Íåäàâíî ÿ ïðîñíóëñÿ óòðîì òèõèì, À â ãîëîâå – íàñòîé÷èâàÿ ìûñëü: Îòíûíå äîëæåí ÿ ïèñàòü ñòèõè. È òàê íàïîëíèòü ñìûñëîì ñâîþ æèçíü! ß ïåðâûì äåëîì ê çåðêàëó ïîø¸ë, ×òîá óáåäèòüñÿ â âåðíîñòè ðåøåíüÿ. Âçãëÿä çàòóìàíåí.  ïðîôèëü – ïðÿì îðåë! Òèïè÷íûé âèä ïîýòà, áåç ñîìíåíüÿ. Òàê òùàòåëüíî òî÷èë êàðàíäàøè, Çàäóì÷èâî ñèäåë â êðàñèâîé ïîçå. Êîãäà äóøà

Rito Di Spade

Rito Di Spade Morgan Rice L’Anello Dello Stregone #7 In RITO DI SPADE (Libro #7 in lAnello dello Stregone), Thor affronta il suo lascito, combattendo per accettare lidentit? del suo vero padre, capire se rivelare il suo segreto e decidere cosa fare. Tornato nellAnello, con Micople al suo fianco e la Spada del Destino in mano, Thor ? determinato a vendicarsi contro lesercito di Andronico e liberare la propria madrepatria, e poter finalmente chiedere Gwendolyn in sposa. Ma viene a sapere che ci sono forze ben pi? grandi di lui nelle quali potrebbe incappare. Gwendolyn torna e si batte per diventare la regina che ? destinata ad essere, utilizzando la sua saggezza per unire le sue disperate forze e sconfiggere Andronico una volta per tutte. Di nuovo insieme a Thor e ai suoi compagni, ? loro grata per aver interrotto la violenza e per aver reso possibile questa opportunit? di celebrare la loro libert?. Ma le cose cambiano velocemente – troppo velocemente – e prima che lei possa rendersene conto la sua vita viene di nuovo ribaltata. La sua sorella pi? grande, Luanda, presa da uno slancio di rivalit? nei suoi confronti, ? determinata a conquistare il potere, mentre sopraggiunge anche il fratello di Re MacGil, insieme al suo esercito, per impossessarsi del trono. Con assassini e spie da ogni parte, Gwendolyn, assediata, capisce che essere Regina non ? una condizione cos? sicura come credeva. Lamore di Reece per Selese ha finalmente loccasione di fiorire, anche se allo stesso tempo ricompare il suo vecchio amore e lui si trova combattuto. Ma la tranquillit? lascia presto spazio alla battaglia, e Reece, Elden, OConnor, Conven, Kendrick, Erec e addirittura Godfrey sono costretti ad affrontare insieme unincombente avversit? se vogliono sopravvivere. Gli scontri li conducono in ogni angolo dellAnello e debellare Andronico diventa una corsa contro il tempo per salvarsi dalla distruzione totale. Morgan Rice RITO DI SPADE (LIBRO #7 in L’ANELLO DELLO STREGONE) R I T O   D I   S P A D E (LIBRO #7 in L’ANELLO DELLO STREGONE) Morgan Rice Edizione italiana A cura di Annalisa lovat Chi ? Morgan Rice Morgan Rice ? l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento tredici libri. I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue). Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati! Cosa dicono di Morgan Rice “L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Vi terr? incollati al libro per ore e sar? in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni et?. 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Thor teneva stretta in mano la Spada della Dinastia e guardando in basso vide l’enorme estensione dell’esercito di Andronico, che ricopriva il territorio dell’Anello come uno sciame dei locuste. Sent? la Spada pulsare contro il palmo e cap? cosa gli stava chiedendo di fare. Proteggere l’Anello. Cacciare gli invasori. Era come se la Spada glielo stesse ordinando e Thor era assolutamente felice di obbedire. Presto avrebbe fatto marcia indietro e l’avrebbe fatta pagare a tutti quanti, uno per uno. Ora che lo Scudo era stato riattivato Andronico e i suoi uomini erano in trappola: niente pi? rinforzi avrebbero potuto raggiungerli e Thor non avrebbe avuto pace fino a che non li avesse uccisi tutti. Ma non era ancora il momento di uccidere. Il primo punto nella sua tabella di marcia era il suo unico vero amore, la donna per cui si struggeva da quando aveva valicato quei confini: Gwendolyn. Thor non vedeva l’ora di rivederla, di abbracciarla, di sapere se era viva. All’interno della camicia l’anello di sua madre bruciava e lui aveva un intenso desiderio di donarlo a Gwen, di dichiararle il suo amore, di chiederle di sposarlo. Voleva farle sapere che non era cambiato nulla tra di loro, al di l? di cosa le era accaduto. La amava ancora tantissimo – e ancora di pi? – e aveva bisogno che lei lo sapesse. Micople brontol? sommessamente e Thor percep? la vibrazione attraverso le scaglie. Anche lei desiderava raggiungere Gwendolyn prima che le succedesse qualcosa, Thor lo sentiva. Micople abbass? la testa e vol? tra le nuvole, sbattendo le grandi ali. Sembrava felice di trovarsi l?, all’interno dell’Anello, insieme a Thor. Il loro legame si stava facendo sempre pi? intenso e Thor sentiva che Micople condivideva i suoi medesimi pensieri e desideri. Era come trovarsi in groppa a un’estensione di se stesso. I pensieri di Thor si scostarono momentaneamente da Gwen mentre entravano e uscivano dalle nuvole. Le ultime parole della regina lo turbavano, continuando a ronzargli in testa anche se avrebbe di gran lunga preferito eliminarle. La sua rivelazione aveva gravato sulle sue spalle pi? di quanto si possa immaginare. Andronico? Suo padre? Non poteva essere. Una parte di Thor sperava che fosse solo un altro crudele giochetto psicologico della regina che, dopotutto, lo aveva odiato fin dall’inizio. Probabilmente aveva voluto mettergli in testa pensieri sbagliati per disturbarlo, per tenerlo lontano da sua figlia per chiss? quale altra ragione. Thor avrebbe voluto disperatamente crederci. Ma dentro di s?, quando la regina aveva detto quelle parole, esse si erano da subito radicate nel suo corpo e nella sua anima. Sapeva che erano vere. Anche se avrebbe tanto voluto pensare diversamente, nel preciso istante in cui le aveva pronunciate lui aveva realizzato effettivamente che Andronico era suo padre. L’idea fluttuava su di lui come un incubo. Aveva sempre sperato e pregato, da qualche parte nei recessi della propria mente, che re MacGil fosse suo padre e che Gwendolyn, in qualche modo, non fosse veramente sua figlia, cos? da poter stare ugualmente insieme a lei. Aveva sempre pregato che il giorno in cui avesse saputo chi era il suo vero padre, tutto avrebbe avuto senso e che il suo destino sarebbe stato finalmente chiaro. Venire a sapere che suo padre non era un eroe era una cosa. Poteva accettarla. Ma apprendere che suo padre era un mostro – il peggiore dei mostri, l’uomo che pi? di tutti Thor avrebbe voluto morto – era troppo. Thor aveva nelle vene il sangue di Andronico. Cosa significava per lui tutto ci?? Significava che anche lui, Thor, era destinato a diventare un mostro? Significava che aveva qualche traccia malvagia nascosta nelle proprie vene? Era destinato a diventare come lui? O era possibile che fosse diverso da lui, nonostante condividessero il medesimo sangue? Il destino scorreva nel sangue? Oppure ogni singola generazione costruiva il proprio? Thor faceva anche fatica a capire cosa ci? significasse per la Spada della Dinastia. Se la leggenda era vera – che solo un MacGil poteva sollevarla – voleva dire che Thor era un MacGil? E se era cos?, come poteva Andronico essere suo padre? A meno che Andronico stesso, in qualche modo, non fosse un MacGil. Cosa ancora peggiore, come avrebbe fatto Thor a condividere tutto ci? con Gwendolyn? Come poteva dirle che lui era il figlio del mostro che lei odiava pi? di tutti? Dell’uomo che l’aveva aggredita? Sicuramente avrebbe iniziato a odiare anche lui. Avrebbe visto la faccia di Andronico ogni volta che guardava Thor. Eppure doveva dirglielo: non poteva mantenere un tale segreto con lei. Avrebbe rovinato cos? la loro relazione? Il sangue di Thor ribolliva di rabbia. Avrebbe preso Andronico a colpi di mazzafrusto solo per il fatto di essere suo padre, per avergli fatto una cosa del genere. Mentre volavano Thor guard? in basso e perlustr? il territorio dall’alto. Sapeva che Andronico era l? sotto da qualche parte. Molto presto lo avrebbe visto faccia a faccia. Lo avrebbe trovato. Si sarebbe scontrato con lui. E l’avrebbe ucciso. Ma prima doveva trovare Gwendolyn. Mentre passavano sopra la Foresta Meridionale, Thor sent? che era vicina. Aveva il terribile presentimento che stesse per accaderle qualcosa di terribile. Spinse Micople ancora pi? veloce, sentendo che ogni momento sarebbe potuto essere l’ultimo per Gwen. CAPITOLO DUE Gwendolyn era sola vicino al parapetto superiore della Torre dell’Asilo, vestita con gli abiti neri che le avevano dato le suore, con la sensazione di trovarsi in quel luogo ormai da un’eternit?. L’avevano salutata in silenzio. Solo una suora – la sua guida – le aveva parlato una sola volta per istruirla sulle regole del posto: non si doveva parlare n? interagire con nessuno. Ogni donna viveva l? sola con se stessa, nel proprio universo personale. Ogni donna voleva essere lasciata sola. Era una torre di ricovero, un luogo dedicato a coloro che cercavano la guarigione. Gwendolyn sarebbe stata al sicuro da ogni pericolo e offesa l? dentro. Ma anche sola. Completamente sola. Gwendolyn capiva tutto benissimo. Lei stessa voleva essere lasciata sola. Ora se ne stava l?, in cima alla torre, e guardava fuori verso la vasta distesa delle cime degli alberi della Foresta Meridionale dell’Anello, sentendosi pi? sola che mai. Sapeva che doveva essere forte, che era una combattente. La figlia di un re e la moglie – o quasi – di un grande guerriero. Ma doveva ammettere che, per quanto desiderasse essere forte, il suo cuore e il suo spirito erano ancora feriti. Sentiva tantissimo la mancanza di Thor e temeva che lui non avrebbe mai pi? voluto stare insieme a lei. Si sentiva anche svuotata sapendo che Silesia era stata distrutta, che Andronico aveva vinto e che tutti quelli che lei amava erano gi? stati catturati o uccisi. Ora Andronico era ovunque. Aveva occupato tutto l’Anello e non era rimasto un solo angolo libero dove trovare riparo. Ora si sentiva privata di ogni speranza, esausta, troppo sfinita per una persona della sua et?. Peggio di tutto, si sentiva come se avesse abbandonato tutti, si sentiva come se avesse vissuto ormai troppo tempo e non avesse pi? voglia di viverne dell’altro. Fece un passo in avanti, fino al bordo, il bordo estremo del parapetto, oltre il quale non era permesso a nessuno di andare. Sollev? lentamente le braccia e tenne le mani in fuori, ai lati. Sent? una fredda folata di vento, la gelida brezza dell’inverno. Le fece perdere l’equilibrio e lei barcoll? sull’orlo del precipizio. Guard? in basso e vide la ripida caduta a piombo sotto di lei. Sollev? gli occhi al cielo e pens? ad Argon. Si chiese dove fosse, intrappolato nel suo universo, a scontare la propria punizione per il suo bene. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo ora, per sentire le sue sagge parole un’ultima volta. Magari la potrebbero salvare e la farebbero tornare sui propri passi. Ma se n’era andato. Anche lui aveva un prezzo da pagare e non poteva tornare indietro. Gwen chiuse gli occhi e pens? un’ultima volta a Thor. Se solo lui fosse stato l?: questo avrebbe potuto cambiare tutto. Se solo lei avesse avuto una persona al mondo rimasta in vita e che realmente la amasse, magari questo le darebbe un motivo per vivere. Scrut? l’orizzonte, sperando profondamente di vedere Thor. Mentre osservava le nuvole che si muovevano velocemente le parve di sentire, da qualche parte all’orizzonte, il ruggito di un drago. Era cos? lontano, cos? ovattato, che sicuramente se l’era immaginato. Era semplicemente la sua mente che le stava giocando degli scherzi. Sapeva che non potevano esserci draghi l?, all’interno dell’Anello. Tanto quanto sapeva che Thor era lontano, perso per sempre nell’Impero, in qualche luogo dal quale non sarebbe mai tornato. Le lacrime le scorrevano lungo le guance mentre pensava a lui, alla vita che avrebbero potuto avere insieme. A quanto vicini erano stati un tempo. Si immagin? l’espressione sul suo volto, il suono della sua voce, la sua risata. Era stata cos? sicura che loro due fossero inseparabili, che non sarebbero mai stati divisi da nulla. “THOR!” grid? Gwendolyn buttando la testa indietro, barcollando sul pianerottolo. Voleva che tornasse da lei. Ma la sua voce riecheggi? nel vento e scomparve. Thor era lontanissimo. Gwendolyn prese tra le mani l’amuleto che Thor le aveva dato, quello che le aveva salvato la vita una volta. Sapeva che la sua unica possibilit? era stata consumata. Ora non ce n’erano pi?. Gwendolyn guard? in basso, oltre il pianerottolo, e vide il volto di suo padre. Era circondato da una luce bianca e le sorrideva. Si sporse in avanti e lasci? penzolare un piede nel vuoto, chiudendo gli occhi al vento. Rimase l?, barcollante, imprigionata tra due mondi, tra la vita e la morte. Era in perfetto equilibrio e sapeva che la prossima folata di vento avrebbe deciso per lei quale direzione prendere. Thor, pens?. Perdonami. CAPITOLO TRE Kendrick cavalcava in testa al sempre pi? vasto esercito di MacGil, Silesiani e uomini dell’Anello liberati, uscendo di gran carriera dai cancelli principali di Silesia e imboccando l’ampia strada che portava a est, verso l’esercito di Andronico. Accanto a lui galoppavano Srog, Brom, Atme e Godfrey; dietro c’erano Reece, O’Connor, Conven, Elden e Indra, oltre a un migliaio di guerrieri. Avanzando passarono accanto ai corpi bruciacchiati di migliaia di soldati dell’Impero, neri e rigidi per la fiammata del drago. Altri giacevano morti, uccisi dai colpi inferti dalla Spada della Dinastia. Thor aveva scatenato un’ondata di distruzione, incarnando un esercito formato da una singola persona. Kendrick aveva osservato tutto e provava un profondo rispetto di fronte alla portata della devastazione messa in atto da Thor, al potere di Micople e della Spada della Dinastia. Era meravigliato per la piega che avevano preso gli eventi. Solo pochi giorni prima erano stati tutti imprigionati e si trovavano sotto il giogo di Andronico, costretti ad ammettere la loro sconfitta. Thor allora si trovava ancora nell’Impero, la Spada della Dinastia era un sogno perduto e c’era ben poca speranza che tornassero. Kendrick e gli altri erano stati crocefissi, lasciati l? a morire, e sembrava che tutto fosse perduto. Ma ora cavalcavano come uomini liberi, ancora una volta da soldati e cavalieri, rinvigoriti dall’arrivo di Thor, ora che la bilancia si era piegata dalla loro parte. Micople era stata un dono del cielo, una forza distruttiva piovuta dall’alto. Ora Silesia era una citt? libera e la campagna dell’Anello, invece di essere piena di soldati dell’Impero, era colma dei loro cadaveri. La strada che conduceva a est era fiancheggiata da corpi di soldati nemici sparpagliati fino a dove si riusciva a vedere. Eppure, per quanto tutto ci? fosse incoraggiante, Kendrick sapeva che mezzo milione di uomini di Andronico si trovavano in attesa dall’altra parte dell’Altopiano. Li avevano provvisoriamente battuti, ma non spazzati via del tutto. E Kendrick e gli altri non erano certo tipi da starsene a Silesia ad aspettare che Andronico riorganizzasse un nuovo attacco; neppure avevano intenzione di concedergli una possibilit? di fuga e ritirata nell’Impero. Lo Scudo era nuovamente attivo e, sebbene in minoranza numerica, Kendrick e gli altri ora avevano almeno un’occasione per combattere. Ora l’esercito di Andronico era in fuga e Kendrick sapeva che gli altri erano determinati a continuare la serie di vittorie cui Thor aveva dato inizio. Kendrick si diede un’occhiata alle spalle, alle migliaia di soldati e uomini liberi che cavalcavano con lui e vide la determinazione sui loro volti. Avevano tutti assaggiato la schiavit?, la sconfitta e ora era evidente quanto apprezzassero cosa significasse essere di nuovo degli uomini liberi. Non solo per loro stessi, ma per le loro mogli e le loro famiglie. Tutti quanti si erano inaspriti, determinati a farla pagare ad Andronico, assicurandosi che non potesse pi? attaccare. Erano un esercito di uomini pronti a combattere fino alla morte e stavano avanzando come un tutt’uno. Ovunque passavano liberavano altri uomini, sciogliendo le corde e rimpinguando l’esercito che stava diventando sempre pi? vasto. Kendrick stesso si stava ancora riprendendo dal periodo trascorso sulla croce. Il suo corpo non era ancora forte come prima e il dolore ai polsi e alle caviglie, dove le corde avevano stretto e scavato nella carne, persisteva. Guard? Srog, Brom e Atme – suoi amici sulla croce – e vide che anche loro non erano pienamente in forma. La crocifissione si era fatta sentire anche per loro. Eppure tutti avanzavano con orgoglio e determinazione. Non c’era niente di meglio che andare a combattere per una possibilit? di vita, di vendetta, per dimenticare le ferite e le offese. Kendrick era estremamente felice che suo fratello Reece e gli altri della Legione fossero tornati dalla spedizione e si trovassero ora al suo fianco. Gli aveva spezzato il cuore vedere i giovani della Legione ammazzati a Silesia, e avere ora questi ragazzi con se lo alleviava parzialmente da quel dolore. Era sempre stato vicino a Reece crescendo, protettivo nei suoi confronti, come un secondo padre per tutte le volte in cui MacGil era stato troppo impegnato. In qualche modo essere solo un mezzo fratello gli aveva permesso in qualche modo di essergli addirittura pi? vicino. Non erano stati costretti ad essere affezionati e lo erano diventati spontaneamente. Kendrick non era mai stato capace di affezionarsi agli altri fratelli pi? giovani: Godfrey aveva sempre trascorso il suo tempo nelle taverne con i poco di buono e Gareth, beh… Gareth era Gareth. Reece era stato l’unico dei tre fratelli a prendere le armi, decidendo di intraprendere la vita che anche Kendrick aveva scelto. Kendrick non avrebbe potuto essere pi? fiero di lui. In passato, quando Kendrick era uscito a cavallo insieme a Reece, era sempre stato protettivo nei suoi confronti e lo aveva tenuto d’occhio. Ma dal suo ritorno aveva visto che Reece era diventato un vero, forte guerriero, quindi non sentiva pi? il bisogno di essere cos? attento verso di lui. Si chiedeva che genere di perigli avesse attraversato nell’Impero per esserne uscito trasformato in un soldato cos? abile e forte come ora era. Non vedeva l’ora di sedersi ad ascoltare le sue storie. Kendrick era pure felicissimo che anche Thor fosse tornato, e non solo perch? li aveva liberati: apprezzava e rispettava immensamente Thor e provava per lui un affetto pari a quello per un fratello. Stava ancora rivedendo nella propria mente l’immagine di Thor che tornava con la Spada in mano. Non poteva dimenticarla. Era una visione che non si sarebbe mai aspettato di avere davanti nella propria vita. In effetti non aveva mai pensato che avrebbe visto nessuno sollevare la Spada della Dinastia, meno che meno Thor, il suo scudiero, un piccolo e umile ragazzino che proveniva da un villaggio di periferia. Uno straniero. E neanche un MacGil. Oppure s?? Kendrick era pensieroso. Continuava a ripensare mentalmente alla leggenda: solo un MacGil poteva sollevare la Spada. Nel profondo del proprio cuore Kendrick doveva ammettere che aveva sempre sperato che sarebbe stato lui quello che l’avrebbe brandita. Aveva sperato che sarebbe stato il segno definitivo della sua legittima appartenenza alla famiglia, confermandolo come primogenito di MacGil. Aveva sempre sognato che in qualche modo, un giorno, le circostanze gli avrebbero concesso di provare. Ma non si era mai permesso quella possibilit? e non portava rancore a Thor per ci? che era riuscito a fare. Kendrick non era invidioso, al contrario si sentiva meravigliato per il destino di Thor. Non riusciva proprio a capirlo. La leggenda era falsa? Oppure Thor era un MacGil? Come poteva esserlo? Era impossibile, a meno che anche Thor non fosse un figlio di MacGil. Kendrick continu? a riflettere. Era risaputo che suo padre era stato con molte donne al di fuori del matrimonio, che anche lui stesso era stato concepito cos?. Era per quello che Thor era corso velocemente via da Silesia dopo aver parlato con sua madre? Di cosa avevano parlato esattamente? La regina non aveva voluto dirlo. Era la prima volta che gli aveva tenuto segreto qualcosa. Perch? proprio adesso? Quale segreto stava serbando? Cosa aveva potuto dire per far scappare Thor a quel modo, lasciandoli senza dire una parola? Questo faceva pensare Kendrick a suo padre, alla sua dinastia. Per quanto desiderasse pensare diversamente, soffriva nella consapevolezza di essere un figlio illegittimo, e per la milionesima volta si chiese chi potesse essere la sua vera madre. Aveva sentito, nel corso della propria vita, diversi pettegolezzi riguardo alla donne con cui suo padre, re MacGil, era stato, ma non aveva mai avuto alcuna certezza. Quando tutto si fosse sistemato – se mai ci? sarebbe realmente accaduto – e l’Anello fosse tornato alla normalit?, Kendrick era deciso a trovare chi fosse sua madre. L’avrebbe affrontata. Le avrebbe chiesto perch? l’aveva abbandonato, perch? non aveva mai preso parte alla sua vita. Come aveva incontrato suo padre. Voleva solo incontrarla, vedere il suo volto, vedere se gli assomigliava. E che fosse lei a dirgli che effettivamente era figlio legittimo, legittimo quanto tutti gli altri. Kendrick era felice che Thor fosse corso via a recuperare Gwendolyn, anche se una parte di lui avrebbe preferito che fosse rimasto. Lanciarsi in battaglia, in tale minoranza numerica, contro decine di migliaia di uomini di Andronico, Kendrick sapeva che Thor e Micople sarebbero stati un enorme aiuto. Ma Kendrick era nato ed era stato cresciuto come un guerriero e non era tipo da sedersi ad aspettare che gli altri combattessero la sua battaglia al posto suo. Faceva invece ci? che il suo istinto gli ordinava: partire e conquistare quanto pi? esercito dell’Impero potesse, insieme ai suoi uomini. Non aveva armi speciali come Micople o la Spada della Dinastia, ma aveva le sue due mani, le stesse che usava da quando era ragazzo. E gli erano sempre state sufficienti. Salirono una collina e quando raggiunsero la cima, Kendrick guard? all’orizzonte e vide in lontananza una piccola cittadina dei MacGil: Lucia, il primo villaggio a est di  Silesia. I cadaveri degli uomini dell’Impero erano disseminati lungo la strada, ed era chiaro che l’ondata di distruzione di Thor era terminata l?. All’orizzonte Kendrick scorse un battaglione dell’esercito di Andronico in ritirata verso est. Probabilmente stavano facendo ritorno all’accampamento principale, verso la salvezza, dall’altra parte dell’Altopiano. Il corpo principale dell’esercito si stava ritirando, ma si erano lasciati alle spalle una divisione minore per tenere il controllo su Lucia. Diverse migliaia di uomini di Andronico stazionavano nella citt? facendole la guardia. Erano visibili pure i cittadini, resi schiavi dai soldati. Kendrick ricord? ci? che era loro successo a Silesia, come erano stati trattati, e il volto gli si fece rosso per il desiderio di vendetta. “ALL’ATTACCO!” grid?. Sollev? la spada in aria e dietro di lui si levarono le vigorose grida di migliaia di soldati. Spron? il cavallo e tutti si lanciarono gi? dalla collina, diretti verso Lucia. I due eserciti si stavano preparando allo scontro e sebbene fossero equamente bilanciati per quanto riguardava il numero di soldati, non lo erano – Kendrick lo sapeva bene – in materia di cuore. Quell’ultima divisione dell’esercito di Andronico era un gruppo di invasioni in fuga, mentre Kendrick e i suoi uomini erano pronti a combattere sulle loro vite per difendere la propria patria. Il suo grido di battaglia si lev? mentre galoppavano verso i cancelli di Lucia. Avanzavano cos? velocemente che diverse decine di soldati dell’Impero che stavano di guardia si voltarono e si guardarono tra loro confusi, chiaramente presi alla sprovvista. Corsero quindi entro i cancelli e girarono furiosamente la manovella per abbassare la grata. Ma non furono abbastanza veloci. Numerosi arcieri di Kendrick, che si trovavano davanti, tirarono e li uccisero: le loro frecce andarono dritte a conficcarsi nei loro petti e nelle loro schiene, tra le giunture delle armature. Lo stesso Kendrick scagli? una lancia e cos? fece anche Reece accanto a lui. Kendrick and? a segno, colpendo un grosso guerriero che stava prendendo la mira con l’arco. Fu poi impressionato dal vedere che anche Reece aveva colpito senza fatica, infilzando un soldato al cuore. Il cancello rimase aperto e gli uomini di Kendrick non esitarono. Con un forte grido di battaglia vi si lanciarono attraverso, diretti verso il cuore della citt?, per niente rallentati dall’imminente battaglia. Si ud? un forte clangore metallico non appena Kendrick e gli altri sollevarono spade, asce, lance e alabarde e si scontrarono con migliaia di soldati dell’Impero che si erano lanciati loro incontro a cavallo. Kendrick fu il primo a scontrarsi, sollevando lo scudo e parando un colpo, ma roteando allo stesso tempo la spada e uccidendo due soldati. Senza esitare ruot? e blocc? un altro colpo di spada, poi conficc? la propria nello stomaco di un soldato dell’Impero. Mentre gli uomini morivano, Kendrick pens? alla vendetta: pens? a Gwendolyn, al suo popolo, a tutta la gente dell’Anello che aveva sofferto. Reece, accanto a lui, fece roteare la mazza e colp? un soldato alla tempia, facendolo cadere da cavallo. Poi sollev? lo scudo e par? un colpo che stava scendendo contro di lui di fianco. Fece roteare ancora la mazza e mise al tappeto il suo aggressore. Elden, accanto a lui, si lanci? in avanti con la sua grande ascia e la cal? su un soldato che stava per attaccare Reece, tagliando il suo scudo e conficcandogli l’ascia nel petto. O’Connor scocc? diverse frecce con precisione letale, anche a distanza cos? ravvicinata, mentre Conven si gett? in battaglia e combatt? impavidamente, portandosi davanti agli altri uomini senza neanche curarsi di sollevare lo scudo. Faceva invece roteare due spade, avanzando in mezzo agli uomini dell’Impero come se volesse morire. Ma sorprendentemente non cedette. Riusc? invece ad abbattere uomini da una parte e dall’altra. Indra li seguiva poco dietro. Era temeraria, anche pi? della maggioranza degli uomini. Usava il suo pugnale con abilit? e precisione, scivolando come un pesce attraverso le file di soldati dell’Impero e pugnalandoli alla gola. Cos? facendo pensava alla propria patria e a quanto la sua gente aveva sofferto sotto il piede dell’Impero. Un soldato dell’Impero cal? un’ascia contro la testa di Kendrick prima che lui riuscisse a prepararsi a schivarla. Kendrick si prepar? al colpo, ma ud? invece un forte clangore e vide l’amico Atme accanto a lui a bloccarlo con lo scudo. Atme prese poi la sua lancia corta e colp? l’aggressore allo stomaco. Kendrick sapeva che gli doveva la vita, un’altra volta. Mentre un altro soldato attaccava con arco e freccia puntando proprio ad Atme, Kendrick si lanci? in avanti e sollev? la spada colpendo l’arco e facendolo volare in aria, cos? che la freccia saett? a vuoto sopra la testa di Atme. Kendrick colp? poi il soldato al setto nasale con l’elsa della spada e lo fece cadere da cavallo, dove venne calpestato e ucciso. Ora erano pari. E cos? la battaglia prosegu?, colpo dopo colpo da entrambi i fronti, uomini che cadevano da una parte e dall’altra – ma pi? dalla parte dell’Impero – mentre gli uomini di Kendrick, alimentati dalla rabbia, spingevano addentrandosi sempre pi? nella citt?. Alla fine il loro slancio  li fece avanzare come un’ondata. Gli uomini dell’Impero erano guerrieri forti, ma erano abituati ad essere quelli che attaccavano, quindi qui erano stati presi alla sprovvista. Presto furono incapaci di organizzarsi e contenere l’esercito di Kendrick. Furono spinti indietro e calarono in numero. Dopo quasi un’ora di intenso combattimento, le perdite dell’Impero causarono una ritirata in grossa scala. Qualcuno dalla loro parte suon? un corno e uno alla volta iniziarono a voltarsi e galoppare via, cercando di farsi strada fuori dalla citt?. Con un grido ancora pi? forte Kendrick e i suoi uomini si lanciarono dietro di loro, rincorrendoli attraverso Lucia, verso i cancelli dalla parte opposta della citt?. Chiunque fosse rimasto del battaglione dell’Impero, ancora alcune centinaia di uomini, scappava per salvarsi la pelle in una sorta di caos organizzato, correndo verso l’orizzonte. Si lev? un tonante grido all’interno di Lucia da parte dei prigionieri MacGil liberati. Gli uomini di Kendrick avevano sciolto le corde che li tenevano legati e li avevano liberati man mano che procedevano. I prigionieri non avevano perso tempo ed erano corsi verso i cavalli dei soldati dell’Impero morti, erano saliti in sella, avevano strappato le armi ai cadaveri e si erano uniti agli uomini di Kendrick. L’esercito di Kendrick si era ingrossato di quasi il doppio e le migliaia di nuovi soldati rincorrevano ora le truppe dell’Impero, salendo e scendendo le colline avvicinandosi a loro sempre di pi?. O’Connor e gli altri arcieri riuscirono a colpirne alcuni e numerosi corpi cadevano qua e l?. La caccia continu? e, mentre Kendrick si chiedeva dove stessero andando, lui e i suoi uomini giunsero alla sommit? di una collina particolarmente alta e guardando verso il basso videro una delle pi? grandi citt? a est di Silesia – Vinesia – chiusa tra due montagne e distesa in una valle. Era una citt? notevole, molto pi? grande di Lucia, con spesse mura di pietra e cancelli di ferro rinforzati. Era l?, si rese conto Kendrick, che i resti del battaglione dell’Impero stavano fuggendo, dato che la citt? era sorvegliata e protetta da decine di migliaia di uomini di Andronico. Kendrick si ferm? con i suoi uomini in cima alla collina e studi? la situazione. Vinesia era una citt? grande e loro erano sempre in grossa minoranza numerica. Sapeva che sarebbe stata una follia tentare e che la cosa pi? sicura da fare sarebbe stata tornare a Silesia e accontentarsi della vittoria di quel giorno. Ma Kendrick non era dell’umore giusto per scelte sicure e non lo erano neanche i suoi uomini. Volevano il sangue. Volevano la vendetta. E in una giornata come quella le probabilit? non contavano pi? nulla. Era tempo di far sapere all’Impero di che pasta erano fatti i MacGil. “CARICA!” grid? Kendrick. Si lev? un urlo e migliaia di uomini si lanciarono in avanti, scendendo temerariamente la collina diretti verso la grande citt? e l’ancora pi? grande nemico, pronti a dare le loro vite, a rischiare tutto per l’onore e il valore. CAPITOLO QUATTRO Gareth tossiva e ansimava mentre si trascinava nel desolato paesaggio: le labbra screpolate per la mancanza d’acqua, gli occhi scavati e segnati da profondi cerchi neri. Erano state poche giornate tormentate e pi? di una volta aveva pensato di essere sull’orlo della morte. Gareth era scappato per il rotto della cuffia dagli uomini di Andronico a Silesia, nascondendosi in un passaggio segreto all’interno di un muro e restando in attesa. Aveva aspettato, rannicchiato come un ratto nel buio, il momento opportuno. Gli sembrava di essere rimasto l? dentro per giorni. Da l? aveva visto ogni cosa: aveva assistito con incredulit? all’arrivo di Thor in groppa a un drago, che aveva ucciso tutti quegli uomini dell’Impero. Nella confusione e caos che si erano generati, Gareth aveva colto la sua possibilit?. Era sgattaiolato fuori attraverso il cancello posteriore di Silesia mentre nessuno guardava e aveva preso la strada che portava verso sud, procedendo lungo il crinale del Canyon e rimanendo per lo pi? nei boschi in modo da non essere visto. A ogni modo non aveva importanza: le strade erano vuote comunque. Tutti si stavano muovendo verso est per combattere la grande battaglia per l’Anello. Gareth not? i corpi carbonizzati degli uomini di Andronico buttati lungo la strada e cap? che la battaglia l?, a sud, era gi? stata combattuta. Gareth si spinse ancora pi? a sud: il suo istinto lo guidava di nuovo verso la Corte del Re, o ci? che ne era rimasto. Sapeva che era stata devastata dagli uomini di Andronico, che probabilmente ne restavano solo le rovine, ma voleva lo stesso andarci. Voleva allontanarsi da Silesia e andare in un posto che sapeva poter essere per lui un porto sicuro. Il luogo che tutti gli altri avevano abbandonato. Il luogo dove lui, Gareth, aveva un tempo regnato da supremo sovrano. Dopo giorni di cammino, debole e delirante per la fame, Gareth era finalmente emerso dai boschi e aveva scorto in lontananza la Corte del Re. Eccola l?, le mura ancora intatte – almeno parzialmente – ma annerite e pericolanti. Tutt’attorno c’erano cadaveri degli uomini di Andronico, prova che Thor era stato l?. Per il resto era vuota, non vi era rimasto nient’altro che l’ululare del vento. Era perfetta per Gareth. Ad ogni modo non aveva programmato di entrare nella citt?. Era andato l? per recarsi presso una piccola struttura nascosta proprio fuori dalle mura. Era un posto che aveva frequentato da bambino, un edificio di marmo a pianta circolare, alto pochi metri e decorato da elaborate statue attorno al tetto. Aveva sempre avuto un aspetto antico, cos? basso, come se fosse qualcosa di nato dal terreno. E lo era. Era la cripta dei MacGil. Il luogo dove era stato sepolto suo padre dopo le onoranze funebri sulla Rupe Colviana e dopo il periodo di lutto. E prima di lui tutti gli altri re MacGil. La cripta era il genere di edificio che Gareth sapeva sarebbe stato lasciato intatto. Dopotutto, a chi avrebbe interessato attaccare una tomba? Era il posto rimasto dove sapeva che nessuno si sarebbe neppure preoccupato di cercarlo e dove quindi avrebbe trovato rifugio. Era un posto dove poteva nascondersi e rimanere completamente solo. Un posto dove avrebbe potuto stare insieme ai suoi antenati. Per quanto Gareth odiasse suo padre, stranamente in quei giorni si trovava a desiderare di essergli vicino. Attravers? di corsa il prato  e una fredda folata di vento lo fece rabbrividire. Si strinse quindi il logoro mantello attorno alle spalle. Sent? il verso acuto di un uccello invernale e sollevando lo sguardo not? un enorme e orribile creatura nera che ruotava in alto sopra la sua testa, sicuramente in attesa del suo crollo, che avrebbe cos? determinato la sua cena. Gareth non poteva biasimarla. Si sentiva allo stremo delle forze ed era consapevole di avere l’aspetto di un pasto succulento agli occhi di quell’uccellaccio. Alla fine raggiunse l’edificio, afferr? la massiccia maniglia di ferro della porta con due mani e tir? con tutta la sua forza. Gli girava la testa ed era ormai delirante per la stanchezza. La porta cigol? e gli servirono tutte le sue forze per riuscire ad aprirla. Gareth corse nel buio, sbattendo la porta di metallo, che riecheggi? alle sue spalle. Afferr? una torcia spenta dal muro, dove sapeva che era appesa, strofin? la pietra focaia e la accese, permettendosi cos? di avere la luce sufficiente per vedere davanti a s? mentre scendeva i gradini, sempre pi? gi? nel buio. Diventava a ogni passo pi? freddo e pieno di spifferi, il vento trovava fessure per soffiare all’interno, fischiando tra le piccole fenditure. Gareth non poteva fare a meno di sentirsi come se i suoi antenati gli stessero ululando contro, rimproverandolo. “LASCIATEMI IN PACE!” url? in risposta. La sua voce riecheggi? ripetutamente rimbalzando contro le pareti della cripta. “AVRETE PRESTO IL VOSTRO RISCATTO!” Ma il vento continuava. Gareth, furioso, scese pi? a fondo, fino a che raggiunse la grande sala di marmo, scavata nella terra e con un soffitto di tre metri, dove tutti i suoi avi erano sepolti in sarcofagi di marmo. Gareth marci? solennemente lungo il corridoio e i suoi passi risuonarono sul marmo. Raggiunse l’estremit? della stanza, dove giaceva suo padre. Il Gareth di un tempo avrebbe picchiato contro il sarcofago di suo padre. Ma ora, per una qualche ragione, stava iniziando a provare una certa affinit? con lui. Non capiva perch?. Forse era l’oppio che si stava dileguando dentro di s?, o forse perch? sapeva che presto anche lui sarebbe morto. Gareth tocc? il grande sarcofago e si chin? su di esso, abbassando la testa. Si sorprese quando inizi? a piangere. “Mi manchi, padre,” disse singhiozzando, la voce riecheggiante nella stanza vuota. Continu? a piangere, le lacrime gli scendevano lungo il volto, fino a che le ginocchia gli si fecero pi? deboli e croll? esausto a terra, sedendosi sul pavimento, appoggiato addosso alla tomba. Il vento ulul? come in risposta e Gareth mise gi? la torcia che ardeva sempre pi? debolmente: una fiammella che si spegneva nell’oscurit?. Gareth sapeva che presto tutto sarebbe stato buio e che avrebbe raggiunto tutti quelli che amava di pi?. CAPITOLO CINQUE Steffen camminava triste lungo il solitario sentiero nella foresta, allontanandosi lentamente dalla Torre dell’Asilo. Gli spezzava il cuore lasciare Gwendolyn l? a quel modo, la donna che aveva giurato di proteggere. Senza di lei, lui non era niente. Da quando l’aveva incontrata aveva sentito di aver finalmente trovato uno scopo nella vita: sorvegliarla, consacrare la propria vita a ripagarla per avergli permesso – a lui, un mero servitore – di salire di rango. E soprattutto per essere stata la prima persona nella sua vita a non detestarlo e sottovalutarlo per il suo aspetto. Steffen aveva provato un senso di orgoglio nell’aiutarla a raggiungere sana e salva la Torre. Ma lasciarla l? lo aveva svuotato. Dove sarebbe andato adesso? Cosa avrebbe fatto? Senza lei da proteggere, la sua vita sembrava di nuovo priva di scopo. Non poteva tornare alla Corte del Re n? a Silesia: Andronico aveva sconfitto entrambe le citt? e gli torn? in mente la distruzione che aveva visto quando era fuggito da Silesia. L’ultima cosa che ricordava era la sua gente catturata e fatta schiava. Non avrebbe avuto senso tornare. Inoltre Steffen non aveva intenzione di riattraversare l’Anello e stare cos? lontano da Gwendolyn. Cammin? senza meta per ore, serpeggiando lungo i sentieri della foresta, cercando di riflettere, fino a che gli venne in mente dove andare. Segu? la strada di campagna verso nord, sal? una collina – il punto pi? alto – e da quella posizione privilegiata scorse un piccolo villaggio arroccato su un’altra collina in lontananza. Si diresse da quella parte, e quando la raggiunse vide che quella cittadina aveva ci? che gli serviva: una perfetta visuale della Torre dell’Asilo. Se Gwendolyn avesse mai cercato di andarsene da l?, voleva essere abbastanza vicino ed essere sicuro di poterla accompagnare e proteggere. Dopotutto la sua lealt? era verso di lei ora. Non verso un esercito o una citt?, ma verso lei. Lei era la sua nazione. Quando Steffen arriv? nel piccolo e umile villaggio decise che sarebbe rimasto l?, in quel luogo, da dove avrebbe sempre potuto osservare la Torre e tenere sott’occhio Gwen. Attraversando i cancelli not? che si trattava di un villaggio povero e ordinario, un altro piccolo insediamento ai confini dell’Anello, cos? nascosto nella Foresta Meridionale che gli uomini di Andronico sicuramente non si erano presi la briga di andare da quella parte. Steffen arriv? sotto gli sguardi stupiti di decine di paesani: volti dipinti di ignoranza e mancanza di compassione, tutti a guardarlo a bocca aperta e con quella familiare espressione di beffa e derisione che aveva incontrato da quando era nato. Mentre tutti osservavano il suo aspetto lui sentiva su di s? i loro occhi beffardi. Avrebbe voluto girarsi e andarsene di corsa, ma si sforz? di non farlo. Aveva bisogno di stare vicino alla Torre, e per il bene di Gwendolyn avrebbe sopportato qualsiasi cosa. Un abitante del villaggio, un uomo robusto sulla quarantina, vestito di stracci come gli altri, si volt? e si diresse severo verso di lui. “Cos’abbiamo qui, una specie di scherzo della natura?” Gli altri risero, girandosi a loro volta e avvicinandosi. Steffen rimase calmo, aspettandosi quel genere di accoglienza cui era abituato da una vita. Aveva imparato che pi? le persone erano provinciali, pi? si divertivano a ridicolizzarlo. Si raddrizz? e si assicur? che l’arco fosse al posto giusto appeso alla sua spalla, in caso quei paesani fossero non solo crudeli, ma anche violenti. Sapeva che, se ce ne fosse stato bisogno, ne avrebbe messi al tappeto molti in un batter d’occhio. Ma lui non era l? per la violenza. Era l? per trovare riparo. “Sembra essere ben pi? che un semplice personaggio strano, giusto?” chiese un altro mentre il gruppo di persone si ingrossava attorno a lui facendosi sempre pi? minaccioso. “Da come ? vestito direi di s?,” disse un altro. “Guardate l’armatura reale.” “E quell’arco: ? pelle pregiata.” “Per non parlare delle frecce. Punte d’oro, vero?” Si fermarono a pochi passi da lui, guardandolo con volti minacciosi. Gli fecero ricordare i bulli che lo tormentavano da bambino. “Allora, chi sei, pagliaccio?” chiese uno di loro. Steffen fece un respiro profondo, determinato a stare calmo. “Non ho intenzione di farvi del male,” inizi?. Tutti scoppiarono a ridere. “Del male? Tu? Che male potresti mai farci?” “Non potresti nuocere neanche ai nostri polli,” rise un altro. Steffen avvamp? mentre le risa si intensificavano, ma non voleva lasciarsi provocare. “Ho bisogno di un posto dove stare e di cibo da mangiare. Ho mani callose e forti per lavorare. Assegnatemi un compito e mi dar? da fare. Non mi serve molto. Lo stretto necessario.” Steffen voleva perdersi nuovamente nel duro lavoro, come quello svolto in tutti gli anni passati nei sotterranei del castello a servire re MacGil. Gli avrebbe tenuto la mente lontana dai pensieri. Poteva lavorare sodo e vivere nell’anonimato come si era preparato a fare prima di incontrare Gwendolyn. “E tu ti definisci un uomo?” grid? uno di loro, ridendo. “Forse possiamo usarlo in qualche modo,” disse un altro. Steffen lo guard? speranzoso. “Magari nei combattimenti contro i cani o i polli!” Tutti risero. “Pagherei per vederlo!” “L? fuori c’? una guerra, se non l’avete notato,” disse Steffen freddamente. “Sono sicuro che anche in una cittadina provinciale e semplice come questa, potete dare una mano a mantenere le provviste.” Gli abitanti si guardarono confusi. “Certo che sappiamo della guerra,” disse uno, “ma il nostro villaggio ? troppo piccolo. Gli eserciti non si preoccupano minimamente di venire da questa parte.” “Non mi piace il modo in cui parli,” disse un altro. “Tutto affettato. Sembra che ti sia stata impartita una qualche istruzione. Pensi di essere meglio di noi?” “Non sono meglio di nessuno,” disse Steffen. “Questo ? ovvio,” rise un altro. “Basta chiacchiere!” intervenne uno degli abitanti con tono serio. Si fece avanti e spinse gli altri con forti manate. Era pi? anziano e sembrava una persona seria. La folla fece silenzio in suo presenza. “Se dici sul serio,” disse l’uomo con voce profonda e brusca, “posso aver bisogno di due mani in pi? nel mio mulino. La paga ? un sacco di grano al giorno e una caraffa d’acqua. Dormirai nel granaio insieme agli altri ragazzi. Se ti va bene, sei assoldato.” Steffen annu?, soddisfatto di vedere finalmente una persona seria. “Non chiedo niente di pi?,” disse. “Da questa parte,” disse l’uomo, facendosi largo tra la folla. Steffen lo segu? e si fece condurre a un grande mulino di legno attorno al quale si trovavano al lavoro ragazzi e uomini. Tutti sudati e sporchi, stavano in una corsia fangosa e spingevano un’enorme ruota di legno tenendo in mano ciascuno un’asta dietro alla quale camminavano. Steffen rimase l?, osserv? il lavoro e cap? che sarebbe stata un’altra attivit? di quelle da spezzargli la schiena. Ma l’avrebbe fatto. Si volt? verso l’uomo per dirgli che accettava, ma l’uomo se n’era gi? andato, dando per scontato che avrebbe preso quel lavoro. I paesani con pochi altri risolini si voltarono e tornarono alle loro occupazioni, mentre Steffen guardava la ruota, la nuova vita che gli si proiettava davanti. Per un piccolo sprazzo di tempo era stato debole e si era permesso di sognare. Si era immaginato una vita di castelli e regalit?. Si era visto diventare una persona importante, il braccio destro della regina. Avrebbe dovuto sapere che non era il caso di alimentare pensieri cos? elevati. Era chiaro che non era destinato a una vita del genere. Non lo era mai stato. Ci? che gli era successo, l’incontro con Gwendolyn, era stata una combinazione. Ora la sua vita sarebbe stata relegata a questo. Ma questa almeno era una vita che conosceva. Una vita che capiva. Una vita dura. E senza Gwendolyn era la vita giusta per lui. CAPITOLO SEI Thor spingeva Micople sempre pi? veloce mentre sfrecciavano fra le nuvole, avvicinandosi sempre di pi? alla Torre dell’Asilo. Sentiva con tutto se stesso che Gwen era in pericolo. Sentiva la vibrazione scorrergli fino alle punte delle dita, in tutto il corpo, dicendogli qualcosa, dandogli un avvertimento. Gli diceva di andare pi? veloce. Pi? veloce. “Pi? veloce!” grid? a Micople. Micople rugg? sommessamente in risposta e sbatt? con maggior forza le ali. Thor non avrebbe neanche avuto bisogno di pronunciare le parole: Micople capiva tutto anche prima che lui lo dicesse. Ma pronunciare le parole lo faceva sentire meglio. Si sentiva inutile. Aveva la sensazione che qualcosa di molto grave riguardasse Gwen e che ogni secondo fosse preziosissimo. Finalmente uscirono da un cumulo di nubi e Thor si sent? immensamente sollevato vedendo ci? che appariva all’orizzonte: la Torre dell’Asilo. Era un edificio antico e misterioso, una torre stretta e a base perfettamente circolare che si innalzava verso il cielo, toccando quasi le nuvole. Era costruita con un’antica pietra nera e luccicante e Thor ne percepiva il potere anche da l?. Mentre si avvicinavano in volo, improvvisamente scorse qualcosa in alto, in cima alla torre. Era una persona. Era in piedi sul bordo, le mani in fuori, di lato. Aveva gli occhi chiusi e stava ondeggiando in balia del vento. Thor cap? subito di chi si trattava. Gwendolyn. Il cuore inizi? a martellargli in petto quando la vide stare l?. Cap? cosa stava pensando. E sapeva perch?. Gwen pensava di aver fallito e lui non poteva fare a meno di pensare che era tutta colpa sua. “PI? VELOCE!” grid?. Micople sbatt? le ali ancora di pi?: volavano cos? veloci che Thor faceva fatica a respirare. Avvicinandosi Thor vide Gwen fare un passo indietro, sul pianerottolo, di nuovo verso la salvezza del tetto, e il cuore gli si colm? di sollievo. Senza neanche vederlo, aveva cambiato idea da sola e aveva deciso di non saltare. Micople rugg? e Gwen sollev? lo sguardo vedendo Thor per la prima volta. I loro occhi si incontrarono, anche a quella distanza, e lui vide lo sbalordimento sul suo volto. Micople atterr? sul tetto e subito Thor balz? a terra, prima ancora che fosse scesa completamente, e corse verso Gwendolyn. Lei si volt? e lo fiss?, gli occhi sgranati in assoluta sorpresa. Sembrava che stesse guardando un fantasma. Thor correva verso di lei, il cuore che gli batteva forte in petto, pervaso dalla trepidazione, e allung? le braccia. Si abbracciarono e Thor la sollev? tenendola stretta a s?, facendola girare. La sent? piangere e le sue lacrime gli scendevano sul collo. Non poteva credere di essere veramente l?, con Gwen tra le braccia, in carne e ossa. Era vero. Era il sogno che aveva visto con l’occhio della sua mente, giorno dopo giorno, notte dopo notte, anche quando era nel mezzo dell’Impero, quando era stato certo di non fare mai ritorno e di non rivederla mai pi?. E ora eccolo l?, a stringerla a s?. Dopo esserle stato lontano cos? a lungo ogni cosa di lei gli sembrava nuova. Sembrava tutto perfetto. E Thor giur? che non avrebbe mai pi? dato per scontato un solo altro momento della sua vita con lei. “Gwendolyn,” le sussurr? nell’orecchio. “Thorgrin,” rispose lei con un filo di voce. Si tennero stretti a lungo, poi lentamente si scostarono e si baciarono. Fu un bacio appassionato e nessuno dei due avrebbe voluto interromperlo. “Sei vivo,” disse Gwen. “Sei qui. Non posso crederci.” Micople sbuff? e Gwendolyn guard? oltre le spalle di Thor mentre il drago dava un colpo d’ali. Il volto le si pietrific? per il terrore. “Non avere paura,” le disse Thor. “Si chiama Micople. ? mia amica. E sar? anche amica tua. Lascia che te la presenti.” Thor prese Gwen per mano e la accompagn? lentamente dall’altra parte del parapetto. Sentiva la sua paura mentre si avvicinavano. Capiva. Dopotutto quello era un vero drago in carne e ossa, e Gwen non ci era sicuramente mai stata cos? vicina in vita sua. Micople guard? Gwen con i suoi grandi e brillanti occhi rossi, sbuff? gentilmente e sbatt? le ali arcuando il collo all’indietro. Thor percep? una sorta di gelosia, mista forse a curiosit?. “Micople, ti presento Gwendolyn.” Micople gir? la testa dall’altra parte, altezzosa. Poi improvvisamente si rigir? e guard? Gwen fisso negli occhi, come se la stesse analizzando. Si chin? in avanti, cos? vicina che il suo muso quasi le toccava il volto. Gwen sussult? per la sorpresa e il rispetto, forse per la paura. Allung? una mano tremante e la pos? delicatamente sul naso di Micople, toccando le sue scaglie viola. Dopo diversi secondi Micople sbatt? le palpebre e abbass? il naso, strofinandolo contro la pancia di Gwen in segno di affetto. Continu? a strusciarsi a quel modo, come se fosse incollata a Gwen e Thor non riusciva a capire perch?. Poi, sempre velocissima, Micople gir? la testa e guard? all’orizzonte. “? bellissima,” sussurr? Gwen. Si volt? a guardare Thor. “Avevo abbandonato ogni speranza che tornassi,” gli disse. “Non pensavo che ce l’avresti fatta.” “Neanche io,” rispose Thor. “Il pensiero di te ? quello mi ha sostenuto. Mi ha dato un motivo per vivere. Per tornare.” Si abbracciarono di nuovo, tenendosi stretti mentre la brezza li accarezzava, poi si scostarono. Gwendolyn abbass? lo sguardo e not? la Spada della Dinastia appesa alla cintura di Thor e sgran? gli occhi sussultando. “Hai riportato la Spada,” disse. Lo guard? incredula. “Sei tu il prescelto che pu? maneggiarla.” Thor annu?. “Ma come…” inizi?, ma poi si interruppe. Era chiaramente sopraffatta dalle emozioni. “Non lo so,” disse Thor. “Ci sono riuscito e basta.” Gli occhi di Gwen si fecero pieni di speranza mentre pensava alle conseguenze. “Allora lo Scudo ? attivo di nuovo,” disse speranzosa. Thor annu? con solennit?. “Andronico ? in trappola,” disse. “Abbiamo gi? liberato la Corte del Re e Silesia.” Il volto di Gwendolyn si tinse di gioia e sollievo. “Sei stato tu,” disse, capendo. “Hai liberato le nostre citt?.” Thor scroll? le spalle con modestia. “? stata per lo pi? Micople. E la Spada. Io ho solo partecipato passivamente.” Gwen era raggiante. “E il nostro popolo? Sono salvi? ? sopravvissuto qualcuno? Thor annu?. “Per la maggior parte sono salvi e stanno bene.” Gwen quasi brillava di contentezza, sembrava essere nuovamente ringiovanita. “Kendrick ti aspetta a Silesia,” disse Thor. “E ti aspettano anche Godfrey, Reece, Srog e molti, molti altri. Sono tutti sani e salvi e la citt? ? libera.” Gwen corse ad abbracciare Thor, tenendolo stretto a s?. Lui pot? sentire il sollievo scorrerle nelle vene. “Pensavo fosse tutto perduto,” disse, piangendo sommessamente. “Tutto perduto per sempre.” Thor scosse la testa. “L’Anello ? sopravvissuto,” le disse. “Andronico ? in fuga. Torneremo e lo spazzeremo via una volta per tutte. E poi ci metteremo a ricostruire.” Gwendolyn si volt? improvvisamente e distolse lo sguardo, osservando il cielo e asciugandosi le lacrime. Si strinse addosso il mantello e volt? le spalle a Thor, il volto colmo di apprensione. “Non so se posso tornare,” disse esitante. “Mi ? successa una cosa. Mentre eri via.” Thor la fece girare e la guard?, tenendole le mani sulle spalle. “So quello che ti ? successo,” disse. “Tua madre me l’ha detto. Non c’? niente di cui vergognarsi,” le disse. Gwendolyn lo guard?, gli occhi pieni di sorpresa e meraviglia. “Tu sai?” gli chiese, scioccata. Thor annu?. “Non significa niente,” la rassicur?. “Ti amo come non mai. Ancora di pi?. ? il nostro amore che conta. ? indistruttibile. Ti vendicher?. Uccider? Andronico con le mie stesse mani. E il nostro amore non morir? mai.” Gwen lo abbracci? con forza e le lacrime scorsero sul collo di Thor. Lui sentiva quanto fosse sollevata. “Ti amo,” gli disse Gwen in un orecchio. “Anche io ti amo,” rispose lui. Mentre Thor stava l?, tenendola stretta, il cuore gli batteva per la trepidazione. Voleva ora, in quel momento pi? che mai, porle la fatidica domanda. Chiederle di sposarlo. Ma sentiva anche di non poterlo fare fino a che non le avesse raccontato il suo segreto, fino a che non le avesse detto chi era suo padre. Il pensiero  lo colm? di vergogna e umiliazione. Eccolo l?, appena compiuto il giuramento di uccidere l’uomo che entrambi odiavano pi? di ogni altro al mondo. E come poteva dire subito dopo che Andronico era suo padre? Thor si sentiva certo che se l’avesse fatto, Gwendolyn l’avrebbe odiato per sempre. E non poteva rischiare di perderla. Non dopo tutto quello che era successo. La amava troppo. Quindi, con mani tremanti, prese la collana dalla tasca interna della camicia, quella che aveva trovato tra i tesori dei draghi, con il laccio d’oro e il cuore dorato tempestato di diamanti e rubini. La tenne alta contro luce e Gwen sussult? vedendola. Thor si port? dietro di lei e gliela agganci? attorno al collo. “Un piccolo segno del mio amore e del mio affetto,” le disse. Le stava divinamente addosso, l’oro brillava alla luce, riflettendo ogni cosa. L’anello gli bruciava nella tasca e Thor giur? di darglielo al momento giusto. Quando avrebbe trovato il coraggio di dirle la verit?. Ma non era il momento, per quanto sperasse che lo fosse. “Quindi, come vedi puoi tornare,” disse Thor accarezzandole la guancia con il dorso della mano. “Devi tornare. La tua gente ha bisogno di te. Hanno bisogno di una guida. L’Anello senza una guida non ? niente. Guardano a te per essere condotti. Andronico occupa ancora met? dell’Anello. Le nostre citt? hanno ancora bisogno di essere ricostruite.” La guard? negli occhi e vide che stava pensando. “Di’ di s?,” le fece pressione. “Ritorna con me. Questa torre non ? il posto giusto dove una giovane donna possa trascorrere il resto dei suoi giorni. L’Anello ha bisogno di te. Io ho bisogno di te.” Thor tese una mano in fuori e rimase in attesa. Gwendolyn abbass? lo sguardo soppesando la situazione. Poi alla fine allung? una mano e la pose in quella di Thor. Gli occhi le si fecero pi? brillanti, scintillanti di amore e calore. Thor cap? che la Gwendolyn di un tempo stava lentamente tornando, piena di vita, amore e gioia come una volta. Era come un fiore che si stava rischiudendo davanti ai suoi occhi. “S?,” disse con delicatezza, sorridendo. Si abbracciarono e lui la tenne stretta, giurando di non lasciarla mai pi?. CAPITOLO SETTE Erec apr? gli occhi e si trov? steso tra le braccia di Alistair, con lo sguardo fisso nei suoi occhi blu come il cristallo che brillavano di amore e calore. Lo guardava con un sorriso appena accennato ai lati della bocca ed Erec percep? il calore che irradiavano le sue mani, scorrendo da l? a tutto il corpo. Si controll? e si accorse di essere completamente sano, rinato, come se non fosse mai stato ferito. Lei l’aveva riportato dalla morte. Erec si mise a sedere e guard? con sorpresa gli occhi di Alistair, ritrovandosi a chiedersi ancora una volta chi lei fosse veramente e come potesse avere tali poteri. Mettendosi seduto e strofinandosi la testa, improvvisamente ricord?: gli uomini di Andronico. L’attacco. La difesa della gola. Il masso. Balz? in piedi e vide tutti i suoi uomini che lo guardavano come se fossero in attesa della sua resurrezione e di un suo comando. I loro volti esprimevano sollievo. “Per quanto tempo sono rimasto senza conoscenza?” chiese ad Alistair, agitato. Si sentiva in colpa per aver abbandonato i suoi uomini cos? a lungo. Ma lei gli sorrise con dolcezza. “Solo per un momento,” gli rispose. Erec non riusciva a capire come potesse essere. Si sentiva cos? ristorato, come se avesse dormito per anni. Sentiva una nuova forza nei suoi passi mentre balzava in piedi, si voltava e correva verso l’ingresso della gola controllando il suo lavoro: il grosso masso che aveva colpito ora bloccava il passaggio e gli uomini di Andronico non potevano pi? passare da quella parte. Erano riusciti a realizzare l’impossibile e avevano respinto un esercito cos? grande. Almeno per ora. Prima che potesse esultare, Erec ud? un improvviso grido provenire dall’alto e sollev? lo sguardo: l?, in cima alla rupe, c’era un suo uomo che urlava, poi barcoll? all’indietro e precipit? a terra, morto. Erec osserv? il cadavere e vide una lancia che lo trafiggeva, poi risollev? lo sguardo e vide una caotica attivit?: grida e urla si levavano ovunque. Davanti ai suoi occhi decine di uomini di Andronico apparivano sulla sommit?, combattendo corpo a corpo con gli uomini del duca, sferrando un colpo dopo l’altro. Erec cap? subito cosa stava succedendo: il comandante dell’Impero aveva diviso le sue forze, mandandone una parte nella gola e spedendo gli altri sulla montagna. “IN CIMA!” grid? Erec. “ARRAMPICHIAMOCI!” Gli uomini del duca lo seguirono mentre correva lungo il ripido versante, spada alla mano, arrancando per salire tra la roccia e la polvere. A fasi alterne avanzava e scivolava indietro aggrappandosi con le mani, graffiandosi contro le pietre, tenendosi stretto e facendo del suo meglio per non cadere all’indietro. Correva, ma la salita era talmente ripida che si trattava pi? di una scalata che di una corsa: ogni passo era una dura battaglia, le armature sferragliavano tutt’attorno a lui mentre i suoi uomini procedevano ansimando e sbuffando, come capre di montagna, diretti verso la cima. “ARCIERI!” grid? Erec. In basso numerose decine di arcieri del duca che stavano scalando la montagna si fermarono e presero la mira verso l’alto. Scoccarono e fecero volare una raffica di frecce: numerosi soldati dell’Impero gridarono e caddero all’indietro, precipitando lungo la parete rocciosa. Un corpo rotol? verso Erec, ma lui lo scans? evitandolo per un pelo. Uno degli uomini del duca non fu altrettanto fortunato: un cadavere lo colp? e lo mand? a cadere a terra, gridando e morendo schiacciato dal peso dell’avversario. Gli arcieri del duca scavarono e si appostarono su e gi? dalla montagna, tirando ogni volta che un soldato dell’Impero faceva capolino con la testa oltre il bordo del dirupo per tenerli a bada. Ma la lotta in cima era serrata, corpo a corpo, e non tutte le frecce andarono a segno: una manc? il colpo e and? accidentalmente a conficcarsi nella schiena di uno degli uomini del duca. Il soldato grid? e si inarc?, cos? che un uomo dell’Impero, cogliendo l’occasione, lo pugnal? mandandolo a cadere all’indietro, gi? dalla montagna. Ma non appena il soldato dell’Impero fu esposto, un altro arciere gli tir? una freccia nello stomaco facendo precipitare anche lui nel vuoto. Erec raddoppi? gli sforzi e cos? fecero anche quelli che lo circondavano, scattando di corsa verso l’alto. Avvicinandosi alla cima, quando si trovava solo a pochi metri, scivol? e inizi? a cadere. Si dimen?, allung? un braccio e si aggrapp? con forza a una spessa radice che emergeva dalla pietra. Si tenne l? con tutte le sue forze, penzolante, poi si tir? su, si rimise sui piedi e continu? la risalita. Raggiunse la cima prima degli altri e corse in avanti lanciando un grido di battaglia, la spada levata, felice di difendere i suoi uomini che stavano detenendo le loro posizioni sulla sommit? ma che iniziavano ad essere spinti indietro. Non c’erano che poche decine dei suoi uomini lass? ed erano tutti impegnati in combattimenti corpo a corpo con i soldati dell’Impero che erano il doppio di loro. A ogni secondo che passava apparivano sempre pi? soldati nemici sulla cima. Erec combatteva come un pazzo, attaccando e pugnalando due soldati alla volta, liberando i suoi uomini. Non c’era nessuno in battaglia veloce quanto lui, non esisteva un uomo simile in tutto l’Anello, e con due spade in mano, colpendo in tutte le direzioni, Erec mise alla luce le sue doti uniche di campione dell’Argento cercando di sconfiggere l’Impero. Era un’ondata di distruzione incarnata da un solo uomo: ruotava, si abbassava, colpiva, si lanciava sempre pi? a fondo tra i soldati nemici. Scansava colpi, dava testate, parava e procedeva cos? velocemente che non gli serviva neanche usare lo scudo. Erec pass? tra di loro come una ventata, atterrando decine di soldati prima che avessero anche solo la possibilit? di difendersi. E gli uomini del duca, tutt’attorno a lui, recuperarono. Dietro di lui anche gli altri uomini del duca raggiunsero la cima, guidati da Brandt e dal duca stesso, che si portarono a combattere al fianco di Erec. Presto il vantaggio si invert? e si ritrovarono a spingere indietro l’esercito dell’Impero, mentre i cadaveri si ammassavano tutt’attorno. Erec si mise in guardia contro l’ultimo soldato dell’Impero rimasto in cima e lo port? ad arretrare per poi calciarlo e farlo cadere dal lato dell’Impero, gridando e precipitando all’indietro. Erec e i suoi uomini rimasero tutti l? a riprendere fiato. Erec attravers? l’ampia pianura fino al crinale dalla parte dell’Impero. Voleva vedere cosa ci fosse in basso. L’Impero aveva saggiamente smesso di mandare uomini lass?, ma Erec aveva il tremendo presentimento che potessero avere ancora qualche riserva. Anche i suoi uomini si portarono al suo fianco e guardarono in basso insieme a lui. Niente nell’immaginazione pi? sfrenata di Erec lo aveva preparato a ci? che vide. Il cuore gli sprofond? nel petto. Nonostante fossero riusciti a uccidere centinaia di uomini, nonostante fossero riusciti a sigillare la gola e ad avere il sopravvento, rimanevano ancora l? sotto centinaia di migliaia di soldati nemici. Erec faceva fatica a crederlo. Ci erano volute tutte le loro forze per arrivare a quel punto, e tutto il danno che avevano arrecato non aveva minimamente intaccato l’infinita potenza dell’Impero. Non facevano che arrivare sempre pi? uomini lass?. Erec e i suoi potevano anche ucciderne decine, forse addirittura centinaia. Ma alla fine quelle migliaia ce l’avrebbero fatta. Erec rimase l? sentendosi privato di ogni speranza. Per la prima volta in vita sua sapeva che stava per morire: l?, su quel terreno, quel giorno. Non c’era modo per evitarlo. Non se ne pentiva. Aveva messo in piedi una difesa eroica e se proprio doveva morire non c’era modo o luogo migliore. Afferr? la sua spada e si irrigid?: la sua unica esitazione era che Alistair avrebbe dovuto essere al sicuro. Magari in  una vita successiva avrebbe avuto pi? tempo per stare con lei. “Bene, abbiamo fatto una bella corsa,” disse una voce. Erec si volt? e vide Brandt in piedi accanto a lui, la mano sull’elsa della spada, pure lui rassegnato. Entrambi avevano combattuto innumerevoli battaglie insieme, si erano trovati molte volte in minoranza numerica, eppure Erec non aveva mai visto  l’espressione che ora appariva sul volto dell’amico. Sicuramente rispecchiava la sua: segnalava che la morte era l?. “Almeno moriremo con le spade in mano,” disse il duca. Ripet? con esatte parole i pensieri di Erec. In basso gli uomini dell’Impero, come se stessero capendo, sollevarono lo sguardo. Migliaia di guerrieri iniziarono a correre, a marciare all’unisono diretti verso il dirupo, le armi sguainate. Centinaia di arcieri dell’Impero iniziarono a inginocchiarsi ed Erec sapeva che sarebbe stata solo questione di attimi perch? il massacro avesse inizio. Si prepar? e fece un profondo respiro. Improvvisamente si sent? un verso stridulo provenire da qualche parte nel cielo, all’orizzonte. Erec sollev? lo sguardo e perlustr? la volta celeste, chiedendosi se stesse avendo le traveggole. Una volta aveva udito il grido di un drago e gli sembrava di aver appena sentito il medesimo suono. Era un rumore che non aveva mai dimenticato: l’aveva sentito durante il suo allenamento al Cento. Era un grido che non aveva mai pensato di risentire. Non poteva essere possibile. Un drago? L? nell’Anello? Erec allung? il collo e, in lontananza, attraverso le nuvole che si allontanavano tra loro, vide una cosa che sarebbe rimasta per sempre impressa nella sua mente: in volo diretto verso di loro, con le grandi ali che sbattevano, c’erano un enorme drago viola con ampi e luccicanti occhi rossi. Quella visuale riemp? Erec di paura, pi? di quanto potesse fare un qualsiasi esercito. Ma guardando meglio la sua espressione pass? da timore a confusione. Gli parve di vedere due persone su dorso del drago. Strizzando gli occhi, Erec li riconobbe. Che gli occhi gli stessero giocando brutti scherzi? L?, in groppa al drago, sedevano Thorgrin e, dietro di lui, aggrappata alla sua vita, la figlia di re MacGil, Gwendolyn. Prima che Erec potesse iniziare a capire ci? che stava vedendo, il drago si tuff? verso il basso, diretto verso terra come un’aquila. Apr? la bocca ed emise un suono terribile, cos? acuto che un masso accanto ad Erec si frantum?. Poi soffi? fuoco in un modo che Erec mai aveva visto. La valle si riemp? delle grida e urla di migliaia di soldati dell’Impero, mentre ondata dopo ondata le fiamme li circondavano e l’intera vallata veniva bruciata. Thor diresse il drago da una parte all’altra dei ranghi di nemici, spazzandoli via quasi tutti in un batter d’occhio. I soldati rimasti si voltarono e fuggirono, correndo verso l’orizzonte. Thor si lanci? anche dietro a loro, guidando il drago a soffiare sempre pi? fuoco. Nel giro di pochi istanti tutti gli uomini al di sotto di Erec, quelli che l’avevano reso cos? certo di essere prossimo alla morte, erano morti. Di loro non rimanevano nient’altro che cadaveri bruciacchiati, fuoco e fiamme. L’intero battaglione dell’Impero era stato annientato. Erec sollev? lo sguardo a bocca aperta per lo stupor e guard? il drago levarsi in aria, sbattere le grandi ali e volare oltre. Era diretto verso nord. I suoi uomini levarono un grandioso grido di gioia al suo passaggio. Erec era senza parole per l’ammirazione nei confronti delle gesta eroiche di Thor, la sua temerariet?, il suo controllo su quella bestia, e il potere dell’animale stesso. Gli era stata concessa una seconda possibilit? di vita – a lui e a tutti i suoi uomini – e per la prima volta da un bel po’ di tempo si sentiva ottimista. Ora potevano vincere. Anche contro l’esercito da un milione di uomini di Andronico, con una bestia come quella potevano veramente vincere. “Uomini, in marcia!” ordin? Erec. Era determinato a seguire la traiettoria del drago, l’odore di zolfo, la scia in cielo, ovunque quella li conducesse. Thorgrin era tornato ed era ora di unirsi a lui. CAPITOLO OTTO Kendrick si lanci? all’attacco sul suo cavallo, circondato dai suoi uomini, in migliaia ammassati al di fuori di Vinesia, la citt? pi? grande in cui il battaglione di Andronico si era ritirato. Un’alta cancellata di ferro sbarrava l’accesso alla citt?, le mura di pietra erano spesse e migliaia di uomini di Andronico sciamavano dentro e fuori, in netta superiorit? numerica rispetto all’esercito di Kendrick. L’elemento sorpresa non era pi? dalla loro parte. Ancora peggio, dall’altra parte della citt? apparvero in vista migliaia di altri soldati di Andronico, rinforzi che inondavano la pianura. Proprio quando Kendrick aveva pensato di averli in pugno, la situazione si era velocemente capovolta. Infatti l’esercito stava ora marciando verso di loro, in ordine, disciplinato, una massiccia ondata di distruzione. L’unica alternativa era ora quella di ritirarsi a Silesia e tenere duro l? temporaneamente fino a che l’Impero prendesse nuovamente il sopravvento, fino a che tutti finissero a diventare schiavi di nuovo. Non poteva accadere. Kendrick non si era mai ritirato una sola volta dalla battaglia, neanche quando si era trovato in minoranza numerica e nessun altro dei coraggiosi guerrieri dell’esercito di MacGil, di Silesia e dell’Argento che erano ora l? con lui. Kendrick sapeva che tutti avrebbero combattuto fino alla morte. E mentre serrava la presa sull’elsa della sua spada, sapeva che ci? era esattamente quello che doveva fare quel giorno. I soldati dell’Impero lanciarono un grido di battaglia e gli uomini di Kendrick risposero con un urlo ancora pi? forte. Mentre scendevano al galoppo il versante della collina per scontrarsi con l’esercito che avanzava verso di loro, sapendo che si trattava di una battaglia che non potevano vincere, ma determinati a portarla comunque avanti, gli uomini di Andronico presero velocit? e si avvicinarono sempre pi?. Kendrick sentiva l’aria che gli passava tra i capelli, sentiva la vibrazione dell’elsa della spada nella sua mano, e sapeva che era questione di pochi attimi perch? si ritrovasse perso in un enorme clangore metallico, in un grande e familiare rito di spade. Fu sorpreso di udire qualcosa di simile a uno stridio provenire dall’alto. Allung? il collo e guard? verso il cielo: qui vide qualcosa che sfrecciava attraverso le nuvole e che gli fece strizzare gli occhi per guardare meglio. Lo aveva visto un’altra volta prima d’ora – Thor che appariva in groppa a Micople – eppure la vista gli mozz? comunque il fiato. Soprattutto perch? questa volta c’era anche Gwendolyn lass?. Il cuore di Kendrick si gonfi? di gioia mentre li vedeva tuffarsi e si rendeva conto di ci? che stava per accadere. Sorrise, sollev? la spada in alto e galopp? pi? forte, capendo per la prima volta che la vittoria quel giorno dopotutto sarebbe stata loro. * Thor e Gwen volavano in groppa a Micople, ondeggiando dentro e fuori dalle nuvole, le grandi ali del drago che sbattevano sempre pi? forte mentre lui la spronava. Percepiva che c’era del pericolo l? sotto per Kendrick e gli altri, si tuff? in basso e sbuc? dalle nuvole. Davanti a lui si apr? una veduta totale del paesaggio: tra le colline tondeggianti dell’Anello vide la vastit? dell’esercito di Andronico che avanzava contro gli uomini di Kendrick in aperta pianura. Thor spron? Micople. “Scendi!” le sussurr?. Lei scese in basso, cos? vicina al terreno che Thor poteva quasi saltare a terra, poi apr? la bocca e soffi? il fuoco. Il calore quasi scott? Thor stesso. Ondate e ondate di fuoco rotolarono attraverso la piana e si levarono le grida terrorizzate degli uomini dell’Impero. Micople port? una devastazione come mai si era vista, incendiando chilometri e chilometri di campagna e uccidendo migliaia di uomini di Andronico. Chiunque sopravviveva si voltava per scappare. Thor avrebbe lasciato il resto a Kendrick: che se ne curasse lui. Vir? verso la citt? e vide migliaia di soldati dell’Impero all’interno. Sapeva che Micople non poteva girarsi in un’area cos? ristretta, con quelle mura alte e strette, e che sarebbe stato troppo rischioso farla scendere l?. Thor vide centinaia di soldati che miravano al cielo con frecce e lance, e temette che potessero fare del male a Micople a cos? poca distanza. La cosa non gli andava per niente. Sentiva la Spada della Dinastia che gli pulsava in mano e cap? che si trattava di una battaglia che doveva portare avanti da solo. Diresse Micople davanti alla citt?, fuori dalla grande cancellata di ferro. Quando atterr?, si chin? in avanti e sussurr? all’orecchio di Micople: “Il cancello. Brucialo e io lo potr? strappare da l?.” Micople gli rispose con un verso gracchiante, sbattendo le ali sulla difensiva. Era chiaro che voleva rimanere con Thor, combattere al suo fianco all’interno della citt?. Ma Thor non gliel’avrebbe permesso. “Questa ? la mia battaglia,” insistette. “E ho bisogno che tu porti Gwen in salvo.” Micople sembr? capire. Improvvisamente si chin? in avanti e sput? una fiammata contro il cancello di ferro, fino a farlo fondere completamente. Thor si chin? su Micople. “Va’!” le sussurr?. “Porta Gwendolyn in salvo.” Thor salt? gi? e appena tocc? terra sent? che la Spada della Dinastia gli vibrava in mano. “Thor!” grid? Gwen. Ma Thor stava gi? correndo verso i cancelli fusi. Ud? Micople prendere il volo e cap? che stava portando Gwen al sicuro. Thor pass? di corsa attraverso i cancelli aperti ed entr? nel cortile, proprio nel cuore della citt?, nel mezzo della massa di migliaia di uomini. La Spada della Dinastia vibrava contro il suo palmo come una cosa viva, guidandolo come se fosse pi? leggera dell’aria. Tutto quello che lui doveva fare era tenersi stretto. Sent? che il braccio, il polso e tutto il corpo si muovevano, colpendo e attaccando in ogni direzione. La Spada fischiava in aria e tagliava gli uomini come fossero burro, uccidendone decine alla volta. Thor ruotava e colpiva da tutte le parti. All’inizio l’Impero cerc? di contrattaccare, ma dopo che Thor ebbe tagliato scudi, armature e armi di ogni genere come se non fossero neanche l?, dopo che ebbe ucciso file e file di uomini, si resero conto di cosa stavano affrontando: un vortice magico e irrefrenabile di distruzione. Nella citt? divamp? il caos. Le migliaia di soldati dell’Impero si voltarono e cercarono di fuggire dalla citt?, di allontanarsi da Thor. Ma non c’era posto dove potessero andare. Condotto dalla Spada Thor era troppo veloce, come un fulmine che saettava per la citt?. I soldati, presi dal panico, correvano entro le mura, scontrandosi tra loro e correndo disordinatamente nel tentativo di uscire. Thor non li lasci? fuggire. Scatt? verso ogni angolo della citt?, la Spada lo portava a una velocit? mai sperimentata prima e, mentre pensava a Gwendolyn e a cosa Andronico le aveva fatto, uccideva un soldato dopo l’altro, mettendo in atto la sua vendetta. Era ora di rettificare i torti di cui Andronico aveva tempestato l’Anello. Andronico. Suo padre. Il pensiero gli bruciava dentro come un fuoco. A ogni colpo di spada immaginava di ucciderlo, spazzando via la propria origine. Thor voleva essere qualcun altro, derivare da qualcun altro. Voleva un padre di cui essere fiero. Qualsiasi altro che non fosse Andronico. E se avesse ucciso abbastanza di quegli uomini, forse, solo forse, si sarebbe liberato da quel peso. Thor combatteva indiavolato, ruotando in ogni direzione, fino a che si rese conto che stava tirando fendenti contro il nulla. Si guard? in giro e vide che ogni soldato, ogni singolo uomo di Andronico, giaceva a terra morto. La citt? era piena di corpi. Non era rimasto nessuno da uccidere. Thor era solo nella piazza cittadina, con il fiatone, la spada scintillante in mano, e non si sentiva volare una mosca. Improvvisamente si ud? un lontano grido di gioia che lo risvegli?: corse fuori dalla citt? e vide, in distanza, gli uomini di Kendrick che correvano, attaccando ci? che era rimasto dell’esercito nemico, respingendolo. Quando Thor corse fuori dal cancello della citt?, Micople lo vide e scese: era rimasta in attesa del suo ritorno, Gwen sempre in groppa. Thor mont? sul drago e si levarono nuovamente in volo. Volarono al di sopra dell’esercito di Kendrick e Thor li vide dall’alto, come formiche sotto di loro. Esultavano di gioia mentre passava sopra di loro. Alla fine giunsero di fronte all’esercito di Kendrick, di fronte alla grande massa di uomini, cavalli e polvere. Pi? in l? erano sparpagliati i resti delle legioni di Andronico. “Gi?,” sussurr? Thor. Scesero e giunsero alle spalle degli uomini di Andronico. In quel momento Micople sput? una fiammata e li spazz? via una fila dopo l’altra, mentre il muro di fuoco cresceva sempre di pi?. Si levarono le grida e presto Thor si sbarazz? dell’intera retroguardia. Alla fine non rimase nessuno da uccidere neanche l?. Continuarono a volare, attraversando la piana: Thor voleva accertarsi che non fosse rimasto nessuno. In lontananza vide una grande catena montuosa, l’Altopiano, che divideva il Regno Orientale da quello Occidentale. Tra loro e l’Altopiano non era rimasto un solo soldato dell’Impero in vita. Thor era soddisfatto. L’intero Regno Occidentale dell’Anello era stato liberato. C’erano state abbastanza uccisioni per quel giorno. Il sole iniziava a tramontare e qualsiasi cosa ci fosse in serbo per loro pi? in l?, nella parte Orientale dell’Altopiano, poteva aspettare per il momento. Thor e Micople si girarono e tornarono verso Kendrick. La campagna scorreva velocemente sotto di lui e presto riusc? a udire le grida e incitazioni degli uomini che guardavano il cielo e chiamavano il suo nome. Scese davanti all’esercito, smont? dal drago e aiut? Gwendolyn a mettere piede a terra. Erano circondati da un enorme gruppo, tutti che si stringevano attorno a loro, con un forte grido di vittoria che si levava da ogni parte. Kendrick, Godfrey, Reece e gli altri fratelli della Legione, l’Argento, tutti quelli che Thor conosceva e amava correvano ad abbracciare lui e Gwendolyn. Erano tutti finalmente riuniti. Finalmente liberi. CAPITOLO NOVE Andronico attravers? con veemenza il suo accampamento e, in un impulsivo scatto di rabbia, allung? un braccio e con i suoi lunghi artigli mozz? la testa del giovane soldato che, per sua sfortuna, gli stava casualmente vicino in quel momento. Mentre camminava Andronico decapitava un soldato dopo l’altro, fino a che i suoi uomini capirono la situazione e corsero al riparo, lontano da lui. Avrebbero dovuto sapere meglio di chiunque altro che non era il caso di stare nei paraggi quando era di cattivo umore. I soldati si facevano da parte mentre Andronico avanzava attraverso il suo enorme accampamento di decine di migliaia di uomini: tutti se ne stavano a debita distanza. Addirittura i suoi generali rimanevano da parte, marciando dietro di lui e sapendo bene che non era il caso di ronzargli attorno quando era cos? arrabbiato. La sconfitta era una cosa. Ma una sconfitta come quella non aveva precedenti nella storia dell’Impero. Andronico non aveva mai avuto esperienza di una sconfitta prima d’ora. La sua vita era stata una lunga scia di vittorie, una pi? brutale e soddisfacente dell’altra. Non sapeva cosa significasse sentirsi sconfitti. Ora lo aveva imparato. E non gli piaceva. Andronico continuava a pensare ossessivamente a ci? che era successo, a come le cose fossero andate storte. Solo ieri era sembrato che la vittoria fosse completa e che l’Anello fosse suo. Aveva distrutto la Corte del Re e aveva conquistato Silesia; aveva sottomesso tutti i MacGil e umiliato la loro regina, Gwendolyn; aveva torturato i loro pi? grandi soldati issandoli sulle croci; aveva gi? assassinato Kolk e stava per fare lo stesso con Kendrick e gli altri. Argon si era immischiato nei suoi affari e aveva portato via Gwendolyn prima che potesse ucciderla, ma lui era stato sul punto di sistemare tutto, riprendendosela per poterla poi uccidere insieme agli altri. Mancava solo un giorno per poter portare tutto a compimento e avere la vittoria totalmente in pugno. E poi tutto era cambiato per il peggio in modo estremamente veloce. Thor e quel drago erano apparsi all’orizzonte come un segno nefasto, erano scesi su di loro come una nuvola e fra enormi fiammate e la Spada della Dinastia erano riusciti a spazzare via intere divisioni di uomini. Andronico aveva visto tutto a distanza di sicurezza: aveva avuto il buon senso di battaglia di ritirarsi l?, da quella parte dell’Altopiano, mentre i suoi messaggeri continuavano durante il giorno a riportargli notizie dei danni che Thor e il drago stavano facendo. A sud, vicino a Savaria, un intero battaglione era stato spazzato via; nella Corte del Re e a Silesia era andata ancora peggio. Ora l’intero Regno Occidentale dell’Anello, un attimo prima sotto il suo controllo, era stato liberato. Era una cosa inconcepibile. Andronico ribolliva mentre pensava alla Spada della Dinastia. Si era spinto tanto avanti da riuscire a portarla via dall’Anello e ora quella era tornata al suo posto, e con essa lo Scudo era stato riattivato. Ci? significava che era intrappolato l? con gli uomini del suo seguito. Ovviamente potevano andarsene, ma non avrebbe potuto chiamare altri rinforzi. Stimava di avere ancora circa mezzo milione di soldati l?, da quella parte dell’Altopiano, pi? che a sufficienza per sovrastare i MacGil. Ma contro Thor, la Spada della Dinastia e quel drago i numeri non contavano nulla. Ora le probabilit? di vittoria, ironicamente, erano contro di lui. Si trovava in una posizione mai provata prima. Come se le cose non potessero andare peggio di cos?, le sue spie gli avevano anche fatto sapere delle sommosse a casa, nel Congresso dell’Impero, di Romolo che tramava di portargli via il trono. Andronico ardeva di rabbia mentre attraversava a lunghi passi l’accampamento, riflettendo sulla sua posizione e cercando qualcuno, una qualsiasi persona da biasimare. Da comandante sapeva che la cosa pi? saggia da fare, tatticamente, sarebbe stata di ritirarsi e lasciare l’Anello in quel preciso istante, prima che Thor e il suo drago li trovassero; salvare le forze armate che gli erano rimaste, imbarcarsi sulle navi e tornare nell’Impero in disgrazia per riprendersi il trono. Dopotutto l’Anello non era che un puntolino nella grande vastit? dell’Impero e a ogni grande comandante era concessa almeno una sconfitta. Avrebbe ancora governato il novantanove per cento del mondo e sapeva che avrebbe dovuto essere pi? che soddisfatto e accontentarsi. Ma il grande Andronico non era fatto di questa pasta. Andronico non era un tipo prudente o che si accontentava. Aveva sempre seguito le sue passioni e sebbene sapesse che era rischioso, non era pronto ad andarsene da quel luogo, ad ammettere la sconfitta, a permettere all’Anello di scivolargli via dalle mani. Anche se avesse dovuto sacrificare tutto l’Impero, avrebbe trovato un modo per annientare e dominare quel posto. Non importava cosa gli sarebbe costato. Andronico non poteva controllare il drago o la Spada della Dinastia. Ma Thorgrin… quella era un’altra questione. Suo figlio. Andronico si ferm? e sospir? al pensiero. Che ironia: il suo stesso figlio, l’ultimo ostacolo rimasto al suo dominio sul mondo. In qualche modo sembrava sensato. Inevitabile. Andava sempre cos?: che le persone a te pi? vicine fossero quelle che ti ferivano di pi?. Ripens? alla profezia. Era stato un errore, ovviamente, lasciarlo vivere. Il pi? grosso errore della sua vita. Ma aveva un debole per lui, anche se sapeva che la profezia dichiarava che proprio Thor lo avrebbe portato alla sua rovina. Lo aveva lasciato vivere e ora era giunto il momento di pagarne il prezzo. Andronico continu? a camminare attraverso l’accampamento, seguito dai generali, fino a raggiungerne la periferia e raggiungere una tenda pi? piccola delle altre, l’unica di colore scarlatto in un mare di tende nere e dorate. C’era solo una persona che poteva avere l’audacia di possedere una tenda di colore diverso, l’unica persona che i suoi uomini temevano. Rafi. Lo stregone personale di Andronico, la creatura pi? sinistra che avesse mai incontrato, Rafi aveva sempre consigliato Andronico su ogni singolo passo, lo aveva protetto con la sua energia maligna, era stato pi? responsabile di chiunque altro della sua salita. Andronico odiava doversi rivolgere a lui adesso, ammettendo quanto avesse bisogno di lui. Ma quando incontrava un ostacolo che non fosse di questo mondo, qualcosa di appartenente alla magia, si rivolgeva sempre a Rafi. Mentre Andronico si avvicinava alla tenda, due creature malvagie, alte e magre, avvolte in mantelli scarlatti, con occhi gialli che luccicavano da sotto i cappucci, lo fissarono. Erano le uniche creature nell’intero accampamento che potevano osare di non chinare il capo in sua presenza. “Convoco Rafi,” disse Andronico. Le due creature, senza voltarsi, allungarono ciascuno una sola mano e tirarono indietro i risvolti della tenda. Ne usc? un odore orrendo che raggiunse Andronico e lo fece indietreggiare. Vi fu una lunga attesa. Tutti i generali si fermarono alle spalle di Andronico e guardarono con impazienza, come anche gli altri dell’accampamento che si erano tutti girati a guardare. Nel campo cal? il silenzio. Finalmente emerse dalla tenda scarlatta una creatura magra e alta due volte Andronico, ossuta come il ramo di un olivo, vestita del tessuto scarlatto pi? scuro possibile, con un volto invisibile, nascosto da qualche parte nell’oscurit? del suo cappuccio. Rafi rimase l? a guardare e Andronico fu in grado di vedere solo i suoi occhi gialli, incavati nella sua carne pallidissima. C’era un silenzio carico di tensione. Alla fine fu Andronico a fare un passo avanti. “Voglio Thorgrin morto,” disse. Dopo una lunga pausa, Rafi sogghign?. Era uno suono profondo e fastidioso. “Padri e figli,” disse. “Sempre la stessa storia.” Andronico si sentiva ardere dentro, impaziente. “Puoi aiutarmi?” insistette. Rafi rimase in silenzio per molto tempo, abbastanza a lungo perch? Andronico arrivasse a pensare di ucciderlo. Ma sapeva che sarebbe stato sciocco. Una volta, in un impeto di rabbia, aveva cercato di pugnalarlo e a mezz’aria il coltello gli si era sciolto in mano e l’elsa gli aveva pure bruciato il palmo. Gli ci erano voluti mesi per riprendersi dal dolore. Quindi rimase l?, stringendo i denti e sopportando il silenzio. Alla fine, da sotto il cappuccio, Rafi emise un ronzio. “Le energie che circondano il ragazzo sono molto forti,” disse lentamente. “Ma tutti hanno un punto debole. Lui ? stato elevato dalla magia. E la magia stessa pu? riportarlo a terra.” Andronico, incuriosito, fece un passo avanti. “Di che magia parli?” Rafi fece una pausa. “Un tipo di magia che non hai mai incontrato,” gli rispose. “Riservata solo a esseri come Thor. Lui ? un tuo prodotto, ma ? pi? di questo. ? pi? potente anche di te. Se mai vivr? per dimostrarlo.” Andronico ribolliva di rabbia. “Dimmi come catturarlo,” gli chiese. Rafi scosse la testa. “Questa ? sempre stata la tua debolezza,” gli disse. “Scegli di catturare e non di uccidere.” “Prima voglio catturarlo,” ribad? Andronico. “Poi ucciderlo. Si pu? fare anche cos?, no?” Segu? un altro lungo silenzio. “C’? un modo di privarlo del suo potere, s?,” disse Rafi. “Senza la sua preziosa Spada, e senza il suo drago, sar? un ragazzino come tutti gli altri.” “Mostrami come,” insistette Andronico. Un altro lungo silenzio. “C’? un prezzo,” rispose infine Rafi. “Qualsiasi cosa,” disse Andronico. “Ti dar? qualsiasi cosa.” Si ud? una lunga e oscura risatina. “Penso che un giorno te ne pentirai,” rispose Rafi. “Veramente molto.” CAPITOLO DIECI Mentre Romolo marciava lungo la strada ben lastricata, fatta di mattoni dorati, che conduceva a Volusia – la capitale dell’Impero – i soldati vestiti con i paramenti migliori scattavano sull’attenti. Romolo camminava di fronte a ci? che restava del suo esercito, ridotto ora a poche centinaia di soldati, avvistati e sconfitti nel loro scontro con i draghi. Romolo era furente. Era una sfilata di vergogna. Per tutta la sua vita era sempre tornato vittorioso, aveva avanzato come un eroe; ora invece tornava in silenzio, in uno stato di imbarazzo, riportando, invece di trofei e prigionieri, soldati che erano stati sconfitti. Questo gli bruciava dentro. Era stato cos? stupido da parte sua andare cos? oltre nella ricerca della Spada; arrivare a sfidare e combattere con i draghi. Il suo ego lo aveva trascinato, avrebbe dovuto valutare meglio le cose. Era stato fortunato a scamparla, molto meno lo erano stati la maggior parte dei suoi uomini. Poteva ancora udire le loro grida e sentire l’odore della loro carne bruciata. I suoi uomini erano stati disciplinati e avevano combattuto coraggiosamente, marciando incontro alla loro morte al suo comando. Ma dopo che da migliaia erano stati ridotti davanti ai suoi occhi a poche centinaia, aveva capito di dover fuggire. Aveva ordinato una precipitosa ritirata e i resti del suo esercito erano scivolati nei tunnel, in salvo dalle fiamme dei draghi. Erano rimasti sottoterra ed erano tornato alla capitale a piedi. Ora eccoli l?, che entravano attraverso il cancelli che si levavano per decine di metri fino al cielo. Mentre entravano in quella citt? leggendaria, fatta interamente d’oro, migliaia di soldati dell’Impero andavano avanti e indietro in ogni direzione, marciando in  formazione, allineandosi lungo le strade, mettendosi sull’attenti al suo passaggio. Dopotutto, senza Andronico, Romolo era de facto la guida dell’Impero e il pi? rispettato di tutti i guerrieri. Almeno fino alla sua perdita odierna. Ora, dopo la sua sconfitta,  non sapeva come la gente lo guardasse. La sconfitta non sarebbe potuta presentarsi in un momento peggiore. Era il momento in cui Romolo stava preparando il suo colpo di stato, si stava apprestando a dimostrare il suo potere e a detronizzare Andronico. Mentre si faceva strada attraverso quella perfetta cittadina, passando vicino a fontane, giardini accuratamente preparati, servitori e schiavi ovunque, si meravigli? che invece di tornare, come aveva previsto, con la Spada della Dinastia in mano, con pi? potere che mai, stesse invece facendo ritorno in una posizione di debolezza. Ora, invece di raccogliere in s? il potere che gli spettava di diritto, avrebbe dovuto scusarsi di fronte al Concilio e sperare di non perdere la sua posizione. Il Grande Concilio. Il pensiero gli vorticava dentro. Romolo non era tipo da rispondere a nessuno, meno che meno a un concilio formato da cittadini che non avevano mai tenuto in mano una spada. Ciascuna delle dodici province dell’Impero mandava due rappresentanti, per un totale di due dozzine di capi da ogni angolo dell’Impero. Tecnicamente erano loro a governare l’Impero, anche se in realt?, effettivamente, Andronico governava come voleva e il Concilio faceva come diceva lui. Ma quando Andronico se n’era andato per raggiungere l’Anello, aveva concesso al Concilio pi? autorit? che mai. Romolo era convinto che l’avesse fatto per proteggersi e tenere Romolo sotto controllo ed essere cos? sicuro di ritrovare il trono al suo ritorno. La sua mossa aveva rafforzato il Concilio, che ora si comportava come se i suoi membri avessero reale autorit? su Romolo. E lui doveva ora soffrire l’indegnit? di dover rispondere a loro. Erano tutti amichetti prescelti di Andronico, persone che Andronico aveva ben radicato per assicurarsi che il suo governo non morisse mai. Il Concilio cercava qualsiasi scusa per rafforzare Andronico e indebolire le minacce al suo potere, come Romolo. E la sconfitta di Romolo dava loro via libera. Romolo raggiunse il luccicante edificio del Congresso, un’enorme struttura nera a pianta circolare che si levava alta verso il cielo, circondata da colonne d’oro e sormontata da un’immensa cupola dorata. Sulla sommit? si trovava la bandiera dell’Impero e, intagliata sul portone d’ingresso, l’immagine del leone dorato con l’aquila in bocca. Mentre Romolo saliva i cento gradini d’oro, i suoi uomini attesero alla base della piazza. Lui avanz? da solo, salendo i gradini tre alla volta fino al portone, le armi che sbattevano contro l’armatura mentre procedeva. Ci volevano una decina di servitori per aprire il portone massiccio in cima alla gradinata, alto pi? di quindici metri e fatto di oro luccicante con delle borchie nere incastonate attorno ad esso, ciascuna con lo stemma dell’Impero. Lo aprirono completamente e Romolo sent? il freddo spiffero che proveniva dall’interno e che gli fece venire la pelle d’oca mentre entrava nel buio atrio interno. Il portone sbatt? chiudendosi dietro di lui e lui si sent?, come sempre quando entrava l? dentro, come sepolto in una tomba. Cammin? con sicurezza, facendo riecheggiare i tonfi dei suoi stivali sul pavimento di marmo, stringendo i denti e non vedendo l’ora che quell’incontro giungesse al termine per potersi dedicare a questioni pi? importanti. Aveva sentito voci di un’arma fantastica che stava per sopraggiungere e aveva bisogno di sapere se era vero. Se cos? fosse stato, ci? avrebbe cambiato ogni cosa e avrebbe portato l’intero potere nelle sue mani. Se quell’arma portentosa veramente esisteva, allora tutto quello – Andronico e il Concilio – non avrebbero pi? significato nulla per lui. E l’intero Impero sarebbe stato suo. Questo pensiero era l’unica cosa che mantenesse Romolo sicuro e sostenuto mentre procedeva ora lungo un’altra gradinata, poi attraverso un’altra serie di grosse porte, fino a raggiungere la sala circolare che fungeva da sede del Grande Concilio. All’interno della stanza si trovava un grande tavolo circolare nero, vuoto al centro, con uno stretto passaggio per entrarvi. Tutt’attorno al tavolo sedevano i membri del Concilio, ventiquattro uomini vestiti di nero, seri, anziani, con corni grigi e occhi scarlatti per l’et? avanzata. Era umiliante per Romolo doverli affrontare, dover passare attraverso lo stretto passaggio e portarsi al centro del tavolo, essere circondato dalle persone alle quali doveva rivolgersi. Era umiliante essere costretto a girarsi in ogni direzione a seconda di chi parlava. L’intera struttura della sala, il tavolo stesso, era solo un’altra delle tattiche intimidatorie di Andronico. Romolo si port? al centro della stanza, in silenzio e rimase l? per un po’, ardendo interiormente. Fu tentato di uscire, ma doveva controllarsi. “Romolo della Legione Octakin,” inizi? formalmente uno degli uomini del consiglio. Romolo si volt? e vide un vecchio e magro consigliere, con le guance scavate e i capelli grigi, intento a guardarlo con i suoi occhi scarlatti. Era un amico di Andronico e Romolo sapeva che avrebbe detto qualsiasi cosa per ingraziarsi il favore di Andronico stesso. Il vecchio si schiar? la gola. “Sei tornato a Volusia da sconfitto. In disgrazia. Sei coraggioso a presentarti qui.” “Sei diventato un comandante sprovveduto e precipitoso,” aggiunse un altro. Romolo si volt? e vide occhi sprezzanti che lo fissavano anche dall’altra parte del cerchio. “Hai perso migliaia dei nostri uomini nella tua infruttuosa ricerca della Spada, nel tuo spericolato scontro con i draghi. Hai fatto fallire Andronico e l’Impero. Cos’hai da dire a tua discolpa?” Romolo li guard? con aria di sfida. “Non mi devo scusare di nulla,” disse. “Recuperare la Spada era importante per l’Impero.” Un altro anziano si chin? in avanti. “Ma tu non l’hai recuperata, giusto?” Romolo arross?. Avrebbe ucciso quell’uomo se avesse potuto. “Ci sono quasi riuscito,” rispose alla fine. “Quasi non significa nulla.” “Abbiamo incontrato ostacoli inaspettati.” “Draghi,” ribatt? un altro membro del concilio. Romolo si volt? verso di lui. “Quanto imprudente sei stato?” gli disse l’anziano. “Hai veramente pensato di poter vincere?” Romolo si schiar? la voce, la rabbia sempre pi? crescente. “No. Il mio obiettivo non era di uccidere i draghi. Volevo recuperare la Spada.” “Ma, ripeto, non l’hai fatto.” “Ancora peggio,” aggiunse un altro. “Ora hai aizzato i draghi contro di noi. Stanno giungendo notizie del loro attacco in tutto l’Impero. Hai dato inizio a una guerra che non possiamo vincere. ? una grande perdita per l’Impero.” Romolo smise di cercare di rispondere: sapeva che li avrebbe solo condotti a ulteriori accuse e recriminazioni. Dopotutto, quelli erano uomini di Andronico e avevano un programma. “? un peccato che il grande Andronico non sia qui per punirti lui stesso,” disse un altro membro del concilio. “Sono sicuro che non ti concederebbe di vivere oltre.” Si schiar? la voce e si riappoggi? allo schienale della sedia. “Ma in sua assenza, siamo obbligati ad attendere il suo ritorno. Per ora darai ordine all’esercito di mandare legioni di navi in rinforzo al grande Andronico nell’Anello. E per quanto riguarda te, verrai degradato, privato della tua armatura e del tuo rango. Rimani alle caserme e aspetta i nostri prossimi ordini.” Romolo li guard? incredulo. “Sii grato che non ti mandiamo al patibolo all’istante. E ora vattene,” concluse un altro. Romolo strinse i pugni, il volto gli divenne viola e li guard? in faccia uno per uno. Giur? di ucciderli tutti quanti, ma si sforz? di trattenersi, dicendosi che non era il momento giusto. Poteva dargli una certa soddisfazione ucciderli ora, ma doveva dare la precedenza al suo scopo ultimo. Si volt? e usc? in fretta e furia dalla stanza facendo risuonare gli stivali sul pavimento. Attravers? la porta che i servitori aprirono e poi richiusero con uno schianto alle sue spalle. Romolo usc? dall’edificio del Congresso, scese i cento gradini dorati e raggiunse i suoi uomini che lo stavano attendendo. Quindi si rivolse al suo vice. “Signore,” disse il generale inchinandosi, “cosa ordinate?” Romolo lo fiss? pensieroso. Ovviamente non poteva obbedire agli ordini del Concilio: al contrario era proprio questo il momento di sfidarli. “Il Concilio ordina che tutte le navi dell’Impero che si trovano in mare tornino a casa e attracchino sulle nostre coste all’istante.” Il generale sgran? gli occhi. “Ma signore, questo lascerebbe il grande Andronico abbandonato all’interno dell’Anello, senza alcun modo per tornare a casa.” Romolo si volt? e lo fiss? con occhi di ghiaccio. “Non mettere mai in dubbio ci? che dico,” rispose con voce affilata. Il generale chin? la testa. “Certamente signore. Perdonatemi.” Il comandante si volt? e corse via, e Romolo sapeva che avrebbe eseguito i suoi ordini. Era un soldato leale. Romolo sorrise tra s? e s?. Quanto sciocco era stato il Concilio a pensare che si sarebbe sottomesso a loro, eseguendo i loro ordini. Lo avevano largamente sottovalutato. Dopotutto non avevano nessuno che potesse fargli rispettare la retrocessione e fino a che loro ne fossero stati convinti, Romolo – avendo il potere – avrebbe messo in atto abbastanza comandi da evitare che prendessero il sopravvento su di lui. Andronico era grande, ma Romolo lo era di pi?. C’era un uomo alla periferia della piazza, vestito di verde, il cappuccio abbassato a rivelare una larga e piatta faccia gialla con quattro occhi. L’uomo aveva lunghe mani ossute, dita lunghe quanto un braccio di Romolo. Se ne stava l? paziente. Era un Pracabile. A Romolo non piaceva avere a che fare con quella razza, ma in certe circostanze vi era obbligato, e questa era una di quelle volte. Si avvicin? al Pracabile, percependo la sua equivocit? anche a diversi metri di distanza, mentre la creatura lo osservava con i suoi quattro occhi. Sollev? una delle sue lunghe dita e gli tocc? il petto. Romolo rimase pietrificato al contatto con quel dito viscido. “Abbiamo trovato ci? che ci hai mandato a cercare,” disse la creatura. Il Pracabile emise uno strano suono gorgogliante che gli sal? dalla gola. “Ma ti coster? caro.” “Pagher? qualsiasi cosa,” disse Romolo. La creatura fece una pausa, come se ci stesse pensando. “Devi venire da solo.” Romolo riflett?. “Come faccio a sapere che non stai mentendo?” gli chiese. La creatura si chin? verso di lui e fece una smorfia il pi? vicino possibile a un sorriso. Romolo avrebbe preferito che non l’avesse fatto. Mostr? centinaia di denti affilati, piccoli e tutti incastonati nella sua mascella triangolare. “Non puoi saperlo,” gli rispose. Romolo lo guard? in tutti e quattro gli occhi. Sapeva di non doversi fidare di quella creatura. Ma doveva tentare. Era un prezzo troppo grande per essere ignorato. Era il prezzo che Romolo cercava da una vita: l’arma mitica che, diceva la leggenda, poteva annientare lo Scudo e permettergli di attraversare il Canyon. La creatura gli volt? le spalle e inizi? ad allontanarsi. Romolo rimase fermo a guardarlo. Êîíåö îçíàêîìèòåëüíîãî ôðàãìåíòà. Òåêñò ïðåäîñòàâëåí ÎÎÎ «ËèòÐåñ». Ïðî÷èòàéòå ýòó êíèãó öåëèêîì, êóïèâ ïîëíóþ ëåãàëüíóþ âåðñèþ (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=43695927&lfrom=688855901) íà ËèòÐåñ. Áåçîïàñíî îïëàòèòü êíèãó ìîæíî áàíêîâñêîé êàðòîé Visa, MasterCard, Maestro, ñî ñ÷åòà ìîáèëüíîãî òåëåôîíà, ñ ïëàòåæíîãî òåðìèíàëà, â ñàëîíå ÌÒÑ èëè Ñâÿçíîé, ÷åðåç PayPal, WebMoney, ßíäåêñ.Äåíüãè, QIWI Êîøåëåê, áîíóñíûìè êàðòàìè èëè äðóãèì óäîáíûì Âàì ñïîñîáîì.
Íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë Ëó÷øåå ìåñòî äëÿ ðàçìåùåíèÿ ñâîèõ ïðîèçâåäåíèé ìîëîäûìè àâòîðàìè, ïîýòàìè; äëÿ ðåàëèçàöèè ñâîèõ òâîð÷åñêèõ èäåé è äëÿ òîãî, ÷òîáû âàøè ïðîèçâåäåíèÿ ñòàëè ïîïóëÿðíûìè è ÷èòàåìûìè. Åñëè âû, íåèçâåñòíûé ñîâðåìåííûé ïîýò èëè çàèíòåðåñîâàííûé ÷èòàòåëü - Âàñ æä¸ò íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë.