Ïóòèí ìíå ðàññêàæåò î âåñíå, î ðîññèéñêîé ïóòàííîé äîðîãå, ïðî áþäæåò ðàçäåëåííûé íà âñåõ.. Åñòü î ÷åì ïîõâàñòàòüñÿ â èòîãå! - Ïåíñèþ äîáàâèì è îêëàä,- â ñðåäíåì ïîëó÷àåòñÿ ìàëåõà, êòî-òî äàæå áóäåò î÷åíü ðàä, êòî è òàê æèâåò âïîëíå íåïëîõî. Ñêèíåìñÿ âñåì ìèðîì íà ðåìîíò, äåíüãè, íàì ñêàæèòå, áðàòü îòêóäà? Ìèëëèàðä ñþäà, òàì ìèëëèîí, óïðàâëÿòü

Il ritorno dell’Agente Zero

Il ritorno dell’Agente Zero Jack Mars Uno spy thriller della serie Agente Zero #1 Uno dei migliori thriller di quest’anno. Books and Movie Reviews (re A ogni costo) In questo molto atteso esordio di un’epica serie spy thriller dello scrittore di bestseller #1 Jack Mars, i lettori sono trascinati in un’avventura al cardiopalma per tutta l’Europa, mentre il presunto agente della CIA Kent Steele, perseguitato dai terroristi e dalla sua stessa identit?, deve risolvere il mistero di chi lo vuole morto, chi ?, quale sia l’obiettivo dei terroristi, e chi ? la bellissima donna che continua a vedere nella propria mente. Kent Steele, 38 anni, un brillante professore di storia europea alla Columbia University, vive una vita tranquilla in un sobborgo di New York con le sue due figlie adolescenti. Tutta cambia quando riceve una visita a tarda notte, viene rapito da tre terroristi, e si ritrova dall’altra parte dell’oceano, sotto interrogatorio, in uno scantinato di Parigi. Sono convinti che Kent sia la spia pi? letale che la CIA abbia mai conosciuto. Lui ? convinto che abbiano preso l’uomo sbagliato. ? cos??Circondato da una cospirazione, avversari furbi quanto lui, e un assassino alle costole, questo perverso gioco del gatto col topo condurr? Kent su una strada pericolosa, che potrebbe riportarlo a Langley e a una shoccante rivelazione sulla sua stessa identit?. IL RITORNO DELL’AGENTE ZERO ? un thriller di spionaggio che non riuscirete a posare fino alla fine. Il thriller al suo meglio. Midwest Book Review (re A ogni costo) Inoltre ? disponibile la serie thriller besteller di Jack Mars LUKE STONE (7 libri), che inizia con A ogni costo (Libro #1), un download gratuito con pi? di 800 recensioni a cinque stelle! Jack Mars IL RITORNO DELL’AGENTE ZERO Jack Mars Jack Mars ? l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che per ora comprende sette libri. ? anche autore della nuova serie prequel FORGING OF LUKE STONE, e della serie spy thriller AGENTE ZERO. Jack ? felice di ricevere i vostri commenti, quindi non esitate a visitare www.Jackmarsauthor.com (http://www.jackmarsauthor.com/) , per unirvi alla sua email list, ricevere un libro gratis, premi, connettervi su Facebook e Twitter, e rimanere in contatto! Copyright © 2018 di Jack Mars. Tutti i diritti sono riservati. Fatta eccezione per quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti d'America del 1976, nessuno stralcio di questa pubblicazione potr? essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, n? potr? essere inserito in un database o in un sistema di recupero dei dati, senza che l'autore abbia prestato preventivamente il consenso. 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LIBRI DI JACK MARS SERIE THRILLER DI LUKE STONE A OGNI COSTO (Libro #1) IL GIURAMENTO (Libro #2) SERIE SPY THRILLER KENT STEELE AGENTE ZERO (Libro #1) OBIETTIVO ZERO (Libro #2) “La vita dei morti ? riposta nella memoria dei vivi.”     —Marcus Tullius Cicero CAPITOLO UNO La prima lezione della giornata era sempre la pi? difficile. Gli studenti entrarono barcollando nell'aula magna della Columbia University come irrequieti zombie dallo sguardo spento, ottenebrati da nottate passate sui libri, postumi di sbronze, o una combinazione delle due. Portavano pantaloni di tuta e t-shirt del giorno prima, e stringevano tazze da asporto di cappuccini alla soia o caff? artigianali, o qualunque altra cosa piacesse bere ai ragazzi in quel periodo. Il lavoro del professor Reid Lawson era insegnare, ma capiva che la mattina serviva qualcosa di intenso per svegliare gli studenti, che stimolasse la mente, in aggiunta alla caffeina. Lawson diede ai ragazzi un momento per trovare i propri posti e per mettersi comodi, mentre si toglieva il cappotto sportivo di tweed e lo drappeggiava sullo schienale della sedia. "Buon giorno," disse ad alta voce. L'annuncio fece sobbalzare diversi studenti, che alzarono di scatto lo sguardo come se si fossero resi conto solo allora di essere arrivati in classe. "Oggi parleremo di pirati." Quella frase gli fece guadagnare l'attenzione dell'aula. Diverse paia d'occhi si focalizzano su di lui, battendo le palpebre nel mezzo della nebbia della privazione del sonno e cercando di capire se avesse davvero detto "pirati" o meno. "Quelli dei Caraibi? " scherz? uno studente nella fila davanti. "Del Mediterraneo, in realt?," lo corresse Lawson. Cominci? ad aggirarsi lentamente con le mani giunte dietro la schiena. "Quanti di voi hanno seguito il corso del professor Truitt sugli antichi imperi?" Circa un terzo della classe sollev? la mano. "Bene. Allora sapete che l'Impero Ottomano ? stato una potenza mondiale per, oh, circa seicento anni. Ci? che forse non sapete ? che i corsari ottomani, o come sono noti, i pirati barbareschi, imperversarono per tutto il mare nella maggior parte di questi periodo, dalle coste del Portogallo, attraverso lo Stretto di Gibilterra, fino al Mediterraneo. Che cosa credete che volessero? Qualcuno? So che siete vivi, l? in fondo." "Soldi?" chiese una ragazza in terza fila. "Tesori, " disse lo studente davanti. "Rum!" Arriv? un grido da uno studente in fondo all'aula, provocando una risata nel resto della classe. Anche Reid sorrise. Dopo tutto la folla si era svegliata. "Tutte buone idee," disse. "E la risposta ? 'tutte quante'. Vedete, i pirati barbareschi prendevano principalmente di mira i vascelli mercantili europei, e gli rubavano tutto, e intendo proprio qualsiasi cosa. Scarpe, cinture, denaro, cappelli, beni vari, la nave stessa… E la sua ciurma. Si ritiene che nei due secoli dal 1580 al 1780, i pirati barbareschi abbiano catturato e schiavizzato pi? di due milioni di persone. Portavano i loro bottini nei loro regni Nord africani. Ed ? andata avanti cos? per secoli. E cosa pensate che abbiano fatto le nazioni europee in risposta?" "Hanno dichiarato guerra!" Grid? lo studente in fondo. Una ragazza impacciata con gli occhiali dalla montatura di corno alz? leggermente la mano e chiese: “Stipularono un trattato di pace?” “In un certo senso,” rispose Lawson. “Le potenze europee accettarono di pagare un tributo alle nazioni barbaresche, sotto forma di una grande quantit? di denaro e beni. Sto parlando del Portogallo, della Spagna, della Francia, della Germania, dell’Inghilterra, della Svezia e dei Paesi Bassi… tutte pagavano i pirati perch? restassero alla larga delle loro navi. I ricchi diventarono pi? ricchi, e i pirati si tirarono indietro, in larga parte. Ma poi, nel tardo diciottesimo e diciannovesimo secolo, successe qualcosa. Si verific? un evento che sarebbe stato il catalizzatore della fine dei pirati barbareschi. Qualcuno vuole azzardare un’ipotesi?” Nessuno apr? bocca. Sulla sua destra, Lawson not? un ragazzo che stava cercando sul cellulare. “Signor Lowell,” disse. Il ragazzo scatt? sull’attenti. “Qualche idea?” “Uhm… ? per via dell’America?” Lawson sorrise. “Me la sta chiedendo o me lo sta dicendo? Dia con sicurezza le sue risposte, e il resto di noi almeno creder? che sa di cosa sta parlando.” “? per via dell’America,” disse il ragazzo di nuovo, con pi? enfasi. “Esatto! ? colpa dell’America. Ma come sapete, all'epoca eravamo una nazione appena nata. L’America era pi? giovane della maggior parte di voi. Dovevamo creare rotte commerciali con l’Europa per promuovere la nostra economia, ma i pirati barbareschi iniziarono a prendere di mira le nostre navi. Quando ci lamentammo con loro, ci richiesero un tributo. Quasi non avevamo una tesoreria, men che meno dei tesori all’interno. Il nostro salvadanaio era vuoto. Che scelta avevamo? Che cosa potevamo fare?” “Dichiarare guerra!” si alz? la voce familiare dal fondo della sala. “Precisamente! Non avevamo altra scelta se non di dichiarare guerra. Ora, la Svezia stava gi? combattendo contro i pirati da un anno e insieme, tra il 1801 e il 1805, prendemmo il porto di Tripoli e catturammo la citt? di Derne, mettendo fine al conflitto.” Lawson si appoggi? al bordo della cattedra e strinse le mani davanti a s?. “Ovviamente, cos? sorvoliamo su molti dettagli, ma questa ? una lezione di storia europea, non americana. Se ne avete l’occasione, dovreste leggere del tenente Stephen Decatur e la USS Philadelphia. Ma sto divagando. Perch? stiamo parlando di pirati?” “Perch? i pirati sono fighi?” rispose Lowell, che ormai aveva messo via il cellulare. Lawson ridacchi?. “Non posso darti torto. Ma no, non ? questo il motivo. Stiamo parlando di pirati perch? la guerra di Tripoli rappresenta qualcosa visto di rado negli annali della storia.” Si raddrizz?, guardando tutta l’aula e incontrando gli sguardi di numerosi studenti. Almeno in quel momento Lawson riusciva a vedere la luce nei loro occhi, segno che la maggior parte quella mattina era viva, se non proprio attenta. “Per centinaia di secoli, nessuno dei paesi europei si era opposto alle nazioni barbaresche. Era pi? semplice pagarle. Serv? l’America, che allora era una barzelletta per la maggior parte del mondo sviluppato, a portare un cambiamento. Fu necessario un atto di disperazione di una nazione assurdamente e disperatamente disarmata per spostare le dinamiche di potere della rotta commerciale pi? importante del mondo. Ed ? in questo che consiste la lezione.” “Non si scherza con l’America,” prov? a dire qualcuno. Lawson sorrise. “Beh, s?.” Alz? un dito per aria sottolineare il concetto. “Ma soprattutto, che la disperazione e una completa mancanza di scelte possibili possono, e hanno portato nel corso della storia, ad alcuni dei maggiori trionfi che il mondo abbia visto. La storia ci ha insegnato, ancora e ancora, che non esiste un regime troppo grande da rovesciare, e nessun paese troppo piccolo o debole per poter fare la differenza.” Fece l’occhiolino. “Pensateci la prossima volta che vi sentite poco pi? di una briciola in questo mondo.” Alla fine della lezione, c’era una netta differenza tra gli studenti stanchi e ciondoloni che erano entrati e il gruppo ridente e ciarliero che usc? dall’aula. Una ragazza dai capelli rosa si ferm? alla sua cattedra mentre usciva e comment?: “Bel discorso, professore. Quale era il nome del tenente americano di cui ha parlato prima?” “Oh, era Stephen Decatur.” “Grazie.” Se lo annot? e corse fuori dall'aula. “Professore?” Lawson alz? lo sguardo. Era lo studente di prima fila. “S?, signor Garner? Che cosa posso fare per lei?” “Volevo chiederle un favore, se fosse possibile. Sto facendo domanda per un tirocinio al Museo di Storia Naturale, e uh, mi sarebbe utile una sua lettera di raccomandazione.” “Certo, nessun problema. Ma lei non si sta laureando in antropologia?” “S?, ma uh, ho pensato che una lettera scritta da lei avrebbe avuto pi? peso, capisce? E, uhm…” Il ragazzo abbass? lo sguardo sulle sue scarpe. “Questo ? tipo, il mio corso preferito.” “Il suo corso preferito finora.” Lawson sorrise. “Ne sarei felice. Gliela porter? domani, ah, in realt? stanotte ho un impegno importante a cui non posso proprio mancare. Che ne dice di venerd??” “Nessuna fretta. Venerd? andr? benissimo. Grazie, professore. Ci vediamo!” Garner usc? dall’aula, lasciando Lawson da solo. Il professore si guard? intorno nella sala vuota. Quello era il momento che preferiva della giornata, la pausa tra una lezione e l’altra, in cui la soddisfazione per quella appena finita si mescolava all’anticipazione per quella che stava per iniziare. Il suo telefono squill?. Era un messaggio da Maya. A casa per le 5:30? S?, rispose lui. Non me lo perderei mai. L’’impegno importante’ di quella sera era la sera dei giochi a casa Lawson. Adorava trascorrere quei bei momenti insieme alle sue due ragazze. Bene, scrisse a sua volta la figlia. Ho delle novit?. Che novit?? Pi? tardi, fu la sua risposta. Lui si accigli? davanti a quel messaggio vago. All’improvviso la giornata gli sembr? molto lunga. * Non appena la giornata di lavoro arriv? alla fine, Lawson riemp? la tracolla, prese il pesante cappotto invernale e si diresse verso il parcheggio. Febbraio a New York era sempre gelido, e ultimamente era stato persino peggio. Persino il pi? leggero refolo di vento tagliava la pelle dal freddo. Avvi? l’auto e lasci? che si riscaldasse per qualche minuto, portando una mano alla bocca e soffiando il fiato caldo sulle dita gelate. Era il suo secondo inverno a New York e sembrava che non riuscisse ad abituarsi a quel clima. In Virginia aveva pensato che cinque gradi a febbraio fossero glaciali. Almeno non sta nevicando, pens?. Meglio guardare il lato positivo. Il viaggio dal campus della Columbia University fino a casa era di sole sette miglia, ma a quell’ora del giorno c’era un gran traffico e tutti i pendolari erano generalmente irritati. Reid lo passava ascoltando degli audiolibri, come sua figlia maggiore gli aveva recentemente consigliato. Attualmente era a met? de Il nome della rosa di Umberto Eco, anche se quel giorno non riusc? ad ascoltare neanche una parola. Stava pensando al messaggio criptico di Maya. Casa Lawson era un bungalow a due piani di mattoni marroni che si ergeva a Riverdale, nella zona a nord del Bronx. Lui amava quel quartiere bucolico e suburbano, la sua prossimit? alla citt? e all'universit?, le stradine tortuose che a sud si trasformavano in ampi viali. Anche le ragazze lo amavano, e se Maya fosse stata accettata alla Columbia, o persino alla sua seconda scelta di New York, non avrebbe dovuto lasciarlo. Reid cap? che c’era qualcosa di diverso non appena entr? in casa. Lo sentiva nell’aria. Ud? delle voci smorzate che venivano dalla cucina in fondo al corridoio. Appoggi? la tracolla e si sfil? silenziosamente la giacca sportiva prima di avanzare in punta di piedi nell’ingresso. “Che cosa sta succedendo qui?” chiese a mo’ di saluto. “Ciao, pap?!” Sara, la sua figlia quattordicenne saltellava sui talloni mentre guardava Maya, la sorella maggiore, che eseguiva un losco rituale sopra una pirofila di Pyrex. “Stiamo preparando la cena!” “Io sto preparando la cena,” mormor? Maya, senza alzare lo sguardo. “Lei assiste solamente.” Reid batt? le palpebre per la sorpresa. “Okay. Ho delle domande.” Sbirci? sopra la spalla di Maya che stava applicando una gelatina viola su un fila ordinata di costolette di maiale. “A partire da… uh?” Maya continu? a tenere lo sguardo basso. “Non guardami cos?,” disse. “Sono stata costretta a seguire il corso di economia domestica, quindi sar? meglio che ne faccia buon uso.” Alla fine spost? gli occhi su di lui e gli lanci? un sorriso teso. “E non farci l’abitudine.” Reid alz? le mani con aria conciliatoria. “Assolutamente.” Maya aveva sedici anni ed era pericolosamente intelligente. Era ovvio che avesse ereditato il cervello da sua madre; quello sarebbe stato il suo ultimo anno del liceo dato che aveva saltato la terza media. Aveva i capelli scuri di Reid, il suo sorriso pensieroso e il suo talento per il dramma. Sara, d'altra parte, aveva preso tutto da Kate. Man mano che diventava adolescente, a Reid capitava di intristirsi guardandola, ma non lo faceva mai vedere. Aveva anche assunto il carattere focoso di Kate. La maggior parte del tempo Sara era una ragazza dolce, ma di tanto in tanto esplodeva e le conseguenze erano terribili. Reid guard? sbalordito mentre le ragazze apparecchiavano e servivano la cena. “Sembra tutto buonissimo, Maya,” comment?. “Oh, aspetta. Ancora una cosa.” La ragazza prese qualcosa dal frigo, una bottiglia marrone. “La tua preferita ? la belga, vero?” Reid strinse gli occhi. “Come hai fatto a…?” “Non preoccuparti, l’ho fatta comprare a zia Linda.” Apr? il tappo e vers? la birra in un bicchiere. “Ecco. Ora possiamo mangiare.” Reid era estremamente grato che Linda, la sorella di Kate, abitasse a pochi minuti di distanza. Ottenere la cattedra da professore associato crescendo due adolescenti sarebbe stato impossibile senza di lei. Era uno dei motivi principali per cui si era trasferito da New York, perch? le ragazze potessero avere vicino un’influenza femminile positiva. (Anche se doveva ammettere che non era proprio entusiasta che Linda avesse comprato la birra alla figlia adolescente, a prescindere da per chi fosse.) “Maya, ? incredibile,” esclam? dopo il primo boccone. “Grazie. ? una gelatina al chipotle.” Si pul? la bocca, appoggi? il tovagliolo e domand?: “Va bene, ? tutto molto sospetto. Che cosa hai fatto?” “Cosa? Niente!” insistette lei. “Che cosa hai rotto?” “Io non ho…” “Ti hanno sospesa?” “Pap?, andiamo…” Reid afferr? drammaticamente il tavolo tra le mani. “Oh, Dio, non dirmi che sei incinta. Non ho nemmeno un fucile.” Sara ridacchi?. “La vuoi smettere?” sbuff? Maya. “Posso essere gentile, sai.” Mangiarono in silenzio per un minuto circa prima che lei aggiungesse con disinvoltura: “Ma visto che stiamo parlando…” “Oh, accidenti. Ecco che arriva.” Lei si schiar? la gola e disse: “Ho un appuntamento, ecco. Per San Valentino.” Reid quasi si strangol? sulla sua costoletta. Sara sorrise. “Te l’avevo detto che non sarebbe stato contento.” Lui si riprese e sollev? una mano. “Aspetta, aspetta. Non ? che non sono contento. ? solo che non pensavo… Non sapevo che tu, uh… Stai uscendo con qualcuno?” “No,” rispose in fretta Maya. Poi scroll? le spalle e abbass? lo sguardo sul piatto. “Forse, ancora non lo so. Ma ? un ragazzo carino, e vuole portarmi fuori a cena in citt?…” “In citt?,” ripet? Reid. “S?, pap?, in citt?. E mi serve un vestito. ? un locale elegante. Non ho proprio niente da mettermi.” C’erano state molto volte in cui Reid aveva disperatamente desiderato che Kate fosse l?, ma quello le batteva tutte. Aveva sempre saputo che le sue figlie avrebbero avuto dei ragazzi prima o poi, ma sperava che non sarebbe successo prima dei venticinque anni. Era in momenti come quello che faceva appello al suo acronimo genitoriale preferito, CCFK? Che Cosa Farebbe Kate? In quanto artista e spirito libero, probabilmente avrebbe gestito la situazione molto diversamente da lui, e Reid cercava di tenerlo sempre a mente. Doveva avere un’espressione particolarmente turbata, perch? Maya scoppi? in una risatina e appoggi? una mano sulla sua. “Tutto bene, pap?? ? solo un appuntamento. Non succeder? niente, non ? niente di grave.” “S?,” rispose lui lentamente. “Hai ragione. Certo che non ? niente di grave. Possiamo chiedere a zia Linda se pu? accompagnarti al centro commerciale questo weekend e…” “Voglio che mi accompagni tu.” “Davvero?” Lei si scroll?. “Voglio dire, non vorrei comprare qualcosa che a te non andasse bene.” Un vestito, una cena in citt?, e un ragazzo sconosciuto… Non erano certo eventi con cui aveva mai pensato di doversi confrontare prima di allora. “Va bene, allora,” disse. “Andremo sabato. Ma ho una condizione: posso scegliere io il gioco di stasera.” “Mmh,” replic? Maya. “Sei un negoziatore molto abile. Fammi consultare con la mia socia.” La ragazza si volt? verso la sorella. Sara annu?. “Va bene, basta che non sia Risiko.” Reid sbuff?. “Non sai di che cosa stai parlando. Risiko ? fantastico.” Dopo cena, Sara mise a lavare i piatti mentre Maya preparava la cioccolata calda. Reid tir? fuori uno dei suoi giochi da tavolo preferiti, Ticket to Ride, un classico che aveva come obiettivo la costruzione di linee ferroviarie per tutta l’America. Mentre preparava le carte e i trenini di plastica, si trov? a chiedersi quando fosse successo, quando era cresciuta cos? in fretta Maya? Negli ultimi due anni, dopo la morte di Kate, lui aveva assunto il ruolo di entrambi i genitori (con l’aiuto apprezzatissimo della loro zia Linda). Entrambe avevano ancora bisogno di lui, o cos? sembrava, ma non mancava molto perch? se ne andassero al college, iniziassero le loro carriere, e poi… “Pap??” Sara entr? nel soggiorno e si sedette davanti a lui. Come se gli avesse letto il pensiero, disse: “Non dimenticarti che mercoled? sera ho una mostra d’arte a scuola. Ci sarai, vero?” Reid sorrise. “Ma certo, tesoro. Non me la perderei mai.” Batt? insieme le mani. “Ora! Chi ? pronto a farsi distruggere… voglio dire, chi ? pronto a una bella partita amichevole e per famiglie?” “Fatti sotto, vecchio,” lo sfid? Maya dalla cucina. “Vecchio?” esclam? indignato Reid. “Ho trentotto anni!” “Appunto.” Rise mentre entrava in soggiorno. “Oh, il gioco dei treni.” Il suo sorriso si fece tirato. “Era il preferito della mamma, vero?” “Oh… s?.” Reid si rabbui?. “Lo era.” “Io sono il blu!” dichiar? Sara, prendendo la pedina. “Arancione,” scelse Maya. “Pap?, che colore? Pap?, ci sei?” “Oh.” Reid si riscosse dai suoi pensieri. “Scusate. Uh, verde.” Maya spinse i pezzi verso di lui. Reid si sforz? di sorridere, anche se dentro di s? era ancora turbato. * Dopo due partite, entrambe vinte da Maya, le ragazze andarono a letto e Reid si ritir? nel suo studio, un piccola stanza a piano terra, vicino all’ingresso. Riverdale non era una zona economica, ma per lui era importante che le sue ragazze vivessero in un ambiente sicuro e felice. Avevano solo due camere da letto, quindi aveva trasformato il piccolo sgabuzzino a piano terra in un ufficio. I suoi libri e cimeli erano stipati su ogni centimetro della stanzina di pochi metri. Con la scrivania e la poltrona di pelle, il tappeto usurato svaniva quasi completamente alla vista. Su quella poltrona si addormentava spesso, dopo aver fatto tardi sui libri, preparando lezioni e rileggendo biografie. Stava iniziando a fargli venire mal di schiena. Tuttavia, se doveva essere sincero con se stesso, dormire nel letto non era altrettanto piacevole. La posizione era cambiata, dato che lui e le ragazze si erano trasferiti a New York poco dopo la morte di Kate, ma il letto e il materasso matrimoniale erano sempre i loro, suoi e di Kate. Avrebbe pensato che ormai il dolore della perdita della moglie si sarebbe attenuato, almeno leggermente. A volte lo faceva, per un po’, ma poi gli capitava di passare vicino al suo ristorante preferito o di vedere uno degli spettacoli televisivi che le piacevano tanto e si riaccendeva all’istante, fresco come se fosse successo solo qualche giorno prima. Se per le ragazze era lo stesso, non ne parlavano. In effetti, spesso la ricordavano apertamente, che era qualcosa che Reid ancora non riusciva a fare. C’era una sua foto su uno degli scaffali, scattata al matrimonio di un loro amico dieci anni prima. La maggior parte delle sere la teneva rovesciata, o avrebbe passato ore e ore a fissarla. Il mondo poteva essere tremendamente ingiusto. Un giorno avevano avuto tutto, una bella casa, delle figlie fantastiche, carriere di successo. Avevano vissuto a McLean in Virginia, e lui aveva lavorato come professore associato alla vicina George Washington University. Aveva viaggiato spesso per lavoro, per seminari e come ospite docente di storia europea in scuole di tutto il paese. Kate aveva lavorato nel dipartimento di restauro allo Smithsonian American Art Museum. Le loro ragazze erano state felici. La vita era stata perfetta. Ma come disse il poeta Robert Frost, niente rimane d’oro. Un pomeriggio d’inverno Kate era svenuta sul lavoro, o almeno era quello che avevano pensato i suoi colleghi quando all’improvviso si era accasciata e caduta dalla sedia. Avevano chiamato un’ambulanza, ma era stato troppo tardi. Era stata dichiarata morta non appena era arrivata in ospedale. Un’embolia, avevano detto. Un coagulo di sangue era arrivato al suo cervello e aveva causato un’ischemia. I dottori avevano usato termini quasi incomprensibili nelle loro spiegazioni, come se avrebbe potuto attutire il colpo. La cosa peggiore era stata che Reid era via quando era successo. Era stato a un seminario a Houston, in Texas, a tenere lezioni sul Medioevo quando era arrivata la chiamata. Era stato cos? che aveva scoperto che la moglie era morta. Una telefonata, appena uscito da una sala conferenze. Poi c’era stato il viaggio fino a casa, i tentativi di consolare le figlie nel bel mezzo del proprio dolore devastante, e infine il trasloco a New York. Si alz? dalla poltrona e rovesci? la foto. Non gli piaceva ripensare all’ultimo periodo, alla fine e a ci? che era venuto dopo. Voleva ricordarla in quella maniera, come nella foto, Kate al suo meglio. Era ci? che sceglieva di ricordare. C’era anche qualcos’altro, qualcosa su cui non riusciva a mettere il dito, una specie di memoria distante che cercava di risalire alla superficie mentre fissava la foto. Era quasi un d?j? vu, ma non riguardava il presente. Era come se il suo subconscio stesse cercando di mandargli un messaggio. Un colpo improvviso alla porta lo riport? alla realt?. Reid esit?, chiedendosi chi poteva essere. Era quasi mezzanotte; le ragazze erano a letto gi? da un paio d’ore. Il rumoroso bussare risuon? di nuovo. Temendo che potesse svegliare le ragazze, si affrett? a rispondere. Dopo tutto, viveva in un quartiere sicuro e non aveva ragione di temere di aprire la sua porta, anche se era mezzanotte. Non fu il gelido vento invernale a paralizzarlo. Fu lo spettacolo dei tre uomini dall’altra parte della soglia. Erano mediorientali, ognuno con pelle scura, barba e occhi infossati, vestiti con grosse giacche nere e stivali. I due ai lati erano alti e magri, il terzo, un po' indietro, aveva spalle larghe e una figura imponente, oltre a una smorfia torva sul volto. “Reid Lawson,” disse l’uomo alto sulla sinistra. “? lei?” Il suo accento sembrava iraniano, ma era poco percettibile, suggerendo che avesse passato molto tempo lontano da casa. A Reid si secc? la gola notando, al di l? delle loro spalle, un furgoncino grigio lasciato in moto davanti al marciapiede, con le luci spente. “Uhm, mi spiace,’” rispose. “Credo che abbiate sbagliato casa.” L’uomo alto sulla destra, senza togliere lo sguardo da Reid, alz? un cellulare verso i suoi due soci. L’uomo a sinistra, senza fare domande, fece un singolo cenno con il capo. Senza alcun preavviso, l’uomo pi? grosso avanz?, con una rapidit? sorprendente per la sua stazza. Una mano pesante scatt? verso la gola di Reid. Il professore indietreggi? senza pensare, barcollando nell’ingresso e incespicando nei propri piedi. Recuper? l’equilibrio, sfiorando il pavimento con le dita. Mentre scivolava all’indietro, i tre uomini erano entrati in casa sua. Il panico lo riemp?, pensando solamente alle figlie addormentate nei loro letti al piano di sopra. Si volt? e attravers? di corsa l’ingresso, fino alla cucina, dove super? l’isola. Si lanci? un’occhiata alle spalle, e vide che gli uomini gli stavano dando la caccia. Il cellulare, pens? disperatamente. Era nel suo studio, sulla scrivania, e gli aggressori gli bloccavano la strada. Doveva portarli via dalla casa e dalle ragazze. Sulla sua destra c’era la porta che dava sul cortile. La apr? di scatto e corse sulla veranda. Uno degli uomini imprec? in una lingua straniera, arabo, immagin?, mentre lo seguivano. Reid salt? sopra la ringhiera della veranda e atterr? sul prato. All’impatto un lampo di dolore gli esplose nella caviglia, ma lo ignor?. Raggiunse l’angolo della casa e si appiatt? contro la parete di mattoni, cercando disperatamente di acquietare il suo respiro ansimante. I mattoni erano gelidi al tocco e la leggera brezza invernale tagliava come un coltello. Aveva gi? le dita dei piedi insensibili per il freddo, perch? era corso fuori di casa solo con i calzini. Si sentiva gli arti scossi da brividi. Udiva gli uomini che sussurravano, con voce bassa e urgente. Cont? quanti erano: uno, due e tre. Erano fuori di casa. Bene: significava che volevano solo lui e non le ragazze. Doveva mettere le mani su un telefono. Non poteva tornare dentro casa senza mettere in pericolo le ragazze e non poteva neanche bussare alla porta di un vicino. No… ma c'era un telefono per le emergenze montato su un palo della luce lungo la strada. Se fosse riuscito ad arrivarci… Fece un profondo respiro e scatt? nel cortile buio, osando attraversare la luce gettata dai lampioni. La sua caviglia puls? in segno di protesta e lo shock del freddo gli punzecchi? le piante dei piedi, ma si costrinse a muoversi il pi? in fretta possibile. Reid si lanci? un’occhiata dietro le spalle. Uno degli uomini alti lo aveva visto. Grid? ai suoi soci, ma non si gett? all’inseguimento. Strano, pens? Reid, ma non si sofferm? a farsi domande. Raggiunse il telefono per le emergenze, apr? la sua scatola e premette il pollice sul pulsante rosso, che avrebbe mandato un allarme alla centrale pi? vicina del 911. Si guard? di nuovo alle spalle. Non vide nessuno degli uomini. “Pronto?” sibil? nella cornetta. “Qualcuno mi sente?” Dove era la luce? Non avrebbe dovuto accendersi una luce quando si premeva il pulsante di chiamata? Il telefono era attivo? “Mi chiamo Reid Lawson, tre uomini mi stanno inseguendo, vivo al…” Una mano robusta strinse i corti capelli castani di Reid e lo tir? all’indietro. Gli si bloccarono le parole in gola e si trasformarono in un rantolo. Un momento dopo, c’era una stoffa ruvida sulla sua faccia, che lo accecava—una sacca sulla sua testa—e allo stesso tempo le sue braccia gli erano state tirate dietro la schiena e bloccate da manette. Cerc? di lottare, ma era paralizzato, i polsi piegati fino a far male. “Aspettate!” riusc? a gridare. “Vi prego…” Un colpo gli si abbatt? sull’addome con tanta forza da lasciarlo senza fiato. Non riusciva a respirare, n? tantomeno parlare. Un vortice di colore gli esplose davanti agli occhi e quasi svenne. Poi cominciarono a trascinarlo. I suoi piedi nei calzini scivolavano sul cemento. Lo infilarono nel furgone e chiusero la portiera. I tre uomini si dissero qualcosa nella loro lingua sconosciuta con tono d’accusa. “Perch??” riusc? a chiedere alla fine. Gli infilarono un ago acuminato nel braccio e tutto il mond? svan?. CAPITOLO DUE Cieco. Freddo. Scosso. Assordato. Confuso. Dolorante. La prima cosa che Reid not? svegliandosi fu che il mondo era buio, non riusciva a vedere niente. La puzza acre di carburante gli riempiva le narici. Cerc? di muovere le membra doloranti, ma le mani erano legate dietro la sua schiena. Stava congelando, ma non c'era un alito di vento, solo aria fredda, come se fosse seduto in un frigo. Lentamente, come se emergessero da una nebbia, i ricordi di quello che era successo gli tornarono alla mente. I tre uomini mediorientali. La sacca sulla testa. L’ago nel braccio. Il panico prese il sopravvento e cominci? a tirare le manette e ad agitarsi. Gli si accesero di dolore i polsi, dove il metallo delle manette gli tagli? la carne. La caviglia pulsava, spedendo ondate di sofferenza su per la sua gamba. Aveva un’intensa pressione nelle orecchie e non riusciva a sentire nulla se non il rombo di un motore. Per un breve istante prov? una strana sensazione allo stomaco, come dovuta a un’accelerazione verso l’alto. Era su un aereo. E a giudicare dal rumore non era un normale aereo passeggeri. Il rombo, l’intenso rombo del motore, la puzza di carburante… cap? che doveva trovarsi su un aereo cargo. Per quanto tempo era rimasto svenuto? Che cosa gli avevano iniettato? Le ragazze erano al sicuro? Le ragazze. Gli salirono le lacrime agli occhi, mentre sperava contro ogni buon senso che stessero bene, che la polizia avesse ricevuto il suo messaggio, che le autorit? fossero state mandate a casa sua… Si agit? sul suo sedile di metallo. Nonostante il dolore e la gola chiusa, prov? a parlare. “Sa-salve?” Fu poco pi? di un bisbiglio. Si schiar? la gola e prov? di nuovo. “Salve? C’? qualcuno?” Si rese conto che il rumore del motore avrebbe coperto la sua voce e nessuno che non fosse stato seduto accanto a lui lo avrebbe sentito. “Salve!” prov? a gridare. “Vi prego… qualcuno mi dica che…” Una secca voce maschile gli sibil? qualcosa in arabo. Reid sussult?. L’uomo era vicino, a meno di un metro di distanza. “Ti scongiuro, dimmi che cosa sta succedendo,” supplic?. “Che cosa volete? Perch? mi state facendo questo?” Un’altra voce grid? minacciosamente nella stessa lingua, quella volta dalla sua destra. Reid sussult? per il duro rimprovero. Sper? che il movimento dell’aereo mascherasse il tremore del suo corpo. “Avete preso la persona sbagliata,” disse. “Che cosa volete? Denaro? Non ne ho! Posso… aspettate!” Una mano robusta si chiuse in una morsa attorno al suo braccio e fu strappato dal suo sedile. Barcoll?, cercando di rimanere in piedi, ma l’instabilit? dell’aereo e il dolore alla caviglia ebbero il sopravvento. Gli cedettero le ginocchia e cadde su un fianco. Qualcosa di solido e pesante lo colp? al corpo. Il dolore si allarg? per tutto il suo busto. Cerc? di protestare, ma gli salirono alla bocca solo singhiozzi intellegibili. Un altro stivale gli atterr? sulla schiena. Poi un altro, al mento. Nonostante la situazione tremenda, Reid fu colto da uno strano pensiero. Quegli uomini, le loro voci, i loro colpi, tutto suggeriva una vendetta personale. Non si sentiva semplicemente attaccato. Si sentiva odiato. Erano arrabbiati, e la loro rabbia era diretta precisamente verso di lui. Il dolore si allontan?, lentamente, e lasci? spazio a un freddo torpore che lo avvolse completamente mentre perdeva coscienza. * Dolore. Acuto, pulsante, incandescente. Reid si svegli? di nuovo. I ricordi del passato… non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato, n? sapeva se fosse giorno o notte, o dove si trovasse. Ma i ricordi tornarono, frammentati, come fotogrammi tagliati da una pellicola e lasciati a terra. Tre uomini. Il telefono delle emergenze. Il furgone. L’aereo E ora… Reid si azzard? ad aprire gli occhi. Fu difficile. Gli sembrava che gli avessero incollato insieme le ciglia, ma anche dietro la pelle sottile vedeva una luce accesa e rovente. Ne sentiva il calore sul volto, e distingueva la rete di capillari delle proprie palpebre. Strizz? gli occhi. Tutto ci? che vedeva era quella luce crudele, luminosa, bianca e penetrante. Dio, gli faceva male la testa. Cerc? di gemere e scopr?, grazie a una nuova scarica di dolore, che anche la mascella gli doleva. Aveva la lingua gonfia e secca, e in bocca c’era un sapore metallico. Sangue. I suoi occhi… cap? che era stato difficile aprirli perch? in effetti era incollati insieme. Il lato della faccia era caldo e appiccicoso. Il sangue gli era colato dalla fronte e negli occhi, senza dubbio per via dei calci che aveva preso sull’aereo. Ma riusciva a vedere la luce. Gli avevano tolto la sacca dalla testa. Che fosse o meno un risvolto positivo rimaneva ancora da vedere. Mentre si abituava alla luce, cerc? invano di muovere le mani. Erano ancora legate, ma non pi? da manette. Grosse corde ruvide lo tenevano fermo. Anche le sue caviglie erano strette alle gambe della sedia di legno su cui si trovava. Dopo poco cominci? a intravedere sagome incerte in mezzo al chiarore. Era in una piccola stanza senza finestre con pareti irregolari di cemento. Era caldo e umido, abbastanza perch? il sudore lo solleticasse dietro al collo, nonostante si sentisse il corpo freddo e insensibile. Non riusciva ad aprire del tutto l’occhio destro e provarci era doloroso. Doveva aver preso un calcio, o forse i suoi rapitori avevano continuato a picchiarlo mentre era svenuto. La luce brillante veniva da una sottile lampada tecnica su una base alta e con le ruote, che era stata sistemata alla sua altezza e puntata verso la sua faccia. La lampadina alogena emetteva una luce intensa. Se c’era qualcos’altro dietro quella lampada, lui non riusciva a vederlo. Sussult? quando un secco suono metallico riecheggi? nella stanzetta—il rumore di una serratura che veniva aperta. Cardini cigolarono, ma Reid non vide nessuna porta. Poi si richiuse con un frastuono discordante. Una figura si frappose tra lui e la luce, incombendo su di lui e mettendolo in ombra. Reid trem? e non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo. “Chi sei tu?” La voce era maschile, leggermente pi? acuta dei suoi precedenti aggressori ma colorata dallo stesso accento mediorientale. Reid apr? la bocca per parlare, per dire che non era altro che un professore di storia e che avevano preso la persona sbagliata, ma si ricord? che l'ultima volta che ci aveva provato era stato preso a calci fino a svenire. Gli sfugg? solo un gemito. L’uomo sospir? e si spost? dalla luce. Qualcosa fu trascinato sul pavimento di cemento, le gambe di una sedia. Lo sconosciuto spost? la lampada lontano dal volto di Reid e si sedette davanti a lui, tanto vicino che le loro ginocchia quasi si toccavano. Reid alz? lentamente lo sguardo. L’uomo era giovane, doveva avere al massimo trent’anni, con la pelle scura e un’ordinata barba nera. Portava occhiali rotondi dalla montatura argentata e una kufi bianca, un cappello tondo senza tesa. Dentro Reid sbocci? la speranza. Il giovane uomo sembrava un intellettuale, non come i selvaggi che lo avevano attaccato e strappato da casa sua. Forse avrebbe potuto negoziare con lui. Forse era al comando… “Iniziamo dalle cose semplici,” disse l’uomo. La sua voce era bassa e tranquilla, parlava come uno psicologo avrebbe potuto rivolgersi a un paziente. “Come ti chiami?” “Io… Lawson.” Al primo tentativo quasi non riusc? a parlare. Toss?, e fu vagamente allarmato di vedere gocce di sangue colpire il pavimento. L’uomo di fronte a lui arricci? disgustato il naso. “Mi chiamo… Reid Lawson.” Perch? continuavano a chiedere il suo nome? Glielo aveva gi? detto. Aveva fatto un torto a qualcuno non volendo? L'uomo sospir? piano, dentro e fuori dal naso. Appoggi? i gomiti sulle ginocchia e si sporse in avanti, abbassando ancora di pi? la voce. “Ci sono molte persone che vorrebbero essere in questa stanza, al momento. Fortunatamente per te, siamo solo tu e io. Per? se non sei sincero con me non ho altra scelta se non invitare… gli altri. E loro tendono ad avere poca compassione.” Si raddrizz?. “Quindi te lo chiedo di nuovo. Come… ti… chiami… ?” Come poteva convincerli che era chi diceva di essere? I battiti del cuore di Reid presero velocit? mentre la realizzazione lo colpiva come una mazzata alla testa. Stava rischiando di morire in quella stanza. “Ti sto dicendo la verit?!” insistette. All’improvviso le parole sgorgarono dalle sue labbra, come acqua che avesse sfondato una diga. “Mi chiamo Reid Lawson. Ti prego, dimmi perch? sono qui. Non so che cosa sta succedendo. Non ho fatto niente…” L’uomo schiaffeggi? Reid sulla bocca. La sua testa scatt? di lato e lui ansim? per il dolore del labbro appena spaccato. “Il tuo nome.” L’uomo si pul? il sangue dall’anello d’oro che aveva alla mano. “Te l’ho detto,” balbett?. “Mi chiamo Lawson.” Soffoc? un singhiozzo. “Ti prego.” Alz? lo sguardo, spaventato. Il suo interrogatore lo fiss? a sua volta, impassibile e freddo. “Il tuo nome.” “Reid Lawson!” Reid sent? il calore salirgli sulle guance, mentre il dolore si trasformava in rabbia. Non sapeva che altro dire, che cosa volessero che dicesse. “Lawson! ? Lawson! Potete controllare la mia…” No, non potevano controllare la sua carta d’identit?. Non aveva avuto con s? il portafoglio quanto i tre uomini lo avevano preso. Il suo interrogatore schiocc? la lingua in segno di disapprovazione e poi scagli? un pugno ossuto al centro del plesso solare di Reid. Di nuovo il professore si ritrov? senza fiato. Per un minuto intero non riusc? a respirare; e alla fine boccheggi? ansimante. Gli bruciava il petto. Gli colava il sudore sulle guance e gli bruciava sul labbro spaccato. La testa gli pendeva senza forza, il mento appoggiato sul petto, mentre lottava contro un’ondata di nausea. “Il tuo nome,” ripet? con calma l’interrogatore. “Io… non so che cosa vuoi che ti dica,” sussurr? Reid. “Non so che cosa stai cercando. Ma non sono io.” Stava impazzendo? Era certo di non aver fatto niente per meritarsi un trattamento di quel tipo. L’uomo con la kufi si sporse di nuovo in avanti, prendendo gentilmente il mento di Reid tra due dita. Gli sollev? il capo, costringendolo a guardarlo negli occhi. Le sue labbra sottili si stesero in un sorrisetto. “Amico mio,” disse. “Le cose andranno molto molto peggio, prima di migliorare.” Reid deglut? e sent? il sapore del rame in fondo alla gola. Sapeva che il sangue era un emetico; bastavano settecento grammi per far vomitare, e lui si sentiva gi? nauseato e stordito. “Ascoltami,” lo implor?. La sua voce suon? tremante e timida. “Mi chiamo Reid Lawson. Sono un professore di storia europea alla Columbia University. Sono vedovo e ho due…” Si interruppe. Fino a quel momento i suoi rapitori non avevano dato nessuna indicazione di sapere delle sue figlie. “Se non ? questo che state cercando, non posso aiutarvi. Ti prego. ? la verit?.” L’interrogatore lo fiss? per un lungo momento, senza battere ciglio, poi disse seccamente qualcosa in arabo. Reid sussult? a quello scatto improvviso. La serratura si apr? di nuovo. Oltre la spalla dell’uomo, Reid vide apparire la forma della porta. Sembrava di qualche tipo di metallo, ferro o acciaio. La stanza, cap?, era stata costruita per essere una cella di prigione. Una sagoma apparve all’ingresso. L’interrogatore disse qualcos’altro nella sua lingua nativa, e la sagoma svan?. Sogghign? verso Reid. “Lo vedremo,” disse semplicemente. Accompagnato da un cigolio di ruote, la sagoma riapparve, quella volta spingendo un carrello metallico nella stanzetta di cemento. Reid riconobbe chi lo spingeva, era l’uomo grosso e silenzioso che era apparso a casa sua, con la stessa espressione accigliata di prima. Sul carrello c’era una macchina arcaica, una scatola marrone con una decina di manopole e manovelle e grossi cavi neri che spuntavano da un lato. Dal lato opposto emergeva un rotolo di carta bianca su cui si agitavano aghi sottili. Era un poligrafo, probabilmente vecchio quanto Reid, ma comunque una macchina della verit?. Sospir? per il sollievo. Almeno avrebbero capito che stava dicendo la verit?. Che cosa gli avrebbero fatto in seguito… preferiva non pensarci. L’interrogatore cominci? a stringere i due sensori con il velcro alle sue dita, un manicotto attorno al suo bicipite sinistro e due corde attorno al suo petto. Si sedette di nuovo, estrasse una matita dalla tasca e si infil? l’estremit? con la gomma rosa in bocca. “Sai che cosa ?,” disse semplicemente. “Sai come funziona. Se dici qualsiasi cosa che non sia la risposta alle mie domande, ti faremo del male. Lo capisci?” Reid annu? una volta sola. “S?.” L’interrogatore premette un pulsante e armeggi? con le manopole sulla macchina. Il gigante accigliato era immobile dietro di lui, bloccando la luce della lampada e fissando storto Reid. Gli aghi sottili si mossero leggermente sopra il rotolo di carta bianca, lasciando quattro segni neri. L’interrogatore scarabocchi? qualcosa sul foglio e poi spost? lo sguardo freddo su Reid. “Di che colore ? il mio cappello?” “Bianco,” rispose piano Reid. “Di che specie sei tu?” “Umano.” L’interrogatore stava stabilendo i valori di riferimento per le successive domande—di solito si annotavano quattro o cinque verit? per controllare le potenziali bugie. “In che citt? vivi?” “New York.” “Dove sei ora?” Reid quasi sbuff?. “In una… sedia. Non lo so.” L’interrogatore fece qualche segno intermittente sulla carta. “Come ti chiami?” Reid fece del suo meglio per tenere ferma la voce. “Reid Lawson.” Tutti e tre stavano fissando la macchina. Gli aghi continuarono indisturbati; non c’erano creste o vallate significative nelle linee tracciate. “Che lavoro fai?” chiese l’interrogatore. “Sono un professore di storia europea alla Columbia University.” “Da quanto tempo fai il professore?” “Tredici anni,” rispose sinceramente Reid. “Sono stato assistente professore per cinque e professore aggiunto in Virginia per sei. Da due anni sono professore associato a New York.” “Sei mai stato a Tehran?” “No.” “Sei mai stato a Zagreb?” “No!” “Sei mai stato a Madrid?” “N-s?. Una volta, circa quattro anni fa. Sono andato per un summit, mi ci ha mandato l’universit?.” Gli aghi rimasero stabili. “Non vedete?” Per quanto Reid avrebbe voluto gridare, cerc? di rimanere calmo. “Avete la persona sbagliata. Chiunque stiate cercando, non sono io.” L’interrogatore spalanc? le narici, ma altrimenti non reag?. Il gigante congiunse le mani davanti a s?, le vene in netto rilievo sulla sua pelle. “Hai mai incontrato un uomo chiamato sceicco Mustafar?” chiese l’interrogatore. Reid scosse la testa. “No.” “Sta mentendo!” Un uomo alto e magro entr? nella stanza, uno dei due che lo avevano aggredito a casa sua, lo stesso che gli aveva chiesto per primo come si chiamasse. Si avvicin? a grandi passi, lo sguardo ostile puntato su Reid. “La macchina pu? essere aggirata. Lo sappiamo.” “Ci sarebbe qualche segno,” replic? con calma l’interrogatore. “Il linguaggio del corpo, il sudore, i segni vitali. Tutto indica che sta dicendo la verit?.” Reid non pot? evitare di pensare che stessero parlando in inglese a suo beneficio. L’uomo alto si gir? e cominci? ad aggirarsi per la stanzetta di cemento, borbottando furioso in arabo. “Chiedigli di Tehran.” “L’ho fatto,” rispose l’interrogatore. Allora lui si volt? verso Reid, furibondo. Il professore trattenne il fiato, aspettandosi di essere colpito. Invece, l’uomo riprese a camminare. Disse rapidamente qualcosa in arabo. L’interrogatore rispose. Il gigante fiss? Reid. “Vi prego!” disse lui ad alta voce sopra le loro parole. “Non sono chi pensate voi, non ho memoria di quello di cui state parlando…” L’uomo alto ammutol? e sgran? gli occhi. Fece un gesto come per colpirsi la fronte, e poi parl? concitato all’interrogatore. L’uomo impassibile con la kufi si accarezz? il mento. “? possibile,” disse in inglese. Si alz? e prese la testa di Reid tra entrambe le mani “Che cosa significa? Cosa stai facendo?” chiese Reid. Le punte delle dita dell’uomo si mossero lentamente su e gi? per il suo scalpo. “Silenzio,” disse piatto lui. Tast? l’attaccatura dei capelli di Reid, il suo collo, le sue orecchie… “Ah!” esclam? poi. Disse qualcosa al suo socio, che si avvicin? di corsa e pieg? la testa di Reid di lato. L’interrogatore pass? un dito lungo il mastoide sinistro di Reid, la piccola sporgenza d’osso appena dietro l’orecchio. C’era un bozzo allungato sotto la pelle, poco pi? grande di un chicco di riso. Disse qualcosa all’uomo alto e quest’ultimo usc? rapidamente dalla stanza. A Reid doleva il collo per via della strana angolazione a cui stavano tenendo la sua testa. “Cosa? Cosa sta succedendo?” chiese. “Questo ingrossamento, qui,” disse l’uomo, passandoci di nuovo un dito sopra. “Che cosa ? questo?” “? solo un’irregolarit? dell’osso,” disse Reid. “Ce l’ho da un incidente d’auto che ho avuto quando avevo vent’anni.” L’uomo alto torn? rapidamente, quella volta con un vassoio di plastica. L’appoggi? sul carrello, vicino al poligrafo. Nonostante la luce fioca e l’angolo a cui gli tenevano la testa, Reid vide chiaramente che cosa c’era nel vassoio. Un nodo di paura gli attorcigli? lo stomaco. Dentro il vassoio c’erano diversi strumenti di metallo lucente. “A che cosa servono quelli?” C’era il panico nella sua voce. Si agit? tra le corde. “Che cosa state facendo?” L’interrogatore diede un rapido comando al gigante. Lui fece un passo in avanti e l’improvvisa luce della lampada quasi accec? Reid. “Aspetta… aspetta!” grid?. “Dimmi che cosa vuoi sapere!” Il gigante gli prese la testa in una grande mano e la strinse con forza, costringendolo a fermarsi. L’interrogatore scelse uno strumento, uno scalpello dalla lama sottile. “Vi prego, non… non…” Reid cominci? ad ansimare in fretta. Stava quasi iperventilando. “Sssh,” disse con calma l’interrogatore. “? meglio se rimani fermo. Non voglio tagliarti l’orecchio. Almeno, non per sbaglio.” Reid grid? quando la lama tagli? la pelle dietro l’orecchio, ma il gigante lo tenne immobile. Ogni muscolo delle sue braccia si tese. Uno strano suono lo raggiunse, una dolce melodia. L’interrogatore stava cantando una canzone in arabo mentre affettava la testa di Reid. Lasci? cadere lo scalpello insanguinato nel vassoio mentre Reid continuava a respirare sibilando tra i denti. Poi afferr? un paio di pinze piane. “Temo che quello fosse solo l’inizio,” gli sussurr? all’orecchio. “La prossima parte far? davvero male.” Le pinze si strinsero attorno a qualcosa nella testa di Reid—l’osso del cranio?—e l’interrogatore tir?. Reid grid? per l’agonia, mentre un dolore accecante gli attraversava il cervello, pulsando nelle sue terminazioni nervose. Gli tremarono le mani. Sbatt? i piedi sul pavimento. Il dolore crebbe fino a quando Reid pens? che non sarebbe pi? riuscito a resistere. Il sangue gli pompava nelle orecchie e le sue stesse grida sembravano lontanissime. Poi la luce della lampada si affievol?, vide tutto nero e perse i sensi. CAPITOLO TRE A ventitr? anni, Reid aveva avuto un incidente in auto. Il semaforo era diventato verde e lui aveva attraversato l’incrocio. Un furgone era passato con il rosso ed era andato a schiantarsi nel lato del suo sedile del passeggero. Aveva battuto la testa ed era rimasto svenuto per diversi minuti. L’unica ferita era stata una frattura all’osso temporale. Era guarita bene, e l’unica prova dell’incidente era un piccolo ingrossamento dietro l’orecchio. Il dottore gli aveva detto che era una malformazione ossea. La cosa buffa era che anche se ricordava l’incidente, non aveva memoria del dolore, n? durante l’evento ma neanche dopo. In quel momento lo sentiva. Mentre tornava in s?, la piccola zona ossea dietro l’orecchio pulsava d’agonia. La lampada tecnica gli brillava di nuovo negli occhi. Lui li strinse e gemette piano. Anche il minimo movimento del capo gli provocava una nuova ondata di dolore gi? per il collo. All’improvviso fu colpito da un pensiero. La luce accecante nei suoi occhi non era affatto la lampada. Il sole del pomeriggio brilla in un cielo azzurro e sereno. Un Warthog A-10 vola sopra di lui, piegandosi a destra e abbassandosi sui tetti piatti e grezzi di Kandahar. L’immagine non era fluida. Appariva in lampi, come diverse fotografie in sequenza, come guardare qualcuno ballare sotto una luce stroboscopica. Sei in piedi su un tetto di un edificio parzialmente distrutto, un terzo del quale era stato abbattuto da una cannonata. Porti il calcio alla spalla, l’occhio al mirino, e punti un uomo al di sotto… Reid mosse di scatto la testa e gemette. Era nella stanzetta di cemento, sotto l’occhio attento della lampada tecnica. Gli tremavano le dita e sentiva freddo a tutto il corpo. Il sudore gli gocciolava lungo la fronte. Probabilmente stava andando in shock. Con la coda dell’occhio not? che la spalla sinistra della camicia era intrisa di sangue. “Un'irregolarit? dell’osso,” disse la voce placida dell’interrogatore. Poi ridacchi? sarcastico. Una mano snella apparve davanti al suo campo visivo, stringendo le pinze. Tra le ganasce c’era un minuscolo oggetto argentato, ma Reid non riusciva a distinguere i dettagli. La sua vista era annebbiata e tutta la stanza girava. “Sai che cosa ??” Reid scosse lentamente la testa. “Lo ammetto, ne avevo visto solo uno prima,” disse. “Un chip di soppressione della memoria. ? uno strumento molto utile per le persone nella tua particolare situazione.” Lasci? cadere le pinze insanguinate e il granello argentato nel vassoio di plastica. “No,” grugn? Reid. “Impossibile.” L’ultima parola fu poco pi? di un bisbiglio. Soppressione della memoria? Era fantascienza. Per funzionare, avrebbe dovuto influenzare l’intero sistema limbico del cervello. Il quinto piano del Ritz a Madrid. Ti sistemi la cravatta nera prima di sferrare un solido calcio appena sopra la maniglia. L’uomo all’interno ? preso alla sprovvista; salta in piedi e afferra una pistola dal com?. Ma prima che riesca a puntartela contro, gli prendi la mano e la pieghi lontano. La forza del gesto gli spezza con facilit? il polso… Reid si riscosse dalla scena confusa che gli era apparsa nella mente, mentre l’interrogatore si riaccomodava davanti a lui. “Mi hai fatto qualcosa,” borbott?. “S?,” concord? l’interrogatore. “Ti ho liberato dalla tua prigione mentale.” Si sporse in avanti con un ghigno a labbra strette, cercando qualcosa negli occhi di Reid. “Stai ricordando. ? uno spettacolo affascinante. Sei confuso. Le tue pupille sono dilatate in maniera anormale, nonostante la luce. Che cosa ? reale, ‘professor Lawson’?” Lo sceicco. Con ogni mezzo possibile. “Quando i nostri ricordi ci abbandonano…” Ultimo avvistamento: Una casa sicura a Teheran. “Chi siamo noi?” Un proiettile ha lo stesso suono in ogni lingua… chi lo ha detto? “Chi diventiamo?” Lo hai detto tu. Reid si sent? scivolare nel vuoto. L’interrogatore lo schiaffeggi? due volte, riportandolo nella stanza di cemento. “Ora possiamo continuare. Quindi te lo domando di nuovo: Come… ti… chiami?” Entri da solo nella sala degli interrogatori. Il sospettato ? ammanettato a un bullone attaccato al tavolo. Infili una mano nella tasca interna dell’abito, ne estrai un portadocumenti in pelle con dentro una carta d’identit? e lo apri… “Reid Lawson.” La sua voce era incerta. “Sono un professore… di storia europea…” L’interrogatore sospir? deluso. Fece cenno di avvicinarsi al gigante corrucciato e un pesante pugno si abbatt? sulla guancia di Reid. Un molare rimbalz? sul pavimento accompagnato da uno spruzzo di sangue fresco. Per un momento, non ci fu dolore; la sua faccia era insensibile, pulsante per l’impatto. Poi una nuova ondata di agonia ebbe il sopravvento. “Nggh…” Cerc? di formare delle parole, ma le sue labbra non si muovevano. “Te lo chiedo di nuovo,” disse l’interrogatore. “Tehran?” Lo sceicco si era nascosto in una casa sicura camuffata da fabbrica tessile. “Zagreb?” Due uomini iraniani arrestati in un aeroporto privato, mentre stanno per salire a bordo di un aereo per Parigi. “Madrid?” Il Ritz, quinto piano: una cella dormiente attivata con una bomba in una valigetta. Destinazione presunta: la Plaza de Cibeles. “Lo sceicco Mustafar?” Ha contrattato per avere salva la vita. Ci ha detto tutto quello che sapeva. Nomi, luoghi, piani. Ma non sapeva abbastanza… “Lo so che stai ricordando,” disse l’interrogatore. “Il tuo sguardo ti tradisce… Zero.” Zero. Un'immagine gli lampeggia davanti agli occhi: Un uomo con degli occhiali da aviatore e una giacca da motociclista scura. ? in un angolo di una qualche citt? europea. Si muove insieme alla folla. Nessuno sa chi ?. Nessuno sa che ? l?. Ancora una volta Reid cerc? di togliersi quelle visioni dalla testa. Che cosa gli stava succedendo? Gli danzavano nella mente come sequenze in stop-motion, ma lui si rifiutava di accettarle come ricordi. Erano falsi. Impiantati, in qualche maniera. Era un professore universitario, con due figlie adolescenti e una umile casa nel Bronx… “Dicci che cosa sai dei nostri piani,” chiese impassibile l’interrogatore. Noi non parliamo. Mai. Le parole gli riecheggiarono nella mente, ancora e ancora. Noi non parliamo. Mai. “Ci sta mettendo troppo tempo!” grid? l’uomo iraniano pi? alto. “Costringilo.” L’interrogatore sospir?. Tese una mano verso il carrello di metallo, ma non per accendere il poligrafo. Invece le sue dita si soffermarono sulla vaschetta di plastica. “Di solito sono un uomo paziente,” disse a Reid. “Ma devo ammettere che la frustrazione del mio socio ? piuttosto contagiosa.” Sollev? lo scalpello insanguinato, lo strumento che aveva usato per tagliare il granello argentato dalla sua testa, e premette gentilmente la punta della lama contro i jeans di Reid, una decina di centimetri sopra il ginocchio. “Tutto ci? che vogliamo sapere ? che informazioni hai. Nomi. Date. A chi hai detto quello che sai. Le identit? dei tuoi colleghi in campo.” Morris. Reidigger. Johansson. I nomi gli apparvero davanti agli occhi, ognuno accompagnato da un volto che non aveva mai visto prima. Un uomo giovane dai capelli scuri e il sorriso arrogante. Un altro dall’aspetto amichevole e bonaccione in una rigida camicia bianca. Una donna dai lunghi capelli biondi e occhi grigi e severi. “E che cosa ne ? stato dello sceicco.” In qualche modo Reid sapeva che lo sceicco in questione era stato catturato e portato in una prigione segreta in Marocco. Non era una visione. Era semplicemente quello che sapeva. Noi non parliamo. Mai. Un brivido freddo corse lungo la sua spina dorsale mentre lottava per tenere stretta la sua sanit? mentale. “Dimmelo,” insist? l’interrogatore. “Non lo so.” Le parole erano strane sulla sua lingua gonfia. Alz? lo sguardo allarmato e vide che l’altro uomo gli stava sogghignando. Aveva capito la domanda fatta in una lingua straniera… e aveva risposto in un perfetto arabo. L’interrogatore spinse la punta dello scalpello nella gamba di Reid. Lui grid? quando la lama penetr? il muscolo della sua coscia. Istintivamente cerc? di spostarsi, ma aveva le caviglie legate alla sedia. Strinse con forza i denti, la mascella dolorante in reazione. La ferita alla gamba bruciava intensamente. L’interrogatore sogghign? e pieg? leggermente la testa. “Devo ammettere che sei pi? tosto di molti altri, Zero,” disse in inglese. “Sfortunatamente per te, io sono un professionista.” Si abbass? per sfilargli uno dei calzini ormai sporchi. “Non mi capita spesso di dover usare questa tecnica.” Si raddrizz? e lo guard? direttamente negli occhi. “Ecco cosa sta per succedere: io ti taglier? via dei piccoli pezzi e te li far? vedere, uno a uno. Inizieremo con le dita dei piedi. Poi con quelle delle mani. Dopo di che… vedremo cosa vorrai fare.” L’interrogatore si inginocchi? e premette la lama contro il dito pi? piccolo del suo piede destro. “Aspetta,” supplic? Reid. “Ti prego, aspetta.” Gli altri due uomini gli si avvicinarono, guardandolo interessati. Disperato, Reid strinse le corde che gli tenevano bloccati i polsi. Era un nodo da pescatore con due cappi opposti legati con due mezzi colli… Un intenso brivido lo attravers? dalla base della spina dosale alle spalle. Lui sapeva. In qualche modo sapeva e basta. Provava una forte sensazione di d?j? vu, come se fosse gi? stato in quella situazione, o piuttosto, come se quelle visioni pazzesche che si erano impiantate nella sua mente gli stessero dicendo che era cos?. Ma ben pi? importante, sapeva che cosa doveva fare. “Te lo dir?!” ansim?. “Ti dir? che cosa vuoi sapere.” L’interrogatore alz? lo sguardo. “S?? Bene. Per prima cosa, comunque, ti taglier? questo dito. Non vorrei che pensassi che stavo bluffando.” Dietro la sedia, Reid strinse il pollice sinistro nella mano opposta. Trattenne il fiato e diede uno strattone. Sent? la sensazione di distacco quando il pollice si disloc? e attese l’arrivo di un dolore acuto e intenso, ma fu poco pi? di una vaga fitta. Fu colpito da un nuovo pensiero: non era la prima volta che gli succedeva. L’interrogatore tagli? la pelle del suo dito del piede e lui strill?. Con il pollice a un’angolazione opposta alla solita, riusc? a sfilare la mano dal cappio. Una volta liberato uno dei due nodi anche l’altro cedette. Aveva le mani libere, ma nessuna idea di cosa farci. L’interrogatore alz? lo sguardo e corrug? le sopracciglia in un'espressione confusa. “Cosa…?” Prima che riuscisse a dire un'altra parola, la mano destra di Reid scatt? e afferr? il primo strumento che trov?, un coltello di precisione dal manico nero. L’interrogatore prov? ad alzarsi e Reid si mosse. Gli tagli? la carotide con la lama. Lui si port? entrambe le mani alla gola. Il sangue gli col? tra le dita mentre crollava con gli occhi sgranati a terra. Il gigante rugg? furibondo e corse in avanti. Strinse le grosse mani attorno alla gola di Reid e premette. Reid cerc? di pensare ma era sopraffatto dalla paura. Il momento dopo stava alzando di nuovo il coltello di precisione e stava pugnalando il polso del gigante. Rote? la spalla mentre spingeva, e gli apr? un varco su per l’avambraccio. Il gigante grid? e cadde, afferrandosi la profonda ferita. L’uomo alto e magro lo fissava sbalordito. Proprio come in precedenza, nella strada davanti a casa di Reid, sembrava esitare ad avvicinarsi. Invece, armeggi? con il vassoio di plastica alla ricerca di un’arma. Prese una lama ricurva e si gett? contro il suo petto. Il professore scagli? in avanti il proprio peso, facendo cadere la sedia ed evitando per poco il coltello. Allo stesso tempo, spinse le gambe verso l'esterno con tutta la forza che aveva. Quando cadde sul cemento, la struttura della sedia cedette. Reid si alz? barcollando, con le membra indebolite. L’uomo chiese aiuto in arabo, e agit? il coltello in aria senza controllo, in larghe arcate avanti e indietro per tenere Reid alla larga. Lui rimase lontano, guardando ipnotizzato il movimento della lama argentea. L’uomo spinse il braccio a destra e Reid gli salt? addosso, intrappolando il coltello, e il suo braccio, tra i loro corpi. Lo slancio li spinse entrambi in avanti e mentre l’iraniano cadeva, Reid si contorse per tagliare l’arteria femorale dietro la sua coscia. Poi piant? a terra un piede e mosse il coltello in senso inverso, per perforargli la giugulare. Non aveva idea di come facesse a saperlo, ma era consapevole che all’uomo rimanevano quarantasette secondi di vita. Dalle scale vicine venne rumore di passi. Con mani tremanti, Reid scatt? verso la porta e si premette a un lato della soglia. La prima cosa a entrare fu una pistola, che lui identific? immediatamente come una Beretta 92 FS, seguita da un braccio e poi un torso. Reid volteggi? su di s?, prese la pistola nell’incavo nel gomito e infil? di lato il coltello di precisione tra due costole. La lama trapass? il cuore dell’uomo. Il grido gli rimase bloccato sulle labbra mentre scivolava a terra. Poi regn? il silenzio. Reid barcoll? all’indietro. Respirava in deboli ansimi. “Oh, Dio,” ansim?. “Oh, Dio.” Aveva appena ucciso… no, aveva appena assassinato quattro uomini nell’arco di pochi secondi. La cosa peggiore era che era stata un’azione di riflesso, d’impulso, come andare in bicicletta. O parlare in arabo all’improvviso. O conoscere il fato di uno sceicco. Era un professore. Aveva dei ricordi. Aveva dei figli. Una carriera. Ma chiaramente il suo corpo sapeva come combattere, anche se lui non aveva idea del perch?. Sapeva come liberarsi dalle corde. Sapeva come sferrare un colpo mortale. “Che cosa mi sta succedendo?” ansim?. Si copr? gli occhi mentre un’ondata di nausea lo assaliva. C’era del sangue sulle sue mani, letteralmente. Sangue sulla sua maglietta. Man mano che l’adrenalina lo lasciava, le membra cominciavano a dolergli per essere stato fermo troppo a lungo. La caviglia gli pulsava ancora per il salto gi? dalla veranda. Era stato pugnalato a una coscia. Aveva una ferita aperta dietro l’orecchio. Non voleva nemmeno pensare a come fosse il suo volto in quel momento. Esci di qui, gli grid? il suo cervello. Ne possono arrivare altri. “Okay,” disse ad alta voce, come se stesse concordando con qualcun altro nella stanza. Cerc? di rallentare i suoi ansimi meglio che pot? e scrut? l’ambiente dove si trovava. Il suo sguardo offuscato si concentr? su certi dettagli, come la Beretta. Un rigonfiamento rettangolare nella tasca del suo interrogatore. Uno strano segno sul collo del gigante. Si inginocchi? di fianco al grosso uomo e fiss? la cicatrice. Era vicina alla mascella, parzialmente oscurata dalla barba, e non pi? grande di una monetina. Sembrava una specie di marchio, inciso a fuoco nella pelle, e con l’aspetto di un glifo, come una lettera di un altro alfabeto. Non lo riconosceva. Reid lo studi? per diversi secondi, memorizzandolo. Cerc? rapidamente nella tasca dell’interrogatore morto e trov? un antico telefono cellulare. Probabilmente un telefono usa e getta, gli comunic? il suo cervello. In tasca all'uomo alto c’era un pezzo di carta bianca, con un angolo macchiato di sangue. In una scrittura scarabocchiata e quasi illeggibile c’era una lunga serie di numeri che iniziava per 963, il prefisso internazionale per chiamare la Siria. Su nessuno degli uomini c’erano segni identificativi, ma l’ultimo con la pistola aveva una grossa mazzetta di banconote in euro, forse qualche migliaio. Reid si infil? anche quella in tasca, e infine prese la Beretta. Il peso dell'arma gli sembrava stranamente naturale tra le mani. Calibro nove millimetri. Cartuccia di quindici colpi. Cilindro da centoventicinque millimetri. Le sue mani estrassero abilmente il caricatore in un gesto fluido, come se fossero controllate da qualcun altro. Tredici colpi. Lo rinfil? e  l’arm?. Poi usc? di l?. Fuori dalle grosse porte di metallo c’era uno squallido corridoio che finiva in una scalinata, che a sua vota portava verso l’alto. In cima si intravedeva la luce del giorno. Reid fece cautamente le scale, con la pistola alzata, ma non ud? niente. L’aria diventava sempre pi? fresca man mano che saliva. Si trov? in una piccola cucina sporca, con le pareti scrostate e pile di piatti coperti di rimasugli dentro il lavandino. Le finestre erano traslucide, imbrattate di grasso. Il radiatore in un angolo era freddo al tocco. Reid controll? il resto dalla casetta; non c’era nessun altro a parte i quattro uomini morti nello scantinato. L’unico bagno era in uno stato persino peggiore della cucina, ma vi trov? un kit di pronto soccorso dall’aria antica. Non os? guardarsi allo specchio mentre si lavava quanto pi? sangue poteva dal volto e dal collo. Tutto, dalla testa ai piedi, gli faceva male, era indolenzito o bruciava. Il piccolo tubetto di antisettico era scaduto tre anni prima, ma lo us? ugualmente, sussultando mentre premeva le bende sui tagli aperti. Poi si sedette sul water e si strinse la testa tra le mani, prendendosi un momento per recuperare la calma. Potresti andartene, si disse. Hai dei soldi. Vai all’aeroporto. No, non hai un passaporto. Vai all’ambasciata. O trova un consolato. Ma… Ma aveva appena ucciso quattro uomini, e il suo sangue era sparso per tutto lo scantinato. E c'era anche un altro problema, molto pi? grave. “Non so chi sono,” mormor? ad alta voce. Quei lampi, quelle visioni che gli apparivano nella mente, erano tutti dalla sua prospettiva. Il suo punto di vista. Ma non aveva, non avrebbe mai fatto niente del genere. Soppressione della memoria, aveva detto l’interrogatore. Era  mai possibile? Pens? di nuovo alle sue figlie. Erano al sicuro? Avevano paura? Erano… sue? Quell’idea lo scosse nel profondo. E se, in qualche modo, quello che aveva creduto fosse reale non lo fosse stato affatto? No, si disse con fermezza. Erano le sue figlie. Era stato presente alla loro nascita. Le aveva cresciute. Nessuna di quelle visioni bizzarre e intrusive lo contraddiceva. E doveva trovare un modo per contattarle, per accertarsi che stessero bene. Erano la sua priorit? principale. Non poteva usare il cellulare usa e getta per contattare la sua famiglia, non sapeva se fosse tracciato o chi potesse essere in ascolto. Improvvisamente ricord? il pezzo di carta con sopra il numero di telefono. Si alz? e lo tir? fuori dalla tasca. Fiss? la carta macchiata di sangue. Non sapeva di cosa si trattasse o perch? credessero che fosse una persona diversa da quella che diceva di essere, ma nelle profondit? della sua coscienza c’era una certa urgenza, qualcosa che diceva che suo malgrado era stato coinvolto in un affare molto, molto pi? grande di lui. Con mani tremanti, fece il numero sul cellulare. Una burbera voce maschile rispose al secondo squillo. “Avete fatto?” chiese in arabo. “S?,” rispose Reid. Cerc? di mascherare la voce il meglio possibile e di fingere l’accento giusto. “Hai le informazioni?” “Mh.” La voce rimase in silenzio per un lungo momento. Il cuore di Reid gli tamburellava nel petto. Aveva capito che non era l’interrogatore? “Rue de Stalingrad 187,” disse alla fine l’uomo. “Alle otto di sera.” E riappese. Reid chiuse il cellulare e fece un profondo respiro. Rue de Stalingrad? pens?. In Francia? Non sapeva ancora cosa fare. Gli sembrava che la sua mente avesse buttato gi? un muro e che avesse scoperto un’altra stanza dall’altra parte. Non poteva tornare a casa senza sapere che cosa gli stava succedendo. E anche se lo avesse fatto, quanto ci sarebbe voluto perch? ritrovassero lui e le ragazze, come la prima volta? Tutto quello che aveva era un indizio. Doveva seguirlo. Usc? dalla piccola casa e si ritrov? in un vicolo stretto, che si apriva su una strada chiamata Rue Marceau. Cap? subito dove era, un sobborgo di Parigi, a poca distanza dalla Senna. Gli venne quasi da ridere. Aveva creduto di essere in mezzo alle strade distrutte dalla guerra di una citt? del Medio Oriente. Invece era in un viale pieno di negozi e casette a schiera, dove normali passanti si godevano il pomeriggio, infagottati contro la gelida brezza di febbraio. Si infil? la pistola nella vita dei jeans e usc? in strada, mescolandosi alla folla e cercando di non attirare l’attenzione sulla maglia sporca di sangue, le bende o gli ovvi lividi. Si strinse le braccia attorno al corpo. Avrebbe avuto bisogno di nuovi abiti, una giacca, e qualcosa di pi? caldo di una camicia. Doveva accertarsi che le sue ragazze fossero al sicuro. Poi avrebbe trovato delle risposte. CAPITOLO QUATTRO Camminare per le strade di Parigi era un sogno, solo che c’era finito in una maniera che nessuno si sarebbe auspicato. Reid raggiunse l’incrocio tra Rue de Berri e Avenue des Champs-?lys?es, una zona sempre frequentata di turisti nonostante il tempo freddo. L’Arc de Triomphe si profilava in lontananza a nord-ovest, il monumento centrale di Place Charles de Gaulle, ma la sua grandezza era invisibile agli occhi di Reid. Una nuova visione gli era apparsa nella mente. Sono gi? stato qui. Sono stato in questo punto a guardare i cartelli stradali. Indossavo jeans e una giacca nera da motociclista, i colori del mondo appiattiti dagli occhiali scuri… Volt? verso destra. Non era certo di che cosa avrebbe trovato, ma aveva lo strano sospetto che l’avrebbe capito quando lo avesse visto. Era una sensazione bizzarra, non sapere dove stava andando fino a quando non fosse arrivato a destinazione. Si sentiva come se ogni nuovo panorama portasse con s? un vago ricordo, ognuno sconnesso dall’altro, ma in un certo modo congruenti. Sapeva che il bar all’angolo vendeva i migliori pasticcini che avesse mai gustato. Il profumo dolce della pasticceria dall'altra parte della strada gli faceva venire l’acquolina in bocca e voglia di ventagli di pasta sfoglia. Ma non li aveva mai mangiati. Non era cos?? Persino i suoni lo turbavano. I passanti chiacchieravano pigramente mentre passeggiavano per il viale, lanciando occhiate rapide al suo volto contuso e bendato. “Non voglio sapere che faccia ha il tizio con cui si ? scontrato,” borbott? un giovane francese alla sua ragazza. Entrambi ridacchiarono. Okay, niente panico, pens? Reid. A quanto pare conosco l’arabo e anche il francese. L’unico altro linguaggio che il professor Lawson parlava era il tedesco, e qualche frase in spagnolo. C’era anche qualcos’altro, di pi? difficile da definire. Sotto i nervi scossi e l’istinto di scappare, di tornare a casa, di andare a nascondersi, sotto tutto quello c’era una corrente fredda e dura come l’acciaio. Era come avere la mano pesante di un fratello maggiore sulla spalla, una voce in fondo alla mente che diceva: Rilassati. Sai cosa fare. Mentre quella voce lo sospingeva dolcemente dal fondo della sua stessa mente, al centro dei suoi pensieri c’erano le sue ragazze e la loro sicurezza. Dove erano? A che cosa stavano pensando in quel momento? Che cosa gli sarebbe successo se avessero perso entrambi i genitori? Non aveva mai smesso di pensare a loro. Persino mentre lo picchiavano in quell’orribile prigione nello scantinato, anche con quelle visioni che si intrufolavano nella sua testa, continuava a pensare alle sue figlie, e in particolare all’ultima questione. Che cosa gli sarebbe successo se fosse morto in quello scantinato? O se fosse morto in quella assurda missione che stava intraprendendo? Doveva esserne sicuro. In qualche modo doveva mettersi in contatto con loro. Per prima cosa gli serviva una giacca, e non solo per coprire la camicia sporca di sangue. La temperatura a febbraio si aggirava intorno ai dieci gradi, ma era comunque troppo freddo per girare in camicia. Il viale formava una specie di tunnel del vento e la brezza era gelida. Si infil? nella boutique d’abiti pi? vicina e scelse il primo cappotto che colse il suo sguardo: una giacca di pelle color marrone scuro, con la fodera di lana. Strano, pens?. Non avrebbe mai scelto una giacca come quella in passato, vista la sua passione per il tweed e il plaid, ma ne era stato attirato. La giacca di pelle costava duecentoquaranta euro. Niente di grave, aveva le tasche piene di soldi. Scelse anche una camicia nuova, una maglietta color grigio ardesia e poi un paio di jeans, calzini nuovi e robusti stivali marroni. Port? tutti gli indumenti al bancone e pag? in contanti. Su una delle banconote c’era un’impronta insanguinata, ma il commesso dal volto impassibile fece finta di non notarla. Una visione simile a un lampo gli apparve nella mente: “Un uomo entra in una stazione di servizio coperto di sangue. Paga la sua benzina e fa per andarsene. Il benzinaio sbalordito lo chiama: ‘Ehi, amico, stai bene?’ L’uomo sorride. ‘Oh, s?, tutto a posto. Non ? il mio sangue.’” Non ho mai sentito questa barzelletta prima di adesso. “Posso usare i vostri camerini?” chiese in francese. Il commesso indic? verso il fondo del negozio. Non aveva pronunciato una sola parola per tutta la transazione. Prima di cambiarsi, Reid si guard? per la prima volta in uno specchio pulito. Ges?, aveva un aspetto spaventoso. Il suo occhio destro si stava gonfiando e il sangue aveva macchiato le bende. Avrebbe dovuto trovare una farmacia e comprare del materiale da primo soccorso decente. Si sfil? i jeans luridi e macchiati di sangue sulla coscia ferita, sussultando per il dolore. Qualcosa cadde a terra, spaventandolo. La Beretta. Si era quasi dimenticato di averla. La pistola era pi? pesante di quanto si sarebbe immaginato. Novecento quarantacinque grammi, scarica, pens?. Prenderla in mano era come abbracciare un ex amante, familiare ed estraneo allo stesso tempo. La appoggi? e fin? di cambiarsi, spinse i vestiti vecchi nella busta del negozio e si infil? la pistola nella vita dei nuovi jeans, dietro la schiena. Sul viale, Reid tenne la testa bassa e cammin? in fretta, con lo sguardo puntato sul marciapiede. Non aveva bisogno di essere distratto da altre visioni in quel momento. Gett? la busta con i vestiti vecchi in un cassonetto in un angolo senza nemmeno rallentare. “Oh! Excusez-moi,” si scus? quando colp? con una spallata una donna di passaggio in un tailleur elegante. Lei gli lanci? un’occhiataccia. “Mi dispiace molto.” La donna sbuff? e si allontan?. Reid si infil? le mani nelle tasche della giacca, insieme al cellulare che le aveva sfilato dalla borsetta. Era stato facile. Troppo facile. Un paio di isolati dopo, si rifugi? sotto il tendone di un negozio e tir? fuori il cellulare rubato. Emise un sospiro di sollievo: aveva preso di mira quella donna d’affari per una ragione, e il suo istinto non si era sbagliato. Aveva Skype installato sul cellulare e un account collegato a un numero americano. Apr? il browser internet del telefono, cerc? il numero di Pap’s Deli nel Bronx e chiam?. Una giovane voce maschile rispose in fretta. “Pap’s, come posso aiutarvi?” “Ronnie?” Uno dei suoi studenti dell’anno precedente lavorava part time nella rosticceria che preferiva. “Sono il professor Lawson.” “Ehi, prof!” rispose allegramente il giovane uomo. “Come va? Vuole fare un ordine d’asporto?” “No. S?… pi? o meno. Ascolta, ho bisogno di un enorme favore, Ronnie.” Pap’s Deli era a soli sei isolati da casa sua. Quando era bel tempo, andava a piedi per prendere i panini. “Hai Skype sul tuo cellulare?” “S??” rispose Ronnie, con un tono confuso nella voce. “Bene. Ecco quello che mi serve che tu faccia. Scriviti questo numero…” Disse al ragazzo di correre a casa sua, vedere chi ci fosse, se c’era qualcuno, e richiamare il numero americano su quel telefono. “Professore, ? nei guai?” “No, Ronnie, va tutto bene,” ment?. “Ho perso il mio telefono e una donna gentile mi sta lasciando usare il suo per far sapere alle ragazze che sto bene. Ma ho solo qualche minuto. Quindi se potessi…” “Non dica altro, prof. Felice di aiutarla. La richiamo tra qualche minuto.” Ronnie riappese. Mentre aspettava, Reid cammin? avanti e indietro sotto il tendone, controllando il telefono ogni manciata di secondi per non perdere la chiamata. Gli sembr? che fosse passata un’ora prima che suonasse di nuovo, anche se in realt? si tratt? solo di sei minuti. “Pronto?” rispose alla chiamata su Skype al primo squillo. “Ronnie?” “Reid, sei tu?” Un’agitata voce femminile. “Linda!” disse senza fiato lui. “Sono cos? felice che tu sia l?. Ascolta, devo sapere…” “Reid, che cosa ? successo? Dove sei?” volle sapere la donna. “Le ragazze, sono a…” “Che cosa ? successo?“ lo interruppe Linda. “Le ragazze si sono svegliate questa mattina, sono andate gi? di testa perch? eri sparito, quindi mi hanno chiamata e io mi sono precipitata…” “Linda, ti prego,” cerc? di intervenire, “dove sono?” Lei continu? a parlargli sopra, chiaramente turbata. Linda aveva molte buone qualit?, ma la lucidit? nei momenti di crisi non era fra di esse. “Maya ha detto che a volte vai a fare delle passeggiate al mattino, ma sia la porta davanti che quella sul retro erano spalancate, e lei voleva chiamare la polizia perch? non lasci mai il cellulare a casa, e ora arriva questo ragazzo della rosticceria e mi d? il suo telefono…?” “Linda!” sibil? seccamente Reid. Due uomini anziani che passavano di l? sobbalzarono al suo scoppio. “Dove sono le ragazze?” “Sono qui,” ansim? la donna. “Sono entrambe qui, a casa insieme a me.” “Sono al sicuro?” “S?, certo. Reid, che cosa sta succedendo?” “Hai chiamato la polizia?” “Non ancora, no… alla televisione dicono che bisogna aspettare ventiquattro ore per poter segnalare qualcuno come disperso… Sei finito nei guai? Da dove mi stai chiamando? Che account ? questo?” “Non te lo posso dire. Ascoltami e basta. Di’ alle ragazze di preparare una valigia e portale in albergo, ma non in uno vicino, esci dalla citt?. Magari nel Jersey…” “Reid, cosa?” “Il mio portafoglio ? sulla scrivania dell’ufficio. Non usare direttamente la carta di credito. Prendi prima del denaro contante da tutte le carte che ci sono e usalo per pagare l’albergo. Non dare una data per il check out.” “Reid! Non ho intenzione di fare niente fino a quando non mi dici che cosa… aspetta un secondo.” La voce di Linda si fece soffocata e distante. “S?, ? lui. Sta bene. Almeno credo. Aspetta, Maya!” “Pap?? Pap?, sei tu?” Una nuova voce a telefono. “Che cosa ? successo? Dove sei?” “Maya! Io, uh, ho dovuto sbrigare una faccenda, ? stata una cosa estremamente all’ultimo minuto. Non ho voluto svegliarti….” “Mi stai prendendo in giro?” La sua voce era stridula, agitata e preoccupata allo stesso tempo. “Non sono stupida, pap?. Dimmi la verit?.“ Lui sospir?. “Hai ragione. Mi dispiace. Non posso dirti dove sono, Maya, e non dovrei rimanere a telefono tanto a lungo. Solo, fai quello che dice tua zia, okay? Dovrete stare fuori di casa per un po’. Non andate a scuola. Non girate da sole. Non parlate di me a telefono o per computer. Hai capito?” “No, non capisco! Hai dei problemi? Dovremmo chiamare la polizia?” “No, non farlo,” disse lui. “Non ancora. Dammi solo un po’ di tempo per sistemare questa faccenda.” Lei rimase in silenzio per un lungo momento. Poi disse: “Promettimi che stai bene.” Reid sussult?. “Pap??” “S?,” rispose forzatamente. “Sto bene. Ti prego, fai quello che ti ho chiesto e vai con la zia Linda. Voglio bene a entrambe, di’ a Sara che te l’ho detto, e abbracciala per me. Vi contatter? non appena potr?.” “Aspetta, aspetta,” lo ferm? Maya. “Come farai a contattarci se non saprai dove siamo andate?” Ci riflett? per un istante. Non poteva chiedere a Ronnie di compromettersi pi? di cos?. Non poteva chiamare direttamente le ragazze. E non poteva rischiare di sapere dove fossero, perch? avrebbero potute essere usate come merce di scambio contro di lui… “Creer? un finto account,” propose Maya, “sotto un altro nome. Tu sai quale ?. Io ci entrer? solo dal computer dell’albergo. Se vuoi contattarci, manda un messaggio.” Reid cap? al volo. Fu colto da un’ondata di orgoglio; era cos? intelligente, e molto pi? lucida sotto pressione di quanto avrebbe osato sperare. “Pap??” “S?,” disse lui. “Va bene. Prenditi cura di tua sorella. Devo andare…” “Anche io ti voglio bene,” rispose Maya. Reid chiuse la chiamata. Poi tir? su con il naso. Eccolo di nuovo, l’istinto bruciante di correre a casa da loro, di tenerle al sicuro, di mettere in valigia tutto quello che potevano e andarsene, via lontano… Non poteva farlo. Di qualunque cosa si trattasse, chiunque fosse che gli stava dando la caccia, lo avevano trovato una volta. Era stata una fortuna che non volessero anche le sue figlie. Forse non sapevano di loro. La prossima volta, se ci fosse stata, forse non avrebbe avuto tanta fortuna. Reid apr? il telefono, ne entrasse la carta SIM e la spezz? in due. Lasci? cadere i pezzi in un tombino. Mentre si incamminava in strada, lasci? la batteria in un cestino del pattume, e le due met? del telefono in altri cestini. Sapeva che era genericamente diretto verso Rue de Stalingrad, anche se non aveva idea di che cosa avrebbe fatto una volta che ci fosse arrivato. Il suo cervello gridava di cambiare direzione, di andare ovunque tranne che l?. Ma il sangue freddo che pervadeva il suo subconscio lo spinse ad avanzare. I suoi rapitori gli avevano chiesto che cosa sapeva dei loro ‘piani’. I posti di cui gli avevano domandato, Zagreb e Madrid e Teharan, dovevano essere collegati, ed erano chiaramente legati anche agli uomini che lo avevano catturato. Qualunque cosa fossero quelle visioni—ancora si rifiutava di ammettere che fossero altro—c’era in esse la conoscenza di qualcosa che era gi? successo o che stava per accadere. Una conoscenza che non aveva saputo di possedere. Pi? ci pensava, pi? sentiva una certa urgenza sospingerlo dal fondo della sua mente. No, era pi? di quello. Era un obbligo. A quanto pareva i suoi rapitori erano stati disposti a ucciderlo per quello che sapeva. E lui aveva la sensazione che se non avesse scoperto di che cosa si trattava e che cosa avrebbe dovuto sapere, molta pi? gente sarebbe morta. “Monsieur.” Reid fu strappato dai suoi pensieri da una donna in carne con uno scialle, che gli tocc? gentilmente il braccio. “Sta sanguinando,” disse lei in inglese, e si indic? il sopracciglio. “Oh. Merci.” Lui si port? due dita alla fronte. Un piccolo taglietto gli aveva impregnato la benda e una goccia di sangue gli stava colando lungo il viso. “Devo trovare una farmacia,” borbott? ad alta voce. Rimase senza fiato quando fu colpito da un pensiero: c’era una farmacia a due isolati di distanza. Non c’era mai entrato, secondi i ricordi della sua memoria infida, ma semplicemente lo sapeva, con la stessa facilit? con cui conosceva il percorso per arrivare al Pap’s Deli. Gli corse un brivido dalla base della spina dorsale fino al collo. Le altre visioni erano state viscerali, e si erano manifestate tutte in seguito a qualche stimolo esterno, come una visione, suoni e persino odori. Quella volta non c’era stata nessuna visione. Era semplicemente un ricordo, proprio come aveva saputo dove andare davanti a ogni cartello stradale. Lo stesso modo in cui sapeva come caricare una Beretta. Prese una decisione prima che il semaforo diventasse verde. Sarebbe andato a quell’incontro e avrebbe ottenuto qualsiasi informazione fosse stato possibile. Poi avrebbe deciso cosa farci, se fare rapporto alle autorit?, e scagionarsi riguardo alla morte dei quattro uomini nello scantinato. Lasciare che la polizia facesse il suo mestiere mentre lui tornava a casa dalle sue figlie. In farmacia, compr? un tubetto di supercolla, una scatola di cerotti a farfalla, dei tamponi di cotone e un fondotinta del colore del suo incarnato. Port? i suoi acquisti in bagno e chiuse la porta. Si tolse le bende che si era messo goffamente all’appartamento e si lav? il sangue incrostato dalle ferite. Sui tagli pi? piccoli applic? i cerotti a farfalla. Su quelli pi? profondi, che normalmente avrebbero richiesto dei punti, strinse insieme la pelle e vi deposit? una goccia di supercolla, sibilando tra i denti per tutto il tempo. Poi trattenne il fiato per circa trenta secondi. La colla bruciava, ma man mano che si asciugava smise di infastidirlo. Alla fine si pass? il fondotinta sul volto, in particolare sulle opere dei suoi sadici ex rapitori. Non era possibile riuscire a mascherare l’occhio gonfio e la mascella livida, ma almeno cos? meno gente lo avrebbe fissato per la strada. L’intero procedimento impieg? mezz’ora, e due volte in quell’arco di tempo dei clienti gli bussarono alla porta (la seconda, una donna aveva gridato in francese che il figlio stava per scoppiare). Entrambe le volte, Reid aveva gridato: “Occup?!” Alla fine, quando ebbe concluso, si riguard? allo specchio. Era tutt’altro che perfetto, ma almeno non sembrava che fosse stato brutalizzato in una sala delle torture sotterranea. Si chiese se non avrebbe fatto meglio a scegliere un fondotinta pi? scuro, qualcosa che lo avrebbe fatto sembrare straniero. La persona con cui aveva parlato sapeva con chi avrebbe dovuto incontrarsi? Avrebbe riconosciuto chi era, o meglio, chi pensavano che lui fosse? I tre uomini che erano andati a casa sua non erano sembrati molto sicuri, lo avevano persino confrontato con una fotografia. “Che cosa sto facendo?” si chiese. Ti stai preparando per un incontro con un pericoloso criminale che probabilmente ? un noto terrorista, disse la voce nella sua testa, e non la nuova coscienza invadente, ma la sua, quella di Reid Lawson. Era il suo stesso buon senso, che si prendeva gioco di lui. Poi la personalit? pacata e sicura di s?, quella appena sotto la superficie, parl?. Andr? tutto bene, gli disse. Non ? niente che tu non abbia gi? fatto. Istintivamente port? la mano al calcio della Beretta infilata dietro ai suoi pantaloni, nascosta dalla nuova giacca. Sai come comportarti. Prima di uscire dalla farmacia, compr? qualche altro oggetto: un orologio economico, una bottiglia d’acqua e due tavolette di cioccolato. Fuori sul marciapiede, divor? entrambe le barrette. Non era certo di quanto sangue avesse perso e voleva tenere alti i livelli di zucchero. Scol? l’intera bottiglietta d’acqua e poi chiese l’ora a un passante. Sistem? l’orologio e se lo infil? al polso. Erano le sei e mezza. Aveva tutto il tempo per arrivare al luogo d’incontro in anticipo e prepararsi. * Si era quasi fatto buio quando raggiunse l’indirizzo che gli era stato dato per telefono. Il tramonto su Parigi lanciava lunghe ombre sui viali. Rue de Stalingrad 187 corrispondeva a un bar nel decimo arrondissement chiamato F?line, un postaccio con le finestre dipinte di nero e la facciata malmessa. Era in una strada altrimenti popolata da studi d’arte, ristoranti indiani e bar boh?mien. Reid si ferm? con una mano sulla porta. Una volta entrato non sarebbe pi? potuto tornare indietro. Ancora poteva andarsene. No, decise, invece non poteva. Dove sarebbe andato? A casa, per farsi ritrovare di nuovo? E a vivere con quelle strane visioni nella testa? Entr?. Le pareti del bar erano dipinte di nero e coperte di poster anni ’50 con donne dal volto severo, portasigarette e silhouette. Era troppo presto, o forse troppo tardi, perch? il posto fosse affollato. I pochi clienti all’interno parlavano a bassa voce, curvi con aria protettiva sui loro drink. Una melanconica musica blues suonava dolcemente da uno stereo dietro il bancone del bar. Reid controll? tutto il posto, da destra a sinistra e poi da capo. Nessuno guard? verso di lui, e di certo nessuno somigliava ai tipi che lo avevano rapito. Si accomod? a un tavolino sul fondo e si sedette guardando verso la porta. Ordin? un caff?, anche se per lo pi? lo lasci? fumare davanti a s?. Un vecchio uomo curvo scese dal suo sgabello e si avvi? zoppicando verso i bagni. Reid si scopr? ipnotizzato dal suo movimento e studi? l’uomo. Sulla sessantina. Displasia dell’anca. Dita ingiallite, respiro pesante: un fumatore di sigari. Senza spostare la testa il suo sguardo corse dall’altro lato del bar, dove due uomini dall’aria burbera e in tute da lavoro stavano avendo una conversazione sussurrata ma concitata sullo sport. Operai. Quello sulla sinistra non dorme abbastanza, probabilmente ha dei figli piccoli. L’uomo sulla destra ? stato in una rissa di recente, o almeno ha dato un pugno, dato che le sue nocche sono ferite. Senza pensare, si ritrov? a esaminare gli orli dei loro pantaloni, le loro maniche, il modo in cui appoggiavano i gomiti sul tavolo. Qualcuno con una pistola cercherebbe di proteggerla, di nasconderla, anche inconsciamente. Reid scosse la testa. Stava diventando paranoico, e quei pensieri persistenti ed estranei non lo stavano aiutando. Poi si ricord? lo strano avvenimento della farmacia, come si fosse ricordato di un posto solo dopo aver detto ad alta voce che gliene serviva uno. Lo studioso dentro di lui intervenne. Forse c’? qualcosa che puoi imparare da questa consapevolezza. Forse invece di combatterla, dovresti provare ad aprirti a essa. La cameriera era una giovane donna dall’aria stanca con una gran massa di capelli scuri e arruffati. “Stylo?” le chiese quando gli pass? vicino. “Ou crayon?” Penna o matita? Lei infil? una mano in mezzo ai capelli e ne estrasse una penna. “Merci.” Spian? un tovagliolo da cocktail e ci appoggi? sopra la punta della penna. Quella non era una nuova abilit? di origine sconosciuta, bens? una tecnica del professor Lawson, una che aveva usato molte volte in passato per rafforzare la memoria. Ripens? alla conversazione, se cos? poteva definirla, con i tre rapitori arabi. Cerc? di non pensare ai loro occhi morti, al sangue per terra, o alla vaschetta di strumenti affilati per tagliargli di dosso qualsiasi verit? credessero che avesse. Invece si concentr? sui dettagli verbali e scrisse il primo nome che gli torn? in mente. Poi lo borbott? ad alta voce. “Sceicco Mustafar.” Una prigione segreta in Marocco. Un uomo che ha passato tutta la sua vita in mezzo alle ricchezze e al potere, calpestando i meno fortunati di lui e schiacciandoli sotto le sue scarpe, ora ? terrorizzato perch? sa che potrebbero seppellirlo fino al collo nella sabbia e nessuno avrebbe mai ritrovato le sue ossa. “Vi ho detto tutto quello che so!” insiste. Come no. “Le mie fonti dicono altrimenti. Dicono che potresti sapere molto di pi?, ma che forse hai paura delle persone sbagliate. Ecco cosa ti dico, sceicco… il mio amico nella stanza qui vicina?  Si sta innervosendo. Vedi, lui ha questo martello… ? una cosetta, davvero, un martello da roccia, come quello che userebbe un geologo? Ma fa meraviglie sulle ossa pi? piccole, sulle nocche…” “Lo giuro!” Lo sceicco si stringe le mani ansioso. Lo riconosci come un segnale. “Ci sono state altre conversazioni sui piani, ma erano in tedesco, in russo… io non le ho capite!” “Lo sai, sceicco, un proiettile ha lo stesso suono in ogni lingua.” Reid torn? di colpo al fetido baretto. Si sentiva la gola secca. Il ricordo era stato intenso, vivido e lucido come tutti gli altri. Ed era stata la sua voce a parlare, a minacciare con facilit?, pronunciando cose che non si sarebbe mai sognato di dire a un’altra persona. Piani. Lo sceicco aveva definitivamente detto qualcosa su dei piani. Qualsiasi cosa tremenda stesse sospingendo il suo inconscio, aveva la netta sensazione che ancora non fosse successa. Prese un sorso del caff? ormai tiepido per calmare i nervi. “Okay,” disse a se stesso. “Okay.” Durante l’interrogatorio nello scantinato, gli avevano chiesto le identit? di altri agenti attivi, e tre nomi gli erano lampeggiati nella mente. Ne scrisse uno, e poi lo lesse ad alta voce. “Morris.” Un aeroporto privato a Zagreb. Morris sta correndo di fianco a te. Entrambi avete le pistole in pugno, con la canna puntata verso il basso. Non potete lasciare che i due iraniani raggiungano l’aereo. Morris prende la mira tra una falcata e un’altra e spara due volte. Un colpo arriva a segno a un polpaccio e il primo uomo cade. Tu ti avvicini all’altro, abbattendolo brutalmente al suolo… Un altro nome. “Reidigger.” Un sorriso giovanile, capelli pettinati accuratamente. Un po’ di pancetta. Il peso non gli sarebbe stato male addosso con qualche centimetro di pi? d’altezza. Il bersaglio di molti scherzi, ma li sopportava con pazienza. Il Ritz a Madrid. Reidigger copre la hall mentre tu abbatti la porta a calci e prendi il terrorista di sorpresa. L’uomo cerca di prendere la pistola sul com?, ma tu sei pi? veloce. Gli spezzi il polso… Pi? tardi Reidigger ti dir? che ha sentito il rumore da fuori nel corridoio. Gli ha dato la nausea. Tutti ridono. Il caff? ormai era freddo, ma Reid quasi non lo not?. Gli tremavano le dita. Non c’era alcun dubbio: qualsiasi cosa gli stesse succedendo, quelli erano dei ricordi… i suoi ricordi. O quelli di qualcuno. I rapitori, gli avevano tagliato qualcosa dal collo e lo avevano chiamato un soppressore dalla memoria. Non poteva essere vero; quello non era lui. Era qualcun altro. Aveva i ricordi di qualcun altro mescolati ai suoi. Reid appoggi? di nuovo la punta della penna al tovagliolo e scrisse l’altro nome. Lo pronunci? ad alta voce: “Johansson.” Una forma gli apparve nella mente. Lunghi capelli biondi, lisci e lucidi. Zigomi rotondi e alti. Labbra piene. Occhi grigi, del colore dell’ardesia. Una visione lampeggi?… Milano. Notte. Un albergo. Vino. Maria ? seduta sul letto con le gambe incrociate sotto di s?. I primi tre bottoni della camicetta sono aperti. I capelli sono spettinati. Non avevi mai notato quanto fossero lunghe le sue ciglia. Due ore prima l’hai guardata uccidere due uomini in una sparatoria, e ora bevete Sangiovese e mangiate Pecorino toscano. Le vostre ginocchia quasi si toccano. Il suo sguardo incontra il tuo. Nessuno di voi due parla. Lo vedi nei suoi occhi, ma lei sa che non puoi farlo. Ti chiede di Kate… Reid sussult? sentendo montare un gran mal di testa, che gli si allarg? nel cranio come una nube temporalesca. Allo stesso tempo, la visione si sfoc? e svan?. Strinse gli occhi e si premette le tempie per un minuto intero prima che il mal di testa diminuisse. Che diavolo ? stato quello? Per qualche motivo sembrava che il ricordo della donna, Johansson, gli avesse provocato una breve emicrania. Ancora pi? disturbante, tuttavia, fu la strana sensazione che lo colse mentre il mal di testa gli passava. Era come… desiderio. No, era pi? di quello, sembrava passione, rinforzata dall’eccitazione e persino dal pericolo. Non riusc? a evitare di chiedersi chi fosse la donna, ma poi si riscosse. Non voleva provocarsi un altro mal di testa. Invece appoggi? di nuovo la penna sul tovagliolo, per scrivere l’ultimo nome: Zero. Era in quella maniera che l’aveva chiamato l’interrogatore iraniano. Ma prima che potesse scriverlo o recitarlo, prov? una sensazione bizzarra. Gli si rizzarono tutti i peli del collo. Qualcuno lo stava guardando. Quando alz? lo sguardo, vide un uomo in piedi all’ingresso del F?line, gli occhi puntati su Reid come un falco che stesse dando la caccia a un topo. Gli si gel? il sangue. Lo stava osservando. Era quello l’uomo che doveva incontrare, ne era certo. Lo aveva riconosciuto? Gli uomini arabi non sembravano averlo fatto. Che quello sconosciuto stesse aspettando qualcun altro? Appoggi? la penna. Lentamente e senza dare nell’occhio, accartocci? il tovagliolo e lo lasci? cadere nella tazzina di caff? mezza piena. L’uomo annu? una volta. Lui annu? in risposta. Poi lo sconosciuto port? una mano dietro la schiena, per prendere qualcosa infilato nel retro dei pantaloni. CAPITOLO CINQUE Reid si alz? con tanta forza che la sedia quasi cadde all’indietro. Immediatamente la mano gli and? al calcio ruvido della Beretta, riscaldato dalla sua schiena. La sua mente gli stava gridando freneticamente: Questo ? un luogo pubblico. Ci sono delle persone qui. Non ho mai usato una pistola. Prima che Reid potesse estrarre l’arma, lo sconosciuto prese un portafoglio dalla tasca dietro i pantaloni. Gli sorrise, apparentemente divertito dal suo nervosismo. Nessun altro nel bar pareva averlo notato, a parte la cameriera con i capelli arruffati, che si era limitata a sollevare un sopracciglio. Lo sconosciuto si avvicin? al bancone, allung? una banconota e borbott? qualcosa al barista. Poi si diresse al tavolo di Reid. Rimase fermo in piedi dietro la sedia libera per un lungo momento, un ghigno sulle labbra. Era giovane, doveva aver massimo trent’anni, con capelli tagliati corti e l’accenno di una barba. Era magro e la sua faccia era scavata, tanto che gli zigomi alti e il mento sporgente lo facevano sembrare una caricatura. Il dettaglio pi? disarmante erano gli occhiali dalla montatura nera che portava, che davano l’impressione che Buddy Holly fosse cresciuto negli anni ’80 e avesse scoperto la cocaina. Era destrorso, si vedeva; teneva il gomito sinistro vicino al corpo, che probabilmente significava che aveva una pistola nella fondina da spalla che gli pendeva sotto l’ascella, per poterla estrarre con la destra se ne avesse avuto bisogno. Con la mano sinistra teneva ferma la giacca di velluto nero per nascondere l’arma. “Mogu sjediti?” chiese alla fine l’uomo. Mogu…? Reid non lo cap? subito, come era stato invece per l’arabo e il francese. Non era russo, ma ci andava tanto vicino da poter intuire il significato aiutandosi con il contesto. L’uomo stava chiedendo se poteva sedersi. Gli indic? la sedia libera davanti a s? e l’uomo si accomod?, tenendo sempre il gomito sinistro attaccato al corpo. Non appena fu seduto, la cameriera gli port? un bicchiere di birra scura e l’appoggi? davanti a lui. “Merci,” disse. Sorrise a Reid. “Non parli il serbo?” Reid scosse la testa. “No.” Serbo? Aveva dato per scontato che l’uomo con cui si sarebbe incontrato sarebbe stato arabo, come i suoi rapitori e l’interrogatore. “In inglese, allora? Ou francais?” “A tua scelta.” Reid era sorpreso da quanto sembrasse calma e rilassata la sua voce. Il cuore gli stava per esplodere dal petto per la paura e… e se doveva essere sincero, anche per un tocco di eccitazione nervosa. Il sorriso dell’uomo serbo si allarg?. “Mi piace questo posto. ? buio. ? tranquillo. ? l’unico bar che conosco in questo arrondissement che serve la Franziskaner. ? la mia preferita.” Prese una lunga sorsata dal bicchiere, con gli occhi chiusi, e gli sfugg? un grugnito di piacere. “Que deliciosa.” Apr? gli occhi e aggiunse: “Non sei quello che mi aspettavo.” Un’ondata di panico si alz? nel ventre di Reid. Lo sa, gli grid? la sua mente. Lo sa che non sei tu quello con cui si sarebbe dovuto incontrare, e ha una pistola. Rilassati, disse l’altra voce, quella nuova. Sai quello che devi fare. Reid deglut?, ma in qualche modo riusc? a mantenere un contegno sdegnoso. “Neanche tu,” rispose. Il serbo ridacchi?. “Mi sembra giusto. Ma siamo tanti, s?? E tu… tu sei americano?” “Espatriato,” replic? Reid. “Non lo siamo tutti?” Un’altra risatina. “Prima di te ho incontrato solo un altro americano nel nostro, uhm… quale ? la parola… conglomerato? S?. Quindi per me non ? cos? strano.” L’uomo gli fece un occhiolino. Reid si tese. Non riusciva a capire se era una battuta o meno. E se avesse capito che era l’uomo sbagliato e lo stava solo prendendo in giro o guadagnando tempo? Si appoggi? le mani in grembo per nascondere le dita tremanti. “Mi puoi chiamare Yuri. Come posso chiamare te?” “Ben.” Era il primo nome che gli era venuto in mente, quello di un mentore dei tempi in cui era assistente. “Ben. Come sei arrivato a lavorare per gli iraniani?” “Con,” lo corresse Reid. Strinse gli occhi per un maggiore effetto. “Io lavoro con loro.” L’uomo, Yuri, prese un altro sorso della sua birra. “Certo. Con. Come ? successo? Nonostante i nostri interessi comuni, tendono a essere un… ah, un gruppo chiuso.” “Sono affidabile,” rispose Reid senza battere ciglio. Non aveva idea da dove venissero quelle parole, n? la convinzione con cui le pronunciava. Le disse come se le avesse provate e riprovate. “E dove ? Amad?” chiese casualmente Yuri. “Non ? potuto venire,” rispose calmo Reid. “Ti manda i suoi saluti.” “Va bene, Ben. Hai detto che la missione ha avuto successo.” “S?.” Yuri si tese in avanti, socchiudendo gli occhi. Reid sentiva l’odore del malto nel suo fiato. “Ho bisogno di sentirtelo dire, Ben. Dimmi, l’uomo della CIA ? morto?” Reid si paralizz? per un istante. CIA? Cio?, la CIA? All’improvviso tutti i discorsi su agenti in campo e le visioni di terroristi catturati in aeroporti e in albergo acquistarono un senso, anche se la situazione generale rimaneva nebulosa. Poi si riscosse e sper? di non aver lasciato trasparire niente che lo avesse tradito. Anche lui si sporse in avanti e disse lentamente: “S?, Yuri, l’uomo della CIA ? morto.” Yuri si appoggi? allo schienale della sedia con calma e sorrise di nuovo. “Bene.” Sollev? il bicchiere. “E le informazioni? Le hai?” “Ci ha detto tutto quello che sapeva,” gli conferm? Reid. Non pot? fare a meno di notare che le sua dita non tremavano pi? sotto il tavolo. Era come se qualcun altro fosse in controllo, e Reid Lawson avesse ceduto le redini del suo stesso cervello. Decise di non opporsi. “L’ubicazione di Mustafar?” chiese Yuri. “E tutto quello che gli ha detto?” Reid annu?. Yuri batt? le palpebre ripetutamente, in attesa. “Sto aspettando.” Un’idea si fece largo nella mente di Reid, mentre metteva insieme le poche conoscenze che aveva. La CIA era coinvolta. C’era un qualche piano che avrebbe potuto uccidere molte persone. Lo sceicco lo sapeva, e aveva detto a loro, a lui, tutto quanto. Quegli uomini volevano sapere che cosa aveva detto lo sceicco. Ecco a cosa era interessato Yuri. Qualsiasi cosa fosse, doveva essere una grossa faccenda e Reid ci era finito in mezzo… anche se aveva la sensazione che non fosse la prima volta che capitava. Non disse nulla per un lungo momento, abbastanza lungo perch? il sorriso di Yuri evaporasse in una smorfia a denti stretti. “Io non ti conosco,” disse poi Reid. “Non so chi rappresenti. Ti aspetti che ti dica tutto quello che so e poi me ne vada via, fidandomi che vada tutto per il verso giusto?” “S?,” rispose Yuri. “? esattamente quello che mi aspetto, e precisamente la ragione di questo incontro.” Reid scosse la testa. “No. Vedi, Yuri, sto pensando che questa informazione ? troppo importante per giocare al telefono senza fili e sperare che arrivi alle orecchie giuste e nel modo giusto. Inoltre per quel che mi riguarda, c’? solo un posto in cui esiste, vale a dire proprio qui.” Si tocc? la tempia sinistra. Era vero, le informazioni che stavano cercando erano, presumibilmente da qualche parte in fondo alla sua mente, in attesa di essere sbloccate. “Sto anche pensando,” continu?, “che ora che ho questa informazione, i nostri piani cambieranno. Mi sono stancato di fare il messaggero. Voglio entrarci. Voglio un vero ruolo.” Yuri si limit? a fissarlo. Poi scoppi? in una risata secca e rumorosa, colpendo allo stesso tempo il tavolo con tanta forza da far sobbalzare gli altri clienti. “Tu!” esclam?, agitando un dito. “Sarai anche un espatriato, ma hai ancora l’ambizione americana!” Rise di nuovo, un verso che ricordava da vicino quello di un asino. “Che cosa ? che vuoi sapere, Ben?” “Iniziamo con chi rappresenti tu in questa storia?” “Come fai a sapere che rappresento qualcuno? Per quel che ne sai tu, potrei essere io il capo. La mente dietro il piano criminale!” Sollev? entrambe le mani in un gesto plateale e rise di nuovo. Reid sogghign?. “Non credo. Penso che tu sia nella mia stessa situazione, un messaggero, portatore di segreti, che si incontra per scambiare notizie in bar di quart’ordine.” Tattica di interrogatorio: mettiti al loro stesso livello. Yuri era chiaramente un poliglotta e non sembrava avere lo stesso atteggiamento temprato dei suoi rapitori. Ma anche se era di basso livello, sapeva pi? di Reid. “Che ne dici di fare un patto? Tu mi dici quello che sai, e io di dico quello che so.” Abbass? la voce in un sussurro. “E credimi, le mie informazioni ti interessano.” Yuri si accarezz? il mento ruvido pensieroso. “Mi piaci, Ben. Che ?, come si dice, uhm, un contrasto, perch? di solito gli americani mi danno la nausea.” Sorrise. “Purtroppo per te, non posso dirti quello che non so.” “Allora indicami chi pu? farlo.” Le parole uscirono dalla sua bocca senza neanche passare per il cervello, direttamente dalla gola. La parte pi? logica di Reid (o pi? appropriatamente, la parte Lawson di lui) grid? in protesta. Che cosa stai facendo?! Fatti dire quello che sa ed esci da qui! “Vorresti venire a fare un giro in auto con me?” Gli occhi di Yuri lampeggiarono. “Ti porter? a vedere il mio capo. L? potrai dirgli quello che sai.” Reid esit?. Sapeva che non avrebbe dovuto. Sapeva che non voleva farlo. Ma c’era quel bizzarro senso di obbligo, e quella volont? ferrea in fondo alla sua mente che continuava a dirgli: Rilassati. Aveva una pistola. Aveva le competenze. Era arrivato fino a quel punto e a giudicare da quello che aveva imparato, si trattava di un affare pi? grosso di qualche uomo iraniano in uno scantinato di Parigi. C’era un piano, il coinvolgimento della CIA, ed era ovvio che lo scopo finale era la morte di molte persone. Annu? seccamente, a denti stretti. “Fantastico,” Yuri scol? il suo bicchiere e si alz?, continuando a tenere il gomito sinistro contro il corpo. “Au revoir.” Fece un cenno di saluto al barista. Poi il serbo lo guid? fino al retro del F?line, attraverso una piccola cucina lurida, e fuori da una porta d’acciaio che dava su un vicolo tutto in ciottoli. Reid lo segu? nella notte, sorpreso che fuori si fosse fatto tanto buio mentre era nel bar. All’imbocco del vicolo c’era un SUV nero, in sosta, con i finestrini scuri quanto la sua vernice. La porta sul retro si apr? prima ancora che Yuri lo raggiungesse, e ne uscirono due scagnozzi. Reid non avrebbe saputo come altro definirli; entrambi avevano le spalle larghe, un’aria imponente e non facevano nulla per nascondere le pistole automatiche TEC-9 che pendevano dalle fondine sotto le loro ascelle. “Calmatevi, amici miei,” intervenne Yuri. “Questo ? Ben. Lo portiamo a vedere Otets.” Otets. In russo il “padre”. O, a livello pi? tecnico, il “creatore”. “Vieni,” gli disse amichevolmente Yuri. Batt? una mano sulla spalla di Reid. “Sar? un viaggio piacevole. Beviamo un po’ di champagne. Vieni.” Le gambe di Reid non volevano funzionare. Era pericoloso, troppo pericoloso. Se fosse salito in auto con quegli uomini e loro avessero scoperto chi era, o anche che non era chi aveva detto di essere, sarebbe stato un uomo morto. Le sue figlie sarebbero rimaste orfane, e probabilmente non avrebbero mai saputo che ne era stato di lui. Ma che altra scelta aveva? Non poteva dire che aveva cambiato idea all’improvviso, sarebbe stato sospetto. Aveva gi? superato il punto di non ritorno seguendo Yuri fino a l?. E se avesse saputo mantenere la finzione abbastanza a lungo, avrebbe trovato la fonte e magari anche scoperto che cosa stava succedendo nella sua stessa testa. Fece un passo verso il SUV. “Ah! Un momento, por favor.” Yuri agit? un dito verso la sua muscolosa scorta. Uno dei due gorilla costrinse Reid a sollevare le braccia sui fianchi, mentre l’altro lo perquisiva. Prima trov? la Beretta, infilata dietro i pantaloni. Poi infil? due dita nelle sue tasche e ne estrasse la mazzetta di euro e il telefono usa e getta, per tenderli verso Yuri. “Questi puoi tenerli.” Il serbo gli restitu? il denaro. “Questi invece, li teniamo noi. Sicurezza. Tu capisci.” Yuri fece svanire cellulare e pistola in una tasca interna della giacca di velluto, e per un brevissimo istante Reid vide il calcio marrone di un’arma. “Capisco,” rispose. Cos? era disarmato e senza alcun modo di chiamare aiuto se gli fosse servito. Dovrei scappare, pens?. Iniziare a correre senza guardarmi indietro… Uno dei due scagnozzi lo costrinse a chinare la testa e ad avanzare nel retro del SUV. Entrambi salirono dopo di lui e Yuri li segu?, chiudendosi la portiera alle spalle. Si sedette accanto a Reid, mentre i gorilla incurvati, praticamente spalla contro spalla, sedevano nei sedili custom rivolti verso di loro, proprio dietro l’autista. Un vetro tinto di nero li separava da sedili davanti dell’auto. Uno dei due buss? sul vetro dell’autista con due nocche. “Otets,” disse bruscamente. Un secco click segnal? la chiusura delle portiere, e con esso arriv? la realizzazione di quello che Reid aveva fatto. Era salito in auto con tre uomini armati, senza avere alcuna idea di dove stesse andando e ancora di meno chi fosse lui stesso. Ingannare Yuri non era stato particolarmente difficile, ma adesso lo stava portando dal capo…. Avrebbe capito che non era chi diceva di essere? Lott? contro la tentazione di scattare avanti, aprire la porta e balzare gi? dall’auto. Non aveva vie di fuga, almeno non al momento. Avrebbe dovuto aspettare che arrivassero alla loro destinazione e sperare di uscirne tutto d’un pezzo. Il SUV avanz? nelle strade di Parigi. CAPITOLO SEI Yuri, che era stato tanto chiacchierone e animato dentro il bar francese, fu stranamente silenzioso durante il viaggio in auto. Apr? un compartimento lungo il sedile e ne estrasse un libro consumato e con la copertina strappata: il Principe di Machiavelli. Il professore dentro Reid avrebbe voluto sbuffare ad alta voce. I due scagnozzi seduti davanti a lui rimasero muti, con gli occhi fissi in avanti come se stessero cercando di trapanargli il cranio. Memorizz? rapidamente i loro lineamenti: l’uomo sulla sinistra era rasato, bianco, con scuri baffi a manubrio e occhietti piccoli e scintillanti. Aveva una TEC-9 sotto la spalla e una Glock 27 infilata in una fondina da caviglia. Una cicatrice pallida e frastagliata sopra il sopracciglio sinistro suggeriva un rattoppo grossolano (non troppo diverso da quella che avrebbe avuto Reid, una volta che fosse guarito dal suo intervento con la supercolla). La nazionalit? dell’uomo era indistinguibile. Il secondo scagnozzo era leggermente pi? scuro, con una barba folta e incolta e una grossa pancia. La spalla sinistra sembrava leggermente cadente, come se preferisse caricare il peso sul fianco opposto. Anche lui aveva una pistola automatica infilata sotto un braccio, ma nessun’altra arma che Reid riuscisse a vedere. Tuttavia aveva notato il marchio sul suo collo. La pelle era rosata e raggrinzita, leggermente rialzata per la bruciatura. Era lo stesso marchio che aveva visto sul gigante arabo nello scantinato. Un qualche genere di glifo, ne era certo, ma non uno che riuscisse a riconoscere. Sembrava che l’uomo con i baffi non l’avesse, anche se la maggior parte del suo collo era nascosta dalla maglietta. Neanche Yuri pareva avere il marchio, almeno non dove Reid potesse vederlo. Il colletto della giacca di velluto nero era piuttosto alto. Forse ? uno status symbol, pens?. Qualcosa che deve essere guadagnato. L’autista diresse il veicolo sull’A4, lasciandosi Parigi alle spalle e dirigendosi a nord-est verso Reims. Le finestre tinte rendevano la notte ancora pi? buia, una volta usciti dalla Citt? delle Luci, era difficile per Reid distinguere qualsiasi punto di riferimento. Dovette fare affidamento sui cartelli stradali per sapere dove erano diretti. Il panorama mut? da un luminoso ambiente urbano a una topografia bucolica e rilassata. L’autostrada seguiva le curve gentili del terreno e fattorie si alzavano da ogni lato. Dopo un’ora di viaggio in assoluto silenzio, Reid si schiar? la gola. “Ci vuole ancora molto?” chiese. Yuri si port? un dito alle labbra e poi sorrise. “Oui.” Reid allarg? le narici, ma non disse altro. Avrebbe dovuto chiedergli dove avevano intenzione di portarlo; per quel che ne sapeva erano diretti in Belgio. La Route A4 divenne l’A34, che a sua volta sfoci? nell’A304 man mano che salivano verso nord. Gli alberi che punteggiavano la campagna diventarono pi? grossi e fitti, enormi abeti presero il posto delle fattorie aperte racchiudendoli in una foresta. La pendenza della strada aument? e le colline gentili si trasformarono in piccole montagne. Conosceva quel posto. O meglio, conosceva la regione, e non per via delle visioni lampeggianti o delle sue memorie misteriose. Non era mai stato l?, ma sapeva dai suoi studi che avevano raggiunto le Ardenne, una zona montagnosa e ricca di foreste divisa tra la Francia nord-orientale, il Belgio meridionale e il Lussemburgo settentrionale. Era stato nelle Ardenne che l’esercito tedesco, nel 1944, aveva tentato di mandare le sue divisioni armate attraverso la foresta nel tentativo di catturare la citt? di Antwerp. Era stato ostacolato dalle forze americane e inglesi vicino al fiume Mosa. Il conflitto che ne era risultato era stato chiamato l’Offensiva delle Ardenne ed era stato l’ultimo importante attacco dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Per qualche motivo, nonostante la sua situazione fosse, o sarebbe potuta presto diventare, disastrosa, trov? una piccola misura di conforto nel pensare alla storia, alla sua vita passata e ai suoi studenti. Ma poi la sua mente torn? sulla possibilit? che le sue ragazze rimanessero da sole, spaventate e senza alcuna idea di dove fosse o in che guaio si fosse cacciato. Ben presto, Reid vide un cartello che segnalava l’avvicinarsi del confine. Belgique, diceva il cartello, e sotto Belgien, Belgi?, Belgium. Meno di due miglia dopo, il SUV rallent? fino a fermarsi a una piccola cabina con una copertura di cemento. Un uomo in un pesante cappotto e un cappello di lana sbirci? verso il veicolo. I controlli alla frontiera tra Francia e Belgio erano tutt’altra cosa rispetto a quello a cui erano abituati gli americani. L’autista abbass? il finestrino e parl? all’uomo, ma le sue parole furono soffocate dal vetro e dai finestrini sul retro. Reid scrut? attraverso la vernice che oscurava i vetri e vide il braccio dell’autista tendersi per passare qualcosa all’agente di confine: una banconota. Una bustarella. L’uomo con il cappello di lana li lasci? passare. Solo qualche miglio lungo la N5, il SUV usc? dall’autostrada per prendere una stradina stretta che passava parallela alla via principale. Non c’erano cartelli d’uscita e la strada stessa era a malapena pavimentata: era una via d’accesso, probabilmente creata per i mezzi per il disboscamento. L’auto sobbalz? sopra i tagli profondi scavati nella terra. I due scagnozzi si rimbalzarono addosso davanti a Reid, ma continuarono a fissarlo impassibili. Lui controll? l’economico orologio che aveva comprato in farmacia. Erano passate due ore e quarantasei minuti da quando si erano messi in viaggio. La notte prima era stato in America, poi si era risvegliato a Parigi, e ora era in Belgio. Rilassati, ripet? il suo subconscio. Non sono mete nuove per te. Fai solo attenzione e tieni la bocca chiusa. Su entrambi i lati della strada sembrava esserci solo una densa boscaglia. Il SUV continu?, salendo lungo il fianco di una montagna e poi scendendo di nuovo. Nel frattempo Reid guardava fuori dal finestrino, fingendosi disinteressato ma in realt? alla ricerca di qualsiasi segno o cartello che gli dicesse dove erano, possibilmente qualcosa che avrebbe potuto riportare in seguito alle autorit?, se ce ne fosse stato bisogno. Davanti apparvero luci, anche se da quell’angolazione non riusciva a vederne la fonte. Il SUV rallent? di nuovo fino a fermarsi. Reid vide una recinzione nera di ferro battuto, ogni palo con una punta acuminata, che si estendeva per ogni lato svanendo nell’oscurit?. Accanto alla loro auto c’era una piccola guardiola fatta di vetro e grossi mattoni, illuminata dall’interno da una luce fluorescente. Ne emerse un uomo. Indossava pantaloni eleganti e una giacca da marinaio, con il colletto alzato attorno al collo e una sciarpa grigia annodata attorno alla gola. Non fece alcun tentativo di nascondere il MP7 con silenziatore che gli pendeva da una cinghia sulla spalla destra. In effetti, mentre si avvicinava all’auto, strinse la pistola automatica, seppur senza alzarla. Heckler & Koch, variante di produzione del MP7A1, disse la voce della testa di Reid. Silenziatore da sette virgola uno pollice. Mirino reflex. Caricatore da trenta colpi. L’autista abbass? il finestrino e parl? con l’uomo per qualche secondo. Poi la guardia fece il giro del SUV e apr? la porta dal lato di Yuri. Si chin? e sbirci? nell’auto. Reid colse l’odore del whisky e fu colpito dalla ventata gelida che entr? con esso. L’uomo li guard? tutti, uno dopo l’altro, soffermandosi pi? a lungo su di lui. “Kommunikator,” disse Yuri. “Chtoby uvidet’ nachal’nika.” Russo. Messaggero, per vedere il capo. La guardia non disse nulla. Chiuse di nuovo la porta e torn? al suo posto, premendo un pulsante su una piccola console. Il cancello di ferro battuto ronz? mentre scivolava di lato, e il SUV entr?. A Reid si strinse la gola mentre la gravit? della situazione gli premeva addosso. Era andato all’incontro con l’intenzione di ottenere informazioni su qualsiasi cosa stesse capitando, non solo a lui, ma anche riguardo gli sceicchi, i piani e le citt? straniere. Era salito in auto con Yuri e due scagnozzi per trovare una fonte. Si era lasciato portare fuori dal paese e nel bel mezzo di una fitta foresta e ora erano dietro un’alta recinzione di ferro. Non aveva idea di come sarebbe potuto uscirne se le cose si fossero messe male. Rilassati. Lo hai gi? fatto prima. No, non ? vero! pens? disperatamente. Sono un professore del college di New York. Non so che cosa sto facendo. Perch? ho fatto una cosa del genere? Le mie ragazze… Lasciati andare. Saprai che cosa fare. Reid fece un respiro profondo, ma non calm? i suoi nervi. Sbirci? fuori dal finestrino. Nell’oscurit?, riusciva a malapena a distinguere l’ambiente circostante. Non c’erano alberi al di l del cancello, ma piuttosto file e file di robusti rampicanti, che si alzavano e si stringevano a pali di plastica alti fino alla vita… Era una vigna. Che fosse veramente un vigneto o fosse solo una facciata, non ne era sicuro, ma almeno era qualcosa di riconoscibile, che poteva essere visto da un elicottero o da un drone. Bene. Questo sar? utile in seguito. Se ci sar? un seguito. Il SUV si mosse lentamente sulla strada sterrata per un altro miglio circa, prima che finisse il vigneto. Davanti a loro si alzava un autentico palazzo, praticamente un castello, costruito in pietra grigia con finestre ad arco ed edera su tutta la facciata a sud. Per un brevissimo momento Reid apprezz? la magnifica architettura; doveva avere almeno duecento anni, forse di pi?. Ma non si fermarono l?; invece l’auto oltrepass? il palazzo e and? oltre. Dopo un altro mezzo miglio, si fermarono in un piccolo parcheggio e l’autista spense il motore. Erano arrivati. Dove fossero arrivati, Reid non ne aveva idea. Gli scagnozzi uscirono per primi, poi fu il turno di Reid, seguito da Yuri. Il freddo gelido gli tolse il fiato. Strinse la mascella per impedire ai denti di battere. La sua grossa scorta parve non esserne minimamente turbata. A circa quaranta metri da loro c’era una struttura larga e bassa, alta due piani ed estesa per l’equivalente di diversi appartamenti; non aveva finestre ed era fatta di lamiere d’acciaio dipinte di beige. Una specie di impianto, ragion? Reid, forse per la vinificazione. Ma ne dubitava. Yuri gemette e stiracchi? le membra. Poi sorrise a Reid. “Ben, capisco che ormai siamo buoni amici, ma lo stesso…” Estrasse dalla tasca della giacca un pezzo di stoffa nero e stretto. “Devo insistere.” Reid annu?, seccamente. Che altra scelta aveva? Si gir? perch? Yuri potesse legargli la benda sopra agli occhi. Una mano forte e grossa gli strinse un avambraccio, uno dei due scagnozzi, senza dubbio. “Ora, dunque,” annunci? Yuri. “Andiamo da Otets.” La mano forte lo tir? in avanti e lo guid? mentre si incamminavano in direzione della struttura d’acciaio. Sent? un’altra spalla contro la propria sul lato opposto; i due scagnozzi lo avevano circondato. Reid respir? profondamente attraverso il naso, facendo del suo meglio per rimanere calmo. Ascolta, gli disse la sua mente. Sto ascoltando. No, ascolta. Ascolta e lasciati andare. Qualcuno buss? a una porta tre volte. Il suono era vuoto e profondo come quello emesso da una grancassa. Anche se non riusciva a vedere, Reid immagin? mentalmente Yuri che batteva con il pugno sulla pesante porta d’acciaio. Ca-chunk. Un catenaccio scivol? di lato. Un whoosh, e la porta si apr? accompagnata da una ventata d’aria calda. All’improvviso, un miscuglio di rumori: bicchieri che tintinnavano, liquido che sciabordava, ingranaggi che ronzavano. Strumentazione da vinificatore, a giudicare dal suono. Strano, da fuori non si era sentito niente. Le pareti esterne dell’edificio sono insonorizzate. La mano pesante lo spinse all’interno. La porta si chiuse di nuovo e il catenaccio fu rimesso al suo posto. Il pavimento sotto di lui dava la sensazione di un liscio cemento. Le sue scarpe finirono in una piccola pozza. L’odore acetoso della fermentazione era molto forte e appena al di sotto, c’era quello dolce e familiare del succo d’uva. Fanno davvero il vino qui. Reid cont? i passi sul pavimento dell’impianto. Passarono attraverso una nuova serie di porte, accompagnati da una diversa gamma di rumori. Macchinari: una pressa idraulica. Un martello pneumatico. La catena tintinnante di un nastro trasportatore. L’odore della fermentazione lasci? il posto all’unto e all’olio dei motori, e… Polvere. Producono qualcosa qui, molto probabilmente munizioni. C’era qualcos’altro, un che di familiare, oltre all’olio e alla polvere. Era dolce, come le mandorle…  Dinitrotoluene, Stanno creando degli esplosivi. “Scale,” disse la voce di Yuri, vicino al suo orecchio, quando la tibia di Reid and? a sbattere contro il primo gradino. La mano pesante continu? a guidarlo mentre quattro paio di piedi salivano le scale d’acciaio. Tredici gradini. Chiunque abbia costruito questo posto non era superstizioso. In cima c’era l’ennesima porta d’acciaio. Una volta che fu chiusa alle loro spalle, il suono dei macchinari fu soffocato—doveva essere un’altra porta insonorizzata. Da vicino si alzava una musica classica, una composizione per pianoforte. Brahms. Variazioni su un tema di Paganini. La melodia non era abbastanza ricca da venire da piano vero, doveva esserci uno stereo. “Yuri.” La nuova voce era un severo baritono, lievemente arrochita da troppe grida o troppi sigari. A giudicare dall’odore nella stanza, la colpa era dei sigari. Ma forse di entrambi. “Otets,” disse ossequioso Yuri. Parl? rapidamente in russo. Reid fece del suo meglio per seguire, nonostante l’accento di Yuri. “Ti porto buone notizie dalla Francia…” “Chi ? quest’uomo?” volle sapere il baritono. Dal modo in cui parlava, il russo doveva essere la sua lingua nativa. Reid non pot? evitare di chiedersi quale fosse il collegamento tra gli iraniani e quest’uomo russo, e gli scagnozzi nel SUV, gi? che c’era, e persino il serbo Yuri. Un traffico d’armi, forse, disse la voce nella sua testa. O qualcosa di peggio. “Lui ? il messaggero degli iraniani,” rispose Yuri. “Ha le informazioni che cerchiamo…” “Lo hai portato qui?” lo interruppe l’uomo. La sua voce profonda si alz? in un ruggito. “Saresti dovuto andare in Francia per incontrarti con gli iraniani, non trascinare degli uomini qui da me! Comprometterai tutto con la tua stupidit?!” Ci fu un solido schiocco, il rumore di uno schiaffo su un volto, e un ansimo di Yuri. “Devo scrivere il tuo compito su un proiettile, perch? ti entri in quella testaccia dura?” “Otets, ti prego…” balbett? Yuri. “Non chiamarmi cos?!” grid? furibondo l’uomo. Una pistola fu caricata, un’arma di grosso calibro, dal suono. “Non chiamarmi con nessun nome in presenza di questo sconosciuto!” “Non ? uno sconosciuto!” strill? Yuri. “Lui ? l’Agente Zero! Ti ho portato Kent Steele!” CAPITOLO SETTE Kent Steele. Il silenzio regn? per diversi secondi che sembrarono minuti. Un centinaio di visioni lampeggiarono nella mente di Reid come prodotte da una macchina. La CIA. Servizio nazionale clandestino. Divisione attivit? speciali. Gruppo operazioni speciali. Operazioni psicologiche. Agente Zero. Se ti scoprono, sei morto. Noi non parliamo. Mai. Impossibile. Era semplicemente impossibile. Cose come la cancellazione della memoria, gli impianti o le soppressioni erano stranezze da maniaci delle cospirazioni o da film di Hollywood. Ormai non aveva pi? importanza, comunque. Avevano sempre saputo chi era, dal bar al viaggio in auto fino in Belgio, Yuri aveva sempre saputo che Reid non era chi aveva detto di essere. Ora era bendato e intrappolato dietro una porta d’acciaio insieme ad almeno quattro uomini armati. Nessun altro sapeva dove fosse o chi fosse. Un nodo di terrore gli strinse lo stomaco e minacci? di farlo vomitare. “No,” disse lentamente la voce baritonale. “No, ti sbagli. Stupido Yuri. Questo non ? l’uomo della CIA. Se lo fosse, non sarebbe qui.” “A meno che non sia venuto per cercare te!” ribatt? Yuri. Dita afferrarono la sua benda e la tirarono via. Reid strinse gli occhi contro l’improvviso attacco delle luci fluorescenti. Sbatt? le palpebre davanti a un uomo sulla cinquantina, con capelli brizzolati, una barba folta tagliata corta e uno sguardo acuto e intenso. L’uomo, presumibilmente Otets, indossava un elegante abito color carbone e portava i primi due bottoni della camicia aperti, sotto i quali spuntavano i peli del petto ricci e grigi. Si trovavano in un ufficio dalle pareti dipinte di rosso scuro e adornate da dipinti sgargianti. “Tu,” disse l’uomo in un inglese fortemente accentato. “Chi sei tu?” Reid prese un respiro tremante e lott? contro la tentazione di dire all’uomo che ormai non lo sapeva pi?. Invece, con voce incerta rispose: “Mi chiamo Ben. Sono un messaggero. Lavoro con gli iraniani.” Yuri, che era in ginocchio dietro Otets, salt? in piedi. “Mente!” strill? il serbo. “Io so che mente! Dice che gli iraniani lo hanno mandato, ma non si fiderebbero mai di un americano!” Fece una smorfia. Dall’angolo della sua bocca spuntava un sottile rivolo di sangue, dove Otets lo aveva colpito. “Ma so dell’altro. Vedo, ti ho chiesto di Amad.” Scosse la testa e mostr? i denti. “Non c’? nessun Amad tra di loro.” A Reid continuava a sembrare strano che quegli uomini sembrassero conoscere gli iraniani, ma non con chi lavorassero, n? chi avrebbero mandato. Erano collegati in qualche modo, ma non gli era chiare quale fosse questo collegamento. Otets borbott? imprecazioni russe sotto voce. Poi in inglese disse: “Hai detto a Yuri che sei un messaggero. Yuri dice che sei l’uomo della CIA. Chi devo credere? Di certo tu non somigli a come pensavo fosse Zero. E il mio galoppino idiota ha ragione su una cosa: gli iraniani detestano gli americani. Non ti vedo bene. Tu dimmi la verit?, o io ti sparo in un ginocchio.” Sollev? la pesante pistola, una Desert Eagle serie TIG. Reid rimase senza fiato per un momento. Era una pistola molto grossa. Lasciati andare, lo sospinse la sua mente. Non sapeva come fare. Non sapeva cosa sarebbe successo se lo avesse fatto. L’ultima volta che quegli istinti avevano preso il sopravvento, quattro uomini erano morti e lui si era ritrovato con le mani letteralmente sporche di sangue. Ma non c’era altro modo in cui potesse uscirne vivo, o meglio, il professor Reid Lawson potesse uscirne vivo. Ma Kent Steele, chiunque egli fosse, forse poteva farcela. Magari non sapeva chi fosse, ma non avrebbe avuto importanza se non fosse sopravvissuto tanto a lungo da scoprirlo. Reid chiuse gli occhi. Annu? una volta, un tacito consenso alla voce nella sua testa. Lasci? cadere le spalle e le sue dita smisero di tremare. “Sto aspettando,” disse seccamente Otets. “Non vuoi spararmi,” replic? Reid. Fu sorpreso di sentire la propria voce tanto calma e rilassata. “Uno sparo a bruciapelo da quella pistola non mi distruggerebbe il ginocchio. Mi staccherebbe una gamba e io morirei dissanguato sul pavimento di questo ufficio in pochi secondi.” Otets fece spallucce. “Come ? che dite voi americani? Non si pu? fare una frittata senza…” “Ho le informazioni che ti servono,” lo interruppe Reid. “L’ubicazione dello sceicco. Quello che mi ha detto. A chi ho passato le sue informazioni. So tutto del vostro piano, e non sono il solo.” Gli angoli della bocca di Otets si sollevarono in un ghigno. “Agente Zero.” “Te l’avevo detto,” esclam? Yuri. “Ho fatto bene, s??” “Chiudi la bocca,” ordin? Otets. Yuri si raggomitol? su se stesso come un cane bastonato. “Portalo al piano di sotto e fatti dire tutto quello che sa. Inizia tagliandogli le dita. Non voglio perdere tempo.” In una giornata normale, quella minaccia avrebbe sconvolto di terrore Reid. I suoi muscoli si tesero per un istante, i peli sul suo collo si rizzarono… ma il suo nuovo istinto lott? contro il panico e lo costrinse a rilassarsi. Aspetta, gli disse. Aspetta l’occasione giusta… Lo scagnozzo rasato fece un secco cenno d’assenso e afferr? di nuovo il braccio di Reid. “Idiota!” scatt? Otets. “Prima bendalo! Yuri, vai allo schedario. L? dovrebbe esserci qualcosa.” Yuri corse allo schedario a tre ripiani di quercia che si ergeva in un angolo e vi spulci? dentro fino a quando non trov? un rotolo di spago grezzo. “Ecco,” disse, e lo lanci? allo scagnozzo calvo. Tutti gli occhi si alzarono istintivamente sul rotolo di spago che roteava in aria, sia quelli degli scagnozzi, che quelli di Yuri e Otets. Ma non quelli di Reid. Vide un’occasione e la colse. Pieg? a coppa la mano sinistra e la sollev? bruscamente verso l’alto, colpendo la trachea dell’uomo rasato con la parte pi? carnosa del palmo. Sent? la sua gola che cedeva all’impatto. Mentre il primo colpo andava a segno, spinse il tallone dello stivale sinistro dietro di s? e calci? lo scagnozzo con la barba al fianco, lo stesso fianco su cui l’uomo aveva evitato di appoggiarsi durante il viaggio fino in Belgio. Un ansimo bagnato e strangolato sfugg? dalle labbra dell’uomo rasato mentre si portava le mani alla gola. Lo scagnozzo con la barba grugn? e il suo grosso corpo rote? e cadde. Abbattuti! Lo spago fin? a terra. E cos? anche Reid. In un unico gesto si abbass? sul pavimento e strapp? la Glock dalla fondina da caviglia dell’uomo rasato. Senza neanche alzare lo sguardo, balz? in avanti e atterr? roteando su se stesso. Non appena salt?, un boato risuon? nel piccolo ufficio, assurdamente rumoroso. Lo sparo della Desert Eagle lasci? un foro impressionante nella porta d’acciaio dell’ufficio. Reid smise di roteare a un metro da Otets e si spinse in avanti, verso di lui. Prima che Otets potesse girarsi per prendere la mira, Reid gli prese la mano con la pistola da sotto—non afferrarla mai da sopra, ? un ottimo modo per perdere un dito—e la spinse verso l’alto. La pistola spar? di nuovo, un'esplosione rumorosa a meno di un metro dalla testa di Reid. Gli fischiarono le orecchie, ma lui lo ignor?. Spinse di nuovo la pistola verso il basso e di lato, tenendo la canna lontana da s? mentre si portava l’arma al fianco, e la mano di Otets insieme a essa. L’uomo di mezza et? gett? la testa all’indietro e grid? quando il dito che era sul grilletto si spezz?. Il suono nause? Reid, ma la Desert Eagle rimbalz? a terra. Si volt? e strinse un braccio attorno al collo di Otets, usandolo come scudo mentre prendeva di mira i due scagnozzi. L’uomo rasato era fuori gioco, ansimando invano per riprendere fiato nonostante la trachea spezzata, ma quello con la barba aveva preso la sua TEC-9. Senza esitare Reid spar? tre colpi in rapida successione, due al petto e uno alla fronte. Un quarto proiettile gli diede il colpo di grazia. La coscienza di Reid gli grid? dal fondo della sua mente. Hai appena ucciso due uomini. Altri due uomini. Ma la coscienza nuova era pi? forte, allontanava la nausea e il senso di autoconservazione. Puoi farti prendere dal panico pi? tardi. Ancora qui non hai finito. Reid gir? su se stesso, con Otets davanti a s? come se stessero ballando, e alz? la Glock su Yuri. Lo sfortunato messaggero stava cercando inutilmente di liberare la Sig Sauer dalla fondina della spalla. “Fermo,” gli ordin? Reid. Yuri si blocc?. “Mani in alto.” Il messaggero serbo alz? lentamente le mani, con i palmi verso fuori. Fece un ampio sorriso. “Kent,” disse in inglese, “noi siamo buoni amici, non ? vero?” “Prendi la mia Beretta fuori dalla tasca sinistra della tua giacca e appoggiala sul pavimento,” gli disse Reid. Yuri si lecc? il sangue dall’angolo della bocca e agit? le dita della mano sinistra. Lentamente, le infil? nella tasca e ne estrasse la piccola pistola nera. Ma non l’appoggi? a terra. Invece la strinse, con la canna puntata verso il basso. “Lo sai,” disse, “sto pensando che se vuoi delle informazioni, ti serve almeno uno di noi vivo. S??” “Yuri!” ringhi? Otets. “Fai come ti ha detto!” “A terra,” ripet? Reid. Non distolse lo sguardo da Yuri, ma temeva che altri nell’impianto potessero aver sentito il rombo della Desert Eagle. Non sapeva quante persone ci fossero al piano di sotto, ma l’ufficio era insonorizzato e i macchinari l? fuori erano accesi. Era possibile che non lo avessero sentito, o che fossero cos? abituati al suono da non farci pi? caso. “Forse,” disse Yuri, “prendo la pistola e sparo a Otets. Poi tu avrai bisogno di me.” “Yuri, nyet!” grid? Otets, quella volta pi? sbalordito che arrabbiato. “Vedi, Kent,” spieg? il messaggero. “Questa non ? Cosa Nostra. ? pi?, uh… una storia di impiegati scontenti. Vedi come mi tratta. Quindi magari gli sparo, e tu e io, ci mettiamo d’accordo…” Otets strinse i denti e sibil? una sfilza di maledizioni a Yuri, ma il messaggero reag? solamente con un largo sorriso. Reid stava diventando impaziente. “Yuri, se non abbassi la pistola subito, sar? costretto a…” Il braccio di Yuri si mosse, solo un minuscolo segnale che stava per alzarsi. L’istinto di Reid scatt? come una macchina che stesse cambiando marcia. Senza pensarci prese la mira e spar?, solo una volta. Successe tanto rapidamente che il rinculo della pistola lo spavent?. Per un mezzo secondo, Reid pens? di averlo mancato. Poi sangue scuro erutt? da un buco nel collo di Yuri. Cadde in ginocchio, alzando debolmente una mano per fermare il flusso, ma era troppo tardi. Servono due minuti per morire dissanguati dall’arteria carotide tagliata. Non voleva sapere come faceva ad avere quella certezza. Ma bastano dai sette ai dieci secondi per svenire per la perdita di sangue. Yuri cadde in avanti. Reid subito si volt? verso la porta d’acciaio con la Glock puntata al suo centro. Aspett?. Respirava con calma e senza fretta. Non sudava nemmeno. Otets ansimava a fatica, e si teneva il dito rotto con la mano buona. Non arriv? nessuno. Ho appena sparato a tre uomini. Non c’? tempo per questo ora. Esci di qui. “Stai fermo,” ringhi? a Otets mentre lo lasciava andare. Calci? la Desert Eagle in un angolo distante, dove fin? sotto lo schedario. Non gli serviva un cannone come quello. Lasci? anche le pistole automatiche TEC-9 degli scagnozzi, erano inaccurate e buone solo a spruzzare proiettili su vaste aree. Invece, spinton? di lato il corpo di Yuri e prese la Beretta. Tenne anche la Glock, infilando entrambe le mani con le pistole in ciascuna tasca della giacca. “Usciamo di qui,” disse a Otets, “tu e io. Tu vai per primo e fai finta che non stia succedendo niente di strano. Mi accompagni fuori, fino a una macchina decente. Perch? queste?” Mosse le mani, ognuna infilata in una tasca e stretta attorno a una pistola. “Queste sono puntate alla tua schiena. Fai un solo sbaglio, di’ una singola parola e ti infilo un proiettile tra le vertebre L2 e L3. Se avrai la fortuna di non morire, sarai paralizzato per il resto della tua vita. Hai capito?” Otets lo fiss? storto, ma era abbastanza furbo da annuire. “Bene. Allora fai strada.” L’uomo russo si ferm? alla porta d’acciaio. “Non uscirai vivo da qui,” disse in inglese. “Farai meglio a sperare che ci riesca,” ringhi? Reid. “Perch? se no mi accerter? che non lo faccia neanche tu.” Otets apr? la porta e usc? sul pianerottolo. I suoni dei macchinari riecheggiarono subito fragorosi. Reid lo segu? fuori dall’ufficio e sulla piccola piattaforma d’acciaio. Abbass? lo sguardo oltre la ringhiera, verso il piano sotto. Le sue idee, o quelle di Kent? erano state corrette. C’erano due uomini a lavoro su una pressa idraulica. Un altro era davanti al corto nastro trasportatore, a ispezionare componenti elettronici che rotolavano lentamente verso una superficie metallica alla fine. Altri due con indosso occhialini e guanti di latex sedevano a un tavolo di melamina, misurando con cura qualche tipo di sostanza chimica. Stranamente, not? che erano di varie nazionalit?, tre erano bianchi e con i capelli scuri, probabilmente russi, ma due erano di certo mediorientali. L’uomo alla pressa era africano. L’odore di mandorle del dinitrotoluene gli colp? le narici. Stavano producendo esplosivi, come aveva dedotto in precedenza dall’odore e dai suoni. Sei in tutto. Probabilmente armati. Nessuno di loro alz? lo sguardo verso l’ufficio. Non spareranno qui dentro, non con Otets all’aperto e queste sostanze chimiche tutte in giro. Ma non posso neanche io, pens? Reid. “Impressionante, no” disse Otets con un ghigno. Aveva notato che Reid stava ispezionando il piano. “Muoviti,” comand? lui. Otets prese le scale, le sue scarpe rumorose sul primo gradino metallico. “Sai,” disse casualmente, “Yuri aveva ragione.” Esci di qui. Vai al SUV. Abbatti il cancello. Guida come se ti inseguissero tutti i diavoli dell’inferno. “Ti serve uno di noi.” Torna sull’autostrada. Trova una stazione di polizia. Coinvolgi l’Interpol. “E il povero Yuri ? morto…” Dagli Otets. Costringilo a parlare. Scagionati dall’omicidio di sette uomini. “Quindi penso che tu non possa uccidermi.” Ho ucciso sette uomini. Ma ? stata legittima difesa. Otets raggiunse l’ultimo gradino, Reid dietro di lui con le mani infilate nelle tasche della giacca. Aveva i palmi sudati, ognuno stretto attorno a una pistola. Il russo si ferm? e si lanci? una rapida occhiata dietro la spalla, senza guardare veramente Reid. “Gli iraniani. Sono morti?” “Quattro di loro,” rispose lui. Il fracasso dei macchinari quasi soffoc? la sua voce. Otets schiocc? la lingua. “Peccato. Ma d’altra parte… significa che non mi sbaglio. Non hai piste, nessun’altro da cui andare. Ti servo.” Stava scoprendo il bluff di Reid. Il panico gli sal? nel petto. L’altra parte, la parte che era Kent, lott? contro di esso, come costringendolo a deglutire una pillola a secco. “Ho tutto quello che lo sceicco ci ha detto…” Otets ridacchi?. “Lo sceicco, gi?. Ma ti sarai gi? accorto che Mustafar sapeva molto poco. Era solo un conto in banca, agente. Era un debole. Credevi che gli avremmo detto i nostri piani? E se fosse cos?, perch? allora saresti venuto fin qui?” La fronte di Reid si copr? di sudore. Era andato l? nella speranza di trovare delle risposte, non solo su questo fantomatico piano ma anche su chi fosse lui stessi. Aveva trovato molto pi? di quanto avrebbe voluto. “Muoviti,” ordin? di nuovo. “Verso la porta, lentamente.” Otets scese dalle scale, muovendosi piano, ma non si incammin? verso la porta. Invece fece un passo verso il laboratorio, e i suoi uomini. “Che cosa stai facendo?” volle sapere Reid. “Fammi vedere le tue carte, agente Zero. Se mi sbaglio, allora mi sparerai.” Sorrise e fece un altro passo. Due degli operai alzarono lo sguardo. Dalla loro prospettiva, sembrava che Otets stesse semplicemente parlando con uno sconosciuto, forse un socio d’affari o un rappresentante di un’altra fazione. Nessun motivo per allarmarsi. Il panico sal? di nuovo nel petto di Reid. Non voleva lasciare andare le pistole. Otets era a soli due passi di distanza, ma Reid non poteva afferrarlo e spingerlo verso la porta, non senza allertare i sei uomini. Non poteva rischiare di sparare in una stanza piena di esplosivi. “Do svidaniya, agente.” Otets sorrise. Senza togliere gli occhi di dosso a Reid grid? in inglese: “Sparate a quest’uomo!” Due lavoratori alzarono lo sguardo, guardandosi tra di loro e Otets in preda alla confusione. Reid ebbe l’impressione che fossero semplicemente operai, non soldati o guardie del corpo come il paio di scagnozzi morti al piano di sopra. “Idioti!” rugg? Otets sopra al rumore dei macchinari. “Quest’uomo ? della CIA! Sparategli!” Quello attir? la loro attenzione. I due uomini al tavolo della melamina si alzarono rapidamente e misero mano alle fondine da spalla. L’uomo africano alla pressa pneumatica si abbass? per prendere un AK-47 ai suoi piedi. Non appena si mossero, Reid salt? in avanti, tirando allo stesso tempo le mani, ed entrambe le pistole, fuori dalle tasche. Fece girare Otets per una spalla e sollev? la Beretta alla tempio sinistra del russo, per poi puntarla verso l’uomo con l’AK, stringendo a s? il capo. “Non sarebbe molto saggio,” disse ad alta voce. “Sai che cosa potrebbe succedere se iniziassimo a sparare qui.” La vista di una pistola alla tempia del loro capo spinse tutti gli altri uomini in azione. Aveva avuto ragione: erano tutti ben armati e ora aveva sei pistole puntate su di lui con solo Otets a frapporsi tra di loro. L’uomo con l’AK i mano guard? nervosamente verso i suoi compagni. Un sottile rivolo di sudore gli scivol? sul lato della fronte. Reid fece un piccolo passo indietro, attirando Otets con s? con una spinta della Beretta. “Bravo, tranquillo,” disse a bassa voce. “Se iniziano a sparare qui, tutto il posto potrebbe saltare per aria. E non credo che tu voglia morire oggi.” Otets strinse i denti e mormor? un’imprecazione in russo. Poco alla volta indietreggiarono, un minuscolo passo alla volta, verso le porte dell’impianto. Il cuore di Reid minacciava di esplodergli fuori dal petto. I suoi muscoli si tesero nervosamente, e poi si distesero mentre l’altra parte di lui lo costrinse a rilassarsi. Rilassa le membra. I muscoli tesi rallenterebbero le tue reazioni. Per ogni minuscolo passo che lui e Otets facevano all’indietro, i sei uomini ne facevano uno avanti, mantenendo la stessa breve distanza tra di loro. Stavano aspettando un’opportunit?, e pi? si allontanavano dalle macchine e meno era probabile che innescassero inavvertitamente una reazione. Reid sapeva che era solo la possibilit? di uccidere accidentalmente Otets che gli impediva di sparare. Nessuno parlava, ma le macchine ronzavano dietro di loro. La tensione nell’aria era palpabile, elettrica; era consapevole che in qualsiasi momento qualcuno avrebbe potuto farsi prendere dai nervi e cominciare a far fuoco. Poi la sua schiena si appoggi? alle doppie porte. Un altro passo e le apr?, attirando Otets con s? con una spinta della canna della pistola. Prima che le porte si chiudessero di nuovo, Otets ringhi? ai suoi uomini: “Non deve uscire vivo di qui!” Poi si richiusero, e i due uomini si ritrovarono nella sala successiva, quella adibita alla vinificazione, piena del tintinnio delle bottiglie e del dolce profumo dell’uva. Non appena l’ebbero attraversata, Reid si gir? con la Glock puntata a livello di un torso umano, continuando a puntare la Beretta su Otets. Le macchina per l’imbottigliamento e la chiusura erano attive, ma era quasi tutto automatizzato. L’unica persona presente in tutta la stanza era una donna russa dall’aria stanca che indossava un foulard verde legato attorno alla testa. Alla vista delle pistole, Reid e Otets, i suoi occhi affaticati si sgranarono per il terrore e gett? in aria entrambe le mani. “Spegnile,” disse Reid in russo. “Mi hai capito?” Lei annu? vigorosamente e sollev? due leve sul pannello di controllo. Le macchine ronzarono e poco alla volta si fermarono. “Vai,” le disse. La donna deglut? e indietreggi? verso l’uscita. “In fretta!” grid? secco lui. “Via di qui!” “Da,” mormor? lei. Corse verso la pesante porta d’acciaio, la apr? e svan? nella notte al di fuori. La porta si richiuse con un boato. “E ora, agente?” grugn? Otets in inglese. “Quale ? il tuo piano di fuga?” “Stai zitto.” Reid sollev? la pistola alle doppie porte che davano sull’altra stanza. Perch? gli uomini non erano entrati? Non poteva continuare a muoversi senza sapere dove fossero. Se ci fosse stata una porta sul retro nell’impianto, avrebbero potuto essere gi? fuori ad aspettarlo. Se lo avessero seguito, non sarebbe mai riuscito a mettere Otets sul SUV e ad andarsene senza farsi ammazzare. L? dentro non c’era la minaccia degli esplosivi, avrebbero potuto sparargli se lo avessero voluto. Avrebbero rischiato di colpire Otets per arrivare a lui? Nervi scossi e una pistola non erano una combinazione ideale per nessuno, nemmeno per il loro capo. Prima che potesse decidere il da farsi, le potenti luci fluorescenti sopra la sua testa si spensero. In un istante finirono immersi nell’oscurit?. CAPITOLO OTTO Reid non vedeva niente. Non c’erano finestre nell’impianto. I lavoratori nella stanza vicina dovevano aver staccato i contatori perch? persino i rumori dei macchinari rallentarono fino a spegnersi. Raggiunse rapidamente Otets al buio e afferr? il colletto del russo prima che potesse scappare. Otets emise un verso strangolato quando Reid lo tir? all’indietro. Allo stesso momento, si accese la luce rossa d’emergenza, una semplice lampadina che spuntava dal muro sopra la porta. Riemp? la stanza di un vago e inquietante chiarore. “Questi uomini non sono degli sciocchi,” disse piano Otets. “Non uscirai vivo di qui.” Riflett? furiosamente. Doveva sapere dove erano, o ancora meglio, doveva far s? che andassero da lui. Ma come? ? semplice. Sai che cosa fare. Smettila di opporti. Reid prese un profondo respiro con il naso, e fece l’unica cosa che aveva senso in quel momento. Spar? a Otets. La secca esplosione della Beretta riecheggi? nella stanza altrimenti silenziosa. Otets grid? di dolore. Le sue mani volarono a stringere la coscia sinistra, dove il proiettile lo aveva appena sfiorato, facendolo sanguinare copiosamente. Sibil? una lunga litania furibonda di imprecazioni in russo. Reid lo afferr? di nuovo per il colletto e lo tir? all’indietro, quasi facendolo cadere, costringendolo a chinarsi dietro il nastro trasportatore della macchina per l’imbottigliamento. Aspett?. Se gli uomini fossero ancora stati dentro, avrebbero di certo sentito lo sparo e sarebbero arrivati di corsa. Se non fosse venuto nessuno, erano da qualche parte fuori, in sua attesa. Ebbe la sua risposta qualche secondo pi? tardi. Le doppie porte furono aperte con un calcio dall’altro lato, tanto forte da mandarle a sbattere contro il muro dietro di esse. Il primo ad attraversarle fu l’uomo con l’AK, muovendo la canna dell’arma in grandi archi, da una parte all’altra della stanza. Altri due uomini erano subito dietro di lui, entrambi armati di pistole. Otets gemette per il dolore e si strinse forte la gamba. I suoi lo udirono, girarono l’angolo creato dalla macchina per l’imbottigliamento con le armi alzate e trovarono il loro capo seduto a terra, che sibilava tra i denti per la ferita alla coscia. Reid, invece, non era l?. Era corso rapidamente verso l’altro lato del macchinario, rimanendo abbassato. Si era infilato la Beretta in tasca e afferrato una bottiglia vuota dal nastro. Prima che potessero girarsi, abbatt? la bottiglia sulla testa del lavoratore pi? vicino, un uomo mediorientale, e poi infil? il collo affilato e frastagliato nella gola del secondo. Sangue caldo gli col? sulle mani mentre l’uomo gorgogliava e cadeva a terra. Uno. L’uomo africano con l’AK-47 si gir?, ma non fu abbastanza veloce. Reid us? l’avambraccio per spingere di lato la canna, mentre una salva di proiettili riempiva l’aria. Avanz? con la Glock, la spinse sotto il mento dell’uomo e premette il grilletto. Due. Un altro sparo fin? il primo terrorista—dato che era ci? con cui chiaramente stava avendo a che fare, o cos? decise—ancora steso a terra privo di sensi. Tre. Reid respirava rapidamente, e cercava di calmare i battiti del suo cuore. Non aveva tempo di essere disgustato da quello che aveva fatto, n? voleva soffermarsi a pensarci. Era come se il professore Lawson fosse andato in shock, e l’altra parte avesse preso del tutto il sopravvento. Movimenti. Da destra. Otets era emerso a gattoni da dietro la macchina e stava cercando di afferrare l’AK. Reid si gir? rapidamente e lo calci? nello stomaco. La forza del colpo fece rotolare via il russo, che si tenne il fianco gemendo. Reid sollev? l’AK. Quanti colpi erano stati esplosi? Cinque? Sei? Aveva un caricatore da trentadue proiettili. Se fosse stato pieno, aveva ancora ventisei colpi. “Stai gi?,” intim? a Otets. Poi, con grande sorpresa del russo, Reid lo lasci? l? e torn? indietro nell’altra parte dell’impianto. La stanza dove si fabbricavano esplosivi era illuminata dalla stessa fioca luce rossa della lampadina d’emergenza. Reid apr? la porta con un calcio e immediatamente si abbass? su un ginocchio, un caso qualcuno stesse puntando una pistola alla porta, per controllare a destra e a sinistra della stanza. Non c’era nessuno dentro, che significava che doveva esserci una porta sul retro. La trov? in fretta, una porta d’acciaio di sicurezza dietro le scale e nel muro a sud. Probabilmente si apriva solo da dentro. Gli altri tre erano l? fuori, da qualche parte. Era un rischio: non aveva modo per sapere se lo stavano aspettando proprio dall’altra parte della porta, o se erano andati davanti all’edificio. Gli serviva un modo per proteggersi. Dopo tutto, qui si costruiscono bombe… Nell’angolo opposto della sala, oltre un nastro trasportatore, trov? una lunga cassetta di legno delle dimensioni di una vara e piena di polistirolo da imballaggio. Vi frug? in mezzo fino a quando non mise mano su qualcosa di solido e lo tir? fuori. Era una scatola di plastica opaca nera, e sapeva gi? che cosa vi avrebbe trovato dentro. La appoggi? sul tavolo con attenzione e l’apr?. Con dispiacere piuttosto che con sorpresa, l’aveva riconosciuta come una valigetta per bombe, approntata con un timer ma che poteva essere bypassato con un interruttore apposito, che fungeva da fail-safe. Il sudore gli imperl? la fronte. Lo sto facendo davvero? Nuove visioni gli apparvero nella mente, di attentatori afghani a cui mancavano dita e arti interi per colpa di esplosivi mal costruiti. Edifici in fiamme con una sola mossa sbagliata, un solo cavo sconnesso. Che altra scelta hai? O questo, o ti fai sparare. L’interruttore del fail-safe era un piccolo rettangolo verde della dimensione di un coltellino svizzero, con una levetta su un lato. Lo sollev? nella mano sinistra e trattenne il fiato. Poi lo premette. Non successe nulla. Era un buon segno. Si accert? di tenere la levetta chiusa nel pugno (perch? rilasciandola avrebbe fatto detonare immediatamente la bomba) e impost? il timer con venti minuti di tempo, ma non gli sarebbe servito cos? tanto. Poi sollev? l’AK nella mano destra e si lev? di l?. Sussult?; la porta di sicurezza sul retro scricchiol? sui cardini quando l’apr?. Salt? fuori nel buio con l’AK sollevato. Non c’era nessuno l?, n? dietro l’edificio, ma doveva aver sentito lo scricchiolio rivelatore della porta. La sua gola era secca e il cuore gli batteva come un tamburo, ma tenne la schiena contro la parete d’acciaio e si avvicin? con cautela all’angolo dell’edificio. Gli sudavano le mani, stringendo nella sua presa la levetta del fail-safe. Se l’avesse lasciata andare in quel momento, sarebbe morto all’istante. La quantit? di C4 nella bomba avrebbe abbattuto le pareti del palazzo e l’avrebbe schiacciato, se prima non fosse stato incenerito. Ieri il mio problema pi? grosso era mantenere sveglia l’attenzione dei miei studenti per novanta minuti. In quel momento stringeva una bomba in mano cercando di sfuggire a dei terroristi russi. Concentrati. Raggiunse l’angolo dell’edificio e vi sbirci? dietro, rimanendo il pi? possibile nelle ombre. C’era la sagoma di un uomo, con una pistola in pugno, che faceva la guardai alla facciata orientale. Reid si accert? di avere una buona presa sulla levetta. Puoi farcela. Poi emerse in piena vista. L’uomo si volt? su se stesso e fece per alzare la pistola. “Ehi,” disse. Sollev? anche lui la mano, e non quella con cui stringeva la pistola, ma l’altra. “Sai che cosa ? questo?” L’uomo si ferm? e reclin? lievemente la testa. Poi i suoi occhi si sgranarono terrorizzati tanto che Reid riusc? a vederne il bianco anche sotto la luce della luna. “Interruttore,” borbott? l’uomo. Il suo sguardo and? dalla levetta all’edificio e poi da capo, sembrando arrivare alla stessa conclusione raggiunta da Reid: se lui avesse rilasciato l’interruttore di sicurezza sarebbero morti entrambi all’istante. Il lavoratore abbandon? il suo piano di sparare a Reid e invece corse verso la parte anteriore dell’edificio. Reid lo segu? in fretta. Ud? delle urla in arabo: “Interruttore! Ha l’interruttore!” Gir? l’angolo che dava sulla facciata dell’impianto con l’AK puntato in avanti, il calcio appoggiato nell’incavo del gomito, e la mano con cui stringeva l’interruttore della bomba alzata sopra la testa. Il lavoratore in fuga non si era fermato; aveva continuato a correre su per la strada sterrata che portava via dall’edificio, gridando fino a perdere la voce. Gli altri due lavoratori si erano avvicinati alla porta principale, apparentemente pronti a entrare per finire Reid. Lo fissarono sbalorditi quando emerse da dietro l’angolo. Reid studi? rapidamente la scena. I due uomini avevano pistole, delle Sig Sauer P365, con un caricatore da tredici colpi con calci allungati, ma nessuno la stava puntando. Come aveva immaginato, Otets era scappato dalla porta principale ed era, in quel momento, diretto verso il SUV, zoppicando e tenendosi la gamba ferita, sostenuto per una spalla da un uomo basso e in carne con un cappello nero, l’autista, immagin? Reid. “Pistole a terra,” ordin? lui. “O faccio saltare tutto in aria.” I lavoratori appoggiarono con attenzione le armi a terra. Reid sent? urla in lontananza, altre voci. Altre ancora venivano dalla direzione dell’antico palazzo. Probabilmente la donna russa aveva fatto una soffiata. “Correte,” disse loro. “Vai a dirgli cosa sta per succedere.” I due uomini non se lo fecero dire due volte. Scattarono in una corsa nella stessa direzione presa dal loro collega. Reid riport? la sua attenzione sull’autista, che aiutava il capo ferito ad avanzare. “Fermo!” grid?. “Non osare!” rugg? Otets in russo. L’autista esit?. Reid lasci? cadere l’AK ed estrasse la Glock dalla tasca della giacca. Avevano percorso met? della strada fino all’auto. Sono circa venti metri. Facile. Avanz? di qualche passo e grid?: “Non credo di aver mai sparato con una pistola prima di oggi. E invece a quanto pare sono un ottimo tiratore.” L’autista era un uomo ragionevole, o forse un codardo, o magari entrambi. Lasci? Otets, facendo cadere l’uomo a terra senza tante cerimonie. “Le chiavi,” ordin? lui. “Mettile a terra.” Le mani dell’autista tremavano mentre prendeva le chiavi del SUV dalla tasca interna della giacca. Gliele gett? ai piedi. Reid gli fece cenno con la canna della pistola. “Vai.” L’autista corse via. Il cappello nero gli vol? via dalla testa ma lui non ci fece caso. “Codardo!” sibil? in russo Otets. Per prima cosa Reid recuper? le chiavi, poi si ferm? davanti a Otets. Le voci in lontananza si stavano avvicinando. Il palazzo era a mezzo miglio di distanza; alla donna russa sarebbero serviti quattro minuti per raggiungerlo a piedi, e poi ci sarebbe voluto qualche altro minuto agli uomini per arrivare fino l?. Immagin? meno di due minuti. “Alzati.” Otets gli sput? sulle scarpe in risposta. “Fai come preferisci.” Reid si mise la Glock in tasca, afferr? Otets per il retro della giacca e lo tir? fisicamente verso il SUV. Il russo grid? per il dolore, mentre la sua gamba ferita veniva trascinata sulla sterrata. “Entra,” gli ordin?, “o ti sparo nell’altra gamba.” Otets borbott? sotto voce, sibilando per il male, ma sal? in auto. Reid chiuse la porta, gir? rapidamente intorno all’auto, e si mise dietro il volante. Nella mano sinistra stringeva ancora l’interruttore della bomba. Avvi? l’auto e pigi? il pedale dell’acceleratore. Le gomme rotearono, sollevando la ghiaia e la terra sotto di esse, e poi il veicolo scatt? in avanti con un sobbalzo. Non appena part? sulla stretta strada d’accesso, esplosero degli spari. Il lato del passeggero fu crivellato di colpi, accompagnati da una serie di tonfi violenti. Sul finestrino, appena a destra della testa di Otets, si apr? una ragnatela di vetro incrinato, ma resse. “Idioti!” strill? Otets. “Smettetela di sparare!” Vetro anti-proiettile, pens? Reid. Certo che lo ?. Ma sapeva che non avrebbe resistito a lungo. Premette l’acceleratore e il SUV sobbalz? di nuovo, sfrecciando con un rombo davanti a tre uomini sul ciglio della strada che sparavano verso l’auto. Reid abbass? il finestrino mentre superavano i due operai che erano stati intenti a costruire una bomba, che correvano per le loro vite. Poi gett? l’interruttore fuori dall’auto. L’esplosione scombussol? il SUV, persino a quella distanza. Non ud? la detonazione, quanto la percep? fisicamente, nel profondo del suo corpo, fino alle interiora. Un’occhiata nello specchietto retrovisore rivel? solo un’intensa luce gialla, come se stesse fissando direttamente il sole. Puntini luminosi gli offuscarono la vista per un momento e si costrinse a concentrarsi sulla strada. Una palla di fuoco arancione si alz? nel cielo, circondata da un immenso pennacchio di fumo nero. Otets emise un lungo sospiro tremante. “Non hai idea di quello che hai appena fatto,” disse a bassa voce. “Sei un uomo morto, agente.” Reid non rispose. Sapeva benissimo cosa aveva fatto: aveva distrutto una quantit? significativa di prove per qualsiasi caso avrebbe potuto essere aperto contro Otets non appena lo avesse portato alle autorit?. Ma il criminale si sbagliava, non era un uomo morto, non ancora per lo meno, e la bomba lo aveva aiutato a scappare. Fino a quel punto. Davanti a lui apparve il palazzo antico, ma non ebbe il modo di fermarsi ad apprezzarne l'architettura. Tenne gli occhi diritti e lo sorpass?, con il SUV che sobbalzava per le buche nella strada. Una luce nello specchietto attir? la sua attenzione. Due paia di luci entrarono nel suo campo visivo, uscendo dal vialetto del palazzo. Erano molto basse e lui riusciva a sentire il fischio acuto dei motori sopra il rombo del proprio. Auto sportive. Premette di nuovo il piede sull’acceleratore. Sarebbero state pi? veloci di lui, ma il SUV era meglio equipaggiato per tollerare la strada dissestata. Nuovi spari esplosero in aria e proiettili atterrarono nel parafango posteriore. Reid strinse il volante in entrambe le mani, con le vene in rilievo contro i muscoli tesi. Aveva il controllo. Poteva farcela. Il cancello di ferro non era lontano. Stava facendo i cinquantacinque attraverso il vigneto; se avesse mantenuto quella velocit?, sarebbe stata sufficiente per abbattere la cancellata. Il SUV ondeggi? violentemente quando un proiettile colp? una gomma di dietro e la fece esplodere. La parte davanti sband? senza controllo. Reid sterz? istintivamente, digrignando i denti. La parte posteriore slitt?, ma il SUV non si ribalt?. “Che Dio mi salvi,” gemette Otets. “Questo pazzo mi far? ammazzare…” Reid strinse di nuovo il volante e raddrizz? il veicolo, ma il thum-thum-thum regolare e battente della gomma gli disse che stavano viaggiando sul cerchione e frammenti di plastica. Scese a quaranta chilometri orari. Cerc? di nuovo di dare gas ma il SUB cigol?, minacciando di sbandare di nuovo. Sapeva che non sarebbe riuscito a mantenere la velocit? necessaria per abbattere il cancello. Gli sarebbero rimbalzati sopra. ? un cancello elettronico, pens? all’improvviso. Era controllato dalla guardia vicina, che a quel punto sarebbe sicuramente stata allertata del suo tentativo di fuga e pronta con il pericolo MP7, ma significava che doveva esserci un’altra uscita dal complesso. Colpi continuarono a crivellargli il parafango mentre i due inseguitori gli sparavano addosso. Alz? i fendinebbia e vide che si stava avvicinando rapidamente al cancello. “Tieniti a qualcosa, ” avvert? Reid. Otets afferr? la maniglia sopra al suo finestrino e borbott? una preghiera sottovoce, mentre l’agente sterzava bruscamente verso destra. Il SUV scivol? di lato sulla ghiaia. Sent? le due gomme del lato passeggeri che si alzavano da terra e per un istante, gli balz? il cuore in gola al pensiero che si sarebbero ribaltati. Ma mantenne il controllo, e le gomme tornarono sulla sterrata. Pigi? sull’acceleratore e punt? dritto sul vigneto, abbattendo il sottile pergolato di legno come se fosse fatto di stuzzicadenti e schiacciando le viti. “Che diavolo stai facendo?” strill? Otets in russo. Rimbalz? sul suo sedile mentre viaggiavano sopra le piante. Dietro di lui, le due auto sportive frenarono con uno stridio. Non potevano seguirlo, non in mezzo al campo, ma probabilmente avevano capito che cosa stava cercando, e sapevano dove trovarlo. “Dove ? l’altra uscita?” volle sapere Reid. “Quale uscita?” Estrasse la Beretta dalla tasca della giacca (non un’impresa facile, con l’auto che rimbalzava cos? violentemente) e la premette sulla gamba gi? ferita di Otets. Il russo grid? di dolore. “Da quella parte!” url?, puntando il dito storto nell’angolo a sud-ovest del complesso. Reid trattenne il fiato. Ti prego, non mi abbandonare, pens? disperatamente. Il SUV era robusto, ma fino a quel momento era stato fortunato a non spaccarsi un asse. Poi, per fortuna, il vigneto fin? di colpo e tornarono sulla strada sterrata. I suoi fari illuminarono un secondo cancello, fatto dello stesso ferro battuto, ma su ruote e tenuto insieme da una singola catena. Eccoci. Reid strinse la mascella e pigi? di nuovo sull’acceleratore. Il SUV prese velocit? e Otets ulul? un’imprecazione incomprensibile. La parte anteriore si scontr? con il cancello e lo spalanc? di colpo, strappandolo dai cardini. Si concesse un lungo sospiro di sollievo. Poi due fanali gli illuminarono di nuovo lo specchietto retrovisore: le auto sportive lo avevano raggiunto. Erano tornate indietro e avevano fatto un’altra strada, che presumibilmente partiva dal lato opposto del palazzo. “Maledizione,” mormor? Reid. Non poteva continuare in quella maniera per sempre, e se gli avessero fatto saltare anche l’altra gomma posteriore sarebbe stato fregato. La strada l? era diritta, e sembrava inclinarsi verso l’alto. Era anche pavimentata molto meglio che dietro il cancello, che significava solo che le auto sportive lo avrebbero raggiunto molto pi? in fretta. Gli alberi andavano diradandosi sul lato destro della strada. Il suo sguardo scatt? dall’asfalto al finestrino del passeggero. Avrebbe potuto giurare di aver visto attraverso il vetro incrinato un scintillio… di acqua. Un ricordo si fece strada nella sua mente, ma non una delle visioni lampeggianti della nuova coscienza. Era un ricordo vero e proprio, uno del professor Lawson. Siamo nelle Ardenne. L’offensiva delle Ardenne ? avvenuta qui. Le forze americane e inglesi hanno protetto il ponte contro le divisioni tedesche sul fiume… “Mosa,” mormor? ad alta voce. “Siamo sul fiume Mosa.” “Cosa?” esclam? Otets. “Che stai farneticando?” Poi si abbass? istintivamente mentre dei proiettili mandavano in frantumi il loro finestrino sul retro. Reid ignor? lui e i proiettili. Stava pensando. Che cosa ? che aveva letto riguardo al fiume Mosa? Che attraversava le montagne, s?. E loro erano su una pendenza, che saliva verso l’alto. C’erano delle cave da quelle parti. Cave di marmo rosso. Precipizi e ripide discese. Il SUV sussult? in segno di protesta. Un suono pesante e sconcertante risuon? da sotto l’auto “Che cosa ? stato?” grid? Otets. “? l’asse che si spacca,” rispose Reid. Si concentr? sulla strada davanti a s?. Avevano pochissimo tempo. Un altro scoppio fece ondeggiare l’auto e minacci? di sbalzarla dalla strada. Non un proiettile, pens? lui. Era l’altra gomma che esplodeva. Non aveva pi? tempo e stava finendo la strada. Scrut? tra gli alberi alla ricerca di uno spazio abbastanza largo. Êîíåö îçíàêîìèòåëüíîãî ôðàãìåíòà. Òåêñò ïðåäîñòàâëåí ÎÎÎ «ËèòÐåñ». Ïðî÷èòàéòå ýòó êíèãó öåëèêîì, êóïèâ ïîëíóþ ëåãàëüíóþ âåðñèþ (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=43694071&lfrom=688855901) íà ËèòÐåñ. Áåçîïàñíî îïëàòèòü êíèãó ìîæíî áàíêîâñêîé êàðòîé Visa, MasterCard, Maestro, ñî ñ÷åòà ìîáèëüíîãî òåëåôîíà, ñ ïëàòåæíîãî òåðìèíàëà, â ñàëîíå ÌÒÑ èëè Ñâÿçíîé, ÷åðåç PayPal, WebMoney, ßíäåêñ.Äåíüãè, QIWI Êîøåëåê, áîíóñíûìè êàðòàìè èëè äðóãèì óäîáíûì Âàì ñïîñîáîì.
Íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë Ëó÷øåå ìåñòî äëÿ ðàçìåùåíèÿ ñâîèõ ïðîèçâåäåíèé ìîëîäûìè àâòîðàìè, ïîýòàìè; äëÿ ðåàëèçàöèè ñâîèõ òâîð÷åñêèõ èäåé è äëÿ òîãî, ÷òîáû âàøè ïðîèçâåäåíèÿ ñòàëè ïîïóëÿðíûìè è ÷èòàåìûìè. Åñëè âû, íåèçâåñòíûé ñîâðåìåííûé ïîýò èëè çàèíòåðåñîâàííûé ÷èòàòåëü - Âàñ æä¸ò íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë.