Четыре времени года.. Так давно назывались их встречи - Лето - розовым было, клубничным, До безумия ярко-беспечным. Осень - яблочной, краснорябинной, Бабьим летом сплошного счастья, А зима - снежно-белой, недлинной, С восхитительной вьюгой ненастья.. И весна - невозможно-мимозной, Чудно тёплой и самой нежной, И ни капельки не серьёзной - Сумасшед

Acqua Dentro Acqua

acqua-dentro-acqua
Автор:
Тип:Книга
Цена:563.13 руб.
Просмотры: 346
Скачать ознакомительный фрагмент
КУПИТЬ И СКАЧАТЬ ЗА: 563.13 руб. ЧТО КАЧАТЬ и КАК ЧИТАТЬ
Acqua Dentro Acqua Mirko Ravaschino La storia tragicomica di Nero che incontra Sofia. Il peso di un passato scomodo che influenza il presente. Nero fin da piccolo ? stato particolare. Non ? mai riuscito a tracciare una netta linea di separazione tra reale e immaginario. Una storia d'amore sbagliata, il suicidio della sua ragazza, la fuga, il ritorno e l'incontro con Sofia. Una giovane donna che pensa di non aver mai avuto la libert? di scegliere la sua vita. Si ? sempre sentita vittima degli eventi. Fino a quel momento. Acqua dentro acqua 1 1 Aprile Avevo dormito poco. Quando dormivo poco mi pareva tutto confuso. Sembrava che i mondi si mescolassero. Pi? del solito. Eppure, proprio in quegli attimi, c'era un'esatta corrispondenza tra realt?, sensazioni e percezioni che provavo. Mi pareva che solo in quei momenti riuscissi a cogliere “fuori” tutte le sfumature che avvertivo dentro. Uscii a far colazione. Le nuvole erano gonfie e bianche. Sembravano vele spiegate. Galleggiavano lentamente. Avvolgendo il sole. Svestendo il sole. Presi un caff?. E rimasi seduto. Avevo con me il mio vecchio compagno ed amico Zarathustra. Ogni tanto ci parlavo. In silenzio. Lo conoscevo bene. E lui conosceva bene me. Eppure scoprivo tutti i giorni qualcosa di nuovo. Sempre diverso. E mi scoprivo sempre un po' cambiato rispetto al giorno prima. Sarei partito quella stessa sera. Prima per? avevo una persona da salutare. Ci sono cose che annullano le distanze e i tempi, magie. Sono le emozioni, i sentimenti. *** Sofia apr? lo sportello dell'auto. Il piede rimase penzoloni fuori, mentre indugiava ancora seduta nell'abitacolo. Accanto alla ruota un foglio di giornale, mosso dal vento. 30 marzo. “Oggi” pens?. Scese dall'auto e lo raccolse. Richiuse la portiera. Inizi? a sfogliarlo mentre raggiungeva il cestino. Oroscopo del giorno. Sagittario: “Non sar? una giornata facile, sopratutto per chi ha deciso di troncare una storia. Per? ricordatevi sempre di sorridere. Il sorriso ? una calamita per la felicit?. Non cercatela fuori. Ma dentro.” Non sapevo perch? mi ostinassi a leggere quelle sciocchezze. Era come guardare i fondi del te...e non avevo nulla da fare. Sorridere. A volte mi sembrava di non ricordare pi? come si facesse. Gett? il giornale e si guard? in torno. Oltre il parcheggio c'era un campo. Lo misurava con gli occhi. Dietro di lei gli ultimi palazzi. Non lontano c'era la casa di Marco. Ma non voleva pensare a questo. Non voleva pensare a lui. Un po' di tristezza, che torna, assieme al vento. Che stupida. Non riusciva proprio a fare a meno di sentirsi cos?. Si volta di nuovo verso quel mare verde scuro. Spettinato. Agitato. Come il suo animo. Il posto doveva esser quello. Super? il marciapiede ed inizi? a camminare su quelle acque di fili d'erba. La luce lasciava una lunga ombra. Ogni cosa era schiacciata da un mantello senza peso. Una gabbia di mani sui miei occhi. I rumori scomparivano. Ad ogni passo. Sempre di pi?. Sembravano sempre pi? lontani. Tutti i pensieri, gli affanni. Svanivano. Un passo dopo l'altro. C'era solo il sussurro del vento ed il frusciare del prato sotto i miei piedi. Avevo percorso cinquecento metri e lo vidi, come sbucato fuori dalla terra. Un cordone ombelicale neroterra era il piccolo sentiero che conduceva al vecchio caravan abbandonato. Nascosto da due alberi. La neve che alcuni giorni prima aveva gettato un candido quanto evanescente e inutile velo sul mondo, si era dileguata facendo posto alla primavera. Erbe selvatiche tutte intorno, e acerbe pannocchie di grano. E proprio nel mezzo spuntava scricchiolava di vagiti ventosi il vecchio cimelio. Un carrozzone in parte distrutto. Man mano che si avvicinava lo studiava. Non era molto bello. La fiancata cariata in legno era tenuta insieme da un vecchio cartellone del circo, tre panda dall'aspetto docile. Ricordo di un tempo che fu. Qualcuno vi aveva vissuto dei sogni forse... o esorcizzato le proprie paure. Qualcun altro forse ci aveva trovato dimora, fatto l'amore, riparo nomade di puttane e senzatetto. Un letto romantico su ruote che cigolava ad ogni folata di vento o ansimo di vita esausta. Adesso era silenzioso. E odorava di umido. Muffa e calore. I rumori della civilt?, del presente, erano gi? svaniti nei ricordi. Un ultimo passo prima di giungere altrove. Di superare il velo che separa da tutto il resto. Solo il vento nelle orecchie. Ed il gracchiare dello sportello che ogni tanto si muoveva sbattendo qua e l?. Una vela metallica di un vascello in secca. Sembrava tutto cos? desolato. Qualsiasi cosa ci fosse stata di bello qui in passato, di sicuro adesso non c'era. Feci un sospiro. Non sapevo perch? mi trovassi in quel luogo. O forse s?. Lo sapevo. Mi strinsi un po' il cappotto e rimisi a posto il cappellino. Nonostante fosse oramai primavera faceva ancora freddo. I primi fiori cominciavano a sbocciare e gli alberi a fiorire. Eppure non sembrava affatto primavera. Non dove mi trovavo io. Non nel mio cuore. Non c'era tempo. Non qui. Non ora. Che ci faccio in mezzo ad un campo davanti ad un vecchio carrozzone distrutto? Quel luogo non sembrava affatto magico e bello come Nero le aveva detto. Fece un sospiro. Lei e la sua mania di capire le cose. Di capire i perch?. Era curiosa. Lo era sempre stata. A volte quella sua curiosit? le procurava problemi. Anche con le persone. Eppure, nonostante l'assurdit? del posto e della situazione, era tranquilla. Sentiva ugualmente di potersi fidare. Anche qui, anche adesso. In una primavera che sembrava autunno. Guard? in alto. Era il crepuscolo. La luce non c'era pi?. Era andata via. Solo un'impressione di chiarore. Solo una leggera ombra appiattita. Tutto confuso. Mescolato. Il cielo con la terra. I colori con l'oscurit?. Rimase alcuni momenti a fissare quel rudere. La bocca chiusa in una smorfia. Aspettative. Le aspettative creano problemi. Siamo abituati a crearcele da sempre. Eppure perch? dovremmo aspettarci che qualcosa o qualcuno si comporti come noi desideriamo? Che diritto abbiamo di aspettarci qualcosa? Eppure pensava davvero che l'avrebbe fatta star meglio. Mise le mani in tasca. Sarebbe andata via. Tornata alla sua vita. Quale vita? Quella che sembra andare in pezzi ad ogni buca. Ad ogni ostacolo. Ma aveva ancora voglia di sorridere. Era, forse, solo pi? stanca. Le venne in mente quello che aveva letto pochi minuti prima... “S?, ho ancora voglia di sorridere.” E sorrise. “Mi ci vorrebbe una pizza” si disse a mezza voce. A volte parlava da sola. Lo aveva sempre fatto. Adesso me ne vado. E mangio una pizza. Continuava a guardare il caravan. Giro i tacchi, riprendo il sentiero e lascio questo posto. Lo sguardo sprofondato su quel rottame. Torno alla macchina e fumo una sigaretta. Seduta nell'abitacolo. Comoda. Adesso. Che non arriva mai. Non poteva staccare gli occhi da quel vecchio e mostruoso catorcio in parte arrugginito che si sollevava come un baobab in una prateria africana. Non ci riusciva. Non voleva. Aveva qualcosa di magico. Fece un sospiro. “Vado”disse infine ad alta voce per spronarsi. E poi una bagliore leggero. Veniva da dentro il carrozzone. Stava prendendo vita. Rimasi immobile. Non ero certa di aver realmente visto qualcosa. Forse era solo un riflesso, o un'impressione. E poi, accadde di nuovo. Una luce ad intermittenza. Come un neon guasto che stenta ad accendersi. Ma allo stesso tempo delicata come una candela. Un'altra luce. Un'altra. Ed ancora. Quel posto era davvero vivo. Respirava. Sofia fece un passo in avanti. Con cautela. Come se avesse timore di rompere quella magia sul nascere. Lentamente si stava avvicinando all'entrata. Sbuc? dal lato posteriore del furgone. Gli occhi che facevano capolino dal sentiero alle pareti del mezzo. Un piccolo balzo per evitare una buca. E all'improvviso lo vide. Davanti a s?. A meno di un metro, come se fosse sbucato dal nulla. Un sussulto. Per poco non le prese un colpo. Era Nero. L?. Fermo. Immobile. Sull'uscio. Come se fosse in attesa del permesso del padrone di casa per entrare. “Non volevo spaventarti” disse lui voltandosi. Avevo uno sguardo triste e gentile. Sembrava un bambino cresciuto troppo in fretta. “Non ti preoccupare” rispose lei con un sorriso, tenendo la mano ancora sul petto. “Questa sera erano un po' in ritardo...ma alla fine... eccole” ed indic? con la mano l'interno . Luci e piccolo rumori. Sembrava l'interno di un vagone ristorante di un treno, illuminato da candele. Sospese in aria. Una coperta di stelle danzanti. “Sono felice che tu sia qui” “E' incredibile questo posto” disse Sofia che non riusciva a staccare gli occhi da quelle piccole luci; l'interno era completamente differente dalla facciata. Era pi? accogliente, pi? caldo...e sembrava, era, davvero magico. Il suo sorriso era dolce. A volte un po' trattenuto, come se pensasse di non meritare tutto ci?; altre, esprimeva uno stupore fanciullesco, tipico di chi ? grato anche solo del fatto di esserci. “Vieni” le disse porgendole la mano “facciamo piano.” Entrarono attraverso la porta rotta sulla fiancata. L'abitacolo si riempiva di un lieve ronzio intermittente. Luci che respiravano. Rimasero alcuni minuti col collo in su...in piedi. “Sediamoci qui...tieni” disse Nero porgendole un grosso cuscino di velluto che aveva preso da una mensola. Sembrava di casa in quel luogo, era proprio a suo agio. Si misero entrambi per terra. A naso all'aria. Intorno il buio entrava dai finestrini rotti e si attaccava addosso. Assieme al vento fresco del crepuscolo che preannunciava la notte. E con esso giungeva un silenzio fatto di decine di lucciole. Ogni tanto quella vecchia carcassa in parte in legno in parte di metallo scricchiolava, come se respirasse. Anche lei. 2 Non pi? essere In certi momenti mi sentivo alla deriva. In balia delle persone. E credevo che non ci fosse altro modo. Essere per qualcuno. Essere per gli altri. Mai per se stessi. Come se non ne fossi mai stata capace. Non sono forte. In molti mi dicono che sono forte; che ho una gran personalit?, che sono caparbia. Eppure io non mi sento forte. E non lo sono. Se stai sul ponte di una nave in mezzo alla tempesta e il vento ti spazza con violenza, ti aggrappi alla prima cosa che trovi. Per non cadere in mare. Per non essere portata via. Per rimanere a galla. Nella speranza che la barca non affondi. Io non sono forte. Cerco solo di stare su. Sopra la superficie. Le cose le puoi controllare in un modo o nell'altro. Puoi tutto sommato prevedere le conseguenze delle tue azioni. Sai che se lavorerai, a fine mese avrai i soldi per l'affitto, per uscire a bere una birra, per mettere da parte qualcosa. Con le persone ? pi? difficile. Le persone sono imprevedibili. Anche se poi in fondo sono tutte prevedibili. Cerco sempre di prevedere quello che faranno. Che penseranno. A volte mi sembra di agire in un modo piuttosto che in un altro in base alla reazione che prevedo. A volte non so neppure perch? faccio qualcosa. La faccio e basta. E non penso. A volte non mi importa. E' come se, non comprendendo davvero ci? che desidero, mi ritrovi a fare tutto ed il contrario di tutto. Per capire. Io non so cosa desidero davvero. “Mi diresti per favore che strada devo prendere per andarmene da qui?” “Dipende molto da dove vuoi andare”- disse il Gatto “Non mi importa molto il dove” disse Alice “Allora non importa quale strada prendi” rispose il Gatto E Sofia si sentiva proprio come Alice. Trattenni a stento una lacrima. La ricacciai su a forza. Piangevo per nulla. Anche se guardavo un film, anche se ascoltavo una canzone. Solo che adesso era diverso. Mi sentivo sola. Persa. E non sapevo cosa fare. Che direzione prendere. Non mi sentivo affatto. Era come se non esistessi e me ne rendessi finalmente conto. E dovevo essere forte. Di una forza che non avevo in realt?. Avevo solo voglia di rimanere su. E niente altro. Stare a galla. Perch? affondare ? peggio. Forse. Pu? darsi che ero gi? affondata. E lo stavo comprendendo solo ora. Mi stavo mettendo a fuoco. Come quando esci da un sogno e realizzi piano piano che la realt? ? un'altra. Tutt'altra da ci? che pensavi fosse. Un po' di amaro in bocca. Nausea. E non voler pi? sentire. Guardavo Marco. Dormiva. Si appisolava sempre dopo che facevamo sesso. Diceva che si rilassava cos? tanto che aveva bisogno di qualche momento di oblio. Ed ero sola. A volte mi sentivo sola anche quando mi scopava. E mi chiedevo cosa fosse sbagliato in me. Perch? mi attaccavo cos? tanto alle persone? Un sospiro. Forse lo facevo per avere qualcosa in cambio. Un po' di loro. Un po' di me. E non sentirmi pi? “io”: sola sulla faccia della terra. Volevo solo un pezzettino di amore. Niente di cos? speciale. Non una reggia o un sacco di soldi. Un pochino di amore. E niente pi?. Mi davo per ricevere. Ma sapevo che infondo questo era sbagliato...non comprendevo realmente il perch?. Per? lo sapevo. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ci?. Non ero sola; lo sapevo bene. Eppure mi sentivo sempre un ingranaggio che girava in disparte. Un pezzo di qualcosa. Di cui non sentivo di far parte appieno. Accesi la canna. Da l? a poco Marco si sarebbe svegliato. Avrebbe fatto qualche tiro e avrebbe voluto scoparmi di nuovo. Io lo lasciavo fare. Mi piaceva come mi toccava. Come mi prendeva. Mi piaceva sentirmi sua. Forse. Non lo so pi? adesso. Dentro mi sentivo d'acqua. Un mare di tristezza che a volte tracimava. Quando Marco mi teneva forte mi sentivo sua. Sentivo di essere qualcosa con lui. Non sempre per?. Anche se mi piaceva. Volevo smettere di pensare. Non volevo pi? pensare. Non mi portava a nulla. Solo a sentirmi pi? sola. Mi sentivo sempre pi? sola. Al terzo tiro Marco si era girato. Aveva preso in mano la canna. Con la mano mi sfiorava. Io lo guardavo. Il mozzicone finisce nel posacenere. Mi tira a s?. Mi bacia. Mi morde. Mi stringe. Mi prende. Da dietro. E mi scopa. Non penso. Non sono. Non esisto. Godo. Godo. La mente si ferma. I pensieri ghiacciano. Affondano nell'acqua, dentro lo stomaco. Dopo pianger?. In doccia. Ora godo. E non esisto pi?. Mentre le sue natiche premono a balzi sempre pi? irregolari contro di me. Mentre sento il calore del suo corpo. Il sudore. Dio quanto mi piace. Forse tutto ci? ? sbagliato, ma non so da che parte andare. Mi lascer? vuota. Dopo. Adesso. Mai pi?. E non m'interessa pi? di nulla. Anche se vado a pezzi. Io non sono forte. Ma godo. E non pi? sono. *** L'accappatoio ? al solito posto. Il mio corpo trema, sorpreso, disarmato dall'improvviso freddo. Mi lascio alle spalle il bagno. Quella casa. Quella vita. Entro nel box doccia. Direziono lo spruzzino verso la parete finch? il fumo del vapore mi circonda. Un mondo ovattato. Duro e morbido. Che mi scava. Ed io lascio fare. Gli permetto ogni cosa. E' come se piovesse dentro me. E non fossi pi?. L'acqua s'infrange sulla pelle. Mi bagna l'anima. Mentre cade a terra. Scivola. Via, come se avesse fretta. E mi entra dentro. La respiro. Vorrei tenerla. Ancora un po'. Un po' di pi?. In me. Nella carne. Tra le braccia. Ma cade. Lasciando rigagnoli sul mio seno. Lungo le gambe. Brucia le spalle. Mi riscalda con un abbraccio invisibile. E non riesco a trattenerla. I capelli si appiattiscono sul viso. Mi entrano negli occhi. Guardo in basso. Verso lo scolo. E divento sempre pi? piccola. Mentre l'acqua scorre addosso. Dentro. Mi sento venire meno; risucchiata. Come se ogni forza fosse trascinata via. In un momento. Profondo come un abisso; dove potermi specchiare. E desidero. Essere come lei. Come l'acqua che mi copre. Che mi arrossa la pelle. Scomparire. Assieme a lei. Scivolare via nelle tubature. E non tornare pi? a sentire. Invece rimango. Solida. Nella doccia. Con quel dolore che non ha nome. Con quel vuoto e quella mancanza di non so neppure io cosa. Cos? forte e reale. Che a volte mi sembra la mia unica ragione di vita. Poggio le mani sulle piastrelle. Non voglio pensare. Mentre scorre lungo la schiena. Quella calda mano. Che lava via ogni gioia ed allo stesso tempo nutre ogni speranza. Prima di toccare terra trover? il suo posto; trover? il suo perch?. Almeno lei. E adesso mi sento acqua. Voglio essere acqua. M'illudo di essere acqua. 3 Ho aperto gli occhi all'improvviso. Come riemergere da una lunga apnea. Le immagini attorno a me sono chiare eppure si confondono con quelle del sogno. Il solito brutto sogno. Rimango un attimo a pensare “e se fosse tutto vero?” Lo scompartimento del treno su cui viaggiavo era vuoto ad eccezione di una ragazza. Mi stava guardando. Accenno un sorriso. Spero di non aver parlato nel sonno. O peggio, russato. A volte mi capita. Sopratutto quando sono scomodo. Il respiro torna lento e regolare. E lei ritorna sullo schermo del suo mp3. Mi volto verso il finestrino. Il paesaggio sfreccia veloce. Non si vede pi? nulla ormai. Solo qualche luce. Ogni tanto. Si lascia dimenticare come se non fosse mai esistita. E' buio. Saranno almeno le nove. A volte mi sembra tutto cos? irreale. Tutto quello che ho attorno; tutta la mia vita. Mi guardo in giro, mi guardo in dietro, e penso che sia tutta una lunga allucinazione. Chiss?, forse ? davvero cos?. Che importa in fondo? Di sicuro non importa nulla a lei. Lei ascolta musica e sembra felice. E non importa un granch? neppure a me alla fine. E' solo che...ogni volta che faccio quell'incubo mi sveglio di pessimo umore. Decido di lasciarmi cullare dallo sciabordio del treno. Sembra funzionare. Mi rilassa. Mi rilassa sempre. Non so bene perch? abbia preso questo treno. Forse perch? amo viaggiare in treno. O forse per cercare di scoprire che cosa sia davvero reale. E che cosa sia solo il frutto della mia fantasia. Se vogliamo chiamarla cos?. Spesso questi pensieri mi fanno compagnia. Non che abbia bisogno di compagnia, sia chiaro...solo che mi piace pensare e perdermi nei voli della mia mente. Non so perch?. Per capire probabilmente. Per conoscermi un po' di pi?. Provate a chiudere gli occhi e scavare nella vostra memoria. Dai primi ricordi. Guardate il viso di vostro padre o quello di vostra madre. Guardate il ricordo di quando avete imparato ad andare in bicicletta, il vostro primo bacio, la prima sbronza, la prima delusione d'amore, i successi e le cadute. Sono tutti l?. Nelle vostre memorie. Ogni tanto anche io apro quel cassetto nella mia mente e comincio a sfogliarle come se fossero un quotidiano. Bene. Ora provate a pensare che tutto o parte di quei ricordi, non siano mai realmente accaduti. Come vi sentireste? Benvenuti nel mondo di Nero. “Buona sera.” Mi volto. E' il controllore. Gesti. Non servono parole. La quotidianit? delle persone ? fatta di mille piccoli gesti inosservati e da troppe parole usate per riempire i silenzi. Silenzi che nessuno sa pi? ascoltare. Sfilo il biglietto dalla tasca e penso che ? uno spreco di carta. Lo allungo all'uomo. Mezz'et?. Baffi folti. Belli, penso. Gli coprono le labbra. Ha la fede. Non vede bene da vicino perch? avvicina il biglietto al viso. Per? ? scrupoloso. Lo timbra. Faccio collezione di timbri. Sorrido. E gli faccio un cenno del capo in risposta al suo congedo. Mi ? sempre piaciuto osservare le persone. Senza nessuno scopo preciso. Le guardo e dai piccoli gesti mi costruisco, mi invento le loro vite. E' un passatempo dilettevole il pi? delle volte. Nella maggior parte dei casi, loro stanno al gioco se lo fai con discrezione. Devi per? imparare a riconoscere dei segnali. Labbra tese verso il basso, palpebre che le seguono, meglio lasciar stare...sono in cerca di discussione. Ed io non amo discutere. Non amo parlare. Sopratutto con le persone. Rimango alcuni secondi a fissare il corridoio. Le luci inondano ogni superficie. Ma fuori rimane buio. Un po' come dentro me. Non so quello che sto cercando. O forse s?. Magari non ? poi cos? importante. “Scusa sai che ore sono?” chiedo senza pensare. La ragazza leva le cuffie. “Sai che ore sono?” ripeto, indicando con l'indice il polso. Questa volta ho quasi sussurrato. Ho fatto bene a mimare la domanda, non credo mi abbia sentito. “Sono le nove meno un quarto...” dice. “Grazie”. “Hey ma oggi ? primavera” dico pi? che altro a me stesso. Lei mi ha sentito “eh s?, pare proprio che sia il 21 marzo”. Probabilmente mi ha preso per uno strambo e stralunato che non sa neppure che giorno ?. Ho quasi voglia di chiederle che giorno ? oggi...la guardo un istante. E' tornata ad ascoltar musica. Scarta un panino. Uno di quelli preconfezionati. Sembra buono. C'? del tonno ed una salsa. Probabilmente maionese. Ho fame. Non mangio mai quando viaggio. Chiss? dove va. Se torna a casa o parte. Sembra una studentessa. Magari torna a casa dai suoi. Oppure va a trovare il ragazzo. O... non ne ho idea. Non mi interessa. Non mi piace parlare. Credo di avere una bella voce. Solo che non mi piace usarla. Certo, questo non aiuta nella comunicazione. Non so bene perch? ci? accada. Eppure ? cos?. Almeno da quando ho memoria. A volte rimango cos? tanto in silenzio che quando parlo devo tossicchiare per schiarirmi le corde vocali. Un po' come un motore usato troppo poco. Altre volte invece, come poco fa, muovo le labbra ed esce solo un suono flebile. Mi piace il silenzio. Nella mia testa, poi, parlo tanto. Se uso la voce invece rompo il silenzio. La quiete. C'? tutta un'armonia dietro. Un'armonia che mi sembra solo di intuire e che non riesco bene a spiegare. Ad afferrare. Preferisco star zitto. Ascoltare. Osservare. Spesso non si ha molto da dire. Anche per questo sto zitto. Perch? spesso mi sembra di non avere molto da dire. Sopratutto se dall'altra parte non c'? nessuno che sia interessato ad ascoltare. La maggior parte delle cose che vengono dette sono superflue. Non sentite. Non rispecchiano, se non di rado, ci? che si prova, ci? che si sente. In pochi fanno corrispondere le parole con ci? che realmente sono. Si usano frasi preconfezionate, idee svuotate di significato. Ognuno le conosce gi? e ci si riconosce. A volte le parole vengono abusate, dette tanto per...sono solo gettate l?, in mezzo alla strada. Eppure loro sono qualcosa di reale. Creano la realt?. Nascondono tutta una magia dentro: racchiudono il senso e l'essenza di emozioni ed esperienze... Le parole hanno un valore ed un peso inestimabile. Dovrebbero essere usate con cautela. Non tanto per riempire un vuoto o ottenere uno scopo. Arriver? il giorno in cui si ribelleranno. E non si faranno pi? trovare dalle persone. Credo sia proprio ci? ad accadere quando non ti viene in mente una certa parola... lei non si vuol far trovare da te. Chiss? cosa le hai fatto... Alla fine vengono usate solo per fare amicizia. O per rassicurarsi. Io non voglio fare amicizia. E poi mi stanco. Dopo cinque minuti che sono costretto a parlare, mi fermo. Ho quasi il fiatone. Come dopo una corsa. Certo, a volte parlo. Lo faccio con i miei amici. Dopo, per?, devo avere proprio un aspetto orribile, perch? mi sento a pezzi, distrutto...mi vengono le occhiaie e mi sento debole. Chiss? se ? felice il controllore. Magari ha un matrimonio splendido. E non vede l'ora di tornare a casa. Forse per quello ha controllato l'orologio prima di timbrare i biglietti. Mangiare un bel piatto caldo e poi andare a letto con la persona che ama. E rimanere stretti. Mentre nella camera accanto dormono i due figli. Certo, ci son problemi. I soldi che non bastano mai -la camicia un po' consumata sul collo ed una macchia che non ? andata via, proprio sotto la cravatta. I ragazzi che chiedono sempre di pi?... e la salute che si consuma. A volte il controllore, a dispetto della sua stazza, si sente come un cerino. Si accorcia. E si consuma. Si piega su se stesso. Fino a rimanere cenere. Ma quando torna a casa ed entra infreddolito nel letto ? felice. Perch? abbraccia la moglie. E non sente pi? il peso dei problemi, del mutuo, dell'et?; non ha pi? freddo. L?, sotto quelle coperte, accanto a quella donna c'? solo benessere. Non so. Forse non ? cos?. E odia sua moglie e non ha figli. Per? mi piace immaginarlo felice. Senza soldi. Con la macchina sfasciata e un sacco di guai. Un abbraccio risolve un sacco di cose. Ed un abbraccio pu? far la differenza. Non manca molto all'arrivo. Ed io non so ancora perch? ho preso questo treno. Per? sono felice di averlo fatto. Almeno credo. Ho sempre amato i viaggi in treno. Ma questo l'ho gi? detto. Ci sono un sacco di persone. Di tutti i tipi. E c'? sempre qualcosa da guardare. In silenzio. 4 La stazione non ? molto affollata. Nonostante la voce metallica degli altoparlanti e lo stridio dei freni dei treni, ? piuttosto quieta. C'? il solito via vai di persone. Ferrovieri, qualche viaggiatore notturno. Non molti in verit?. La maggior parte sta prendendo l'uscita, verso casa. E poi c'? chi una casa non ce l'ha e si gode le ultime ore al coperto. La sera ? fresca. La primavera si manifesta in una nota di dolcezza nell'aria. Anche se il vento ? freddo. Pungente. Indossavo il cappotto. Aperto. Un clima strano. Tipico della primavera. Quando freddo e caldo si incontrano. Si scontrano. Battaglie. In alto, come sulla terra. Il cielo era coperto. Nascondeva qualcosa; qualcosa che da qui non riuscivo a vedere. Era luminoso. Quasi bianco. Non mi andava di andare in quel posto con la sera. Di giorno puoi fingere indifferenza. Puoi far finta di non sentire nulla o che nulla sia accaduto. Di giorno verit? e immaginario si possono confondere. Mescolare. Ma di notte non si pu?. Non riesco. Avevo compreso che le cose accadono. A volte senza una ragione. E che la differenza non sta in cosa accade. Ma in come tu le vivi. Per me realt? e fantasia, dentro e fuori, hanno sempre avuto dei confini molto sfumati. Per me era tutto normale. Mi rendo per? conto che cos? non fosse per tutti gli altri. Io pensavo, desideravo, qualcosa e non mi preoccupavo molto sul come realizzarla. Era come se mi costruissi una realt?. Non in modo consapevole. La immaginavo. E se sentivo che era cos?, diventava quella. Signore e signori ecco la realt? secondo Nero. Tutto qui. Capitava in questo modo. Niente di pi?, niente di meno. Un giorno, verso i sedici anni, mi son svegliato con la ferma convinzione di essere l'uomo pi? fortunato del mondo. Quel giorno non accadde nulla di eclatante. Certo, non fui interrogato in greco. Avrei preso due, sicuramente. Ma per l'uomo pi? fortunato del mondo, questo ? nulla. Non fui infastidito dai ragazzi pi? grandi che ogni tanto si appostavano per rubare i soldi a noi piccoli. Niente di che. Al mio rientro a casa non trovai il mio piatto preferito. Del resto non avevo voglia di lasagne. Cos? decisi di concretizzare la mia fortuna: rubai qualche lira dalla borsa di mia madre ed andai a giocare al lotto. Non vinsi. Ma credo che quello fosse un segno. Non ero destinato a diventare ricco. E forse, se fossi diventato ricco, avrei perso la ragione, sarei impazzito e magari avrei commesso una strage; sarei finito in galera ad essere picchiato e sodomizzato per il resto dei miei giorni. “Wow” mi dissi. Ero davvero l'uomo pi? fortunato del mondo. Per fortuna non avevo vinto. Ecco. Io sono questo. Come si pu? definire un individuo cos? del tutto normale? Vicino alla centrale ci sono decine di hotel a una, due, tre stelle. Crescevano come funghi, in un fitto sottobosco di idiomi, sapori e colori. Sbucavano fuori dai palazzi, s'insinuavano nei marciapiedi o tra le strade come lingue assetate. Ne avevo trovato uno piuttosto economico e discretamente pulito. Il bagno in camera. A conduzione familiare. La reception aperta 24 ore al giorno. Non che mi interessasse questo dettaglio. Per? ? una di quelle cose che ti rimangono impresse. E poi avevo il balcone. Affacciava sulla strada. Mi piaceva prendere aria e magari dormire con la finestra aperta. In qualsiasi stagione. Era dentro un palazzo di met? ottocento. Non distante dai giardini di Palestro. Quella di Porta Venezia ? sempre stata una delle mie zone preferite qui nella grande citt?. Mi sembrava di essere altrove ogni volta che vi passeggiavo. Negozi multietnici, il parco, profumi d'oriente e d'Africa. Tutto inserito in un contesto “basso”. Quello della Milano di fine ottocento, met? novecento. Niente alla moda; solo un pizzico di buon gusto. Almeno in parte. Qui non c'erano palazzoni di vetro e acciaio. Non ancora almeno. Certo che ? curioso, pensai: amare una zona di una citt? proprio perch? ti fa credere di non trovarti in quella citt?...ma anche questo in fondo ? solo un altro dettaglio. C'era aria di neve. La respiravo. Chiss? se avrebbe nevicato. Torno a Milano a fine marzo e nevica. Sorrisi. Mi divertiva l'idea. Ero entrato da pochi minuti nella stanza che mi avrebbe ospitato per alcuni giorni. Il bagno era pulito. C'era una bella doccia. Nuova. Alcune mattonelle intorno allo specchio sul lavabo erano rotte. Il materasso per? era comodo. Quando andavo in hotel ispezionavo sempre la camera. Il bagno, le sedie -se c'erano- aprivo gli armadi e i cassetti, come se avessi dovuto trovarci qualcosa...e poi leggevo tutte le regole dell'hotel. Solo alla fine mi sedevo sul letto per testare il materasso. Se potevo, fumavo una sigaretta. Oppure scendevo nella reception ed uscivo a fumare per strada. Adesso ero sul balcone. Avevo appena fatto un tiro. Guardavo in alto. Il cielo. E poi il palazzo di fronte. La bocca mi si era riempita del sapore dolciastro del sangue mentre buttavo fuori il fumo. Il dente. Aveva ripreso a sanguinare. L'avrei dovuto sistemare molti anni fa. Certo non me ne potevo lamentare. “Nero, nel giro di tre mesi tornerai qui piegato in due dal dolore” mi disse il dentista. Erano passati 14 anni. Non rividi mai pi? quell'uomo. Sorrisi di nuovo mentre con la lingua raccoglievo un po' di sangue dalla gengiva. Ero presuntuoso. E mi piaceva sbugiardarmi. Quasi tutti i giorni. Tranne quando pioveva. Quando pioveva stavo quieto. In silenzio. Sotto la pioggia. Come un cretino. A volte chiudevo gli occhi e mi sembrava tutto in ordine. Il rumore delle gocce scandiva la perfezione dell'universo sulla mia pelle. E diventavo metro di quella perfezione. Diventavo acqua. Feci un altro tiro. Non mi dispiaceva sentire ogni tanto il sapore del mio sangue. Mi misi ad osservare il fumo che volteggiava sospinto dal vento e alzai di nuovo lo sguardo. Il cappello abbassato sugli occhi. Iniziava a nevicare. I fiocchi erano senza peso. Cadevano pigri, indolenti, quasi svogliati. Come se non volessero. Guardai per terra. Grigio uniforme ovunque. La neve l? non si vedeva ancora. Non era ancora arrivata. Mi sentii come una vedetta. Potevo osservare qualcosa prima di tutti gli altri. “Hey io c'ero quando il 21 marzo prese a nevicare! Io so com'? iniziata” Ero un privilegiato. Anche un po' pirla probabilmente. Di sicuro ero diverso. Presi la borsa col tabacco, la chiave della stanza ed uscii dalla camera. Volevo passeggiare sotto quella candida neve. Prima che smettesse o prima che aumentasse. Volevo farlo. Ora. Mi son sempre sentito spezzato. Scisso. Forse il mio corpo lo era davvero. Almeno nell'animo, nel profondo. Come se corpo e mente fossero sempre fuori tempo tra loro. Sentivo che c'era qualcosa che non andava. Non avevo reazioni normali. Spesso mi sembrava che tutto quello che accadeva era frutto delle mie proiezioni, dei miei sentimenti del momento. In genere prima succede qualcosa e poi senti la risposta emotiva che ti procura quel qualcosa. Ecco, a me capitava l'esatto contrario. Se uscivo di casa arrabbiato mi capitavano per strada mille cose che giustificassero quella rabbia. Se mi svegliavo con la smania di amore, incontravo qualcuno di cui innamorarmi. E me ne convincevo. Non so, forse capita cos? anche a voi. Solo che non sono mai riuscito a gestire questa cosa. Mi sentivo come dio. Come se io stesso creassi quello che mi sarebbe accaduto. E forse era proprio cos?. Non saprei. “Suo figlio ha problemi a relazionarsi...non riesce ad esprimere le sue emozioni in modo coerente” Silenzio. “Ha capito signora?” Mia madre non parlava. Sembrava un'ebete. “Mi scusi ma in che senso? A me sembra che sia normale, come tutti insomma” disse mio padre. Mi guard?. E vidi che neppure lui era del tutto convinto. “Vive in un mondo tutto suo...si isola e piange quando dovrebbe ridere o ride quando dovrebbe piangere...a lei sembra normale?” “Io credo che lei non abbia alcuna competenza per fare queste affermazioni.” Bravo pap?, cantagliene quattro. La mia maestra aveva ragione. E i miei genitori lo sapevano. Ma era pure una spocchiosa che credeva che tutti dovessero essere allo stesso modo. E chi era diverso era anormale, da curare. Da omologare. Certo, riconosco che all'apparenza potevo risultare strano...come quando non trovavo pi? Giasone e pensai che se ne fosse andato; iniziai a piangere. Il tutto accadde proprio mentre iniziavano i festeggiamenti della fine della scuola con tanto di spettacolino, recita, fischietti, cappellini e stronzate varie. Ma loro non capivano. Non trovavo pi? il mio panda! Giasone appunto. Конец ознакомительного фрагмента. Текст предоставлен ООО «ЛитРес». Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=40209223&lfrom=688855901) на ЛитРес. Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.
Наш литературный журнал Лучшее место для размещения своих произведений молодыми авторами, поэтами; для реализации своих творческих идей и для того, чтобы ваши произведения стали популярными и читаемыми. Если вы, неизвестный современный поэт или заинтересованный читатель - Вас ждёт наш литературный журнал.