâåðíóëà.  ðóêàõ – ãîðÿùåå îêíî. Ê ñåáå çîâåò, âëå÷åò îíî, Íî, çäåñü ìîé ìèð è çäåñü ìîé äîì». Ñòó÷èò â âèñêàõ: «Íó, ïîçâîí

Grido d’Onore

Grido d’Onore Morgan Rice L’Anello Dello Stregone #4 In Grido dOnore (Libro #4 in LAnello dello Stregone), Thor ? tornato dal Cento ed ? ora un guerriero pi? forte. Adesso deve imparare cosa significhi combattere per la propria madrepatria, battersi per la vita o la morte. I McCloud si sono addentrati di molto nel territorio dei MacGil, andando oltre quanto fossero mai arrivati nella storia dellAnello, e quando Thor incappa in unimboscata star? a lui respingere il loro attacco e salvare la Corte del Re. Godfrey ? stato avvelenato da suo fratello, che si ? servito di una sostanza molto rara e velenosa, e il suo destino si trova ora nelle mani di Gwendolyn che far? tutto il possibile per salvarlo dalla morte. Gareth ? sempre pi? succube della paranoia e dellinsoddisfazione e assolda una trib? di selvaggi come forza militare personale, cedendo loro il campo dellArgento, che viene cos? espulso. La conseguenza immediata ? una profonda frattura nella Corte del Re, che minaccia di diventare una guerra civile. Gareth trama anche perch? il feroce Nevaruns si prenda Gwendolyn in sposa anche senza il di lei consenso. Morgan Rice GRIDO D’ONORE (LIBRO #4 in L’ANELLO DELLO STREGONE) GRIDO D’ O N O RE (LIBRO #4 in L’ANELLO DELLO STREGONE) Morgan Rice Edizione italiana A cura di Annalisa lovat Chi ? Morgan Rice Morgan Rice ? l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento tredici libri. I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue). Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati! Cosa dicono di Morgan Rice “L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Vi terr? incollati al libro per ore e sar? in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni et?. Non pu? mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.” –-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos “Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualit? descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…” --Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata) “Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante  …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!… Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.” –-The Romance Reviews (parlando di Tramutata) “Mi ha preso fin dall’inizio e non ho pi? potuto smettere…. Questa storia ? un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.” –-Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata } “Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare a innamorarvi” –-vampirebooksite.com (parlando di Tramutata) “Un grande intreccio: questo ? proprio il genere di libro che farete fatica a mettere gi? la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed ? cos? spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.” –-The Dallas Examiner {parlando di Amata} “?  un libro che pu? competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedr? desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo ? il libro che fa per voi!” –-Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata} “Morgan Rice d? nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affasciner? una vasta gamma di lettori, compresi i pi? giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascer? a bocca aperta.” –-The Romance Reviews {parlando di Amata} Libri di Morgan Rice L’ANELLO DELLO STREGONE UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1) LA MARCIA DEI RE (Libro #2) DESTINO DI DRAGHI (Libro #3) GRIDO D’ONORE (Libro #4) VOTO DI GLORIA (Libro #5) UN COMPITO DI VALORE (Libro #6) RITO DI SPADE (Libro #7) CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8) UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9) UN MARE DI SCUDI (Libro #10) UN REGNO D’ACCIAIO (Libro #11) LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12) LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13) THE SURVIVAL TRILOGY ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1) ARENA TWO (Libro #2) APPUNTI DI UN VAMPIRO TRAMUTATA (Libro #1) AMATA (Libro #2) TRADITA (Libro #3) DESTINATA (Libro #4) DESIDERATA (Libro #5) BETROTHED (Libro #6) VOWED (Libro #7) FOUND (Libro #8) RESURRECTED (Libro #9) CRAVED (Libro #10) FATED (Book #11) Ascoltate (http://www.amazon.com/Quest-Heroes-Book-Sorcerers-Ring/dp/B00F9VJRXG/ref=la_B004KYW5SW_1_13_title_0_main?s=books&ie=UTF8&qid=1379619328&sr=1-13) la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio-libro! Ora disponibile su: Amazon (http://www.amazon.it/s?_encoding=UTF8&field-author=Morgan%20Rice&search-alias=digital-text) Audible (http://www.audible.com/pd/Sci-Fi-Fantasy/A-Quest-of-Heroes-Audiobook/B00F9DZV3Y/ref=sr_1_3?qid=1379619215&sr=1-3) iTunes (https://itunes.apple.com/us/audiobook/quest-heroes-book-1-in-sorcerers/id710447409) Copyright © 2013 by Morgan Rice All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental. Jacket image Copyright RazoomGame, used under license from Shutterstock.com. “Ma non ti far soggezione della mia grandezza. Alcuni, grandi ci nascono; alcuni altri ci giungono per gradi; ed altri ci si trovano costretti.”     —William Shakespeare     La Dodicesima Notte CAPITOLO UNO Luanda stava attraversando il campo di battaglia ed evit? per un pelo un cavallo lanciato al galoppo. Si dirigeva verso la casupola dove Re McCloud intendeva trovare riparo: stringeva tra le mani la fredda lancia di ferro, tremando mentre camminava sul terreno polveroso di quella citt? che un tempo aveva conosciuto, la citt? del suo popolo. Erano mesi che veniva costretta a vederli massacrati e ora era giunta al limite. Qualcosa era scattato dentro di lei. Non le interessava il fatto che si stesse mettendo contro l’intero esercito dei McCloud: avrebbe fatto qualsiasi cosa per fermarli. Luanda sapeva che ci? che stava per fare era una follia, che stava tenendo in mano la sua stessa vita e che McCloud l’avrebbe probabilmente uccisa. Ma spazz? quei pensieri dalla mente e continu? a correre. Era giunto il momento di fare ci? che era giusto, a ogni costo. Attraverso l’affollato campo di battaglia, tra i soldati, scorse McCloud in lontananza mentre portava la povera ragazza urlante all’interno di una casa abbandonata, una piccola abitazione d’argilla. Sbatt? la porta alle sue spalle quando vi fu entrato, sollevando una nuvola di polvere. “Luanda!” si ud? un grido. Lei si volt? e vide Bronson, forse un centinaio di metri dietro di lei, che la rincorreva. Era rallentato dall’inarrestabile flusso di cavalli e soldati che lo costrinsero diverse volte a fermarsi. Quella era la sua occasione. Se Bronson l’avesse raggiunta le avrebbe impedito di portare a termine la sua impresa. Luanda allung? il passo, stringendo la lancia, e cerc? di non pensare alla follia del gesto che stava per compiere e a quanto scarse fossero le sue possibilit? di successo. Se interi eserciti non erano in grado di battere McCloud, se i suoi stessi generali e il suo stesso figlio tremavano di fronte a lui, che speranze aveva lei da sola? Inoltre Luanda non aveva mai ucciso un uomo prima d’ora, n? tantomeno un uomo della levatura di McCloud. Si sarebbe bloccata in quel momento? Poteva veramente arrivare di soppiatto fino a lui? Era cos? tremendo come Bronson le aveva detto? Luanda si sentiva responsabile per quello spargimento di sangue, per la rovina della sua terra. Ripensando al passato si pentiva di aver accettato di sposare un McCloud, nonostante il suo amore per Bronson. Aveva imparato che i McCloud erano un popolo di ingovernabili selvaggi. Si rendeva ora conto di quanto i MacGil fossero fortunati ad avere l’Altopiano a dividerli e a tenerli riparati nella loro parte di Anello. Era stata un’ingenua e una stupida a credere che i McCloud non fossero cos? male come le avevano insegnato. Aveva pensato di poterli cambiare, aveva creduto che valesse la pena di diventare una principessa McCloud – e un giorno una regina – qualsiasi fosse il rischio da correre. Ma ora aveva capito che si era sbagliata. Avrebbe rinunciato a tutto – al suo titolo, alle sue ricchezze, alla sua fama, a tutto quanto – se potesse tornare indietro e non aver mai incontrato i McCloud, potesse tornare in salvo tra la sua famiglia nella sua parte di Anello. Ce l’aveva con suo padre ora per aver organizzato quel matrimonio. Lei era giovane e ingenua, ma lui avrebbe dovuto saperlo meglio di lei. La politica era stata cos? importante per lui da portarlo a sacrificare la sua stessa figlia? Ce l’aveva con lui anche perch? era morto, lasciandola sola in quella situazione. Luanda aveva imparato, negli ultimi mesi, a cavarsela da sola, anche se non era facile, e ora aveva finalmente l’occasione si sistemare le cose. Tremava quando raggiunse la piccola casa d’argilla e si trov? davanti a una porticina di quercia scura. Si volt? a guardare da entrambe le parti, timorosa che gli uomini di McCloud le saltassero addosso, ma con suo grande sollievo not? che erano tutti troppo occupati nello scompiglio che stavano creando per notarla. Con la lancia sempre stretta in mano afferr? la maniglia e la ruot? pi? delicatamente che pot?, pregando che McCloud non se ne accorgesse. Entr?. Era buio e i suoi occhi si adattarono lentamente dopo essere stati a lungo alla forte luce della bianca cittadina. L? dentro era anche pi? freddo, e mentre varcava la soglia della casupola la prima cosa che le giunse all’orecchio furono i gemiti e lamenti della ragazza. Quando riusc? a vedere scorse McCloud, svestito dalla cintola in gi?, che lottava sul pavimento con la ragazza che aveva totalmente spogliato. Lei gridava e piangeva, gli occhi sporgenti. McCloud le mise una delle sue enormi mani sulla bocca per farla tacere. Luanda stentava a credere che la scena che aveva dinnanzi fosse reale e che lei stesse realmente per fare ci? che aveva premeditato. Fece un cauto passo avanti, le mani le tremavano, sentiva che le ginocchia cedevano, e preg? di avere la forza di arrivare in fondo. Strinse la lancia di ferro come se fosse la sua ancora di salvezza. Dio, ti prego, dammi la forza di uccidere quest’uomo. Sentiva McCloud che gemeva e ansimava mentre si saziava. Era implacabile. Le grida della ragazza sembrarono amplificarsi ad ogni suo movimento. Luanda fece un altro passo, poi un altro ancora, fino a trovarsi a pochi metri da lui. Lo guard?, studi? il suo corpo cercando di decidere quale fosse il punto migliore dove colpirlo. Fortunatamente si era tolta la maglia metallica e aveva indosso solo una camicia di stoffa fina, ora pregna di sudore. Da l? sent? il suo odore e indietreggi?. Essersi tolto l’armatura era stata una mossa sbagliata da parte sua e Luanda decise che sarebbe stato il suo ultimo errore. Doveva sollevare la lancia con entrambe le mani e conficcarla nella schiena esposta di McCloud. Quando i gemiti di McCloud raggiunsero l’apice, Luanda sollev? la sua arma. Pens? a come sarebbe cambiata la sua vita dopo quel momento; a come, nel giro di pochi secondi, niente sarebbe pi? stato lo stesso. Il regno dei McCloud sarebbe stato libero dal loro re tiranno; alla sua gente sarebbe stata risparmiata ogni ulteriore distruzione. Suo marito sarebbe salito al trono e finalmente  tutto sarebbe andato bene. Luanda era l?, paralizzata dalla paura. Tremava. Se non agiva subito non l’avrebbe mai fatto. Trattenne il fiato, fece un ultimo passo avanti tenendo la lancia sopra la sua testa con entrambe le mani e improvvisamente cadde sulle ginocchia, conficcando il ferro con tutte le forze che aveva, pronta a spingerlo nella schiena dell’uomo. Ma accadde qualcosa che non si era aspettata, e avvenne rapidamente, troppo velocemente perch? lei riuscisse a reagire: all’ultimo momento McCloud si lev? dalla sua traiettoria. Per la stazza che aveva, era molto pi? rapido di quanto Luanda potesse credere possibile. Rotol? su un lato, esponendo la donna che giaceva sotto di lui. Era troppo tardi perch? Luanda potesse fermare il colpo. La lancia continu? a scendere e, con grande orrore di Luanda, and? a conficcarsi completamente nel petto della ragazza. La ragazza si sollev? di scatto a sedere, gridando e Luanda rimase atterrita nel vedere come la lancia le aveva profondamente perforato la carne, andandole dritta al cuore. Il sangue le sgorgava dalla bocca e lei guardava Luanda con orrore, con gli occhi di una vittima tradita. Subito dopo cadde a terra, morta. Launda rimase l? inginocchiata, ammutolita, traumatizzata, faticando a concepire ci? che era appena accaduto. Prima di riuscire a comprendere appieno la situazione, prima di rendersi conto che McCloud era sano e salvo, venne raggiunta da un colpo bruciante al volto, e cadde lei stessa a terra. Mentre veniva scaraventata verso il pavimento, si rese conto a stento che era stato McCloud a darle un pugno, un colpo tremendo che l’aveva fatta letteralmente volare. Aveva effettivamente previsto ogni sua  mossa, fin da quando era entrata nella stanza. Aveva finto di non essersene accorto. Aveva aspettato il momento giusto, l’occasione perfetta non solo per scansare il suo colpo, ma per ingannarla e farle uccidere nello stesso momento anche quella povera ragazza innocente, cos? che lei ne portasse addosso la colpa. Prima che il mondo diventasse nero davanti ai suoi occhi, Luanda riusc? a scorgere di striscio il volto di McCloud. Stava ghignando, con la bocca aperta e il fiato lungo, come un animale selvaggio. L’ultima cosa che ud?, prima che il suo enorme stivale si sollevasse e la colpisse in volto, fu la sua voce gutturale che lo faceva sembrare una bestia: “Mi hai fatto un favore,” disse. “Avevo comunque finito con lei.” CAPITOLO DUE Gwendolyn correva lungo le vie intricate della zona peggiore della Corte del Re. Le lacrime le scorrevano sulle guance mentre fuggiva dal castello, cercando di allontanarsi il pi? possibile da Gareth. Il cuore ancora le batteva all’impazzata dal loro incontro, da quando aveva visto Firth impiccato, da quando aveva udito la minaccia di suo fratello. Cerc? disperatamente di estrapolare dalle sue bugie ci? che poteva essere vero. Ma nella mente malata di Gareth verit? e bugia erano intrecciate ed era difficile capire a cosa credere. Aveva solo cercato di spaventarla? O quello che aveva detto era tutto vero? Gwendolyn aveva visto il corpo penzolante di Firth con i suo stessi occhi, e ci? le diceva che forse questa volta tutto quello che le aveva raccontato era corretto. Forse Godfrey era davvero stato avvelenato, forse lei era stata veramente venduta in matrimonio a un selvaggio Nevareno; e forse Thor stava veramente per incappare in un’imboscata. Il solo pensiero la fece rabbrividire. Si sentiva impotente mentre correva. Doveva fare qualcosa. Non poteva raggiungere Thor di corsa, ma poteva raggiungere Godfrey e vedere se era stato realmente avvelenato, e se era ancora vivo. Gwendolyn corse ancora pi? velocemente addentrandosi in quella zona malfamata della citt?, stupita di ritrovarsi l? per la seconda volta in cos? pochi giorni, in quella zona disgustosa della Corte del Re nella quale aveva giurato di non rimettere pi? piede. Se Godfrey era stato veramente avvelenato sapeva che doveva essere successo alla birreria. Dove senn?? Era furiosa con lui per essere tornato l?, per aver abbassato la guardia, per essere stato cos? sprovveduto. Ma pi? di tutto aveva paura per lui. Si rese conto di quanto si fosse affezionata al fratello in quegli ultimi pochi giorni, e il pensiero di perdere anche lui, soprattutto dopo aver gi? perso suo padre, le lasciava un buco nel cuore. Se ne sentiva anche in qualche modo responsabile. Gwen era terrorizzata mentre correva lungo quelle strade, e non certo dagli ubriachi e dai furfanti che le stavano attorno. Era terrorizzata da suo fratello, Gareth. Era sembrato indemoniato durante il loro ultimo incontro, e lei non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine del suo volto, dei suoi occhi, cos? neri e privi di ogni sentimento. Sembrava posseduto. E il fatto che sedesse sul trono di loro padre rendeva l’immagine ancora pi? surreale. Temeva il suo castigo. Forse stava realmente tramando di darla in moglie fuori dal regno, una cosa che lei non avrebbe mai tollerato, o forse voleva solo spiazzarla e stava effettivamente tramando di uccidere anche lei. Gwen si guard? in giro e mentre correva ogni volto che incontrava le sembrava ostile e straniero. Tutti sembravano una potenziale minaccia, sicari mandati da Gareth per finirla. Stava diventando paranoica. Gwen svolt? un angolo e urt? con una spalle un vecchio ubriaco. Il colpo le fece perdere l’equilibrio e lei salt? e lanci? un grido senza volerlo. Era estremamente tesa. Subito si rese conto che era un innocuo passante, non uno degli scagnozzi di Gareth. Si volt? e lo vide barcollare, senza neanche girarsi per chiedere scusa. Quella parte della citt? era talmente indegna da darle il voltastomaco. Se non fosse per Godfrey non si sarebbe mai neanche avvicinata a quella zona e lo odi? per averla indotta a tanto. Perch? non poteva rimanere lontano dalla birreria e basta? Gwen svolt? a un altro angolo ed eccola l?: la taverna preferita di Godfrey, un edificio precario, barcollante, con la porta spalancata e gente ubriaca che ne veniva fuori continuamente come al solito. Non perse altro tempo ed entr? di corsa. Le ci volle un po’ perch? gli occhi si abituassero all’oscurit?. L’aria sapeva di birra stantia e di corpi, e quando Gwen entr? tutti fecero silenzio. C’erano circa una ventina di uomini, tutti ammassati all’interno, e si voltarono guardandola sorpresi. Eccola l?, un membro della famiglia reale, con indosso abiti raffinati, che entrava di colpo in quella stanza che probabilmente non veniva pulita da anni. Raggiunse un uomo alto e panciuto che riconobbe essere Akorth, uno dei compagni di bevute di Godfrey. “Dov’? mio fratello?” gli chiese. Akorth, solitamente di buon umore, sempre pronto a uscirsene con battute sciocche delle quali si compiaceva ogni volta, la sorprese: si limit? a scuotere la testa. “Non se la passa bene, mia signora,” disse con tono cupo. “Cosa intendi dire?” insistette lei con il cuore che le martellava nel petto. “Ha bevuto della birra non buona,” disse un uomo alto e magro nel quale riconobbe Fulton, l’altro amico di Godfrey. “? andato a letto tardi la scorsa notte. Non si ? pi? alzato.” “? vivo?” chiese Gwen agitata, afferrando il polso di Akorth. “Appena,” rispose lui abbassando lo sguardo. “Se la passa veramente male. Ha smesso di parlare circa un’ora fa.” “Dove si trova?” insistette Gwen. “Nel retro, signora,” disse il locandiere passandole davanti mentre asciugava un boccale e lanciandole un’occhiata triste. “E fareste meglio a pensare in fretta a cosa fare di lui. Non ho intenzione di tenermi un cadavere nel mio locale.” Gwen, sopraffatta dalle emozioni, sorprese se stessa estraendo un piccolo pugnale, chinandosi contro di lui e tenendo la punta contro la sua gola. L’uomo deglut? e la guard? scioccato. Tutti tacquero. “Prima di tutto,” disse Gwen, “questo posto non ? un locale, ma una semplice scusa per mascherare una pozza per abbeverarsi, una catapecchia che far? radere al suolo dalla guardia reale se oserai parlarmi con questo tono un’altra volta. Vedi di iniziare il discorso con mia signora.” Gwen si sentiva fuori di s? e si sorprese della propria forza: non aveva idea di cosa la generasse. Il locandiere deglut? di nuovo. “Mia signora,” ripet?. Gwen tenne fermo il pugnale. “Secondo: mio fratello non morir?, e certo non in questo posto. Il suo cadavere ti farebbe molto pi? onore di qualsiasi altra anima in vita che vi passi il tempo. E se dovesse morire, stai certo che la colpa ricadr? su di te.” “Ma io non ho fatto nulla di male, mia signora!” la implor?. “Era la stessa birra che ho servito a tutti!” “Qualcuno deve averla avvelenata,” aggiunse Akorth. “Pu? essere stato chiunque,” disse Fulton. Gwen abbass? lentamente il pugnale. “Portatemi da lui. Ora!” ordin?. Il locandiere abbass? la testa, questa volta con umilt?, e si volt? passando di corsa attraverso una porta laterale. Gwen lo segu?, Akorth e Fulton si unirono a lei. Gwen entr? nella piccola stanza sul retro della taverna e sussult? quando vide suo fratello, Godfrey, steso supino a terra. Era pi? pallido che mai. Sembrava a un passo dalla morte. Era tutto vero. Gwen corse al suo fianco, gli afferr? una mano e la sent? fredda e sudata. Non le rispose. La sua testa giaceva sul pavimento, aveva la barba incolta e i capelli sudati appiccicati alla fronte. Ma Gwen sent? il battito, debole ma presente. Vide anche che il petto si sollevava e riabbassava respirando. Era vivo. Sent? una rabbia improvvisa montarle dentro. “Come potete lasciarlo qui a questo modo?” grid? rivolta al locandiere. “Mio fratello, un membro della famiglia reale, lasciato qui steso sul pavimento come un cane mentre sta morendo?” Il locandiere deglut? nervoso. “E cos’altro avrei potuto fare, mia signora?” le chiese insicuro. “Questo non ? un ospedale. Tutti hanno detto che era praticamente morto e…” “Godfrey non ? morto!” grid?. “E voi due,” disse voltandosi verso Akorth e Fulton. “che razza di amici siete? Lui vi avrebbe lasciati cos??” Akorth e Fulton si scambiarono uno sguardo vergognoso. “Perdonaci,” disse Akorth. “Il medico ? venuto la scorsa notte, gli ha dato un’occhiata e ha detto che stava morendo. Non era che questione di tempo. Pensava non ci fosse nulla da fare.” “Siamo rimasti con lui quasi tutta la notte, mia signora,” aggiunse Fulton, “al suo fianco. Abbiamo fatto solo una piccola pausa, abbiamo bevuto qualcosa per attenuare il dispiacere, poi sei arrivata tu e…” Gwen allung? una mano e con rabbia fece loro cadere di mano entrambi i boccali, mandandoli sul pavimento a riversare birra ovunque. Loro la guardarono scioccati. “Voi due, sollevatelo,” ordin? freddamente, alzandosi in piedi e sentendo una nuova forza crescerle dentro. “Lo porterete fuori da questo posto. Mi seguirete lungo la Corte del Re fino a che raggiungeremo la guaritrice reale. Daremo a mio fratello una possibilit? di riprendersi, e non lo lasceremo morire sulla base della sentenza di un qualche stupido medico. “E tu,” aggiunse rivolgendosi al locandiere. “Se mio fratello dovesse vivere, e se dovesse mai fare ritorno in questo posto e tu gli servirai ancora da bere, mi accerter? che tu venga gettato nelle segrete per non uscirne mai pi?.” Il locandiere tenne la testa bassa, inquieto. “E ora muoviamoci” grid?. Akorth e Fulton trasalirono e scattarono in azione. Gwen usc? in fretta dalla stanza, i due dietro di lei trasportando suo fratello e seguendola fuori dalla taverna alla luce del giorno. Si incamminarono lungo le affollate vie della Corte del Re, diretti verso la guaritrice. Gwen pregava solo che non fosse troppo tardi. CAPITOLO TRE Thor era lanciato al galoppo sul terreno polveroso, ormai lontano dalla Corte del Re. Reece, O’Connor, Elden e i gemelli erano al suo fianco, Krohn correva dietro di lui, Kendrick, Kolk, Brom e altri uomini della Legione e dell’Argento erano con loro: un esercito grandioso pronto a scontrarsi con i McCloud. Procedevano tutti insieme, pronti a liberare la citt?. Il rumore degli zoccoli dei cavalli era assordante, rombante come un tuono. Avanzavano da una giornata intera e il secondo sole era gi? alto in cielo. Thor stentava a credere che stava galoppando insieme a tutti quei grandi guerrieri nel mezzo della sua prima vera impresa militare. Si sentiva parte di quell’esercito, accettato come uno di loro. In effetti tutta la Legione era stata convocata in qualit? di riserva, e i suoi fratelli d’armi erano attorno a lui. I membri della Legione erano nettamente inferiori ai componenti dell’Esercito del Re, e Thor – per la prima volta in vita sua – si sent? un tassello di qualcosa di veramente grande. Si sentiva anche guidato da un forte senso di fermezza, convinzione nel proprio obiettivo. Sentiva che avevano bisogno di lui. I suoi cittadini si trovavano sotto l’assedio dei McCloud ed era compito del loro esercito liberarli, salvare la loro gente da un destino orribile. L’importanza di ci? che stavano facendo pesava su di lui e lo faceva sentire vivo. Thor si sentiva sicuro al cospetto di tutti quegli uomini, ma provava anche un senso di preoccupazione: quello era un esercito di uomini veri, ma ci? significava anche che stavano per scontrarsi con un altro esercito di uomini altrettanto reali. Veri e propri forti guerrieri. Questa volta di trattava di vita o di morte, e c’era molto pi? in ballo ora qui che mai nelle situazioni vissute in passato. Mentre avanzava allung? istintivamente una mano a toccare la sua fidata fionda e la sua nuova spada, rassicurato dalla loro presenza. Si chiese se entro la fine del giorno sarebbero state macchiate di sangue. O se lui stesso sarebbe stato ferito. Improvvisamente il loro esercito eruppe in un forte grido che sovrast? addirittura il rumore degli zoccoli dei cavalli, mentre svoltavano a una curva e scorgevano all’orizzonte la citt? assediata. Fumo nero saliva al cielo formando grosse nuvole, e i MacGil spronarono i cavalli acquistando velocit?. Anche Thor spinse di pi? il suo cavallo, cercando di restare al passo con gli altri mentre tutti sguainavano le spade, sollevavano le armi e si dirigevano con determinazione letale verso la citt?. L’enorme esercito si divise in piccoli gruppi e in quello di Thor si vennero a trovare dieci soldati, membri della Legione: i suoi amici e pochi altri che non conosceva. Alla loro testa procedeva un comandante anziano dell’Esercito del Re, un soldato che gli altri chiamavano Forg: un uomo alto e magro dalla corporatura atletica, la pelle butterata, i capelli corti grigi e gli occhi scuri e infossati. L’esercito di stava scomponendo e dirigendo in ogni direzione. “Questo gruppo mi segua!” ordin? facendo un gesto con la sua spada verso Thor e gli altri perch? si staccassero dalla massa e lo seguissero. Il gruppetto di Thor obbed? e si mise al seguito di Forg separandosi dal resto dell’esercito. Thor si guard? alle spalle e not? che il suo gruppo si era allontanato pi? degli altri e l’esercito si stava facendo sempre pi? distante. Proprio mentre Thor si stava chiedendo dove stessero andando, Forg grid?: “Prenderemo posizione a lato dei McCloud!” Thor e gli altri si scambiarono uno sguardo nervoso ed eccitato continuando a galoppare, proseguendo fino a che il resto dell’esercito scomparve alla vista. Si trovarono subito in un terreno nuovo, e la citt? svan? completamente all’orizzonte. Thor restava in guardia, ma non vi era pi? traccia dell’esercito dei McCloud da nessuna parte. Alla fine Forg fece fermare il suo cavallo alle pendici di una piccola collina, in una macchia di alberi. Gli altri si fermarono dietro di lui. Thor e gli altri guardarono Forg, chiedendosi perch? si fosse fermato. “Restiamo qui, questa ? la nostra missione,” spieg? loro. “Siete ancora guerrieri giovani, quindi vogliamo risparmiarvi il cuore della battaglia. Manterrete questa posizione mentre l’esercito principale attraverser? la citta e affronter? l’esercito dei McCloud. ? improbabile che alcuni dei McCloud vengano da questa parte e sarete quindi pi? al sicuro qui. Prendete posizione qua attorno e rimanete qui fino a che non vi daremo ulteriori ordini. Non muovetevi!” Forg spron? il cavallo iniziando a risalire la collina. Thor e gli altri fecero lo stesso e lo seguirono. Il gruppetto attravers? il versante polveroso, sollevando una nuvola: non c’era nessuno all’orizzonte per quanto Thor potesse vedere. Era contrariato per essere stato allontanato dall’azione principale: perch? li proteggevano cos? tanto? Pi? avanzavano pi? in Thor si innesc? un presentimento. Non riusciva a capire completamente di cosa si trattasse, ma il suo sesto senso gli diceva che c’era qualcosa che non andava. Quando raggiunsero la cima della collina, dove si trovava un piccolo e antico torrione – una torre alta e stretta che pareva abbandonata – qualcosa disse a Thor di guardarsi alle spalle. In quel momento vide Forg.  Si stup? che il comandante avesse lentamente lasciato terreno al gruppo, rimanendo sempre pi? indietro, e mentre Thor lo guardava lo vide voltarsi, spronare il cavallo e, senza avvertimento, galoppare nell’altra direzione. Thor non capiva cosa stesse accadendo. Perch? Forg li aveva lasciati cos? all’improvviso? Dietro di lui Krohn gemette. Proprio quando Thor stava iniziando a capire cosa stava succedendo, raggiunsero la cima della collina, l’antico torrione, aspettandosi di vedere nient’altro che terra deserta davanti a loro. Ma il piccolo gruppo della Legione fu costretto a fermare di colpo i cavalli. Rimasero l?, tutti pietrificati da quanto avevano di fronte ai loro occhi. L?, davanti a loro, c’era l’intero esercito dei McCloud. Erano finiti dritti in trappola. CAPITOLO QUATTRO Gwendolyn percorreva di corsa le intricate vie della Corte del Re, Akorth e Fulton la seguivano trasportando Godfrey e lei si faceva strada a forza tra la gente del popolo. Era determinata a raggiungere la guaritrice il prima possibile. Godfrey non poteva morire, non dopo tutto quello che avevano passato insieme, e non certo a quel modo. Riusciva quasi a figurarsi il sorriso pieno di soddisfazione di Gareth mentre riceveva la notizia della morte del fratello, e lei era decisa a cambiare le carte in tavola. Avrebbe solo voluto averlo trovato prima. Quando Gwen svolt? a un angolo ed entr? nella piazza della citt?, la folla divenne particolarmente fitta. Lei sollev? lo sguardo e vide Firth, ancora appeso alla trave, il cappio stretto attorno al suo collo, penzolante davanti agli occhi di tutti. Distolse istintivamente lo sguardo. Era una visione orribile, un promemoria della scelleratezza di suo fratello. Si sentiva come se fosse impossibile sfuggire alle sue grinfie, ovunque andasse. Era strano pensare che appena il giorno prima aveva parlato con Firth, e che ora lui era appeso l?. Non poteva fare a meno di pensare che la morte la stava circondando, e forse avrebbe preso anche lei. Per quanto Gwen desiderasse voltarsi e prendere una strada diversa, sapeva che dirigendosi attraverso la piazza avrebbe fatto prima, e non si lasci? quindi deviare dalle sue paure: si sforz? di passare proprio accanto al patibolo, vicino al corpo appeso. L? si sorprese di vedere il boia di palazzo, vestito di nero, a bloccarle la strada. Inizialmente pens? che stesse per uccidere anche lei, ma poi si inchin?. “Mia signora,” disse umilmente, abbassando il capo in segno di rispetto. “Non abbiamo ancora ricevuto ordine di cosa fare del corpo. Non mi ? stato detto se seppellirlo a dovere o se gettarlo nella fossa comune dei poveri.” Gwen si ferm?, scocciata che una decisione del genere dovesse ricadere sulle sue spalle. Akorth e Fulton le si fermarono accanto. Lei sollev? lo sguardo, strizz? gli occhi per il sole e guard? il corpo che penzolava a pochi metri da lei. Stava per voltarsi e ignorare quell’uomo, quando improvvisamente le accadde qualcosa. Sent? il pressante desiderio di rendere giustizia a suo padre. “Gettatelo in una fossa comune,” disse. “Senza nome. Nessun rito funebre. Voglio che il suo nome venga dimenticato dagli annali della storia.” Lui chin? la testa in assenso e lei prov? un piccolo senso di vendetta. Dopotutto quello era l’uomo che aveva effettivamente ucciso suo padre. Odiava le manifestazioni di violenza, ma non aveva lacrime per Firth. Poteva sentire lo spirito di suo padre dentro di s? adesso, pi? forte che mai, e prov? un senso di pace per lui. “Ancora una cosa,” aggiunse, fermando il boia. “Tirate gi? il corpo ora.” “Ora, mia signora?” chiese lui. “Ma il re ha dato ordine che rimanesse qui appeso il pi? a lungo possibile.” Gwen scosse la testa. “Ora,” ripet?. “Sono i suoi nuovi ordini,” ment?. Il boia si inchin? e si affrett? a tagliare la corda che reggeva il cadavere. Gwen sent? un altro piccolo senso di soddisfatta vendetta. Era certa che nel corso della giornata Gareth avrebbe controllato il corpo di Firth dalla finestra e che la rimozione del corpo l’avrebbe mandato su tutte le furie e gli avrebbe ricordato che le cose non potevano sempre andare secondo i suoi programmi. Gwen stava per andare quando ud? un verso ben noto: si volt? e vide che in alto, appollaiata sulla trave, c’era Estofele. Si port? una mano agli occhi per ripararsi dal sole e accertarsi che la luce non le stesse giocando degli scherzi. Estofele gracchi? di nuovo, apr? le ali e le richiuse. Gwen sentiva che il falco portava in s? lo spirito di suo padre. La sua anima, cos? inquieta, si era avvicinata di un altro passo alla pace. Gwen ebbe improvvisamente un’idea: fischi? e tese un braccio in fuori. Estofele vol? gi? dalla trave e and? a posarsi sul polso di Gwen. Era pesante e i suoi artigli le punsero la pelle. “Va’ da Thor,” sussurr? al falco. “Trovalo sul campo di battaglia. Proteggilo. VAI!” grid?, sollevando il braccio. Guard? Estofele mentre sbatteva le ali e si librava sempre pi? in alto nel cielo. Preg? che funzionasse. C’era qualcosa di misterioso in quel falco, soprattutto nel suo legame con Thor, e Gwen sapeva che ogni cosa era possibile. Continuarono velocemente in direzione della casetta della guaritrice. Passarono attraverso uno dei diversi cancelli ad arco che conducevano fuori dalla citt?. Gwen camminava pi? veloce che poteva, pregando perch? Godfrey resistesse abbastanza da permetterle di aiutarlo. Il secondo sole si stava abbassando nel cielo quando raggiunsero e risalirono una piccola collina al confine della Corte del Re. L? apparve loro la casa della guaritrice. Era una semplice dimora con un’unica stanza, i muri bianchi fatti d’argilla, una piccola finestra da ogni lato e una piccola porta di quercia a forma di arco sulla facciata. Dal tetto pendevano piante di ogni colore e variet? facendo da cornice alla casa, che era anche circondata da un giardino di floride erbe, fiori di ogni colore e misura che facevano pensare che la casa fosse immersa nel mezzo di una serra. Gwen corse alla porta e picchi? il batacchio diverse volte. La porta si apr? e di fronte a lei apparve il volto stupito della guaritrice. Illepra. Era guaritrice della famiglia reale da una vita, ed era una presenza nella vita di Gwen da quando aveva imparato a camminare. Eppure era capace di avere un aspetto sempre giovane: sembrava infatti avere appena qualche anno pi? di Gwen. La sua pelle era splendente, radiosa, e faceva da contorno a due occhi verdi e gentili, facendola sembrare poco pi? che diciottenne. Gwen sapeva che era molto pi? anziana, sapeva che il suo aspetto era ingannevole, e sapeva anche che Illepra era una delle pi? intelligenti e talentuose persone che avesse mai incontrato. Lo sguardo di Illepra si spost? su Godfrey, e la donna cerc? di capire la situazione. Lasci? da parte ogni formalit? e apr? gli occhi colmi di preoccupazione, rendendosi conto dell’urgenza. Pass? velocemente oltre Gwen e si avvicin? a Godfrey, appoggiandogli una mano sulla fronte. Si accigli?. “Portatelo dentro,” ordin? ai due uomini con durezza, “e fate in fretta.” Illepra rientr?, apr? del tutto la porta e loro la seguirono rapidamente all’interno della casetta. Anche Gwen li segu?, abbassando la testa sotto la bassa porta d’ingresso, e richiuse il battente alle loro spalle. Era buio l? dentro, e le ci volle un po’ perch? gli occhi si abituassero alla poca luce. Allora vide che la casa era esattamente come la ricordava da bambina: piccola, chiara, pulita e piena zeppa di piante, erbe e pozioni di ogni genere. “Mettetelo l?,” ordin? Illepra agli uomini, pi? seria di quanto Gwen l’avesse mai sentita. “Su quel letto nell’angolo. Toglietegli camicia e scarpe. Poi lasciateci soli.” Akorth e Fulton fecero come lei aveva detto. Mentre si affrettavano alla porta Gwen afferr? Akorth per un braccio. “State di guardia fuori dalla porta,” gli ordin?. “Chiunque segua Godfrey potrebbe volerci riprovare con lui. O con me.” Akorth annu? e insieme a Fulton usc? chiudendosi la porta alle spalle. “Da quanto si trova in questo stato?” chiese Illepra con urgenza, senza guardare Gwen mentre si inginocchiava accanto a Godfrey e iniziava a tastargli il polso, lo stomaco e la gola. “Da ieri sera,” rispose Gwen. “Ieri sera!” le fece eco Illepra, scuotendo la testa con preoccupazione. Lo esamin? a lungo in silenzio, l’espressione sempre pi? cupa. “Non ? preso bene,” disse alla fine. Gli mise di nuovo una mano sulla fronte e questa volta chiuse gli occhi, respirando, molto a lungo. Un silenzio denso pervase la stanza e Gwen inizi? a perdere il senso del tempo. “Veleno,” disse infine Illepra, gli occhi ancora chiusi, come se stesse leggendo la condizione di Godfrey per osmosi. Gwen si meravigliava sempre della sua abilit?: non si era mai sbagliata una sola volta in tutta la vita. E aveva salvato pi? vite di quante l’esercito ne avesse prese. Si chiedeva se fosse una capacit? appresa o ereditata. Anche la madre di Illepra era stata una guaritrice, e sua nonna prima di lei. Eppure allo stesso tempo Illepra aveva trascorso ogni momento della sua vita a sperimentare pozioni e a studiare l’arte medica. “Un veleno molto potente,” aggiunse Illepra, pi? sicura di s?. “Di un tipo che incontro raramente. Molto costoso. Chiunque cercasse di avvelenarlo, sapeva ci? che faceva. ? incredibile che non sia morto. Quest’uomo ? pi? forte di quanto pensiamo.” “Gli viene da mio padre,” disse Gwen. “Aveva la costituzione di un toro. Tutti i re MacGil erano cos?.” Illepra and? dall’altra parte della stanza e si mise a mescolare diverse erbe su un ripiano di legno, affettandole e macinandole e contemporaneamente aggiungendovi un liquido. Ne risult? un unguento denso e verde. Lei se ne riemp? la mano, corse al fianco di Godfrey e glielo spalm? sulla gola, sotto le braccia e sulla fronte. Quando ebbe finito torn? dall’altra parte della stanza, prese un bicchiere e vers? diversi liquidi: uno rosso, uno marrone e uno viola. Quando si riversarono la pozione sibil? e riboll?. Lei la rimest? con un lungo cucchiaio di legno e poi si affrett? a versarla sulle labbra di Godfrey. Lui non si mosse. Illepra gli sollev? la testa con una mano e gli spinse il liquido tra le labbra. La maggior parte cadde fuori rigandogli le guance, ma un po’ entr? e gli and? in gola. Illepra tampon? il liquido dalla bocca e dalla mascella, poi si ritrasse e sospir?. “Vivr??” chiese Gwen agitata. “Forse,” disse lei con tono cupo. “Gli ho dato tutto quello che avevo, ma potrebbe non bastare. La sua vita ? nelle mani del fato.” “Cosa posso fare?” le chiese Gwen. Lei si volt? e la fiss?. “Prega per lui. Sar? comunque una notte molto lunga.” CAPITOLO CINQUE Kendrick non aveva mai apprezzato la libert? – la vera libert? – fino a quel giorno. Il tempo trascorso chiuso nelle segrete aveva modificato il suo punto di vista sulla vita. Ora apprezzava ogni piccola cosa: la sensazione donata dal sole, il vento tra i capelli, il semplice stare all’aria aperta. Galoppare con il suo cavallo, sentire il terreno che scorreva veloce sotto di lui, essere di nuovo dentro un’armatura, avere le sue armi con lui e muoversi con i suoi compagni lo faceva sentire come se fosse stato sparato da un cannone. Provava una temerariet? mai sperimentata prima. Kendrick galoppava, abbassandosi contro il vento, il fido compagno Atme al suo fianco, completamente grato per la possibilit? di combattere insieme ai propri compagni, di non perdersi la battaglia, desideroso di liberare la sua patria dai McCloud, e fargliela poi pagare per averli invasi. Cavalcava pervaso dall’urgenza di spargere sangue, anche se era ben consapevole che il vero bersaglio della sua collera non erano i McCloud, ma suo fratello Gareth. Non lo avrebbe mai perdonato per averlo imprigionato, per averlo accusato dell’assassinio di suo padre, per averlo arrestato di fronte ai suoi uomini, e per aver tentato di mandarlo a morte. Kendrick voleva vendetta, ma dato che non poteva averla direttamente su Gareth, almeno non adesso, se la sarebbe presa sui McCloud. Una volta tornato alla Corte del Re avrebbe comunque rimesso le cose a posto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per eliminare suo fratello e mettere sul trono sua sorella Gwendolyn. Si avvicinarono alla citt? saccheggiata ed enormi nuvole scure e gonfie li accolsero, riempiendo le narici di Kendrick di un odore acre di fumo. Lo addolorava vedere una citt? dei MacGil ridotta in quegli stati. Se suo padre fosse stato ancora vivo tutto ci? non sarebbe mai accaduto; se Gareth non gli fosse succeduto al trono non si sarebbe mai verificata una cosa del genere. Era una disgrazia, un’onta sull’onore dei MacGil e dell’Argento. Kendrick pregava che non fossero giunti troppo tardi per salvare quella gente e che i McCloud non fossero l? da troppo tempo, che non fosse stata ferita o uccisa troppa gente. Spron? ancor pi? il suo cavallo, portandosi davanti agli altri mentre tutti galoppavano, come uno sciame di api, verso il cancello aperto che dava accesso alla citt?. Lo attraversarono, Kendrick brandendo la sua spada e preparandosi allo scontro con un contingente dell’esercito nemico. Liber? un alto grido e cos? fecero gli uomini attorno a lui, preparandosi all’impatto. Ma quando ebbero attraversato il cancello e si furono ritrovati nella polverosa piazza della citt?, Kendrick rimase frastornato di fronte a ci? che vide: niente. Tutt’attorno c’erano evidenti segni di un’invasione – distruzione, incendi, case svaligiate, cadaveri ammassati, donne che strisciavano. C’erano animali uccisi, sangue sulle pareti. Era stato un massacro. I McCloud avevano devastato quel popolo innocente. Il solo pensiero fece venire a Kendrick la nausea. Erano dei codardi. Ma ci? che lo stup? maggiormente mentre si guardava in giro era che dei McCloud non c’era nessuna traccia. Non riusciva a capire. Era come se l’intero esercito si fosse dileguato, come se avessero saputo che loro stavano arrivando. Gli incendi erano ancora accesi ed era chiaro che erano stati accesi per un motivo. Nella mente di Kendrick si stava facendo strada l’idea che fosse un’esca. Che i McCloud avessero voluto appositamente attirare l’esercito dei MacGil in quel luogo. Ma perch?? Kendrick si volt? di scatto, si guard? in giro, cercando disperatamente di capire se mancasse qualcuno dei suoi uomini, se qualche pezzo dell’esercito fosse stato trascinato da qualche altra parte, in un altro luogo. Nella mente gli scorrevano ora nuovi pensieri, una nuova sensazione che tutto ci? fosse stato organizzato per isolare un gruppo dei suoi uomini, in modo da tendere loro un’imboscata. Guard? ovunque, chiedendosi chi mancasse. E poi cap?. C’era una persona che mancava. Il suo scudiero. Thor. CAPITOLO SEI Thor era in groppa al suo cavallo, in cima alla collina affiancato dal gruppo di membri della Legione e da Krohn, e guardava la spiazzante visione davanti a s?: a perdita d’occhio si dispiegavano le truppe dei McCloud, tutti a cavallo; un vasto esercito che si estendeva a macchia d’olio e sembrava non attendere che loro. Erano stati incastrati. Forg doveva averli portati l? di proposito, doveva averli traditi. Ma perch?? Thor deglut?, osservando quella che aveva tutto l’aspetto di essere morte certa. Un grandioso grido di battaglia si lev? quando improvvisamente l’esercito dei McCloud si lanci? all’attacco. Erano a poco pi? di cento metri da loro, e fecero presto ad avvicinarsi. Thor si diede un’occhiata alle spalle, ma non c’erano rinforzi per quanto riusc? a vedere. Erano completamente soli. Thor sapeva che non avevano altra scelta che tentare un ultimo atto di resistenza l?, su quella collinetta, accanto a quel torrione abbandonato. Le loro possibilit? erano nulle e non c’era praticamente modo che potessero vincere. Ma se anche avesse dovuto morire, sarebbe morto coraggiosamente e li avrebbe affrontati da uomo. La Legione gli aveva insegnato questo. Scappare non era una possibilit? da contemplare: Thor si prepar? ad affrontare la propria morte. Si volt? a guardare i volti dei suoi amici e pot? vedere che anche loro erano pallidi per la paura, scorse la morte nei loro occhi. Ma a loro totale credito, mantennero il coraggio. Nessuno di loro trasal?, anche se i loro cavalli si impennarono o cercarono di voltarsi per scappare. La Legione era un blocco unico ora. Erano pi? che amici: il Cento aveva fatto di loro una squadra di fratelli. Nessuno di loro avrebbe mai lasciato gli altri. Avevano fatto tutti un giuramento e c’era in ballo il loro onore adesso. E per la Legione l’onore era pi? sacro del sangue. “Signori, credo che abbiamo una battaglia davanti,” constat? Reece lentamente, allungando una mano e sguainando la spada. Thor prese la sua fionda con l’intento di eliminare pi? soldati possibile prima che potessero raggiungerli. O’Connor estrasse la sua lancia corta, mentre Elden prepar? il giavellotto, Conval il martello da lancio e Conven il suo picco d’armi. Gli altri ragazzi della Legione che erano con loro, quelli che Thor non conosceva, sguainarono le spade e sollevarono gli scudi. Thor percepiva la paura aleggiare nell’aria e lui stesso la provava, mentre il boato generato dagli zoccoli dei cavalli lanciati al galoppo si avvicinava e le urla degli uomini di McCloud raggiungevano il cielo dando l’impressione di essere un rombo di tuono pronto a colpirli. Thor sapeva che avevano bisogno di una strategia, ma non aveva idea di quale potesse essere quella migliore. Accanto a Thor, Krohn ringhi?. il giovane fu ispirato dall’audacia di Krohn, dalla sua mancanza di paura: non esit? e non si guard? alle spalle una sola volta. In effetti il pelo gli si era rizzato sulla schiena e lentamente stava avanzando, come volesse affrontare quell’esercito da solo. Thor sapeva di aver trovato in Krohn un vero compagno di battaglia. “Credete che gli altri ci manderanno dei rinforzi?” chiese O’Connor. “Non in tempo,” rispose Elden. “Siamo stati messi nel sacco da Forg.” “Ma perch??” chiese Reece. “Non ne ho idea,” rispose Thor, avanzando con il suo cavallo, “ma ho la terribile sensazione che abbia qualcosa a che vedere con me. Penso che qualcuno mi voglia morto.” Thor sent? che gli altri si voltavano verso di lui e lo guardavano. “Perch??” chiese Reece. Thor scroll? le spalle. Non lo sapeva, ma aveva la sensazione che centrassero in qualche modo tutte le macchinazioni della Corte del Re, che fosse qualcosa di connesso all’assassinio di MacGil.  Probabilmente era Gareth. Forse vedeva in Thor una minaccia. Si sentiva malissimo all’idea di aver messo in pericolo i suoi compagni, ma non c’era nulla che potesse fare. Poteva solo tentare di difenderli. Ne aveva abbastanza. Grid? e spron? il cavallo, lanciandosi al galoppo e scattando in azione prima degli altri. Non avrebbe aspettato di farsi trovare l? dall’esercito e dalla sua stessa morte. Avrebbe scagliato lui il primo colpo, magari avrebbe addirittura deviato qualcuno dei suoi fratelli d’armi e avrebbe dato loro l’occasione di scappare, se avessero voluto. Aveva intenzione di andare incontro alla sua fine e l’avrebbe fatto senza paura, con onore. Tremando dentro di s? ma rifiutando di darlo a vedere, Thor galopp? distaccandosi sempre pi? dagli altri, scendendo il versante della collina e avvicinandosi all’esercito nemico. Accanto a lui Krohn correva senza perdere una falcata. Thor ud? un grido mentre alle sue spalle i suoi compagni della Legione galoppavano cercando di raggiungerlo. Erano ad appena una ventina di metri da lui e lo seguivano lanciando grida di guerra. Thor rimase a capo del gruppo, ma si sentiva incoraggiato sentendo il loro sostegno. Davanti a lui un contingente di guerrieri si distacc? dall’esercito di McCloud lanciandosi contro di lui. Erano forse cinquanta uomini. Erano a un centinaio di metri da lui e si avvicinavano velocemente. Thor tir? fuori la sua fionda, vi piazz? una pietra, prese la mira e tir?. Colp? l’uomo che stava alla guida, un soldato robusto con un pettorale d’argento. Lo prese alla base della gola, proprio tra le lamine dell’armatura, e l’uomo cadde da cavallo finendo a terra davanti agli altri. Con lui cadde anche il suo cavallo e le decine di cavalli che avanzavano alle sue spalle si ammassarono facendo finire a terra anche i loro cavalieri. Prima che potessero reagire Thor mise un’altra pietra nella fionda e tir? di nuovo. Un’altra volta il colpo and? a segno e colp? uno dei principali guerrieri alla tempia, dove la visiera del suo elmo era sollevata, facendolo cadere da cavallo di lato, sbattendo contro diversi altri guerrieri che finirono tutti a terra uno dopo l’altro, come tessere del domino. Mentre Thor avanzava un giavellotto gli vol? sopra la testa, poi una lancia, poi un martello da lancio, poi un picco d’armi, e cap? che i suoi fratelli stavano cercando di dargli manforte. Anche i loro colpi andarono a segno e mandarono a terra i soldati di McCloud con una precisione fatale. Molti dei guerrieri nemici caddero da cavallo facendone a loro volta cedere altri. Thor era esultante nel vedere che erano gi? riusciti a mandare al tappeto decine di soldati di McCloud, alcuni con colpi diretti, ma la maggior parte scagliati a terra da cavalli che cadevano. Il contingente d’attacco di cinquanta uomini era ora completamente a terra in un cumulo polveroso. Ma l’esercito di McCloud era forte e ora era il loro turno di contrattaccare. Quando Thor giunse a circa trenta metri da loro, diversi guerrieri lanciarono delle armi contro di lui. Un martello da lancio gli giunse dritto verso il volto e Thor si abbass? all’ultimo momento. L’arma gli sfior? l’orecchio e lo manc? per un centimetro. Alla medesima velocit? anche una lancia quasi lo colp? e lui la schiv? piegandosi dall’altra parte. La punta tocc? appena la sua armatura, ma fortunatamente lo manc?. Un picco d’armi gli arriv? quasi in faccia, ma Thor sollev? lo scudo e lo ferm?. L’arma vi si conficc? e Thor la stacc? per poi rilanciarla contro il suo attaccante. La mira fu buona e il picco si piant? nel petto dell’uomo, perforando la sua maglia di ferro. Con un grido il guerriero cadde da cavallo e rimase poi a terra, morto. Thor continu? ad avanzare. Si lanci? dritto contro il fitto dell’esercito, in quel mare di soldati, pronto ad affrontare la propria morte. Grid? e sollev? la spada, levando un sonoro grido di battaglia, ripetuto spalle dietro di lui dai suoi compagni d’armi. Con un grande scontro d’armi si giunse all’impatto. Un enorme e robusto guerriero si avvent? su di lui, sollev? un’ascia doppia e la scagli? contro la testa di Thor. Thor si abbass? e la lama gli sfior? il capo e squarci? lo stomaco del soldato mentre lui gli passava accanto. L’uomo url? e si accasci? sul suo cavallo. Cadendo lasci? andare l’ascia che rote? andando a colpire un cavallo dei McCloud che scalpit? e disarcion? il suo cavaliere scaraventandolo addosso agli altri. Thor continu? ad addentrarsi in mezzo ai guerrieri di McCloud, centinaia di uomini, facendosi strada tra di loro mentre uno dopo l’altro tutti tentavano di colpirlo con le loro spade, asce, mazze ferrate che lui bloccava con lo scudo o schivava, colpendo a sua volta, abbassandosi e ondeggiando, sempre lanciato al galoppo. Era troppo veloce, troppo agile per loro, e certo non se lo erano aspettato. Con un esercito di quelle dimensioni non potevano certo muoversi abbastanza rapidamente da fermarlo. Un forte clangore metallico si lev? tutt’attorno a lui, mentre i colpi gli precipitavano addosso da ogni parte. Thor li bloccava servendosi dello scudo e della spada, ma non riusc? a fermarli tutti. Una spada gli prese di striscio la spalla e lu? url? di dolore mentre il sangue iniziava a sgorgare. Fortunatamente non era una ferita profonda e non gli imped? di continuare a combattere, per cui non smise di lottare. Thor si batteva con entrambe le mani ed era circondato da guerrieri di McCloud. Presto i colpi iniziarono a farsi meno pesanti e altri membri della Legione raggiunsero il gruppo. Il frastuono delle armi si fece ancora pi? sonoro mentre gli uomini di McCloud combattevano contro i ragazzi della Legione. Le spade cozzavano contro gli scudi, le lance colpivano i cavalli, i giavellotti venivano scagliati contro le armature, tutti combattevano in ogni modo possibile. Le grida si levavano da entrambe le parti. La Legione era avvantaggiata in quanto era una piccola e agile forza: dieci ragazzi in mezzo a un enorme esercito che si muoveva a rilento. Si era creato una sorta di imbuto e non tutti gli uomini di McCloud riuscivano a passarvi insieme. Thor si ritrov? a combattere con due o tre uomini alla volta, ma non di pi?. E i suoi fratelli alle sue spalle gli evitavano di essere attaccato da dietro. Quando un guerriero colse Thor alla sprovvista e fece roteare la sua mazza chiodata mirando alla sua testa, Krohn ringhi? e salt?. Balz? alto in aria e atterr? dritto sul polso dell’uomo squarciandoglielo. Il sangue si rivers? ovunque e il braccio del guerriero fu deviato un attimo prima che la mazza colpisse il cranio di Thor. Regnava il caos mentre Thor combatteva, colpiva e parava colpi in ogni direzione, usando ogni briciolo delle sue capacit? per difendersi, attaccare, fare attenzione ai suoi compagni e a se stesso. Istintivamente riport? alla mente ci? che aveva imparato durante le infinite giornate di allenamento, l’essere attaccato da ogni lato e in ogni situazione. In qualche modo gli sembrava naturale. Lo avevano ben addestrato e si sentiva capace di gestire la situazione. La paura era sempre l?, ma era in grado di tenerla a bada. Mente continuava a combattere, le braccia sempre pi? pesanti e le spalle stanche, gli risuonarono nelle orecchie le parole di Kolk: Il vostro nemico non combatter? mai ai vostri termini. Combatter? secondo i propri. Guerra per voi significa guerra anche per qualcun altro. Thor vide che un guerriero basso e tozzo sollevava una catena chiodata con entrambe le mani e la faceva oscillare mirando alla nuca di Reece. Reece non lo vide arrivare e in un attimo sarebbe potuto morire. Thor balz? gi? da cavallo saltando a mezz’aria e placcando il guerriero un momento prima che lasciasse andare la catena. I due volarono dai cavalli e atterrarono pesantemente a terra sollevando una nuvola di polvere. Thor rotol?, incapace di riprendere fiato, mentre i cavalli gli scalpitavano tutt’attorno. Lott? corpo a corpo a terra con il guerriero e quando questi sollev? i pollici per conficcarglieli negli occhi, ud? improvvisamente uno stridio, e vide Estofele lanciarsi in picchiata e artigliare gli occhi del suo avversario prima che questi potesse fargli del male. L’uomo grid? portandosi le mani agli occhi e Thor gli diede una forte gomitata levandoselo violentemente di dosso. Senza avere la possibilit? di gioire per la sua vittoria, si sent? calciare con violenza all’addome e cadde sulla schiena. Sollevando lo sguardo vide un guerriero che brandiva con entrambe le mani un picco d’armi con l’evidente intenzione di calarlo sul suo petto. Thor rotol? e il picco lo sfior? conficcandosi completamente nel terreno fino all’impugnatura. Si rese conto che l’avrebbe ucciso. Krohn si lanci? sull’uomo, balzando in avanti e affondandogli le zanne nel gomito. Il soldato colp? pi? volte Krohn con un pugno, ma il leopardo non lasci? la presa. Continu? a ringhiare fino a che riusc? a staccare il braccio dell’uomo dal corpo. Il guerriero strill? e cadde a terra. Un altro soldato si fece avanti e rote? la spade contro Krohn, ma Thor si spinse in avanti con lo scudo e ferm? il colpo. Tutto il suo corpo fu scosso dalla botta, ma Krohn fu salvo. L? inginocchiato per? Thor era un facile bersaglio e un guerriero gli si lanci? contro a cavallo, passandogli sopra e mandandolo a terra a faccia in gi?. Thor si sent? come se gli zoccoli del cavallo gli sbriciolassero le ossa. Diversi soldati di McCloud saltarono a terra e lo circondarono, stringendosi attorno a lui. Thor si rese conto di essere in una brutta posizione. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare in groppa al suo cavallo in quel preciso istante. Mentre giaceva l? a terra, la testa che gli esplodeva dal dolore, con la coda dell’occhio vide i suoi compagni della Legione che combattevano perdendo terreno. Uno dei ragazzi che non conosceva lanci? un grido acuto e Thor vide che aveva una spada conficcata nel petto. Il giovane cadde a terra morto. Un altro dei ragazzi che non conosceva corse in suo aiuto uccidendo il suo aggressore con un colpo di lancia, ma nello stesso istante un McCloud lo attacc? alle spalle piantandogli un pugnale nel collo. Il ragazzo grid? e cadde da cavallo, morto anche lui. Thor sollev? lo sguardo e vide cinque o sei soldati che gli si appressavano. Uno di loro alz? una spada e la port? in basso verso il suo volto, ma lui riusc? a bloccarla con lo scudo. Il forte clangore metallico gli risuon? nelle orecchie. Un altro sollev? un piede e gli calci? lo scudo via dalle mani. Un terzo gli pest? il polso e lo blocc? a terra. Un quarto si fece avanti e sollev? una lancia, preparandosi a piantargliela nel petto. Thor ud? un forte ruggito e Krohn balz? sul soldato, facendolo cadere a terra e bloccandolo al suolo. Ma un altro guerriero si fece avanti con una mazza e colp? Krohn cos? forte da tramortirlo: con un gemito il leopardo si afflosci? a terra. Un altro soldato si port? sopra Thor e lev? un tridente. Lo guard? con sguardo torvo: questa volta non c’era nessuno a fermarlo. Si prepar? ad abbassarlo sul volto di Thor che, l? a terra bloccato e indifeso non pot? fare a meno di pensare che, alla fine, era giunta la sua ora. CAPITOLO SETTE Gwen era inginocchiata accanto a Godfrey nella piccolo stanza, Illepra al suo fianco, e non ce la faceva pi?. Erano ore che sentiva i gemiti di suo fratello e guardava il volto di Illepra diventare sempre pi? cupo. Sembrava certo che Godfrey sarebbe morto. Si sentiva cos? inutile a starsene seduta l? senza poter fare niente. Aveva bisogno di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Non solo era scossa dal senso di colpa e dalla preoccupazione per Godfrey, ma ancor pi? per Thor. Non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di lui in battaglia, mandato da Gareth in trappola, prossimo alla morte. Sentiva che in qualche modo doveva aiutare anche lui. Stava diventando pazza seduta l?. Improvvisamente si alz? in piedi e attravers? di corsa la stanza. “Dove stai andando?” le chiese Illepra, la voce roca a forza di cantilenare preghiere. Gwen si volt? a guardarla. “Torno subito,” disse. “Devo provare a fare una cosa.” Apr? la porta e corse fuori, nell’aria del tramonto, e sbatt? le palpebre sorpresa da ci? che si trov? di fronte: il cielo era striato di rosso e viola, il secondo sole sembrava una palla verde che scendeva all’orizzonte. Akorth e Fulton, a loro credito, erano ancora l? di guardia. Balzarono in piedi e la guardarono con la preoccupazione stampata sul volto. “Sopravviver??” le chiese Akorth. “Non  lo so,” rispose Gwen. “Rimanete qui. State di guardia.” “E tu dove vai?” le chiese Fulton. Le venne un’idea guardando il cielo rosso sangue e sent? che nell’aria c’era qualcosa di mistico. C’era un uomo che avrebbe potuto aiutarla. Argon. Se c’era una persona di cui Gwen poteva fidarsi, una persona che amasse Thor e che fosse rimasta leale a suo padre, una persona che avesse il potere di aiutarla in qualche modo, quella persona era lui. “Devo andare a cercare qualcuno di speciale,” disse. Si volt? e se ne and? velocemente, attraversando la piana prima camminando di buon passo, poi veramente di corsa, ripercorrendo il sentiero che conduceva alla casa di Argon. Erano anni che non vi andava, da quando era bambina, ma ricordava che abitava in alto, in una radura desolata e rocciosa. Continu? a correre, respirando a fatica mentre il terreno diventava pi? brullo, l’erba lasciava spazio ai ciottoli, poi alle rocce. Il vento ululava, e mentre Gwen procedeva, il paesaggio divenne lugubre: le sembrava di camminare sulla superficie di un pianeta. Alla fine raggiunse la dimora di Argon, senza fiato, e batt? i pugni contro la porta. Non c’era nessun batacchio, ma sapeva che quello era il posto giusto. “Argon!” grid?. “Sono io! La figlia di MacGil! Lasciami entrare! Te lo ordino!” Continu? a picchiare la porta, ma le rispose solo l’ululato del vento. Alla fine scoppi? in lacrime, esausta, sentendosi pi? inutile che mai. Si sentiva svuotata, come se non le restasse nessun posto dove andare. Mentre il sole scendeva nel cielo e il rosso sangue lasciava spazio al crepuscolo, Gwen si volt? e inizi? a ridiscendere la collina. Camminava e si asciugava le lacrime dal volto, disperata e non sapendo dove altro andare. “Ti prego, padre,” disse a voce alta, chiudendo gli occhi. “Dammi un segno. Mostrami dove andare. Mostrami cosa fare. Ti scongiuro, non lasciare che tuo figlio muoia ora. E non lasciare che anche Thor muoia, te ne prego. Se mi ami rispondimi.” Gwen prosegu? in silenzio, ascoltando il vento, quando improvvisamente venne colpita da una fulminea ispirazione. Il lago. Il Lago delle Pene. Ovvio. Il lago era il luogo dove tutti andavano a pregare per chi era fatalmente malato. Era un laghetto limpido nel mezzo di Boscorosso, circondato da altissimi alberi che sembravano raggiungere il cielo. Era considerato un luogo sacro. Grazie, padre, per avermi risposto, pens? Gwen. Ora sentiva che era con lei, pi? che mai, e inizi? a correre rapida verso Boscorosso, verso il lago che avrebbe ascoltato il suo dolore. * Gwen era in ginocchio sulla riva del Lago delle Pene, le ginocchia appoggiate ai soffici aghi di pino rosso che disegnavano un anello attorno all’acqua. Guardava l’acqua calma, la pi? calma che avesse mai visto, che rifletteva il sorgere della luna. Era una luna piena e brillante, pi? tonda che mai, e mentre il secondo sole stava ancora tramontando, la luna saliva e l’Anello era illuminato allo stesso tempo dal tramonto e dal bagliore lunare. Il sole e la luna si riflettevano entrambi, uno di fronte all’altro alle due estremit? del lago, e Gwen percep? la sacralit? di quel momento della giornata. Era la finestra tra la chiusura di un giorno e l’inizio di un altro, e in quell’ora sacra tutto era possibile. Gwen stava l? inginocchiata, piangendo e pregando con tutta l’intensit? di cui era capace. Gli eventi degli ultimi giorni erano stato troppo per lei, e sent? la necessit? di sfogarsi. Preg? per suo fratello, ma ancor pi? per Thor. Non poteva sopportare il pensiero di perderli entrambi quella notte, di non avere pi? nessuno vicino se non Gareth. Non poteva sopportare neppure il pensiero di essere imbarcata e mandata in sposa a un qualche barbaro. Sentiva che la vita le stava crollando addosso, e aveva bisogno di risposte. E ancor pi? aveva bisogno di speranza. C’erano molte persone nel suo regno che pregavano il Dio dei Laghi, o il Dio dei Boschi, o il Dio delle Montagne, o il Dio del Vento, ma Gwen non aveva mai creduto a nulla di tutto ci?. Come Thor lei era una dei pochi nel suo regno a cui la fede risultava intollerabile, e seguiva la via radicale di un solo Dio, un solo essere che controllava l’intero universo. Era quello il Dio che pregava. Ti prego Dio, preg?. Riportami Thor. Fa che sia salvo in battaglia. Fa che sfugga all’imboscata. Ti prego, fa che Godfrey viva. E ti prego di proteggermi – non lasciare che mi portino via da qui e mi diano in sposa a un selvaggio. Far? qualsiasi cosa. Dammi solo un segno. Mostrami quello che vuoi da me. Gwen rimase inginocchiata a lungo, udendo nient’altro che l’ululare del vento che soffiava ininterrottamente tra gli alti alberi di Boscorosso. Ascolt? il delicato scricchiolio dei rami mentre oscillavano sulla sua testa e lasciavano cadere i loro aghi nell’acqua. “Fai attenzione a ci? per cui preghi,” disse una voce. Lei si volt? trasalendo, e fu sorpresa di vedere qualcuno l? in piedi a pochi passi da lei. Si sarebbe spaventata, ma riconobbe immediatamente quella voce, una voce antica, pi? vecchia degli alberi, pi? vecchia della terra stessa, e il cuore le si gonfi? nel petto quando si rese conto di chi si trattava. Si volt? e lo vide in piedi accanto a lei, con addosso il suo mantello bianco con il cappuccio, gli occhi luccicanti che la guardavano come se le stessero entrando nell’anima. Teneva in mano il suo bastone, illuminato dal tramonto e dalla luna. Argon. Gwen si alz? e si mise di fronte a lui. “Ti ho cercato,” gli disse. “Sono venuta a casa tua. Mi hai sentito bussare?” “Io sento tutto,” le rispose ermetico. Lei esit? pensierosa. Argon non aveva alcuna espressione. “Dimmi cosa devo fare,” gli disse. “Far? qualsiasi cosa. Per favore, non permettere che Thor muoia. Non puoi lasciarlo morire!” Gwen fece un passo avanti a gli afferr? un polso, implorante. Ma appena lo tocc? fu scottata da un calore bruciante che pass? dal polso di Argon alla sua mano, e si ritrasse, pervasa da quell’energia. Argon sospir?, si volt? e fece diversi passi verso il lago. Rimase l?, fissando l’acqua, gli occhi scintillanti alla luce. Lei gli si avvicin? e rimase accanto a lui per chiss? quanto tempo, aspettando che fosse pronto a parlare. “Non ? impossibile cambiare il destino,” le disse. “Ma ci? costa un grosso prezzo a chi lo chiede. Tu vuoi salvare una vita. ? uno sforzo nobile. Ma non puoi salvare due vite. Dovrai scegliere.” Lui si volt? a guardarla. “Chi vuoi che sopravviva questa notte? Thor o tuo fratello? Uno di loro deve morire. ? scritto.” Gwen era orripilata da quella domanda. “Ma che razza di scelta ??” gli chiese. “Salvandone uno, condanno l’altro.” “Non ? vero. Sono entrambi destinati a morire. Mi dispiace, ma questo ? il loro destino.” Gwen si sent? come se le avessero conficcato un pugnale nello stomaco. Entrambi destinati a morire? Era troppo orribile da immaginare. Poteva veramente essere cos? crudele il fato? “Non posso sceglierne uno a scapito dell’altro,” disse alla fine con voce debole. “Il mio amore per Thor ? pi? forte, ovviamente. Ma Godfrey ? sangue del mio sangue. Non posso sopportare l’idea che uno di loro muoia a spese dell’altro. E penso che nessuno dei due lo vorrebbe.” “Allora entrambi moriranno,” ribatt? Argon. Gwen si sent? pervasa dal panico. “Aspetta!” gli grid? mentre si apprestava ad andarsene. Lui si volt? e la guard?. “E io?” gli chiese. “E se morissi io al loro posto? ? possibile? Possono vivere entrambi se io muoio?” Argon la fiss? a lungo, come se la stesse osservando nella sua vera essenza. “Il tuo cuore ? puro,” le disse. “Sei la pi? pura di cuore tra tutti i MacGil. Tuo padre aveva scelto con saggezza. Veramente…” La voce di Argon si affievol? mentre continuava a guardarla negli occhi. Gwen si sentiva a disagio, ma non os? distogliere lo sguardo. “Per la tua scelta, per il tuo sacrificio di questa sera,” disse Argon, “il destino ti ha sentito. Thor verr? salvato. E anche tuo fratello. E vivrai anche tu. Ma un piccolo pezzo della tua vita deve essere preso. Ricorda, c’? sempre un prezzo. Morirai di una morte parziale in cambio delle vite di entrambi.” “Ma cosa significa?” gli chiese terrorizzata. “Tutto viene a un prezzo,” le rispose. “Tu hai una scelta. Non la pagheresti?” Gwen si sent? gelare. “Far? qualsiasi cosa per Thor,” disse. “E per la mia famiglia.” Argon la fiss?. “Thor ha un destino grandioso,” le disse Argon. “Ma il destino pu? cambiare. Il nostro destino ? nelle nostre stelle. Ma ? anche controllato da Dio. Dio pu? cambiare il fato. Thor era destinato a morire questa notte. Vivr? solo grazie a te. E tu ne pagherai il prezzo. Un prezzo alto.” Gwen avrebbe voluto saperne di pi?, e si allung? verso Argon, ma proprio in quel momento, improvvisamente, una luce lampeggi? davanti ai suoi occhi e Argon scomparve. Gwen si volt? cercandolo in ogni direzione, ma non era da nessuna parte. Alla fine si gir? a guardare il lago, cos? sereno, come se niente fosse accaduto l? quella notte. Vide il suo riflesso nell’acqua e le parve di essere cos? lontana. Era colma di gratitudine e, finalmente, di un senso di pace. Ma non poteva evitare di provare anche un senso di timore per il suo stesso futuro. Per quanto tentasse di levarselo dalla mente, non poteva fare a meno di chiedersi: quale prezzo avrebbe pagato per la vita di Thor? CAPITOLO OTTO Thor giaceva a terra nel bel mezzo della battaglia, schiacciato al suolo dai soldati di McCloud, indifeso; sentiva lo scontro della lotta, le grida dei cavalli e degli uomini che gli stavano morendo attorno. La vista del sole calante e della luna che si levava – una luna pi? piena che mai – venne improvvisamente oscurata da un enorme soldato che si fece avanti tenendo alto il suo tridente e preparandosi a scagliarlo. Thor sapeva che la sua ora era giunta. Chiuse gli occhi preparandosi alla morte. Non aveva paura. Solo rimorso. Avrebbe voluto pi? tempo per vivere, avrebbe volute sapere chi era, quale fosse il suo destino e, soprattutto, avrebbe voluto pi? tempo per s? e Gwen. A Thor non pareva giusto morire cos?. Non l?. Non in quel modo. Non quel giorno. Non era ancora la sua ora. Lo sentiva. Non era ancora pronto. Improvvisamente sent? qualcosa che gli cresceva dentro: era una fierezza, una forza che non aveva mai provato. Prov? un formicolio in tutto il corpo e gli venne caldo. Sent? una sensazione completamente nuova scorrergli nelle membra, dalle piante dei piedi, attraverso le gambe, lungo il tronco, attraverso le braccia fino alle punte delle dita. Tutto bruciava emanando un’energia che faceva fatica a comprendere. Thor stup? se stesso emettendo un sonoro ruggito, come di un drago che sorgesse dal fondo della terra. Sent? scorrere in s? la forza di dieci uomini, quindi si liber? dalla presa dei soldati e balz? in piedi. Prima che il guerriero potesse abbassare il tridente, Thor avanz?, lo afferr? per l’elmo e gli diede una testata spezzandogli il naso. Poi gli diede un calcio talmente forte da proiettarlo all’indietro come una palla di cannone, colpendo altri dieci uomini. Thor grid? pervaso da un nuovo senso di rabbia, afferr? il soldato, lo sollev? sopra la sua testa e lo scagli? tra gli altri, mandando a terra una decina di soldati come fossero pedine. Poi agguant? una mazza chiodata con una catena di tre metri dalle mani di un soldato e la fece roteare sopra la propria testa sempre pi? forte, fino a che le urla si levarono tutt’attorno a lui mentre mandava a terra decine e decine di guerrieri. Thor sentiva che il suo potere continuava a sgorgare e gli lasci? prendere il sopravvento. Quando diversi altri uomini gli si buttarono addosso, allung? una mano e apr? il palmo, sorpreso di sentire un formicolio e poi di vedere una nebbia fresca emanare dalla sua mano aperta. I suoi aggressori si immobilizzarono all’improvviso, ricoperti da uno strato di ghiaccio. Rimasero immobili sul posto, congelati. Thor fece ruotare i palmi in ogni direzione e ovunque gli uomini rimasero immobilizzati: sembrava che dei blocchi di ghiaccio fossero caduti sul campo di battaglia. Thor si volt? verso i suoi fratelli d’armi e vide che alcuni soldati stavano per scagliare colpi fatali contro Reece, O’Connor, Elden e i gemelli. Diresse il palmo anche verso di loro e congel? i loro attaccanti, salvandoli da morte certa. Loro si girarono a guardarlo, gli occhi colmi di sollievo e gratitudine. L’esercito di McCloud inizi? a rendersi conto di cosa stava accadendo e i soldati si fecero pi? timorosi nell’avvicinarsi a Thor. Iniziarono a creare un perimetro di protezione attorno a lui, tutti spaventati mentre vedevano che decine dei loro compagni venivano ricoperti di ghiaccio sul campo di battaglia. Ma poi giunse un grido e un uomo si fece avanti: era cinque volte pi? grande degli altri. Doveva essere alto quattro metri e aveva in mano la spada pi? grande che Thor avesse mai visto. Sollev? la mano per immobilizzare anche lui, ma il suo potere questa volta non funzion?. Semplicemente scans? l’energia da parte con una manata come se si trattasse di un insetto fastidioso, e continu? ad avvicinarsi a Thor. Thor iniziava a rendersi conto che il suo potere non era perfetto e non riusciva a capire perch? non fosse abbastanza forte da fermare quell’uomo. Il gigante lo raggiunse con tre lunghi passi, sorprendendolo per la sua velocit?, poi gli diede un manrovescio e lo mand? a volare all’indietro. Thor colp? violentemente il terreno, e prima di riuscire a girarsi, il gigante era su di lui e lo sollevava sopra la propria testa con due mani. Lo scaravent? e l’esercito di McCloud grid? trionfante mentre Thor volava per cinque metri buoni prima di atterrare pesantemente a terra e rotolare nella polvere. Thor si sentiva come se gli si fossero spezzate tutte le costole. Sollev? lo sguardo e vide che il gigante gli stava ancora per avventarglisi contro, e questa volta non c’era nulla che potesse fare per difendersi. Qualsiasi potere avesse, si era esaurito. Chiuse gli occhi. Ti prego Dio, aiutami. Mentre il gigante si scagliava contro di lui, Thor inizi? a sentire nella sua mente un ronzio sommesso. Il suono crebbe sempre pi? e presto divenne un ronzio proveniente dall’esterno, dall’universo. Sent? una strana sensazione mai provata prima, inizi? a sentirsi in perfetta sintonia con ogni materia e tessuto, con l’aria, con il dondolare degli alberi, l’ondeggiare di ogni filo d’erba. Sent? quel sonoro ronzio in mezzo a tutto ci? e poi come se lui stesso lo stesse assorbendo da ogni angolo dell’universo, raccogliendolo nella sua mente. Apr? gli occhi e ud? il tremendo ronzio sopra la sua testa. Sollev? lo sguardo e con sua immensa sorpresa un enorme sciame di api si materializz? nel cielo. Provenivano da ogni angolo, e quando sollev? le mani sent? che era lui a guidarle. Non aveva idea di come lo stesse facendo, ma sapeva che le stava dirigendo. Ruot? le mani verso il gigante e vide lo sciame di api oscurare il cielo e buttarsi poi in picchiata contro l’energumeno ricoprendolo completamente. L’uomo sollev? le mani e si sbracci?, poi grid? mentre lo avvolgevano, pungendolo migliaia di volte fino a farlo cadere sulle ginocchia e portandolo ad accasciarsi terra, morto. Il terreno trem? per l’impatto con il suo corpo. Poi Thor diresse le mani contro l’esercito di McCloud: i guerrieri erano a cavallo e guardavano la scena con orrore. Iniziarono a girarsi per fuggire, ma nessun secondo fu loro concesso perch? lo potessero fare. Thor gir? i palmi verso di loro e l’esercito di api lasci? il gigante e inizi? ad attaccare i soldati. L’esercito di McCloud grid? di paura e tutti insieme si girarono e partirono al galoppo, punti innumerevoli volte dallo sciame. Presto il campo di battaglia fu completamente vuoto e loro scomparvero il pi? rapidamente possibile. Alcuni non riuscirono a dileguarsi in tempo e caddero uno dopo l’altro disseminando il terreno di cadaveri. Mentre i sopravvissuti continuavano a galoppare, lo sciame li inseguiva da ogni parte del campo fino all’orizzonte e il forte ronzio si fuse con il suono tonante degli zoccoli dei cavalli e con le grida terrorizzate degli uomini. Thor era senza parole: nel giro di pochi minuti il campo di battaglia era diventato vuoto e silenzioso. Tutto ci? che rimaneva erano i lamenti dei feriti che giacevano a terra. Thor si guard? in giro e vide i suoi amici, esausti e con il fiatone: sembravano ben ammaccati e ricoperti da leggere ferite, ma stavano bene. A parte, ovviamente, per i tre ragazzi che non conosceva e che erano morti. Si ud? un forte boato all’orizzonte e Thor si volt? per vedere l’esercito del Re che risaliva velocemente la collina, galoppando loro incontro condotto da Kendrick. In pochi minuti arrivarono e fermarono i cavalli davanti a Thor e ai suoi amici, gli unici sopravvissuti in quel campo di sangue. Thor era scioccato e li fissava, mentre Kendrick, Kolk, Brom e gli altri smontavano da cavallo e gli si avvicinavano lentamente. Erano accompagnati da decine di membri dell’Argento, tutti valorosi guerrieri dell’Esercito del Re. Videro Thor e gli altri l? da soli, vittoriosi nel mezzo del campo di battaglia ora ricoperto da centinaia di cadaveri dell’esercito di McCloud. Thor vide i loro sguardi colmi di meraviglia, di rispetto, di stupore. Glielo si leggeva negli occhi. Era ci? che aveva desiderato per una vita intera. Era un eroe. CAPITOLO NOVE Erec galoppava sul suo cavallo lungo la Strada del Sud, avanzando pi? veloce che poteva e facendo del suo meglio per evitare le buche della strada nel buio della notte. Non si era mai fermato da quando aveva sentito del rapimento di Alistair, di lei venduta come schiava e portata verso Baluster. Non riusciva a smettere di biasimarsi. Era stato sciocco e ingenuo a fidarsi di quel locandiere, a credere che avrebbe mantenuto fede alla parola data e che avrebbe rispettato gli estremi del loro accordo liberando Alistair dopo la sua vittoria nel torneo. La parola di Erec era il suo onore e aveva creduto che anche quella degli altri fosse sacra. Era stato uno stupido errore. E Alistair ne aveva pagato il prezzo. A Erec si spezzava il cuore a quel pensiero. Spron? il cavallo a galoppare pi? velocemente. Una donna cos? bella e raffinata, prima costretta a sopportare l’indegno compito di lavorare in una locanda, e ora venduta in schiava, nientemeno che nel mercato del sesso. Il pensiero mandava Erec su tutte le furie e non poteva fare a meno di sentirsi in qualche modo responsabile: se lui non fosse mai comparso nella sua vita, se non si fosse mai offerto di portarla via, forse il locandiere non avrebbe mai pensato a venderla. Erec galoppava nella notte, il rumore degli zoccoli del suo cavallo rimbombava nel buio e gli riempiva le orecchie insieme al suono del suo respiro. Il cavallo era pi? che esausto ed Erec temeva che sarebbe potuto cadere a terra. Si era recato dal locandiere direttamente dopo il torneo e quindi non aveva avuto neanche una pausa, per cui era lui stesso esausto e sentiva che sarebbe potuto crollare a terra da un momento all’altro. Ma si sforz? di tenere gli occhi aperti, si sforz? di rimanere sveglio mentre cavalcava nel bagliore della luna, diretto verso sud, verso Baluster. Erec aveva sentito raccontare di Baluster nel corso della sua vita, nonostante non ci fosse mai stato. Si diceva fosse un posto di gioco d’azzardo, oppio, sesso e qualsiasi altro vizio immaginabile nel regno. Era il luogo dove si riversavano da ogni parte dell’Anello i delusi e gli insoddisfatti per sfruttare ogni genere di oscuro divertimento conosciuto da mente umana. Quel luogo rappresentava l’esatto contrario di come era Erec. Lui non aveva mai giocato d’azzardo, e raramente beveva, preferendo trascorrere il suo tempo libero allenandosi e affinando le sue abilit?. Non riusciva proprio a capire le persone che si dedicavano esclusivamente a pigrizia e bisboccia come facevano i frequentatori di Baluster. Andare in un posto del genere non era di buon presagio per lui. Non poteva venirne fuori niente di buono. Il pensiero di Alistair in quel luogo gli faceva male al cuore. Sapeva di doverla salvare in fretta e portarla lontano da l?, prima che le fosse fatto del male. Quando la luna fu alta nel cielo e la strada si fece pi? larga e percorribile pi? agevolmente, Erec scorse il primo scorcio della citt?: l’innumerevole quantit? di torce che ne illuminavano le mura la facevano apparire come un grande fal? nel bel mezzo della notte. Erec non ne fu sorpreso: si diceva che i suoi abitanti stessero svegli a ogni ora della notte. Spron? di pi? il cavallo e la citt? si fece pi? vicina fino a che si trov? ad attraversare un piccolo ponte di legno, sorvegliato da una sentinella mezzo addormentata che balz? in piedi quando Erec le pass? accanto in fretta e furia. La guardia lo richiam?: “EHI!” Ma lui neanche rallent?. Se l’uomo si fosse sentito tanto sicuro da inseguirlo – cosa che lui dubitava molto – allora si sarebbe assicurato che fosse l’ultima cosa che facesse. Erec pass? attraverso l’ampio cancello aperto che dava accesso alla citt?, costituita da una piazza circondata da basse e antiche mura di pietra. Quando fu entrato percorse le strette strade, perfettamente illuminate, fiancheggiate com’erano da torce. Gli edifici erano costruiti uno accanto all’altro e donavano alla cittadina un senso di chiusura quasi claustrofobica. Le strade erano completamente affollate di gente e sembravano quasi tutti ubriachi: barcollavano da una parte e dall’altra, gridavano a voce alta, scherzavano e si prendevano in giro. Era come una grande festa. E ogni edificio era adibito a taverna o sala da gioco. Erec sapeva che si trovava nel posto giusto. Poteva percepire la presenza di Alistair. Deglut? sperando che non fosse troppo tardi. Si avvicin? a quella che sembrava essere una taverna piuttosto grande nel centro della citt?, una moltitudine di persone girovagava all’esterno, e immagin? che fosse il posto adatto da cui iniziare la sua ricerca. Smont? da cavallo e corse dentro, facendosi strada a gomitate tra la gente chiassosa per il troppo bere, fino a che raggiunse l’oste che stava in fondo alla stanza e scriveva i nomi delle persone, raccoglieva i loro posti e indicava loro la strada per le camere. Era un tipo dall’aspetto viscido, con un sorriso finto, il volto imperlato di sudore, continuamente impegnato a sfregarsi le mani una contro l’altra mentre contava le sue monete. Sollev? lo sguardo verso Erec con un sorriso plastico stampato in viso. “Una camera, signore?” gli chiese. “O volete delle donne?” Erec scosse la testa e si avvicin? all’uomo, con l’intenzione di farsi sentire in quel chiasso. “Sto cercando un commerciante,” disse. “Un commerciante di schiavi. ? venuto qui da Savaria suppergi? un giorno fa. Aveva con s? un carico prezioso. Un carico umano.” L’uomo si lecc? le labbra. “Quella che cerchi ? un’informazione preziosa,” disse l’uomo. “Te la posso fornire tanto facilmente quanto darti una camera.” L’uomo allung? una mano e sfreg? due dita, poi protese il palmo aperto. Guard? Erec e sorrise. Erec era disgustato da quell’uomo, ma voleva quell’informazione e non aveva tempo da perdere, quindi infil? una mano nel suo sacco e mise una grossa moneta nella mano dell’uomo. L’uomo sgran? gli occhi esaminandola. “L’oro del Re,” osserv?, impressionato. Squadr? Erec da capo a piedi con espressione carica di rispetto e meraviglia. “Quindi vieni direttamente dalla Corte del Re?” gli chiese. “Basta,” rispose Erec. “Sono io quello che fa le domande qui. Ti ho pagato. Ora dimmi: dov’? il commerciante?” L’uomo si lecc? le labbra diverse volte, poi si chin? verso di lui. “L’uomo che cerchi si chiama Erbot. Viene qui una volta alla settimana sempre con nuove partite di puttane. Poi le vende all’asta al miglior offerente. Dovresti trovarlo nel suo covo. Segui questa strada fino alla fine: l’edificio ? l?. Ma se la ragazza che cerchi ? di valore, sar? gi? stata probabilmente venduta. Le sue puttane non durano a lungo.” Erec stava per andarsene quando si sent? afferrare al polso da una mano calda e appiccicaticcia. Si volt?, sorpreso di constatare che l’oste lo stava trattenendo. “Se sono le sgualdrine che cerchi, perch? non ne provi una delle mie? Sono buone quanto le sue, e vengono la met? del prezzo.” Erec fece una smorfia all’uomo, disgustato. Se avesse avuto pi? tempo l’avrebbe probabilmente ucciso, liberando il mondo da un individuo del genere. Ma guardandolo bene valut? che non ne valeva la pena. Liber? il braccio con uno strattone e gli si avvicin?. “Mettimi le mani addosso un’altra volta,” lo avvis?, “e rimpiangerai di averlo fatto. Ora fai due passi indietro da me prima che trovi il posto giusto dove conficcare questo stiletto che ho in mano.” L’oste abbass? lo sguardo, gli occhi sgranati per la paura, e indietreggi?. Erec si volt? e corse fuori dalla stanza, colpendo e urtando gli avventori per farsi strada pi? in fretta. Attravers? in fretta e furia la doppia porta d’ingresso. Non era mai stato tanto disgustato da degli esseri umani. Mont? sul suo cavallo, che stava scalpitando e sbuffando per la presenza di alcuni passanti ubriachi che lo stavano guardando, sicuramente – pens? Erec – con il pensiero di rubarlo. Si chiese se avrebbero realmente tentato se lui non fosse tornato cos? in fretta, e si convinse di legarlo meglio la prossima volta si fosse fermato. Il livello di vizio di quella cittadina era impressionante. Eppure il suo cavallo, Warkfin, era un potente cavallo da battaglia, e se qualcuno avesse tentato di rubarlo lo avrebbe probabilmente calciato a morte. Erec spron? Warkfin e lo lanci? lungo la stretta via, facendo del suo meglio per evitare la moltitudine di gente. Era notte fonda, eppure le strade sembravano farsi sempre pi? fitte di persone, con uomini di ogni razza che si mescolavano in gruppi di vario genere. Alcuni beoni ubriachi gli urlarono dietro quando pass? loro accanto troppo velocemente, ma ad Erec non importava. Sentiva che Alistair era l? da qualche parte e non si sarebbe fermato davanti a nulla fino a che non l’avesse raggiunta. La strada terminava contro un muro di pietra e l’ultimo edificio sulla destra era una taverna pericolante, con i muri di argilla bianca e il tetto di paglia che sembrava aver visto giorni migliori. Dall’aspetto delle persone che entravano e uscivano, Erec sent? che si trattava del posto giusto. Scese da cavallo, lo assicur? alla posta ed entr? con impeto. L? si ferm? paralizzato dalla sorpresa. Il posto era illuminato a malapena: una grande stanza con poche torce baluginanti appese alle pareti e un fuoco che si stava spegnendo nel caminetto d’angolo. Ovunque erano sparsi tappeti sui quali giacevano decine di donne vestite in modo succinto e legate tra loro con delle spesse corde assicurate alle pareti. Sembravano tutte sotto l’effetto di droghe: Erec poteva sentire l’odore dell’oppio nell’aria e vide un pipa che veniva passata di mano in mano. Alcuni uomini ben vestiti si aggiravano per la stanza, calciando e colpendo i piedi delle donne qua e l?, come per testare la mercanzia e decidere quale comprare. Nell’angolo pi? lontano della stanza un uomo sedeva solo su una piccola sedia ricoperta di velluto rosso. Indossava abiti di seta e aveva delle donne incatenate a entrambi i lati. In piedi accanto a lui si trovavano degli uomini grossi e muscolosi, i volti ricoperti di cicatrici, pi? alti e robusti di Erec, con l’aspetto di chi si sarebbe esaltato all’idea di poter uccidere qualcuno. Erec studi? l’intera scena rendendosi perfettamente conto di ci? che stava accadendo: era un bordello, quelle donne erano l? in affitto, e l’uomo nell’angolo ne era il fulcro, l’uomo che aveva agguantato Alistair, e con ogni probabilit? anche tutte le altre donne che si trovavano l?. Erec pens? che pure Alistair poteva trovarsi in quella stanza. Scatt? in azione, muovendosi freneticamente attraverso le file di donne e osservandole in volto. Ce n’erano diverse decine in quella stanza, alcune morte, e l’ambiente era cos? buio che era difficile procedere. Stava guardando ogni viso, camminando tra le file, quando improvvisamente una grossa mano lo ferm? colpendolo al petto. “Hai gi? pagato?” chiese una voce burbera. Erec sollev? lo sguardo e vide un uomo enorme che gli si era parato davanti guardandolo con espressione accigliata. “Vuoi guardare le donne, paga,” tuon? la voce bassa dell’uomo. “Queste sono le regole.” Erec fece una smorfia, sentendo l’odio che gli ribolliva dentro, poi, pi? veloce di un battito di ciglia, lo colp? dritto all’esofago con la base della mano. L’uomo sussult? con gli occhi sgranati, poi cadde in ginocchio tenendosi la gola. Erec lo colp? quindi con una gomitata alla tempia e lo fece crollare con la faccia a terra. Erec continu? a percorrere velocemente le file, osservando disperatamente i volti alla ricerca di Alistair, ma non la vide da nessuna parte. Non era l?. Il cuore gli batteva all’impazzata mentre correva verso l’angolo della stanza in direzione del vecchio che stava seduto l? a sorvegliare tutto. “Hai trovato qualcosa che ti piace?” gli chiese l’uomo. “Qualcosa su cui vuoi puntare?” “Sto cercando una donna,” inizi? Erec con la voce fredda come l’acciaio, cercando di mantenere la calma, “e ho intenzione di dirlo solo una volta. ? alta, ha i capelli lunghi e biondi e gli occhi verde-blu. Si chiama Alistair. ? stata presa a Savaria solo uno o due giorni fa. Mi hanno detto che ? stata portata qui. ? vero?” L’uomo scosse lentamente la testa sorridendo. “Temo che la propriet? che cerchi sia gi? stata venduta,” disse l’uomo. “Un bell’esemplare devo dire. Hai buon gusto. Scegline un’altra, e ti far? lo sconto.” Erec riboll? di una rabbia che non aveva mai provato prima. “Chi l’ha presa?” ringhi?. L’uomo sorrise. “Santo cielo, sembri proprio fissato con quella schiava.” “Non ? una schiava,” ribatt? Erec furente. “? mia moglie.” L’uomo lo guard? scioccato, poi improvvisamente spinse la testa indietro ed eruppe in una fragorosa risata. “Tua moglie! Questa ? buona. Non pi?, amico mio. Ora ? il giocattolino di qualcun altro.” Poi il volto dell’uomo si fece cupo e assunse un cipiglio malvagio. Facendo un cenno ai suoi scagnozzi aggiunse: “Ora sbarazzatevi di questo pezzo di pattume.” I due uomini ricoperti di muscoli si fecero avanti e con una rapidit? che sorprese Erec si protesero entrambi verso di lui per afferralo al petto. Ma non avevano idea di chi stavano affrontando. Erec era pi? veloce di loro e li evit? afferrando il polso di uno dei due e piegandogli il braccio all’indietro fino a che l’uomo cadde sulla schiena. Allo stesso tempo Erec colp? l’altro con una gomitata alla gola, poi fece un passo avanti e schiacci? la trachea dell’uomo che era a terra, finendolo. Diede infine una testata all’altro che ancora si teneva la gola, e mand? al tappeto anche lui. I due uomini rimasero a terra privi di conoscenza ed Erec si avvicin? al vecchio che ora tremava sulla sua sedia, gli occhi sgranati per il terrore. Erec lo afferr? per i capelli, gli tir? indietro la testa e gli premette il pugnale contro la gola. “Dimmi dov’?, e potrei decidere di lasciarti vivere,” gli ringhi? contro. L’uomo balbett?. “Te lo dir?, ma stai sprecando il tuo tempo,” rispose. “L’ho venduta a un signore. Ha la sua forza armata di cavalieri e vive nel suo castello. ? un uomo molto potente. Il suo castello non ? mai stato invaso. E oltretutto ha un intero esercito di riserva. ? un uomo molto ricco: ha un esercito di mercenari pronti a rispondere ai suoi ordini in ogni momento. Si tiene tutte le ragazze che compra. Non c’? modo che tu riesca mai a liberarla. Quindi tornatene da dove sei venuto. L’hai persa.” Erec tenne il pugnale pressato contro la gola dell’uomo fino a che inizi? a sanguinare, e l’uomo grid?. “Dov’? questo signore?” chiese Erec ormai al limite della pazienza. “Il suo castello si trova a ovest della citt?. Prendi il cancello occidentale e procedi fino alla fine della strada. Da l? vedrai il castello. Ma ? una perdita di tempo. Ha pagato una bella cifra per averla… pi? di quanto valesse.” Erec ne ebbe abbastanza. Senza esitazioni squarci? la gola di quel mercante del sesso uccidendolo. Il sangue si rivers? ovunque mentre l’uomo si accasciava nella sua sedia, morto. Erec guard? il corpo morto, gli scagnozzi privi di conoscenza e prov? un senso di nausea per quel posto. Non poteva credere che esistesse un luogo del genere. Attravers? la stanza e inizi? a tagliare le corde che legavano le donne, recidendo ogni cima e liberandole una alla volta. Molte di loro balzarono in piedi e corsero verso la porta. Presto nella stanza regn? il caos e si cre? un fuggi fuggi generale. Alcune erano troppo intontite per muoversi, ma vennero aiutate dalle altre. “Chiunque tu sia,” disse una delle donne ad Erec, fermandosi sulla porta, “che tu sia benedetto. E ovunque tu stia andando, che Dio ti aiuti.” Erec apprezz? la gratitudine e la benedizione, ed ebbe la triste sensazione che, ovunque stesse andando, ne avrebbe avuto bisogno. CAPITOLO DIECI Era l’alba e la luce filtrava attraverso le finestrelle della casa di Illepra illuminando gli occhi di Gwendolyn, chiusi, svegliandola lentamente. Il primo sole, di un arancio opaco, la accarezzava e la destava pian piano nel silenzio della prima mattina. Gwen sbatt? le palpebre diverse volte, chiedendosi dove si trovasse. Poi ricord?: Godfrey. Si era addormentata sul pavimento della casetta, stesa su un giaciglio di paglia, accanto al letto di suo fratello. Anche Illepra dormiva vicino a lui ed era stata una lunga notte per tutti e tre. Godfrey si era lamentato, si era scosso e rigirato, e Illepra si era presa cura di lui ininterrottamente. Gwen era rimasta l? per aiutare in ogni modo le fosse possibile, portando stracci bagnati, strizzandoli, mettendoli sulla fronte di Godfrey e passando a Illepra le erbe e gli unguenti che lei chiedeva. Era stata una notte interminabile: molte volte Godfrey aveva urlato e lei si era sentita certa che sarebbe morto. Pi? di una volta lui aveva chiamato il nome di loro padre, facendola rabbrividire. Sentiva forte la presenza di suo padre tra di loro. Non sapeva se suo padre volesse che Godfrey vivesse o meno, la loro relazione era sempre stata cos? carica di tensione. Gwen aveva dormito a casa di Illepra anche perch? non sapeva dove altro andare. Non si sentiva sicura a tornare al castello, a stare sotto lo stesso tetto con suo fratello Gareth. Si sentiva protetta l?, sotto le cure di Illepra, con Akorth e Fulton di guardia davanti alla porta. Sapeva che nessuna sapeva dove si trovasse, e le andava bene cos?. Inoltre si era particolarmente affezionata a Godfrey negli ultimi giorni: aveva scoperto il fratello che non aveva mai conosciuto, e soffriva al pensiero che potesse morire. Gwen balz? in piedi correndo accanto a Godfrey, il cuore che le batteva nel petto, chiedendosi se fosse ancora vivo. Una parte di lei sentiva che se si fosse svegliato quella mattina, allora ce l’avrebbe fatta. Se non si fosse destato sarebbe significato che era finita. Anche Illepra si alz? e si avvicin? in fretta. Doveva essersi addormentata a qualche ora della notte e Gwen non poteva certo biasimarla. Rimasero entrambe inginocchiate accanto a Godfrey mentre la casupola si riempiva di luce. Gwen mise una mano sul polso del fratello e lo scosse, mentre Illepra gli posava invece una mano sulla fronte. Chiuse gli occhi e inspir?, e improvvisamente gli occhi di Godfrey si aprirono. Illepra ritrasse la mano sorpresa. Anche Gwen era stupita. Non si aspettava che Godfrey aprisse gli occhi cos? di colpo. Lui si volt? a guardarla. “Godfrey?” gli chiese. Lui strizz? gli occhi, poi li riapr?. Poi, con loro grande sorpresa, si sollev? appoggiandosi a un gomito e le fiss?. “Che ore sono?” chiese loro. “Dove mi trovo?” La sua voce aveva un tono vivace, sano, e Gwen prov? un immenso sollievo. Sorrise di cuore e Illepra fece lo stesso. Gwen si chin? verso di lui e lo abbracci? con forza, poi si scost?. “Sei vivo!” esclam?. “Certo che sono vivo,” disse. “Perch? non dovrei esserlo? Chi ? lei?” chiese voltandosi verso Illepra. “La donna che ti ha salvato la vita,” gli disse Gwen. “Che mi ha salvato la vita?” Illepra guardava il pavimento. “Ho solo dato un piccolo aiuto,” disse umilmente. “Cosa mi ? successo?” chiese con agitazione a Gwen. “L’ultima cosa che ricordo ? che stavo bevendo alla taverna, e poi…” “Sei stato avvelenato,” gli rispose Illepra. “Un veleno molto raro e potente. Non lo incontravo da anni. Sei fortunato ad essere vivo. A dirla tutta sei l’unico che abbia visto sopravvivere a quel veleno. Dev’esserci qualcuno che ti guarda dall’alto.” A sentire quelle parole, Gwen si sent? certa che si trattasse della verit?, e il suo pensiero corse subito al padre. Il sole penetrava attraverso le finestre, pi? forte, e lei percep? la sua presenza tra loro. Aveva deciso che Godfrey vivesse. “Ti sta bene,” gli disse Gwen sorridendo. “Avevi promesso che avresti dimenticato la birra. E guarda cos’? successo.” Lui le rispose con un sorriso. La vita era tornata a coloragli le guance e Gwen ne era immensamente sollevata. Godfrey era tornato. “Mi hai salvato la vita,” le disse con sincerit?. Si volt? poi verso Illepra. “Entrambe mi avete salvato la vita,” aggiunse. “Non so come potr? mai sdebitarmi.” Mentre Godfrey guardava Illepra Gwen not? qualcosa, c’era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che significava ben pi? che gratitudine. Si volt? a guardare Illepra e la vide arrossire e abbassare lo sguardo. Era evidente che si piacevano. Illepra si volt? velocemente a attravers? la stanza, dando loro le spalle e mettendosi a lavorare indaffarata a una pozione. Godfrey guard? Gwen. “Gareth?” le chiese con tono improvvisamente serio. Gwen annu?, capendo ci? a cui alludeva. “? una fortuna che tu sia ancora qui,” disse. “Firth invece ? morto.” “Firth?” esclam? Godfrey sorpreso. “Morto? E come?” “Impiccato sulla forca,” gli rispose. “E tu dovevi essere il prossimo.” “E tu?” le chiese Godfrey. Gwen scroll? le spalle. “Ha programmato di darmi in moglie fuori dal regno. Mi ha venduta a un Nevareno. Pare che stiano venendo a prendermi.” Godfrey si mise a sedere furente. “Non lo permetter? mai!” esclam?. “Neanche io,” conferm? lei. “Trover? il modo di oppormi.” “Ma senza Firth non abbiamo pi? nessuna prova,” disse. “Non abbiamo modo di buttarlo gi? dal trono. Gareth rimarr? libero.” “Troveremo un modo,” rispose Gwen. “Troveremo…” Improvvisamente la casa si riemp? di luce: la porta si era aperta ed Akorth e Fulton entrarono. “Mia signora,” inizi? Akorth, ma poi si volt? vedendo Godfrey. “Brutto figlio di puttana!” grid? colmo di gioia. “Lo sapevo! Hai sempre fregato tutti in vita, figurarsi se non fregavi anche la morte!” “Sapevo che nessun boccale di birra avrebbe mai potuto portarti nella fossa!” aggiunse Fulton. Akorth e Fulton gli si avvicinarono, Godfrey salt? gi? dal letto e tutti e tre si abbracciarono. Poi Akorth si volt? serio verso Gwen. “Mia signora, mi spiace disturbarti, ma abbiamo scorto un contingente di soldati che avanza all’orizzonte. Stanno venendo da questa parte.” Gwen lo guard? allarmata, poi corse all’esterno, seguita da tutti, abbassando la testa passando sotto l’uscio e strizzando gli occhi per l’accecante luce del sole. Il gruppetto rimase fuori e Gwen scrut? l’orizzonte vedendo un piccolo gruppo dell’Argento che si dirigeva verso la casa di Illepra. Cinque o sei uomini galoppavano a massima velocit? e non c’era dubbio che stessero andando proprio verso di loro. Godfrey si apprest? a sguainare la sua spada, ma Gwen gli pose una mano rassicurante sul polso. “Quelli non sono uomini di Gareth, ma di Kendrick. Sono certa che vengono in pace.” I soldati li raggiunsero e, senza esitazione smontarono da cavallo e si inginocchiarono davanti a Gwendolyn. “Mia signora,” disse il primo soldato. “Vi portiamo grosse novit?. Abbiamo respinto i McCloud! Vostro fratello Kendrick ? salvo e mi ha chiesto di portarvi questo messaggio: Thor sta bene.” Gwen scoppi? in lacrime alla notizia, sopraffatta dalla gratitudine e dal sollievo. Abbracci? Godfrey che ricambi? stringendola con affetto. Si sentiva come se la vita avesse ricominciato a scorrerle nelle vene. “Torneranno tutti oggi,” continu? il messaggero, “e ci saranno grandi festeggiamenti nella Corte del Re!” “Una notizia veramente magnifica!” esclam? Gwen. “Mia signora,” disse un’altra voce profonda che Gwen riconobbe come quella di un rinomato guerriero, Srog, vestito di rosso, colore caratteristico dell’occidente, un uomo che lei conosceva da quando era bambina. Era stato vicino a suo padre. Si inginocchi? davanti a lei e Gwen si sent? imbarazzata. “La prego, signore,” gli disse, “non inginocchiatevi davanti a me.” Era un uomo famoso, un signore potente che aveva migliaia di soldati ai suoi comandi e che governava la sua citt?, Silesia, la roccaforte dell’Occidente, una citt? singolare, costruita in cima a una scogliera, affacciata sul Canyon. Era praticamente impenetrabile. E Srog era uno dei pochi uomini di cui suo padre si fidasse. “Sono venuto fin qui con questi uomini perch? ho sentito che si stanno verificando grossi cambiamenti nella Corte del Re,” disse dando a vedere di sapere il fatto suo. “Il trono ? instabile. ? necessario eleggere un nuovo governatore, qualcuno di fermo e sincero. Mi ? giunta voce del desiderio di vostro padre che foste voi a regnare. Vostro padre era come un fratello per me, e la sua parola mi ? sacra. Se questo era il suo desiderio, allora ? anche il mio. Sono venuto per farvelo sapere. Se sarete voi a regnare, allora i miei uomini vi giureranno alleanza. Vi consiglio di agire in fretta. Gli eventi di oggi hanno dato prova che la Corte del Re ha bisogno di un nuovo capo al pi? presto.” Gwen rimase ferma, stupita, non avendo idea di cosa rispondere. Si sentiva estremamente imbarazzata, ma provava anche un senso di orgoglio ed era soprattutto frastornata. “Vi ringrazio signore,” rispose. “Vi sono grata per queste parole e per la vostra offerta. La considerer? con seriet?. Per ora desidero solo dare il benvenuto a mio fratello, e a Thor.” Srog chin? la testa e si ud? risuonare un corno all’orizzonte. Gwen sollev? lo sguardo e vide la nuvola di polvere: un enorme esercito stava apparendo all’orizzonte. Lei sollev? una mano per schermare la luce del sole e il cuore le si ferm?. Anche da l? era chiaro di chi si trattasse. Era l’Argento. Erano gli uomini del Re. E lanciato al galoppo davanti a loro, a guidarli, c’era Thor. CAPITOLO UNDICI Thor avanzava insieme all’esercito, migliaia di soldati diretti verso la Corte del Re, ed era trionfante. Faceva ancora fatica a capire ci? che era successo. Era fiero di quello che aveva fatto, fiero che proprio quando le cose sembravano volgere al peggio in battaglia, lui era stato capace di non cedere alla paura ma aveva avuto il coraggio di affrontare quei guerrieri. Ed era ancora scioccato di essere in qualche modo sopravvissuto. L’intera battaglia si era svolta in modo surreale, e lui era veramente grato di aver saputo richiamare i suoi poteri; eppure si sentiva confuso dato che aveva notato che essi non sempre funzionavano a dovere. Non li capiva e, peggio di tutto, non sapeva da dove provenissero o come risvegliarli. Ci? gli faceva capire totalmente che doveva imparare a fare affidamento sulle sue abilit? umane, cercando di essere il miglior lottatore, il miglior guerriero. Stava iniziando a capire che per essere il migliore aveva bisogno di entrambe le cose: il lottatore e lo stregone, se mai veramente lo era. Cavalcarono tutta la notte per raggiungere la Corte del Re e Thor era decisamente esausto, ma allo stesso tempo entusiasta. Il primo sole stava sorgendo all’orizzonte, la vastit? del cielo si apriva davanti a lui tingendosi di giallo e rosa, e gli sembrava di vedere il mondo per la prima volta. Non si era mai sentito cos? vivo. Era circondato dai suoi amici – Reece, O’Connor, Elden e i gemelli – da Kendrick, Kolk e Brom, e da centinaia di membri della Legione, dell’Argento e dell’Esercito del Re. Ma invece di tenere una posizione nelle retrovie, ora cavalcava al centro, circondato da tutti loro. In effetti lo guardavano tutti in modo diverso da quando avevano combattuto. Ora riconosceva l’ammirazione negli occhi non solo dei compagni della Legione, ma anche negli sguardi dei veri guerrieri. Aveva affrontato l’intero esercito dei McCloud da solo e aveva debellato l’ondata di guerra. Thor era felice di non aver deluso nessuno dei suoi fratelli della Legione. Era felice che i suoi amici l’avessero scampata quasi illesi, e provava un senso di rimorso per coloro che erano morti in battaglia. Non li conosceva, ma avrebbe voluto aver salvato anche loro. Era stata una battaglia sanguinosa e crudele, e anche adesso, mentre cavalcava, ovunque guardasse gli venivano alla mente immagini del combattimento, delle varie armi e dei guerrieri che lo avevano assalito. I McCloud erano un popolo feroce e lui era stato fortunato. Chiss? se sarebbe stato altrettanto fortunato in una seconda occasione. Chiss? se sarebbe stato capace di richiamare nuovamente i suoi poteri. Non sapeva se si sarebbero nuovamente ripresentati. Aveva bisogno di risposte. E doveva trovare sua madre. Aveva bisogno di sapere chi era veramente. Doveva trovare Argon. Krohn mugol? accanto a lui, e Thor si pieg? indietro per accarezzargli la testa. Lui ricambi? leccandogli la mano. Thor era sollevato dal fatto che Krohn fosse sano e salvo. Lo aveva portato fuori dal campo di battaglia e lo aveva caricato sul suo cavallo, dietro di lui. Sembrava che fosse in grado di camminare, ma Thor voleva che si riposasse e si riprendesse per il lungo viaggio di ritorno. Il colpo che Krohn si era preso aveva l’aspetto di essere stato piuttosto violento, e Thor pensava avesse una costola rotta. Non aveva parole per esprimere la gratitudine che provava per lui: lo sentiva pi? come un fratello che come un animale, gli aveva salvato la vita pi? di una volta. Raggiunsero la cima di una collina e il regno apparve in lontananza davanti a loro: la gloriosa citt? della Corte del Re, con decine di torri e pinnacoli, con le sue antiche mura di pietra e il suo enorme ponte levatoio, i suoi cancelli ad arco, le sue centinaia di soldati di guardia sui parapetti e in strada; le distese di terreni tutt’attorno e ovviamente il castello del re al centro. Il pensiero di Thor and? immediatamente a Gwen. Lei lo aveva sostenuto in battaglia, lei gli aveva dato ragione e motivo per vivere. Sapendo di essere stato isolato laggi?, di aver subito un’imboscata, lo faceva temere anche per la vita di lei. Sperava che stesse bene, che qualsiasi potere avesse messo in moto quel tradimento, l’avesse risparmiata. Thor sent? un grido di esultazione in lontananza, vide qualcosa che scintillava alla luce e strizzando gli occhi verso la cima della collina, si rese conto che si stava formando all’orizzonte, davanti alla Corte del Re, un’enorme folla che si riversava nella strada e sventolava bandiere. La gente stava accorrendo per dare loro il benvenuto. Qualcuno suon? un corno e Thor si rese conto che li stavano accogliendo per il loro ritorno a casa. Per la prima volta in vita sua non si sent? pi? un estraneo. “Quei corni suonano per te,” disse Reece accanto a lui, dandogli un colpetto sulla schiena e guardandolo con un nuovo senso di rispetto. “Sei il campione di questa guerra. Ora sei l’eroe della gente.” “Pensa, uno di noi, un semplice membro della Legione, che sconfigge l’intero esercito dei McCloud,” aggiunse O’Connor colmo di orgoglio. “Hai reso un grande onore all’intera Legione,” disse Elden. “Ora dovranno prendere noi tutti molto pi? sul serio.” “Senza dire che ci hai salvato la vita,” aggiunse Conval. Thor scroll? le spalle, pieno d’orgoglio, ma rifiutando di permettere che tutto questo gli desse alla testa. Sapeva di essere umano, fragile, vulnerabile, come uno qualsiasi di loro. E che l’intera battaglia sarebbe potuta andare in tutt’altro modo. “Ho fatto semplicemente quello per cui sono stato allenato,” rispose Thor. “Quello per cui noi tutti siamo stati allenati. Non sono per niente migliore di nessuno di voi. Sono semplicemente stato fortunato.” “Io direi che ? stata ben pi? che mera fortuna,” ribatt? Reece. Continuarono tutti trotterellando, scendendo la strada principale che conduceva alla Corte del Re. Nel frattempo la via si stava riempiendo di gente che si riversava dalla campagna, esultante, sventolando striscioni dipinti di giallo e blu, i colori dei MacGil. Thor si rese conto che stava diventando una vera a propria sfilata. L’intera corte era venuta l? per festeggiarli, e gioia e sollievo erano chiaramente visibili sui loro volti. Poteva ben capire perch?: se l’esercito dei McCloud si fosse avvicinato di pi?, avrebbero potuto distruggere tutto. Thor avanzava con gli altri fra la gente assiepata attorno a loro, oltrepassando il ponte levatoio con gran fragore di zoccoli. Attraversarono il cancello ad arco: sotto il tunnel la luce si fece scura, ma quando sbucarono dalla parte opposta si ritrovarono finalmente nella Corte del Re, accolti dal popolo esultante. Sventolavano bandiere e lanciavano loro dolciumi; una banda di musicisti inizi? a suonare cembali e percuotere tamburi mentre la gente si metteva a danzare in mezzo alla strada. Thor scese da cavallo come gli altri, perch? procedere a cavallo si stava facendo sempre pi? difficile, poi aiut? anche Krohn a venire a terra. Fece molta attenzione, osservandolo prima zoppicare e poi camminare normalmente: ora sembrava stare bene e Thor ne fu sollevato. Krohn si volt? a leccargli la mano, riconoscente. Attraversarono tutti la piazza e Thor ricevette gli abbracci e le strette di miriadi di persone che neanche conosceva. “Ci hai salvati!” disse un uomo pi? anziano degli altri. “Hai liberato il nostro regno!” Thor avrebbe voluto rispondere, ma non ci riusc?, la sua voce inghiottita dal chiasso di centinaia di persone che esultavano e gridavano attorno a lui e dalla musica che cresceva sempre pi?. Presto furono fatti rotolare attraverso il campo dei barili di birra e la gente inizi? a bere, cantare e ridere festosamente. Ma Thor aveva solo una cosa in mente: Gwendolyn. Doveva vederla. Osserv? attentamente tutti i volti tentando disperatamente di scorgerla, sicuro che fosse l? anche lei, ma si sent? spezzare il cuore constatando che non riusciva a trovarla. Poi sent? un colpetto sulla spalla. “Penso che la donna che stai cercando sia da quella parte,” disse Reece girandosi e indicando dalla parte opposta. Thor si volt? e gli si accesero gli occhi. L?, diretta con passo svelto verso di lui e dispiegando un sorriso smagliante, con un aspetto stanco, come se fosse stata sveglia tutta la notte, c’era proprio Gwendolyn. Sembrava pi? bella che mai. Corse veloce verso di lui e gli si gett? tra le braccia. Lui la strinse forte a s? facendola roteare in mezzo alla folla. Lei rimase aggrappata a lui senza volersi staccare e lui sent? le sue lacrime che gli bagnavano il collo. Percepiva il suo amore e si sentiva veramente a suo agio. “Grazie a Dio sei vivo,” gli disse colma di gioia. “Non ho pensato a nient’altro che a te,” le rispose Thor tenendola stretta. Mentre la teneva fra la braccia sembrava che al mondo fosse tornato tutto a ruotare nel senso giusto. Lentamente la riadagi? a terra, lei lo fiss?, si chin? verso di lui e si baciarono a lungo, mentre la gente passava loro accanto urtandoli. “Gwendolyn!” grid? Reece con voce allegra. Lei si volt? ad abbracciarlo, poi anche Godfrey si fece avanti e abbracci? Thor prima e suo fratello Reece subito dopo. Era come un grande incontro di famiglia e a Thor pareva di esserne parte, si sentiva come se quella fosse gi? la sua famiglia. Erano tutti uniti dal loro affetto per MacGil, e dal loro odio per Gareth. Krohn si avvicin? loro e salt? addosso a Gwendolyn, che si abbass? ridendo e lo abbracci? lasciandosi leccare la faccia. “Diventi ogni giorno pi? grande!” esclam?. “Come posso ringraziarti per aver tenuto Thor in salvo?” Krohn continu? a salirle addosso con le zampe, fino a che lei, ridendo, dovette accarezzarlo e ammansirlo perch? rimanesse gi?. “Andiamocene da qui,” disse Gwen a Thor, dato che entrambi venivano spintonati dalla gente  proveniente da ogni direzione. Gli prese la mano. Lui gliela strinse e stava per seguirla quando improvvisamente diversi soldati dell’Argento sopraggiunsero dietro di lui e lo sollevarono in aria, al di sopra delle loro teste, mettendoselo sulle spalle. Mentre Thor veniva sollevato in aria dalla folla si lev? un alto grido. “THORGRIN” esultarono tutti. Thor fu fatto girare da una parte e dall’altra e si ritrov? con un boccale di birra in mano. Si pieg? indietro e bevve, mentre la folla continuava ad esultare selvaggiamente. Poi venne rimesso  bruscamente a terra e incespic? ridendo, mentre tutti lo abbracciavano. “Ora andiamo alla festa per la vittoria,” disse un soldato che Thor non conosceva, un membro dell’Argento, che gli diede una corposa manata sulla schiena. “? una festa per soli guerrieri. Per uomini. E tu verrai con noi. C’? un posto riservato per te al tavolo. E anche voi,” aggiunse rivolgendosi a Reece, O’Connor e gli altri amici di Thor. “Siete uomini ora. E verrete con noi.” Le grida di giubilo continuarono mentre venivano afferrati dai membri dell’Argento e trascinati via. Thor si liber? all’ultimo secondo  e si volt? verso Gwen, sentendosi in colpa e non volendola lasciare. “Va’ con loro,” disse lei altruisticamente. “? importante che tu lo faccia. Festeggia con i tuoi fratelli. Fai festa con loro. ? una tradizione nell’Argento. Non puoi mancare. Pi? tardi stanotte incontriamoci sul retro della Sala delle Armi. Allora potremo stare insieme.” Thor si chin? verso di lei e la baci? un’ultima volta, tenendola stretta quanto a lungo pot?, fino a che gli altri soldati lo tirarono via con loro. “Ti amo,” gli disse Gwen “Anch’io ti amo,” le rispose, pi? sinceramente di quanto lei potesse immaginare. Tutto ci? a cui riusc? a pensare mentre lo trascinavano via, mentre guardava quegli occhi meravigliosi cos? pieni di amore per lui, era che voleva pi? di ogni altra cosa chiederle di sposarlo e farla cos? sua per sempre. Si disse che quello non era il momento giusto. Forse pi? tardi quella stessa notte. CAPITOLO DODICI Gareth si trovava nella sua stanza e guardava dalla finestra alle prime luci dell’alba che sorgeva sulla Corte del Re. Osservava la folla che si stava radunando sotto di lui e provava un senso di nausea salirgli dallo stomaco. All’orizzonte si trovava la sua paura pi? grande, la vera immagine di ci? che maggiormente temeva: l’esercito del Re che stava tornando, vittorioso e trionfante dopo lo scontro con i McCloud. Kendrick e Thor erano in testa liberi e vivi, degli eroi. Le sue spie lo avevano gi? informato di tutto ci? che era successo, che Thor era sopravvissuto all’imboscata e che era vivo e stava bene. Ora quegli uomini erano tutti pi? forti e tornavano alla Corte del Re in qualit? di solida forza armata. Tutti i suoi piani erano terribilmente falliti e gli avevano lasciato un buco nello stomaco. Sentiva che il regno gli si stava stringendo addosso. Gareth ud? uno scricchiolio nella camera e si volt? di scatto chiudendo gli occhi per la paura non appena vide cosa aveva di fronte. “Apri gli occhi, figlio!” tuon? una voce. Tremando Gareth apr? gli occhi e fu scioccato di vedere suo padre l? in piedi davanti a lui: un cadavere in via di decomposizione, la corona arrugginita in testa e uno scettro altrettanto arrugginito in mano. Lo guardava con aria di rimprovero, come aveva sempre fatto in vita. “Il sangue verr? lavato con il sangue,” sentenzi? suo padre. “Ti odio!” grid? Gareth. “TI ODIO!” ripet?, e trasse il pugnale dalla sua cintura avventandosi contro di lui. Quando lo raggiunse conficc? il pugnale, non colpendo per? altro che aria, e incespic? in avanti. Si volt? dall’altra parte, ma la visione era scomparsa. Era solo nella camera. Era sempre stato solo. Stava perdendo la testa? Corse dall’altra parte della stanza, rovist? nel suo armadio dei vestiti e prese la pipa di oppio con mani tremanti. La accese rapidamente e aspir? profondamente diverse volte. Sent? le droghe entrargli velocemente in circolo, si sent? momentaneamente perso nello sballo che quelle sostanze gli donavano. Negli ultimi giorni si era sempre pi? lasciato andare all’oppio, che sembrava essere l’unica cosa in grado di aiutarlo a cacciare l’immagine di suo padre. Gareth era tormentato da quel luogo e iniziava a chiedersi se il fantasma di suo padre fosse imprigionato tra quelle pareti e se fosse opportuno spostare la corte da qualche altra parte. In ogni caso avrebbe voluto radere al suolo quell’edificio: quel posto conteneva tutti i ricordi della sua infanzia che lui odiava. Gareth si volt? nuovamente verso la finestra: era madido di sudore gelato e si asciug? la fronte con il dorso della mano. Rimase a guardare. L’esercito si stava avvicinando e Thor era ben visibile addirittura da l?, mentre la stupida gente gli si ammassava attorno trattandolo da eroe. Gareth era livido di rabbia e bruciava di invidia. Tutti i piani che aveva escogitato erano falliti: Kendrick era stato liberato, Thor era vivo,  persino Godfrey era stato capace di sfuggire in qualche modo al veleno, anche se quella quantit? avrebbe potuto ammazzare un cavallo. Per? allo stesso tempo altri piani erano andati a buon fine: Firth almeno era morto, e non erano rimasti testimoni che provassero che lui aveva ucciso suo padre. Gareth fece un profondo respiro, sollevato, constatando che le cose non erano poi cos? male come sembravano. Dopotutto la scorta di Nevareni era per strada per venire a prendere Gwendolyn e portarla via con loro in qualche orribile angolo dell’Anello come sposa. Sorrise al pensiero, iniziando a sentirsi meglio. S?, almeno lei a breve gli si sarebbe levata dai piedi. Gareth aveva tempo. Avrebbe trovato altri modi per sistemare Kendrick, Thor e Godfrey: aveva un sacco di possibili piani per farli fuori. E aveva a disposizione tutto il tempo e tutto il potere del mondo per metterli in pratica. S?, avevano vinto questo round, ma non si sarebbero aggiudicati anche il prossimo. Gareth ud? un altro rumore, si volt? ma non vide nulla. Doveva uscire di l?, non poteva pi? restare in quella stanza. Si gir? e usc? in fretta e furia dalla camera. La porta si spalanc? prima che lui vi giungesse davanti, aperta dai suoi servitori, sempre attenti ad anticipare ogni sua mossa. Gareth si gett? addosso il mantello e la corona di suo padre, afferr? lo scettro e scese velocemente nell’atrio. Percorse i corridoi fino a che raggiunse la sua sala da pranzo privata, una ricca stanza in pietra con alti soffitti ad arco e vetrate colorate illuminate dalla luce della prima mattina. Due servitori stavano davanti alla porta aperta, un altro dietro il capo della tavola. Era un lungo tavolo da banchetto di circa quindici metri, con decine di sedie allineate lungo i lati. Il servitore porse la sedia a Gareth mentre lui si avvicinava. Era un’antica sedia di quercia sulla quale suo padre aveva seduto innumerevoli volte. Gareth si sedette e si rese conto di quanto odiasse anche quella stanza. Ricord? di essere stato costretto a sedersi l? dentro da bambino, tutta la famiglia riunita attorno al tavolo, a ricevere ramanzine o rimproveri da suo padre e da sua madre. Ora la stanza era desolatamente vuota. Non c’era nessuno l? dentro a parte lui: non i suoi fratelli e genitori, n? i suoi amici. Neanche i suoi consiglieri. Nei giorni passati era riuscito a isolare tutti, e ora mangiava da solo. Preferiva comunque cos?: per troppe volte aveva visto il fantasma di suo padre l? dentro con lui, e si era imbarazzato quando aveva urlato di fronte agli altri. Êîíåö îçíàêîìèòåëüíîãî ôðàãìåíòà. Òåêñò ïðåäîñòàâëåí ÎÎÎ «ËèòÐåñ». Ïðî÷èòàéòå ýòó êíèãó öåëèêîì, êóïèâ ïîëíóþ ëåãàëüíóþ âåðñèþ (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=43691631&lfrom=688855901) íà ËèòÐåñ. Áåçîïàñíî îïëàòèòü êíèãó ìîæíî áàíêîâñêîé êàðòîé Visa, MasterCard, Maestro, ñî ñ÷åòà ìîáèëüíîãî òåëåôîíà, ñ ïëàòåæíîãî òåðìèíàëà, â ñàëîíå ÌÒÑ èëè Ñâÿçíîé, ÷åðåç PayPal, WebMoney, ßíäåêñ.Äåíüãè, QIWI Êîøåëåê, áîíóñíûìè êàðòàìè èëè äðóãèì óäîáíûì Âàì ñïîñîáîì.
Íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë Ëó÷øåå ìåñòî äëÿ ðàçìåùåíèÿ ñâîèõ ïðîèçâåäåíèé ìîëîäûìè àâòîðàìè, ïîýòàìè; äëÿ ðåàëèçàöèè ñâîèõ òâîð÷åñêèõ èäåé è äëÿ òîãî, ÷òîáû âàøè ïðîèçâåäåíèÿ ñòàëè ïîïóëÿðíûìè è ÷èòàåìûìè. Åñëè âû, íåèçâåñòíûé ñîâðåìåííûé ïîýò èëè çàèíòåðåñîâàííûé ÷èòàòåëü - Âàñ æä¸ò íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë.