Êîò ìóðëû÷åò... áåë è ñåð, Îí ïîíÿòëèâûé... Æèë äà áûë ýñýñýñýð - Òðàâû ìÿòíûå. Òðàâû ìÿòíûå, åùå Ìàòü-è-ìà÷åõà, Ðåêè ñ ñèãîì è ëåù¸ì - Ìàòåìàòèêà! Óðàâíåíèÿ, èêñû, Ñèíóñ-êîñèíóñ... Âîçëå ñòàäà âîë÷üÿ ñûòü... Ïàðíè ñ êîñàìè... Ñ÷àñòüå óøëîå ëîâè - Äåâêè ñ âîëîñîì Ðàñïåâàëè î ëþáâè Ñëàäêèì ãîëîñîì... À âåñåííåþ ïîð

Voto Di Gloria

Voto Di Gloria Morgan Rice L’Anello Dello Stregone #5 In VOTO DI GLORIA (Libro #5 in LAnello dello Stregone), Thor si imbarca con i suoi compagni della Legione per unimpresa epica nelle vaste Terre Selvagge dellImpero per cercare di trovare lantica Spada della Dinastia e salvare quindi lAnello. Le amicizie di Thor si fanno sempre pi? profonde mentre viaggiano in luoghi nuovi, affrontano mostri inimmaginabili e combattono fianco a fianco in incredibili battaglie. Incontrano territori esotici, creature e persone che non avrebbero mai immaginato, mentre ogni ulteriore passo del loro viaggio si presenta carico di pericoli sempre pi? grandi. Dovranno chiamare a raccolta tutta la loro abilit? se vorranno sopravvivere mentre seguono il sentiero dei ladri, sempre pi? a fondo nel territorio dellImpero. La loro ricerca li porter? direttamente fino al cuore del Mondo Sotterraneo, un dei sette regni dellinferno, dove regnano i morti viventi e i campi sono disseminati di ossa. Qui pi? che mai Thor chiama a raccolta i suoi poteri e lotta per capire la sua stessa natura. Tornata nellAnello, Gwendolyn deve condurre met? della Corte del Re verso la roccaforte occidentale di Silesia, unantica citt? arroccata ai confine del Canyon che domina da quella postazione da oltre mille anni. Le fortificazioni di Silesia le hanno permesso di sopravvivere a ogni attacco nel corso dei secoli, ma la citt? non ha mia dovuto affrontare un assalto da parte di un capo quale Andronico e da un esercito di un milione di uomini. Gwendolyn impara cosa significhi essere regina nel momento in qui assume il ruolo di guida. Srog, Kolk, Brom, Steffen, Kendrick e Godfrey sono al suo fianco e si preparano a difendere la citt? dalla violenta guerra che sta per scatenarsi. Nel frattempo, Gareth sta impazzendo sempre di pi?, cercando di respingere un colpo di stato che lo vorrebbe morto nella Corte del Re. Morgan Rice VOTO DI GLORIA V o t o   di   G L O R i a (libro #5 in l’anello dello stregone) Morgan Rice Versione italiana A cura di Annalisa lovat Chi ? Morgan Rice Morgan Rice ? l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento tredici libri. I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue). Morgan ama ricevere i vostri messaggi e commenti, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per iscrivervi alla sua mailing list, ricevere un libro in omaggio, gadget gratuiti, scaricare l’app gratuita e vedere in esclusiva le ultime notizie. Connettetevi a Facebook e Twitter e tenetevi sintonizzati! Cosa dicono di Morgan Rice “L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Vi terr? incollati al libro per ore e sar? in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni et?. Non pu? mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.” –-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos “Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualit? descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…” --Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata) “Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante  …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!… Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.” –-The Romance Reviews (parlando di Tramutata) “Mi ha preso fin dall’inizio e non ho pi? potuto smettere…. Questa storia ? un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.” –-Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata } “Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. 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Privato della sua armatura, mezzo nudo, il corpo grassoccio e peloso lasciato allo scoperto, re McCloud era legato dietro alla sella di Andronico con una grossa corda stretta attorno ai polsi. Avanzando lentamente e facendo mostra del suo trionfo, Andronico trascinava McCloud tra terra e sassi, sollevando una nuvola di polvere. Il popolo di McCloud si riun? attorno a loro guardando la scena a bocca aperta. McCloud imprecava e si agitava per il dolore, mentre sfilava attraverso le vie della sua stessa cittadina. Andronico era raggiante. I volti della gente di McCloud erano segnati da smorfie di paura. Ecco l? il loro re, ora ridotto al pi? infimo degli schiavi. Era uno dei giorni migliori di cui Andronico avesse memoria. Era sorpreso di quanto semplice fosse stato conquistare quella citt?. Pareva che gli uomini di McCloud si fossero demoralizzati ancora prima che l’attacco avesse inizio. I suoi soldati li avevano sottomessi alla velocit? di un fulmine, piombando su di loro, annientando i pochi che avevano osato opporsi e penetrando all’interno della citt? in un batter d’occhio. Probabilmente si erano resi conto che non valeva la pena opporre resistenza. Avevano tutti deposto le armi sperando che, se si fossero arresi, Andronico si sarebbe limitato a farli prigionieri. Ma non conoscevano il grande Andronico. Disprezzava chi si arrendeva. Non catturava prigionieri, e l’abbassare le armi gli aveva solo reso le cose pi? facili. Le strade della citt? di McCloud furono presto inondate dal sangue, mentre gli uomini di Andronico facevano piazza pulita in ogni vicolo, in ogni via, massacrando ogni anima incontrassero. Le donne e i bambini venivano catturati e fatti schiavi, come sempre. Le case saccheggiate una per una. Ora Andronico avanzava lentamente tra le vie, osservando i segni del suo trionfo e vedendo cadaveri ovunque, il bottino accumulato, le case distrutte. Si volt? e fece cenno a uno dei suoi generali che immediatamente sollev? una torcia e diede il via ai suoi uomini: centinaia di soldati si aprirono a ventaglio sulla citt? dando fuoco ai tetti di paglia. Le fiamme si levarono tutt’attorno a loro, alte verso il cielo, e Andronico gi? ne sentiva il calore. “NO!” grid? McCloud, dimenandosi a terra dietro di lui. Andronico sorrise e allung? il passo, diretto verso una roccia piuttosto grande. Si ud? subito un colpo che gli diede grande soddisfazione, consapevole che il corpo di McCloud vi aveva sbattuto contro. Era meraviglioso veder bruciare quella citt?. Come aveva fatto per ogni luogo conquistato dall’Impero, l’avrebbe prima rasa al suolo, per poi ricostruirla con i suoi uomini, i suoi generali, il suo Impero. Era cos? che funzionava. Non lasciava mai traccia del vecchio. Voleva costruire un nuovo mondo. Il mondo di Andronico. L’Anello, il sacro Anello che era sfuggito a tutti i suoi antenati, era ora territorio suo. Riusciva a stento a crederci. Fece un respiro profondo pensando alla sua grandezza. Presto avrebbe attraversato l’Altopiano e avrebbe conquistato anche l’altra met? di Anello. Dopodich? non ci sarebbe stato alcun luogo sul pianeta dove il suo piede non fosse passato. Andronico si avvicin? alla torreggiante statua di McCloud, nella piazza cittadina, e vi si ferm? davanti. Era fatta di marmo e si ergeva di oltre quindici metri, come una sorta di tempio. Mostrava una versione di McCloud che Andronico non conosceva: un McCloud in forma e muscoloso, che brandiva coraggiosamente una spada. Era egomaniacale. Per quell’aspetto lo ammirava. Una parte di lui avrebbe voluto prendere quella statua e portarla a casa, collocarla come un trofeo nel suo palazzo. Ma un’altra parte ne era troppo disgustata. Senza pensarci due volte prese la sua fionda – tre volte pi? grande di quella di qualsiasi essere umano, abbastanza larga per potervi mettere un piccolo masso – e tir? con tutta la propria forza. La roccia vol? in aria e and? a colpire la testa della statua, che esplose in mille pezzi staccandosi dal corpo. Andronico poi grid?, sollev? il suo mazzafrusto e lo cal? sul resto del monumento. Frantum? il busto di marmo e i pezzi caddero a terra con grande frastuono. Andronico gir? poi il suo cavallo e si assicur? che, avanzando, il corpo di McCloud si grattasse e graffiasse sui frammenti. “Pagherai per questo!” grid? debolmente e agonizzante McCloud. Andronico rise. Aveva incontrato molti uomini nella sua vita, ma quello era forse il pi? patetico di tutti. “Davvero?” gli grid? in risposta. Quel McCloud era troppo ottuso, ancora non apprezzava il potere del grande Andronico. Aveva bisogno di una lezione, una volta per tutte. Andronico osserv? la citt? e i suoi occhi caddero su quello che era senza dubbio il castello di McCloud. Spron? il cavallo e part? al galoppo, seguito dai suoi uomini, mentre McCloud veniva trascinato in terra attraverso il cortile. Risal? le decine di gradini di marmo e il corpo di McCloud rimbalz? dietro di lui, gridando e gemendo a ogni scalino. Poi prosegu? attraverso l’ingresso. I suoi uomini erano gi? di guardia al portone, ai loro piedi i cadaveri insanguinati delle precedenti guardie. Andronico sorrise soddisfatto constatando che ogni angolo della citt? era gi? suo. Oltrepass? i grandi portoni del castello ed entr? in un corridoio dall’alto soffitto a volta, completamente fatto di marmo. Si meravigli? per gli eccessi di quel re. Era chiaro che non aveva badato a spese per concedersi i lussi che voleva. Ora era giunta la sua ora. Andronico prosegu? a cavallo lungo gli ampi corridoi, sempre seguito dai suoi uomini. Gli zoccoli dei cavalli risuonavano tra le pareti e il gruppo giunse a quella che aveva tutto l’aspetto di essere la sala del trono. Fecero irruzione attraverso la porta di quercia e si portarono al centro della stanza, vicino a un volgare ed eccessivo trono d’oro lavorato, collocato al centro della sala. Andronico smont? da cavallo, sal? lentamente i gradini dorati e vi si sedette. Respir? profondamente scrutando da l? i suoi uomini, le decine di generali a cavallo in attesa di un suo comando. Guard? il corpo sanguinante di McCloud, ancora legato al suo cavallo, gemente. Osserv? la stanza, esamin? le pareti, gli arazzi, le armature, le armi. Osserv? la maestria con cui il trono era stato cesellato e se ne stup?. Prese in considerazione l’idea di fonderlo, o magari portarlo indietro intero. Avrebbe magari potuto darlo in dono a uno dei suoi generali minori. Ovviamente quel trono non assomigliava neanche lontanamente al suo, il trono pi? grande e massiccio di tutti i regni, che aveva richiesto il lavoro di venti artigiani per quarant’anni. La costruzione aveva avuto inizio ai tempi di suo padre ed era stata completata nel giorno in cui Andronico l’aveva ucciso. Tempismo perfetto. Guard? McCloud, quel patetico omuncolo, e si chiese come poterlo far soffrire al meglio. Esamin? la forma e la misura del suo cranio e decise che gliel’avrebbe perforato per inserirlo nella catena che portava al collo, insieme alle altre teste che gi? vi pendevano. Eppure si rendeva conto che prima di ucciderlo aveva bisogno di tempo per smagrirgli il volto, far incavare le guance, in modo che stesse meglio sulla sua collana. Non voleva che una faccia grassa e floscia rovinasse il risultato estetico  del suo gioiello. Lo avrebbe lasciato vivere quanto bastasse, e nel frattempo lo avrebbe torturato. Sorrise tra s? e s?. S?, era davvero un bel piano. “Portatelo qui,” ordin? Andronico a uno dei suoi generali con il suo consueto ringhio profondo e gutturale. Il generale balz? a terra senza un solo secondo di esitazione, si avvicin? velocemente a McCloud, tagli? la fune e trascin? il corpo sanguinante sul pavimento, macchiandolo di rosso, e lo lasci? ai piedi di Andronico. “Non puoi passarla liscia!” bofonchi? debolmente McCloud. Andronico scosse la testa: quell’umano non avrebbe mai imparato. “Eccomi qui, seduto sul tuo trono,” disse Andronico. “E guarda dove sei tu, disteso ai miei piedi. Io direi che la passer? liscia in tutto e per tutto. Direi che l’ho gi? fatto.” McCloud rimase a terra, gemente e tremante. “Il primo punto del mio ordine del giorno,” disse Andronico, “sar? di insegnarti a prestare il dovuto rispetto al tuo nuovo re e padrone. Vieni da me ora, e ricevi l’onore di essere il primo a inginocchiarsi davanti a me nel mio nuovo regno, il primo a baciare la mia mano e a chiamarmi re di ci? che prima era la parte di Anello appartenente ai McCloud.” McCloud sollev? lo sguardo, si alz? appoggiandosi su mani e ginocchia e fece una smorfia ad Andronico. “Mai!” disse, voltandosi e sputando sul pavimento. Andronico scoppi? a ridere. Si stava divertendo di cuore. Era un bel po’ che non incontrava un umano cos? pieno di forza di volont?. Si volt? e fece un cenno. Uno dei suoi uomini afferr? McCloud alle spalle, un altro gli tenne ferma la testa e un terzo si fece avanti con un lungo rasoio. Vedendolo avvicinarsi McCloud trem? di paura. “Cosa avete intenzione di fare?” chiese terrorizzato, con voce alta e stridula. L’uomo abbass? il rasoio e con un colpo netto gli tagli? met? della barba. McCloud lo guard? disorientato, chiaramente stupito di non essere stato ferito. Andronico annu? e un altro servitore si fece avanti con un lungo attizzatoio, all’estremit? del quale era inciso nel ferro l’emblema del suo regno: un leone con un uccello tra le fauci. Avvampava, arancione e caldo rovente, e mentre gli altri tenevano fermo McCloud, l’uomo abbass? il ferro contro la sua guancia nuda. “NO!” McCloud strill? rendendosi conto di cosa stava accadendo. Ma ormai era troppo tardi. Un grido terrificante tagli? l’aria, accompagnato da un sibilo e dal puzzo di carne bruciata. Andronico guard? con soddisfazione l’attizzatoio che affondava nella guancia di McCloud bruciandola. Il sibilo era sempre pi? forte e le grida quasi insopportabili. Alla fine, dopo dieci secondi buoni, lo lasciarono andare. McCloud si afflosci? sul pavimento, privo di conoscenza, sbavando, mentre il fumo si levava dalla met? bruciacchiata della sua faccia. Ora portava, stampato nella carne, l’emblema di Andronico. Andronico si chin? in avanti, guard? il corpo privo di conoscenza di McCloud e ammir? il lavoretto appena fatto. “Benvenuto nell’Impero.” CAPITOLO DUE Erec si trovava in cima alla collina, al limitare della foresta, e guardava il piccolo contingente armato che avanzava. Il cuore gli bruciava di ardore. Era nato per un giorno come quello. In alcune battaglie la linea di demarcazione sfumava tra giusto e ingiusto, ma non in una giornata come quella. Il signore di Baluster aveva sfacciatamente rubato la sua sposa e si era comportato da spaccone, per nulla dispiaciuto per ci? che aveva fatto. Era stato messo al corrente del suo crimine, gli era stata data la possibilit? di ratificare i suoi errori, eppure lui si era rifiutato. Si era preso gioco dei suoi dolori. I suoi uomini avrebbero dovuto lasciar perdere, soprattutto ora che egli era morto. Invece stavano avanzando, in centinaia: mercenari pagati da quel signorotto mediocre, tutti lanciati con lo scopo di uccidere Erec solo perch? quell’uomo li aveva pagati. Procedevano verso di lui nelle loro scintillanti armature verdi, e mentre si avvicinavano lanciavano grida di guerra. Come se una cosa del genere potesse mai spaventarlo. Erec non aveva la minima paura. Aveva visto troppe battaglie come quella. Se aveva imparato qualcosa nei suoi lunghi anni di allenamento, era di non avere mai paura quando combatteva dalla parte del giusto. Gli avevano insegnato che la giustizia non aveva sempre la meglio, ma poteva donare a chi la sostenesse la forza di dieci uomini. Non era paura quella che Erec provava mentre guardava l’avanzata di quelle centinaia di uomini, consapevole che sarebbe probabilmente morto. Era attesa. Gli era stata concessa la possibilit? di affrontare la propria morte nel modo pi? onorevole, e questo era un dono. Aveva fatto un voto di gloria e quel giorno quel voto gli domandava ci? che era dovuto. Erec sguain? la spada e inizi? a correre a piedi gi? dalla collina, rapido contro l’esercito che gli galoppava contro. In quel momento desiderava pi? di ogni altra cosa di poter avere il suo fidato destriero, per affrontare la battaglia a cavallo, ma provava un senso di pace sapendo che Warkfin stava riportando Alistair a Savaria, sana e salva alla corte del duca. Quando fu pi? vicino ai soldati, ormai a neanche cinquanta metri da lui, Erec prese velocit? deciso a colpire il cavaliere che stava a capo del gruppo, esattamente al centro. L’esercito non rallent?, e neppure Erec lo fece, preparandosi allo scontro ormai imminente. Sapeva di avere un vantaggio: trecento uomini non potevano fisicamente avvicinarsi abbastanza da attaccare un uomo solo nello stesso istante. Aveva imparato dal suo allenamento che al massimo sei uomini a cavallo potevano arrivare sufficientemente vicini a un uomo a terra. Per come la vedeva Erec, ci? significava che lo scontro non era trecento a uno, ma solo sei a uno. Se fosse riuscito ad uccidere sei uomini alla volta, aveva delle possibilit? di vittoria. Tutto ovviamente dipendeva dalla sua resistenza e se questa sarebbe stata sufficiente a sostenerlo per tutta la durata della battaglia. Scendendo dalla collina, Erec estrasse dalla cintura l’arma che sapeva essere la migliore: un mazzafrusto con una catena lunga dieci metri, all’estremit? della quale era appesa una palla chiodata. Era il genere di arma generalmente utilizzata per tendere trappole lungo la via, o per situazioni come quella. Erec attese l’ultimo momento, fino a che fu certo che l’esercito non avesse tempo per reagire, poi fece roteare il mazzafrusto sopra la propria testa e lo scagli? verso il campo di battaglia. Mir? a un piccolo albero e la catena si srotol? attraverso il campo. Quando la palla si fu attorcigliata attorno all’albero, Erec inizi? a rotolare a terra, evitando cos? le lance che i nemici gli stavano scagliando, tenendosi alla catena con tutte le sue forze. Il suo tempismo fu perfetto: l’esercito non ebbe alcun tempo per reagire. Videro la catena all’ultimo momento e cercarono di fermare i cavalli, ma stavano procedendo troppo velocemente e fu troppo tardi. L’intera prima linea inciamp? nel cavo, che tagli? le gambe dei cavalli mandando a terra i cavalieri, seguiti a ruota dalle loro cavalcature che atterrarono su di loro. Decine di uomini collassarono a terra in un grande caos generale. Erec non ebbe il tempo per essere orgoglioso di quanto aveva fatto: un altro contingente gir? e si lanci? contro di lui, avanzando con un grido di battaglia. Erec balz? in piedi pronto ad affrontarli. Quando il cavaliere a capo del gruppo sollev? il suo giavellotto, Erec prese vantaggio dalle sue risorse: non aveva un cavallo, non poteva affrontare quegli uomini alla loro altezza, ma essendo basso poteva utilizzare il terreno sotto di lui. Improvvisamente si tuff? in terra, rotol?, sollev? la spada e tagli? le gambe del cavallo del primo cavaliere. L’animale inciamp? e il soldato cadde a terra senza avere neanche l’occasione di usare la sua arma. Erec continu? a rotolare e riusc? a schivare le zoccolate dei cavalli attorno a s?, che dovettero dividersi per evitare di calpestare il cavallo caduto a terra. Molti non vi riuscirono e incespicarono sull’animale morto, collassando a terra e sollevando un nuvola di polvere, causando cos? un vero e proprio ingorgo nel mezzo dell’esercito. Era proprio ci? che Erec aveva sperato: polvere e confusione, decine di soldati e cavalli a terra. Balz? in piedi, sollev? la spada e par? un colpo che stava scendendo contro la sua testa. Ruot? su se stesso e blocc? un giavellotto, poi una lancia, poi ancora un’ascia. Si difese contro colpi che gli piovevano contro da ogni parte, ma sapeva che non avrebbe potuto resistere a lungo. Doveva rimanere all’erta se voleva conservare una minima possibilit?. Erec rotol? di nuovo, usc? da quel pandemonio, si poggi? su un ginocchio e lanci? la spada come fosse una lancia. L’arma vol? in aria e si conficc? nel petto del soldato pi? vicino. Questo sgran? gli occhi e cadde di lato dal suo cavallo, morto. Erec colse l’occasione per balzare sul cavallo, prendendo il mazzafrusto dalle mani dell’uomo. Si trattava di un’arma ben fatta ed Erec l’aveva individuata per quel motivo: aveva un’asta d’argento borchiata e una catena di un metro e mezzo con tre palle chiodate all’estremit?. Erec la tir? all’indietro  e la fece roteare sopra la testa, andando a spazzare via le armi dalle mani di diversi avversari in un colpo solo. Poi, con un altro colpo, li fece cadere dai loro cavalli. Poi perlustr? il campo di battaglia e not? che aveva atterrato quasi un centinaio di cavalieri. Ma gli altri, ancora almeno duecento, si stavano lanciando contro di lui tutti insieme proprio in quel momento, ed erano decisamente determinati. Erec galopp? loro incontro, un uomo solo contro duecento, e lev? un forte grido di battaglia, brandendo il suo mazzafrusto e pregando Dio che la sua forza lo sostenesse. * Alistair piangeva mentre si teneva stretta a Warkfin con tutta la sua forza, mentre il destriero galoppava portandola lungo la fin troppo familiare strada per Savaria. Per tutto il tempo aveva calciato e gridato contro il cavallo, cercando di fare il possibile per farlo girare e tornare da Erec. Ma lui non l’aveva ascoltata. Non aveva mai incontrato un cavallo del genere prima d’ora: ascoltava risoluto il comando del suo padrone e non esitava un secondo. Era ovviamente intenzionato a portarla dove Erec gli aveva ordinato, e alla fine non pot? che rassegnarsi al fatto che non c’era nulla da fare. I sentimenti di Alistair erano contrastanti mentre attraversava i cancelli della citt?, una citt? nella quale aveva vissuto cos? a lungo da schiava. Da una parte si sentiva a casa, ma dall’altra le tornavano alla mente i ricordi del locandiere che l’aveva sfruttata, di ogni cosa ci fosse di sbagliato in quel luogo. Aveva desiderato cos? tanto andarsene, scappare da l? con Erec e iniziare una nuova vita insieme a lui. Mentre quelle mura la facevano sentire al sicuro, provava allo stesso tempo una crescente inquietudine per Erec, laggi? da solo, ad affrontare un esercito intero. Il solo pensiero le dava alla nausea. Rendendosi conto che Warkfin non sarebbe tornato indietro, sapeva che la miglior cosa che avesse potuto fare sarebbe stata cercare aiuto per Erec. Lui le aveva chiesto di rimanere l?, all’interno delle mura protette della citt?, ma sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto. Era la figlia di un re dopotutto, e non era tipo da fuggire dalla paura o dagli scontri. Erec aveva trovato in lei una persona come lui: era altrettanto nobile e determinata. E non c’era modo per lei di sopravvivere se gli fosse accaduto qualcosa. Conoscendo bene quella cittadina reale, Alistair diresse Warkfin verso il castello del duca, ed ora che si trovavano oltre il cancello, l’animale si lasci? guidare. Giunta all’ingresso del castello scese da cavallo e corse tra i servitori che cercavano di fermarla. Si scroll? di dosso le loro mani e percorse i corridoi di marmo che tanto bene aveva imparato a conoscere quando era una serva. Si lanci? di peso contro le grandi porte reali della sala principale e le apr? con uno schianto, introducendosi in fretta e furia nella stanza privata del duca. Diversi membri del consiglio si voltarono a guardarla, tutti abbigliati con paramenti reali, il duca seduto al centro, circondato da numerosi cavalieri. Rimasero tutti sorpresi: chiaramente aveva interrotto con il suo arrivo qualche affare importante. “Chi sei, donna?” chiese un uomo. “Chi osa interrompere gli affari ufficiali del duca?” grid? un altro. “Riconosco questa donna,” disse il duca alzandosi in piedi. “Anche io,” disse Brandt, che Alistair riconobbe essere l’amico di Erec. “? Alistair, vero?” chiese. “La nuova moglie di Erec?” Lei gli corse incontro, in lacrime, e gli afferr? le mani. “Vi prego, mio signore, aiutatemi. Si tratta di Erec!” “Cos’? successo?” chiese il duca, allarmato. “Si trova in grave pericolo. Sta affrontando un terribile esercito da solo in questo preciso istante! Non ha voluto che rimanessi con lui! Ha bisogno di aiuto!” Senza dire una parola tutti i cavalieri saltarono in piedi e iniziarono a correre fuori dalla sala senza la minima esitazione. Anche Alistair si volt? e inizi? a correre con loro. “Resta qui!” la esort? Brandt. “Mai!” rispose lei, correndogli dietro. “Vi condurr? da lui!” Corsero tutti insieme lungo i corridoi, fuori dai portoni del castello fino a un gruppo di cavalli gi? pronti. Ognuno mont? sul suo senza aspettare un solo secondo. Alistair sal? su Warkfin, lo spron? e si mise a capo del gruppo, ansiosa tanto quanto loro di partire. Mentre attraversavano di gran carriera la corte del duca, altri soldati intorno a loro montarono a cavallo e si unirono al gruppo. Quando lasciarono i cancelli di Savaria formavano un grosso contingente di almeno cento uomini, Alistair a capo di esso, affiancata da Brandt e dal duca. “Se Erec viene a sapere che sei con noi, vorr? la mia testa,” disse Brandt. “Per favore, mia signora, dicci semplicemente dove sta.” Ma Alistair scosse la testa ostinatamente, ricacciando le lacrime mentre continuava a galoppare in quel frastuono di zoccoli attorno a lei. “Preferirei scendere nella mia stessa tomba, piuttosto che abbandonare Erec!” CAPITOLO TRE Thor cavalcava cautamente lungo il sentiero che attraversava la foresta con accanto Reece, O’Connor, Elden e i gemelli, Krohn alle loro spalle, uscendo pian piano dalla foresta al confine del Canyon. Il cuore gli batteva trepidante di attesa mentre raggiungevano il limitare del fitto bosco. Sollev? una mano, facendo cenno agli altri di restare in silenzio, e tutti si immobilizzarono dietro di lui. Thor si guard? attorno e osserv? la vasta distesa di spiaggia, cielo aperto e, ancora oltre, lo sconfinato mare giallo che li avrebbe portati verso le remote terre dell’Impero. Il mar Tartuvio. Non vedeva quelle acque dal viaggio del Cento. Era strano trovarsi di nuovo l? e questa volta per una missione che riguardava il destino dell’Anello. Dopo aver attraversato il ponte sul Canyon, il breve tragitto attraverso le Terre Selvagge era stato tranquillo. Kolk e Brom avevano detto a Thor di cercare una piccola imbarcazione ormeggiata sulle rive del Tartuvio, attentamente nascosta sotto i rami di un immenso albero che si protendeva sul mare. Thor segu? le loro indicazioni alla lettera, e quando raggiunsero il confine del bosco, scorse la barca, ben nascosta e pronta per portarli dove dovevano andare. Si sent? sollevato. Ma poi vide sulla sabbia di fronte all’imbarcazione sei soldati dell’Impero intenti a studiarla. Un settimo vi era salito a bordo. La barca era attraccata a riva, giaceva per met? sulla sabbia e per il resto della lunghezza veniva lambita e fatta dondolare dalle onde. Non ci sarebbe dovuto essere nessuno l?. Era un colpo di sfortuna. Scrutando verso l’orizzonte, Thor vide la lontana sagoma di quella che sembrava essere l’intera flotta dell’Impero: migliaia di navi scure con la bandiera nera dell’Impero. Fortunatamente non stavano navigando verso di loro, ma verso un’altra direzione, come se stessero percorrendo la lunga rotta circolare che portava a fare il giro dell’Anello, verso la parte dei McCloud, dove avevano oltrepassato il Canyon. Fortunatamente quell’armata era occupata con un diverso obiettivo. Eccetto quella pattuglia. Quei sei soldati dell’Impero, probabilmente scorte in una missione di routine, che in qualche modo si erano imbattuti nella barca della Legione. Non era il momento opportuno. Se Thor e gli altri avessero solo raggiunto la riva pochi minuti prima, si sarebbero probabilmente gi? imbarcati e avrebbero salpato. Ora avevano uno scontro tra le mani. Non c’era modo di evitarlo. Thor esamin? la spiaggia in tutte le direzioni e non vide altri contingenti dell’Impero. Almeno questo era a loro favore. Probabilmente si trattava di un gruppetto solitario. “Pensavo che la barca dovesse essere ben nascosta,” disse O’Connor. “Probabilmente non lo era abbastanza,” sottoline? Elden. I sei rimasero ad osservare la barca e il gruppo di soldati nemici dai loro cavalli. “Non ci vorr? molto perch? diano l’allarme alle altre truppe dell’Impero,” osserv? Conven. “E allora avremo una guerra bella e buona da combattere,” aggiunse Conval. Thor sapeva che avevano ragione. E che non era un rischio da correre. “O’Connor,” disse Thor, “tra tutti noi sei quello con la mira migliore. Ti ho visto tirare da cinquanta metri. Vedi quello sulla prua? Abbiamo un tiro a disposizione. Ce la puoi fare?” O’Connor annu? seriamente, gli occhi fissi sul soldato dell’Impero. Allung? con scioltezza una mano dietro la spalla, sollev? l’arco, posizion? una freccia e lo tenne pronto. Stavano tutti guardando Thor e lui si sentiva pronto a dare il via. “O’Connor, al mio segnale, tira. Poi noi ci butteremo su quelli pi? sotto. Tutti gli altri usino le loro armi da lancio non appena saremo vicini. Prima di tutto cercate di avvicinarvi il pi? possibile.” Thor fece un gesto con la mano e subito O’Connor lasci? la corda. La freccia vol? in aria con un sibilo e il colpo si rivel? perfetto: la punta di metallo perfor? il cuore del soldato che si trovava sulla prua. L’uomo rimase l?, gli occhi si fecero grandi per un momento, come se non comprendesse ci? che stava accadendo, poi improvvisamente allarg? le braccia e cadde in avanti, di faccia, in un tuffo, atterrando sulla spiaggia con un tonfo ai piedi dei suoi compagni e macchiando la sabbia di rosso. Thor e gli altri partirono all’attacco, una macchina ben strutturata, tutti perfettamente sincronizzati. Il rumore dei loro cavalli lanciati al galoppo li precedette e i sei soldati rimanenti si voltarono a guardarli. Montarono anch’essi a cavallo e si lanciarono contro di loro, pronti ad affrontarli. Thor e i suoi ancora avevano il vantaggio della sorpresa. Thor lanci? un sasso con la sua fionda e colp? uno dei soldati alla tempia da una distanza di venti metri mentre continuava a galoppare. L’uomo cadde a terra morto, le redini ancora in mano. Quando furono pi? vicini Reece lanci? la sua ascia, Elden una lancia e i gemelli un pugnale a testa. La sabbia era irregolare e i cavalli scivolavano, rendendo pi? difficile del solito lanciare le armi. L’ascia di Reece and? a segno, uccidendo uno degli uomini, ma gli altri mancarono il bersaglio. Ne rimanevano quattro. Quello a capo del gruppo si separ? dagli altri e si lanci? contro Reece, ora disarmato. Aveva tirato la sua ascia e non aveva avuto il tempo di sguainare la spada. Reece si prepar? al peggio, ma all’ultimo momento Krohn balz? in avanti, morse una gamba del cavallo avversario e lo fece collassare a terra disarcionando il soldato e salvando quindi Reece all’ultimo momento. Reece sfoder? la spada e colp? l’uomo uccidendolo prima che potesse rimettersi in piedi. Ora ne mancavano tre. Uno di questi si avvent? contro Elden brandendo un’ascia e roteandola in aria con l’intento di colpirlo alla testa. Elden par? il colpo con lo scudo e allo stesso tempo ruot? su s? stesso e colp? l’aggressore alla testa con lo scudo stesso, facendolo cadere da cavallo. Un altro soldato prese un mazzafrusto dalla cintura e fece roteare la lunga catena terminante con una palla chiodata che si diresse immediatamente contro O’Connor. Accadde tutto troppo velocemente perch? lui potesse reagire. Thor lo vide sopraggiungere e si port? accanto all’amico, sollevando al spada e tranciando la catena del mazzafrusto prima che colpisse O’Connor. La lama tagli? di netto la catena con un secco rumore metallico, e Thor si sorprese di quanto la nuova spada fosse affilata. La palla chiodata cadde a terra, innocua, e si conficc? nella sabbia, risparmiando al vita di O’Connor. Subito sopraggiunse anche Conval, che trafisse l’avversario con la sua lancia, uccidendolo. L’ultimo soldato dell’Impero rimasto si rese conto di essere drasticamente in minoranza. Con la paura negli occhi si volt? di scatto e si mise a correre, allontanandosi lungo la costa. Il suo cavallo lanciato al galoppo lasciava orme nette nella sabbia. Tutti si concentrarono sul fuggitivo: Thor scagli? una pietra con la fionda, O’Connor sollev? l’arco e scocc? una freccia e Reece tir? una lancia. Ma il soldato correva in modo troppo irregolare, il cavallo sprofondava nella sabbia e tutti mancarono il bersaglio. Elden allora sguain? la spada e Thor vide che stava per lanciarsi all’inseguimento. Ma sollev? una mano e li fece cenno di restare fermo. “No!” gli grid?. Elden si volt? a guardarlo. “Se sopravvive mander? altri a cercarci!” protest?. Thor si volt? e guard? la barca: sapeva che dare la caccia a quell’uomo avrebbe rubato loro del tempo prezioso, tempo che non potevano permettersi di sprecare. “L’Impero si metter? comunque sulle nostre tracce,” disse. “Non abbiamo tempo da perdere. La cosa pi? importante ora e che ci allontaniamo da qui. Alla barca!” Scesero da cavallo e raggiunsero la barca; Thor inizi? a svuotare la sella di tutte le provviste e gli altri fecero lo stesso, caricando a bordo armi e sacchi di cibo e acqua. Non potevano sapere quanto sarebbe durato il viaggio, quanto tempo sarebbe passato prima di riuscire a rivedere terra, se mai l’avessero rivista. Thor caric? anche del cibo per Krohn. Lanciarono i sacchi in alto, oltre il parapetto della barca, e li sentirono atterrare con un tonfo sul ponte. Thor afferr? poi la spessa e nodosa fune che pendeva da un fianco e la prov?, sentendo che gli tagliava le mani. Si iss? Krohn in spalla e il peso di entrambi mise alla prova i suoi muscoli, mentre si tirava verso l’alto per raggiungere il ponte. Krohn gli mugolava nell’orecchio e si teneva stretto al suo petto con i suoi artigli affilati, graffiandolo. In poche mosse Thor fu oltre il parapetto e Krohn balz? a terra. Gli altri li seguirono a distanza di pochi secondi. Thor lanci? un’occhiata ai cavalli sulla spiaggia, che guardavano verso di loro come fossero in attesa di un comando. “E loro?” chiese Reece, portandosi accanto a lui. Thor si guard? attorno ed esamin? la barca: era lunga pi? o meno sette metri, e larga la met?. Era abbastanza grande per loro sette,  ma non certo per i cavalli. Se avessero cercato di portarli, i cavalli avrebbero potuto rovinare il legno e danneggiare l’imbarcazione. Dovevano lasciarli l?. “Non abbiamo scelta,” disse Thor guardandoli malinconicamente. “Dovremo trovarcene di nuovi.” O’Connor si chin? contro il parapetto. “Sono cavalli intelligenti,” aggiunse O’Connor. “Li ho addestrati bene. Torneranno a casa se glielo ordino.” O’Connor fischi? con forza. Tutti insieme i cavalli si voltarono e cominciarono ad attraversare la spiaggia al galoppo scomparendo nella foresta, diretti verso l’Anello. Thor si volt? a guardare i suoi fratelli, la barca, il mare dinnanzi a loro. Ora erano bloccati, senza cavalli, senza alcun’altra possibilit? che andare avanti. La realt? dei fatti lo atterriva. Erano veramente soli, con nient’altro che quell’imbarcazione, in procinto di lasciare le coste dell’Anello. Non c’era nessuna via di ritorno. “E come facciamo a mettere la barca in acqua?” chiese Conval, mentre tutti guardavano verso il basso, cinque metri sotto di loro, verso lo scafo. Una piccola parte era accarezzata dalle acque del Tartuvio, ma la parte pi? grossa della barca era incagliata nella sabbia. “Quaggi?!” grid? Conven. Tutti corsero dall’altra parte dell’imbarcazione da dove si vedeva pendere una spessa catena di ferro, all’estremit? della quale si trovava una palla di ferro adagiata sulla sabbia. Conven inizi? a tirare la catena. Sbuff? e lott?, ma non riusc? a sollevarla. “? troppo pesante,” grugn?. Conval e Thor accorsero ad aiutarlo, e quando tutti e tre ebbero afferrato la catena per tirarla, Thor rimase scioccato dal suo peso: anche in tre non riuscivano a spostarla di un centimetro. Alla fine la lasciarono andare e ricadere sulla sabbia. “Lasciate che vi aiuti,” disse Elden avvicinandosi. Con la sua imponente stazza Elden torreggiava sopra di loro: si abbass? e tir? la catena da solo, riuscendo a sollevare la palla. Thor era stupefatto. Gli altri si unirono a lui e tirarono tutti insieme, sollevando l’ancora di trenta centimetri alla volta, fino a che riuscirono a issarla completamente a bordo. La barca inizi? a muoversi, dondolando un poco tra le onde, ma rimase incagliata tra la sabbia. “I pali!” disse Reece. Thor si volt? e vide due pali di legno, lunghi sei o sette metri, montati sui fianchi dell’imbarcazione, e cap? a cosa servivano. Corse ad afferrarne uno insieme a Reece, mentre Conval e Conven spostavano l’altro. “Quando partiamo,” grid? Thor, “issate tutti le vele!” I ragazzi si chinarono, conficcarono i pali nella sabbia e spinsero con tutta la loro forza. Thor gemette per lo sforzo. Lentamente la barca inizi? a muoversi, anche se di pochissimo. Nello stesso momento Elden e O’Connor corsero al centro e tirarono le funi per levare le vele, sollevandole con sforzo un poco alla volta. Fortunatamente c’era una brezza consistente e mentre Thor e gli altri remavano contro il terreno con tutte le loro forze per portare quella barca cos? pesante fuori dalla sabbia, le vele salirono e iniziarono a gonfiarsi. Alla fine la barca dondol? sotto di loro e scivol? sull’acqua, oscillando priva di peso. Le spalle di Thor gli tremavano per lo sforzo. Elden e O’Connor issarono completamente le vele, e presto si trovarono ad essere trasportati al largo. Lanciarono tutti un grido di trionfo, rimisero i pali al loro posto e corsero ad aiutare Elden e O’Connor  ad assicurare le sartie. Krohn  mugolava felice accanto a loro, eccitato da quella situazione. La barca procedeva senza meta e Thor corse al timone, affiancato da O’Connor. “Vuoi stare al timone?” gli chiese Thor. O’Connor sorrise. “Magari.” Iniziarono ad acquistare reale velocit?, fendendo le acque gialle del Tartuvio con il vento alle spalle. Finalmente si stavano muovendo, e Thor tir? un sospiro di sollievo. Erano partiti. Thor si diresse a prua e Reece lo segu?, mentre Krohn si infilava tra loro e si appoggiava alla gamba di Thor, che si abbass? ad accarezzargli la morbida pelliccia bianca. Krohn gli lecc? la mano e Thor prese da un sacco un pezzo di carne e glielo diede. Guard? poi il vasto mare davanti a loro. L’orizzonte lontano era disseminato di nere navi dell’Impero, sicuramente dirette alla parte dell’Anello appartenente ai McCloud. Fortunatamente erano distratti e non era per niente probabile che si aspettassero di avvistare una barca solitaria diretta verso il loro territorio. Il cielo era limpido, c’era un forte vento alle loro spalle e continuarono a guadagnare velocit?. Thor si chiedeva cosa ci fosse in serbo per loro l? fuori. Si chiedeva quanto ci sarebbe voluto per raggiungere il territorio dell’Impero, e cosa avrebbero trovato l? ad accoglierli. Si chiedeva come avrebbero trovato la spada e come sarebbe andata a finire. Sapeva che le probabilit? erano loro sfavorevoli, eppure era entusiasta di essere finalmente in viaggio, emozionato di essere arrivato a quel punto e bramoso di recuperare la spada. “E se non fosse l??” chiese Reece. Thor si volt? a guardarlo. “La spada,” aggiunse l’amico. “Cosa facciamo se non ? l?? O se ? stata perduta? O distrutta? O se non la troviamo e basta? Del resto l’Impero ? grande.” “E se l’Impero ha scoperto come farne uso?” chiese Elden con voce profonda, raggiungendoli. “E se la troviamo e non riusciamo a riportarla indietro?” chiese Conven. Rimasero l?, oppressi da ci? che stava loro innanzi, da quel mare di domande senza risposta. Quel viaggio era una follia. Thor lo sapeva. Una follia. CAPITOLO QUATTRO Gareth camminava avanti e indietro nello studio di suo padre – una piccola stanza al piano pi? alto del castello, una saletta che suo padre aveva amato – e poco alla volta la distruggeva. Andava da una libreria all’altra, prendeva preziosi volumi, antichi libri rilegati in pelle che appartenevano alla sua famiglia da secoli, e ne strappava copertine e pagine facendole in mille pezzi. Li lanciava in aria e questi ricadevano sulla sua testa come fiocchi di neve, appiccicandosi al suo corpo e alla saliva che gli colava dalla bocca. Era determinato a eliminare ogni singola parte di quel luogo che suo padre aveva amato, un libro dopo l’altro. Si avvicin? freneticamente a un tavolino d’angolo, afferr? ci? che era rimasto della sua pipa di oppio e con mano tremante se la port? alla bocca aspirando con violenza, pi? bisognoso che mai. Ne era ormai dipendente e fumava in ogni momento, con l’intento di bloccare le immagini di suo padre che lo perseguitavano nei suoi sogni e addirittura quando era sveglio. Quando ripose la pipa vide suo padre nella stanza, di fronte a lui, un cadavere in via di decomposizione. Ogni volta che gli appariva il cadavere era sempre pi? decomposto, sempre pi? scheletro che carne. Gareth si volt? per non dover sopportare quella vista abominevole. Era solito tentare di attaccare l’immagine, ma aveva imparato che non serviva a nulla. Quindi si limit? a girare la testa e a distogliere lo sguardo. Era sempre lo stesso: suo padre che indossava una corona arrugginita, la bocca aperta, gli occhi fissi su di lui con espressione di rimprovero, un dito puntato contro di lui, accusatorio. In quell’orribile sguardo Gareth sentiva che i suoi giorni erano contati, sentiva che era solo questione di tempo perch? finisse a raggiungere suo padre. Odiava pi? di ogni altra cosa vederlo. Se c’era stato un aspetto positivo nell’ucciderlo, era proprio che non aveva pi? dovuto vedere la sua faccia ogni giorno. Ma ora, ironicamente, lo vedeva pi? che mai. Gareth si volt? e scagli? la pipa di oppio contro la visione, sperando che – tirandola velocemente – magari l’avrebbe realmente colpito. Ma la pipa vol? semplicemente in aria e and? a sbattere contro il muro frantumandosi. E suo padre era sempre l? che lo guardava con sguardo truce. “Quelle droghe non ti saranno di aiuto ora,” lo rimprover?. Gareth non poteva pi? sopportarlo. Si lanci? contro l’apparizione, con le mani in avanti, deciso a graffiargli la faccia. Ma come sempre si scagli? contro nient’altro che aria, e questa volta inciamp? in mezzo alla stanza atterrando sulla scrivania di  legno di suo padre, rovesciandola e cadendo a terra con essa. Rotol? sul pavimento, ruot? su se stesso e sollev? lo sguardo accorgendosi di essersi procurato un taglio profondo al braccio. Il sangue gli gocciolava dalla camicia, e guardandosi si rese conto di avere ancora indosso la stessa veste da camera che portava ormai  da giorni. In effetti erano settimane che non si cambiava. Vide di scorcio un riflesso di se stesso e vide i capelli arruffati: sembrava un comune mascalzone. Una parte di lui stentava a credere di essere caduto cos? in basso. Ma un'altra parte non se ne curava affatto. L’unica cosa che gli era rimasta dentro era l’ardente desiderio di distruggere, distruggere ogni rimasuglio di ci? che un tempo era stato di suo padre. Avrebbe voluto far radere al suolo quel castello, e la Corte del Re con esso. Sarebbe stata la vendetta per il trattamento subito da bambino. I ricordi erano indelebili in lui, come una spina che non era capace di estirpare. La porta dello studio si apr? di scatto e un servitore di Gareth entr? guardandolo con paura. “Mio signore,” disse. “Ho udito un colpo. State bene? Mio signore, state sanguinando!” Gareth guard? il ragazzo con odio. Cerc? di rimettersi in piedi e colpirlo, ma scivol? su qualcosa e cadde a terra, disorientato dall’ultima fumata di oppio. “Mio signore, lasci che la aiuti!” Il ragazzo si affrett? ad afferrare il braccio di Gareth, che era magrissimo, praticamente pelle e ossa. Ma Gareth aveva ancora un rimasuglio di forza e quando il ragazzo gli tocc? il braccio lo scroll? via, spingendolo dall’altra parte della stanza. “Toccami un’altra volta e ti far? tagliare le mani,” lo minacci?. Il ragazzo indietreggi? intimorito e in quel momento un altro servitore entr? nella stanza, accompagnato da un uomo pi? anziano che Gareth riconobbe appena. Da qualche parte nei meandri della sua mente sapeva di conoscerlo, ma in quel momento non era in grado di ricordare. “Mio signore,” disse una voce vecchia e greve, “vi attendiamo nel consiglio da mezza giornata. I membri del consiglio non possono aspettare molto oltre. Hanno notizie urgenti che devono condividere con voi prima che il giorno volga al termine. Siete pronto?” Gareth strinse gli occhi in due fessure guardando l’uomo e cercando di capire. Ricordava appena che aveva servito suo padre. La Sala del Consiglio… la riunione… Tutto vorticava nella sua mente. “Chi sei?” chiese. “Mio signore, sono Aberthol. Il consigliere pi? fidato di vostro padre,” gli rispose, avvicinandosi di un passo. Lentamente gli stava tornando alla mente. Aberthol. Il consiglio. I pensieri di Gareth vorticavano, la testa gli faceva male. Voleva solo che lo lasciassero solo. “Lasciatemi stare,” disse seccamente. “Ora arrivo.” Aberthol annu? e usc? rapidamente dalla stanza insieme al servitore, chiudendo la porta alle loro spalle. Gareth rimase l? in ginocchio, la testa tra le mani, cercando di pensare e ricordare. Era troppo. Le cose gli tornavano alla mente a piccoli pezzi. Lo scudo era inattivo; l’Impero stava attaccando; met? della sua corte se n’era andata; sua sorella li aveva condotti via; a Silesia… Gwendolyn… Ecco. Ecco cosa aveva cercato di ricordare. Gwendolyn. La odiava con una veemenza che non era in grado di descrivere. Ora, pi? che mai, voleva ucciderla. Aveva bisogno di ucciderla. Tutti i suoi problemi erano stati causati da lei. Avrebbe trovato un modo di raggiungerla, avesse pure rischiato di morire lui stesso per farlo. E poi avrebbe ucciso anche i suoi altri fratelli. Inizi? a sentirsi meglio a quel pensiero. Con sforzo supremo si mise a fatica in piedi e zoppic? attraverso la camera, andando a sbattere contro un tavolo. Avvicinandosi alla porta scorse un busto di alabastro che raffigurava suo padre. Era una scultura che suo padre aveva amato: la prese afferrandola per la testa e la scagli? contro la parete. And? in mille pezzi e per la prima volta in quella giornata Gareth  riusc? a sorridere. Forse quel giorno, dopotutto, non era cos? male. * Gareth entr? con irruenza nella Sala del Consiglio affiancato da numerosi servitori, sbattendo il portone di quercia e facendo sobbalzare tutti i  presenti. Velocemente si alzarono tutti in piedi mettendosi sull’attenti. Mentre normalmente un comportamento del genere gli dava una certa soddisfazione, quel giorno quasi non se ne accorse. Era tormentato dal fantasma di suo padre e pieno di rabbia per la fuga di sua sorella. Le emozioni vorticavano dentro di lui e aveva bisogno di sfogarsi. Attravers? zoppicando la grande sala, ancora intontito dall’oppio, e raggiunse il centro dove si trovava il suo trono. Decine di uomini del consiglio si alzarono in piedi al suo passaggio. L’energia che emanava dalla sua corte era pi? che mai elettrica, sembrava che la gente fosse pi? che mai in fibrillazione per la notizia della partenza di met? degli abitanti della Corte del Re e per la novit? dello scudo non pi? funzionante. Era come se ci? che era rimasto della Corte del Re si fosse riversato l? per avere delle risposte. E ovviamente Gareth non ne aveva. Salendo barcollando gli scalini fino al trono di suo padre, vide, paziente dietro ad esso, Lord Kultin, il capo mercenario del suo esercito privato, l’unico uomo rimasto a corte di cui si potesse realmente fidare. Accanto a lui erano schierate decine di guerrieri, in silenzio, le mani posate sulle loro spade, pronti a combattere fino alla morte per Gareth. Era l’unica cosa che gli desse un po’ di conforto. Gareth si sedette sul trono e guard? la stanza. C’erano cos? tanti volti: un pochi li riconobbe, ma molti non li conosceva. Non si fidava di nessuno di loro. Ogni giorno eliminava qualcuno per purificare la sua corte, ne aveva gi? mandati un sacco nelle segrete e ancora di pi? sul patibolo. Non passava giorno che non uccidesse almeno una manciata di uomini. La riteneva una buona politica: teneva le persone al loro posto ed era un’ottima prevenzione contro ogni colpo di stato. Nella sala regnava il silenzio e tutti lo guardavano stupiti. Sembravano tutti terrorizzati all’idea di prendere la parola. Ed era proprio ci? che lui desiderava. Non c’era niente di pi? eccitante che infondere paura nei suoi sudditi. Alla fine fu Aberthol a fare un passo avanti, il bastone risonante contro il pavimento, schiarendosi la voce. “Mio signore,” inizi? con voce antica, “ci troviamo in un momento di grande scompiglio nella Corte del Re. Non so quali notizie vi siano gi? giunte: lo Scudo ? inattivo, Gwendolyn ha lasciato la Corte del Re ed ha preso con s? Kolk, Brom, Kendrick, Atme, l’Argento, la Legione e met? del vostro esercito, insieme a met? della Corte stessa. Quelli che sono rimasti guardano a voi come guida, per sapere quale sar? la nostra prossima mossa. Il popolo vuole delle riposte, mio signore.” “Per di pi?,” aggiunse un altro membro del consiglio che Gareth riconobbe vagamente, “si ? diffusa la notizia che il Canyon sia gi? stato oltrepassato. Si dice che Andronico abbia invaso la parte dei McCloud con il suo esercito di milioni di uomini.” Un sussulto indignato si diffuse nella sala: decine di valorosi guerrieri iniziarono a bisbigliare tra loro, assaliti dalla paura, e uno stato generale di panico si espanse a macchia d’olio come un incendio. “Non pu? essere vero!” esclam? un soldato. “Invece lo ?!” rispose il membro del consiglio. “Se ? cos?, ogni speranza ? perduta,” grid? un altro. “Se i McCloud vengono conquistati, l’Impero verr? poi verso la Corte del Re. Non c’? modo di tenerli a bada.” “Dobbiamo discutere i termini di resa, mio signore,” disse Aberthol a Gareth. “Resa!?” grid? un altro uomo. “Non ci arrenderemo mai!” “Se non lo facciamo,” intervenne un altro, “saremo annientati. Come possiamo fronteggiare un milione di uomini?” Nella stanza si diffuse un brusio concitato, i soldati e i consiglieri iniziarono a discutere tra loro in un generale disordine. Il capo del consiglio sbatt? il bastone di ferro sul pavimento e grid?: “ORDINE!” Gradualmente tutti fecero silenzio. Gli uomini si voltarono verso di lui. “Queste sono decisioni che spettano al re, non a noi,” disse uno degli uomini del consiglio. “Gareth ? il legittimo sovrano e non sta a noi discutere i termini di resa, o se arrenderci del tutto.” Tutti si voltarono verso Gareth. “Mio signore,” disse Aberthol con voce esausta, “come dite di comportarci con l’esercito dell’Impero?” Un silenzio di tomba cal? nella sala. Gareth rimase seduto a guardare gli uomini che attendevano una risposta da lui. Ma era sempre pi? difficile schiarirsi le idee. Continuava a sentire nella sua testa la voce di suo padre che gli gridava contro, come quando era bambino. Lo stava facendo impazzire e non smetteva un solo momento. Gratt? ripetutamente i braccioli del trono con le unghie: era l’unico rumore che si poteva udire nella stanza. I membri del consiglio si scambiarono sguardi preoccupati. “Mio signore,” insistette un altro membro del consiglio, “se deciderete che non dobbiamo arrenderci, allora dovremo fortificare subito la Corte del Re. Dobbiamo rendere pi? sicuri tutti gli ingressi, le strade, i cancelli. Dobbiamo richiamare tutti i soldati e preparare la difesa. Dobbiamo prepararci a un assedio, razionare il cibo, proteggere i cittadini. C’? molto da fare. Vi prego, mio signore. Dateci degli ordini. Diteci cosa fare.” Di nuovo scese il silenzio e tutti gli occhi rimasero fissi su Gareth. Alla fine Gareth sollev? il mento e li guard?. “Non combatteremo contro l’Impero,” dichiar?. “Ma neppure ci arrenderemo.” Tutti si guardarono confusi. “E allora cosa faremo, mio signore?” chiese Aberthol. Gareth si schiar? la voce. “Uccideremo Gwendolyn!” dichiar?. “? tutto ci? che conta ora.” Segu? un silenzio scioccato. “Gwendolyn?” chiese un membro del consiglio mentre gli altri erompevano nuovamente in un mormorio incontrollato. “Le manderemo contro tutte le nostre forze armate, faremo massacrare lei e quelli che la stanno seguendo prima che raggiungano Silesia,” continu?. “Ma, mio signore, come pu? esserci d’aiuto questo?” chiese un membro del concilio. “Se ci avventuriamo all’attacco di Gwendolyn, questo non far? che lasciare esposti i nostri eserciti. Saranno presto circondati e massacrati dall’Impero.” “E anche la Corte del Re verr? cos? lasciata libera di essere attaccata,” aggiunse un altro. “Se non abbiamo intenzione di arrenderci, dobbiamo fortificare la citt? il prima possibile!” Un gruppo di uomini iniziarono a discutere a voce alta. Gareth si volt? a guardare i membri del consiglio con occhi di ghiaccio. “Useremo tutti gli uomini che abbiamo per uccidere mia sorella,” disse con tono cupo. “Non ne risparmieremo neanche uno.” Nella sala cal? nuovamente il silenzio e uno dei membri del consiglio spinse indietro la sua sedia, facendola strisciare rumorosamente sul pavimento e alzandosi in piedi. “Non star? a guardare la Corte del Re rovinata dalla vostra ossessione personale. Io, per me, non sto dalla vostra parte! “Neppure io!” gli fecero eco la met? degli uomini che si trovavano nella sala. Gareth fumava di rabbia e stava per alzarsi in piedi quando improvvisamente le porte si aprirono di schianto ed entr? in fretta e furia l’unico comandante dell’esercito rimasto. Tutti gli occhi erano puntati su di lui. Trascinava dietro di s? un uomo, un mascalzone dai capelli arruffati e sporchi, la barba incolta, i polsi legati dietro la schiena. Lo port? fino al centro della stanza, fermandosi di fronte al re. “Mio signore,” disse il comandante freddamente. “Dei sei ladri giustiziati per il furto della Spada della Dinastia, questo ? il settimo, quello che era riuscito a fuggire. Racconta la storia pi? fantasiosa riguardo a ci? che ? accaduto. Parla!” gli intim? il comandante, scuotendolo. Il mascalzone guardava nervosamente in ogni direzione, i capelli appiccicati alle guance, lo sguardo incerto. Alla fine disse: “Ci hanno ordinato di rubare la spada!” I presenti iniziarono a mormorare in modo concitato. “Eravamo diciannove!” continu? l’uomo. “In dodici dovevano portarla via, nell’oscurit?, oltre il ponte sul Canyon, nelle Terre Selvagge. L’hanno nascosta in un carro che hanno scortato attraverso il ponte cos? che i soldati non potessero avere idea di cosa celasse. Gli altri, noi sette, hanno ricevuto l’ordine di rimanere indietro dopo il furto. Ci hanno detto che saremmo stati imprigionati, come dimostrazione, ma che poi ci avrebbero liberati. Invece i miei amici sono stati tutti giustiziati. Sarebbe successo anche a me se non fossi scappato.” Il brusio nella sala si fece pi? agitato. “E dove stanno portando la spada?” insistette il comandante. “Non ne ho idea. Da qualche parte nell’Impero.” “E chi ha ordinato una cosa del genere?” “Lui!” disse il malvivente, girandosi di scatto e puntando un dito ossuto contro Gareth. “Il nostro re! Ce l’ha ordinato lui!” Il brusio si tramut? in un vociare concitato, si levarono delle grida, fino a che alla fine un membro del consiglio batt? il bastone di ferro diverse volte e grid? di fare silenzio. Tutti tacquero, anche se a fatica. Gareth gi? tremava di paura e di rabbia, si alz? lentamente dal trono e tutti gli occhi si puntarono su di lui. Un gradino alla volta scese i gradini d’avorio, facendoli risuonare sotto i suoi passi. Il silenzio era cos? fitto che lo si sarebbe potuto tagliare con un coltello. Attravers? la stanza e raggiunse il mascalzone. Lo guard? con freddezza, a solo un passo da lui, mentre l’uomo si dimenava tra le braccia del comandante, guardando da ogni parte, ma non Gareth. “I ladri e i bugiardi vengono trattati in un unico modo nel mio regno,” disse Gareth sottovoce. Estrasse un pugnale dalla cintura e lo conficc? nel cuore dell’uomo. Questi grid?, strabuzz? gli occhi e poi si afflosci? sul pavimento, morto. Il comandante lo guard? con occhi cupi. “Avete appena ucciso un uomo che era testimone contro di voi,” disse. “Non vi rendere conto che questo rafforza i sospetti sulla vostra colpa?” “Quale testimone?” chiese Gareth sorridendo. “Gli uomini morti non parlano.” Il comandante arross?. “Se non se ne ? dimenticato, io sono comandante di met? dell’Esercito del Re. Non mi piace che ci si prenda gioco di me. Da come vi comportate e dalle vostre azioni posso solo presumere che siete colpevole del crimine per cui quest’uomo vi ha accusato. Detto questo, io e il mio esercito non siamo pi? al vostro servizio. Anzi, vi prendo in custodia, sulla base di sospetto tradimento dell’Anello!” Il comandante fece un cenno ai suoi uomini, che tutti insieme – decine di soldati – sguainarono le spade e avanzarono verso Gareth per arrestarlo. Ma Lord Kultin fece lo stesso con il doppio degli uomini, tutti con le spade pronte, disponendosi alle spalle del re. Rimasero tutti l?, di fronte ai soldati del comandante, Gareth al centro. Gareth sorrise trionfante. Gli uomini dell’Esercito del Re erano in netta minoranza rispetto alla forza armata privata di Gareth, e lui lo sapeva. “Non verr? preso in custodia proprio da nessuno,” disse con una smorfia. “E non certo da te. Prendi i tuoi uomini e andatevene dalla mia corte, oppure scontratevi pure con la collera del mio esercito personale.” Dopo diversi secondi di tensione, il comandante si volt?, fece un cenno ai suoi uomini, e tutti insieme si ritirarono, camminando all’indietro con le spade sguainate, andandosene dalla stanza. “Da questo giorno in poi,” tuon? il comandante, “sia ben chiaro che non vi serviremo pi?” affronterete l’esercito dell’Impero da solo. E spero che vi tratteranno bene. Meglio di quanto voi abbiate trattato vostro padre!” I soldati lasciarono la stanza con grande clangore di armi e armature. I membri del consiglio e i numerosi presenti rimasero in piedi pietrificati, bisbigliando fra loro. “Andatevene!” grid? Gareth. “TUTTI!” Tutti  lasciarono velocemente la sala, anche l’esercito personale di Gareth. Solo una persona rimase. Lord Kultin. Ora lui e Gareth erano soli nella sala. Si avvicin? a Gareth, fermandosi a pochi passi da lui, e lo guard? come se lo stesse studiando. Come sempre il suo volto era privo di espressione. Era un vero mercenario. “Non mi importa cosa hai fatto o perch?,” inizi?, la voce greve e cupa. “Non mi interessa la politica. Io sono un guerriero. Mi interessa solo il denaro con cui pagherai me e i miei uomini.” Fece una pausa. “Eppure mi piacerebbe sapere, per pura curiosit? personale: hai veramente ordinato a quegli uomini di portare via la spada?” Gareth lo fiss?. C’era qualcosa nei suoi occhi in cui riconosceva se stesso: erano freddi, privi di rimorso, sfrontati. “E se anche l’avessi fatto?” gli chiese. Lord Kultin lo guard? a lungo. “Ma perch??” gli chiese. Gareth lo guard? in silenzio. Kultin sgran? gli occhi capendo. “Non sei riuscito a sollevarla tu, e cos? hai evitato che qualcun altro ci riuscisse?” gli chiese. “? per questo?” Prese in considerazione le implicazioni. “Per? anche fosse cos?,” aggiunse, “sapevi di certo che eliminarla avrebbe disattivato lo scudo, rendendoci vulnerabili all’attacco.” Kultin sgran? gli occhi. “Tu volevi che ci attaccassero, vero? C’? qualcosa in te che vuole che la Corte del Re venga distrutta,” disse, ora consapevole. Gareth gli sorrise. “Non tutti i posti,” disse lentamente, “sono destinati a durare per sempre.” CAPITOLO CINQUE Gwendolyn marciava a capo del grande seguito di soldati, consiglieri, servitori, uomini dell’Argento e della Legione e met? della gente della Corte del Re, allontanandosi – come una sorta di enorme citt? in viaggio – dalla Corte del Re. Gwen era schiacciata dalle emozioni. Da una parte era emozionata per essersi finalmente liberata di suo fratello Gareth, felice di essere lontana dalle sue grinfie, circondata da guerrieri fidati che potevano proteggerla, senza pi? la costante paura dei suoi complotti o di finire sposata a qualcun altro. Finalmente non avrebbe pi? dovuto guardarsi costantemente alle spalle per la paura di un qualche assassino. Si sentiva anche stimolata e allo stesso tempo imbarazzata per essere stata scelta come guida, per dirigere quel vasto contingente di gente. Tutti la seguivano come se fosse una sorta di profeta, diretti lungo l’infinita strada che conduceva a Silesia. La riconoscevano come loro sovrana – lei glielo leggeva negli sguardi – e guardavano a lei con mille aspettative. Lei dal canto suo si sentiva colpevole e avrebbe preferito che quell’onore fosse stato riservato a uno dei suoi fratelli, a chiunque altro ma non a lei. Eppure vedeva quanta speranza il popolo traesse dalla consapevolezza di avere una guida giusta e corretta, e ci? la rendeva felice. Se per loro era in grado di ricoprire quel ruolo, soprattutto in tempi bui come quelli, allora l’avrebbe fatto. Pens? a Thor, al loro lacrimevole addio presso il Canyon, e il ricordo le spezz? il cuore: lo rivedeva scomparire, attraversare il ponte sul Canyon, venire avvolto dalla nebbia, in un viaggio che lo avrebbe condotto quasi sicuramente alla morte. Era un’impresa nobile e valorosa – un’impresa che non avrebbe mai potuto negargli – un’impresa che lui doveva intraprendere per il bene del regno, e per il bene dell’Anello. Eppure continuava a chiedersi perch? doveva essere lui. Avrebbe preferito che si trattasse di qualsiasi altro. Ora pi? che mai lo avrebbe voluto al suo fianco. In quel periodo di confusione, di grandi cambiamenti, lasciata completamente sola a governare, a portare in grembo suo figlio, lo avrebbe voluto l? con lei. Pi? di ogni altra cosa era preoccupata per lui. Non poteva immaginare una vita senza di lui: il solo pensiero le faceva venire voglia di piangere. Ma fece un respiro profondo e rimase forte, consapevole che tutti gli occhi erano puntati su di lei mentre marciavano, una carovana infinita su quella strada polverosa, diretti verso il lontano nord, verso la remota Silesia. Gwen era ancora scioccata, combattuta riguardo alla propria madre patria. Si rendeva conto a malapena che l’antico Scudo fosse inattivo e che il Canyon fosse stato oltrepassato. Erano giunte voci da lontane spie che Andronico fosse gi? approdato sulle coste del regno dei McCloud. Non era sicura di potervi credere. Faceva fatica a concepire che tutto fosse accaduto cos? in fretta. Dopotutto Andronico doveva ancora probabilmente inviare la sua intera flotta attraverso l’oceano. A meno che, in qualche modo, McCloud non fosse stato a caccia della spada e avesse organizzato di disattivare cos? lo Scudo. Ma come? Come era riuscito a rubarla? Dove la stava portando? Gwen percepiva come tutti attorno a lei fossero abbattuti, e non poteva certo biasimarli. Tra quella gente aleggiava un’aria di scoraggiamento, e per una buona ragione: senza lo scudo erano tutti indifesi. Era solo questione di tempo: se non oggi, allora domani o il giorno seguente Andronico avrebbe invaso. E quando l’avesse fatto, non c’era modo per loro di poter tenere a bada i suoi uomini. Presto quel luogo – ogni cosa che aveva sempre amato e apprezzato – sarebbe stato conquistato e tutti quelli che amava sarebbero stati uccisi. Mentre marciavano, era come se procedessero contro la morte. Andronico non era ancora l?, ma era come se loro fossero gi? stati catturati. Le torn? alla mente una cosa che una volta le aveva detto suo padre: conquista il cuore di un esercito e la battaglia ? vinta. Gwen sapeva che era suo compito stimolarli, farli sentire al sicuro e, in qualche modo, renderli ottimisti. Era determinata a riuscirci. Non poteva permettere alle proprie paure personali o a un certo senso di pessimismo di avere la meglio su di lei in un momento come quello. E si rifiutava di concedersi di crogiolarsi nell’autocommiserazione. Non si trattava pi? solo di lei. Si trattava di quel popolo, delle loro vite, delle loro famiglie. Avevano bisogno di lei. Guardavano tutti a lei perch? li aiutasse. Pens? a suo padre e si chiese cosa avrebbe fatto lui. Il pensiero la fece sorridere. Lui avrebbe assunto la sua espressione pi? coraggiosa in qualsiasi situazione. Le aveva sempre detto di nascondere la paura dietro la spacconeria, e ripensando alla sua vita, ricord? che in effetti non era mai apparso spaventato. Neanche una volta. Forse era solo apparenza, ma era una buona apparenza. In quanto guida, sapeva di essere in ogni momento davanti agli occhi di tutti, sapeva che era l’aspetto ci? di cui le persone avevano bisogno, forse ancor pi? del fare da guida. Lui era stato troppo altruista per concedersi di tentennare tra le sue paure. E lei avrebbe seguito il suo esempio. Anche lei non si sarebbe lasciata sopraffare dal timore. Si guard? attorno e vide Godfrey che camminava accanto a lei, con Illepra – la guaritrice –  al suo fianco. Erano impegnati in una fitta conversazione ed entrambi, aveva notato, sembravano piacersi sempre di pi?, fin da quando Illepra aveva salvato la vita di Godfrey. Gwen avrebbe voluto che anche gli altri fratelli fossero l?. Ma Reece era andato con Thor, Gareth ovviamente si era allontanato da lei per sempre, e Kendrick si trovava ancora nella sua postazione, da qualche parte a est, impegnato nei lavori di ricostruzione di qualche remota cittadina. Gli aveva inviato un messaggero – era stata la prima cosa che aveva fatto – e sperava lo raggiungesse in tempo per recuperarlo, portarlo a Silesia con lei, per aiutarla a difendere la nuova corte. Almeno allora due dei suoi fratelli – Kendrick e Godfrey – si sarebbero rifugiati a Silesia con lei, il che valeva a dire con tutti loro. Mancava solamente la sua sorella maggiore Luanda. Per la prima volta dopo tanto tempo i pensieri di Gwen tornarono a Luanda. C’era sempre stata un’aspra rivalit? fra lei e sua sorella. Gwen non si era sorpresa che Luanda avesse colto la prima occasione buona per andarsene dalla Corte del Re e sposare quel McCloud. Luanda era sempre stata ambiziosa e aveva sempre voluto essere la prima. Gwendolyn l’aveva amata, e l’aveva guardata come un esempio quando era pi? giovane. Ma Luanda, sempre competitiva, non aveva ricambiato il suo affetto. E dopo un po’ Gwen aveva smesso di tentare. Eppure ora si sentiva in pena per lei: si chiedeva cosa ne fosse stato di lei, con i McCloud invasi da Andronico. Sarebbe stata uccisa? Rabbrivid? al pensiero. Erano rivali, ma alla fine erano pur sempre sorelle, e Gwen non voleva vederla morta anzi tempo. Gwen ripens? anche a sua madre, l’unico altro membro della famiglia rimasto alla Corte del Re, con Gareth, ancora in quello stato in cui riversava dalla morte di re MacGil. Raggel? al pensiero. Nonostante tutta la rabbia che provava per sua madre, Gwen non voleva che finisse a quel modo. Cosa le sarebbe successo se la Corte del Re fosse stata invasa? Sua madre sarebbe stata uccisa? Gwen non poteva fare a meno di sentirsi come se la sua vita prima cos? sicura e solida si stesse ora sgretolando attorno a lei. Era come se solo ieri fosse ancora il cuore dell’estate: il matrimonio di Luanda, una festa meravigliosa, la Corte del Re traboccante di abbondanza, lei e la sua famiglia tutti insieme a festeggiare, e l’Anello inespugnabile. Era sembrato come se tutto fosse potuto durare per sempre. Ora tutto si era spezzato. Niente era pi? come era stato. Si lev? una fredda brezza e Gwen si strinse la maglia di lana blu attorno alle spalle. L’autunno era stato troppo breve quell’anno e stava gi? sopraggiungendo l’inverno. Lo sentiva dai venti gelidi, pregni di umidit?, mentre procedevano verso nord lungo il Canyon. Il cielo si stava facendo scuro e l’aria si era riempita di un nuovo suono: il pianto degli Uccelli d’Inverno, gli avvoltoi rossi e neri che volavano in basso quando scendevano le temperature. Gracchiavano incessantemente e talvolta il loro verso infastidiva Gwen. Sembrava il suono della morte che si avvicinava. Da quando avevano salutato Thor avevano sempre camminato lungo il Canyon, andando verso nord e sapendo che in quel modo sarebbero arrivati alla citt? posta all’estremit? occidentale dell’Anello: Silesia. Mentre procedevano la nebbia inquietante del Canyon si levava a folate attanagliando le caviglie di Gwen. “Non siamo tanto distanti ormai, mia signora,” disse una voce. Gwen si volt? e vide Srog vicino a lei, vestito con l’armatura rossa caratteristica di Silesia e affiancato da parecchi guerrieri, tutti in maglia di ferro e stivali rossi. Gwen era commossa per la gentilezza che Srog le riservava, per la sua lealt? nei confronti di suo padre, per aver offerto Silesia come rifugio. Non aveva idea di cosa avrebbero fatto altrimenti lei e tutta quella gente. Forse sarebbero stati ancora, anche il quel momento, incastrati alla Corte del Re, succubi della slealt? di Gareth. Srog era uno dei signori pi? onorevoli che lei avesse mai incontrato. Con migliaia di soldati a sua disposizione, con il controllo della famigerata fortezza occidentale, Srog non aveva certo bisogno di rendere omaggio a nessuno. Ma aveva deciso di rendere omaggio a suo padre. Era sempre stato un delicate equilibrio di potere. Ai tempi del padre di suo padre Silesia aveva avuto bisogno della Corte de Re, ai tempi di suo padre un po’ meno, e ora proprio per niente. In effetti, con la caduta dello Scudo e la confusione presente alla Corte del Re, erano loro ad aver bisogno di Silesia. Ovviamente l’Argento e la Legione comprendevano i migliori guerrieri che ci fossero, e c’erano migliaia di uomini al seguito di Gwen, compresa una buona met? dell’Esercito del Re. Eppure Srog, come la maggior parte degli altri signori, avrebbe potuto semplicemente chiudere i cancelli e badare a se stesso. Invece aveva cercato Gwen, aveva stretto alleanza con lei, e aveva insistito per ospitarli tutti. Era stata una gentilezza che Gwen era determinata a ripagare in qualche modo prima o poi. Ovviamente, se fossero tutti sopravvissuti. “Non c’? bisogno di preoccuparsi,” gli rispose con calma, posando delicatamente una mano sul suo polso. “Marceremmo anche fino ai confini della terra per entrare nella vostra citt?. Siamo estremamente fortunati per la vostra gentilezza in questo momento difficile.” Srog sorrise. Era un guerriero di mezz’et?, con un po’ troppe rughe a segnargli il volto dopo innumerevoli battaglie, i capelli castani, una mascella dai contorni decisi e priva di barba. Srog era un vero uomo, non solo un signore, ma un vero guerriero. “Per vostro padre io passerei attraverso il fuoco,” le rispose. “I ringraziamenti non sono nell’ordine del giorno. ? un grande onore per me poter ripagare il mio debito nei suoi confronti mettendomi al servizio di sua figlia. Dopotutto il suo desiderio era che foste voi a regnare. Quindi, quando servo voi, ? come se rispondessi a lui.” Accanto a Gwen marciavano anche Kolk e Brom, e dietro di loro si udiva l’incessante clangore di migliaia di speroni, di spade che tintinnavano nei loro foderi, di scudi che sfregavano contro le armature. Era una grandiosa cacofonia di rumore che si dispiegava sempre pi? lontano lungo il bordo del Canyon. “Mia signora,” disse Kolk, “sono oppresso dal senso di colpa. Non avremmo dovuto lasciare che Thor, Reece e gli altri se ne andassero da soli verso l’Impero. Pi? uomini avrebbero dovuto offrirsi volontari. Sar? una mia responsabilit? se succeder? loro qualcosa.” “? l’impresa che hanno scelto,” rispose Gwen. “? una questione di onore. Chi era destinato ad andare ? andato. Il senso di colpa non fa bene a nessuno.” E cosa potrebbe succedere se non tornassero in tempo con la Spada?” chiese Srog. “Non ci vorr? molto perch? l’esercito di Andronico appaia alle nostre porte.” “Allora opporremo resistenza,” disse Gwen con sicurezza, mostrando quanto pi? coraggio poteva nella propria voce, sperando di mettere gli altri a proprio agio. Not? che gli altri generali si voltavano a guardarla. “Ci difenderemo fino all’ultimo colpo,” aggiunse. “Non ci sar? nessuna ritirata, nessuna resa.” Percep? che i generali erano colpiti. Lei stessa era colpita dalla sua voce: la forza cresceva dentro di lei, sorprendendola. Era la forza di suo padre, di sette generazioni di re MacGil. Mentre continuavano a marciare, la strada svolt? bruscamente verso sinistra e Gwen gir? e, una volta terminata la curva, rimase pietrificata e senza fiato alla vista di ci? che aveva di fronte. Silesia. Ricordava che suo padre l’aveva portata in viaggio l?, da bambina. Era un luogo che da allora era stato presente nei suoi sogni, un luogo che allora aveva sentito come magico. Ora, guardando la citt? con l’occhio di una donna adulta, le toglieva ancora il fiato. Silesia era la cittadina pi? insolita che Gwen avesse mai visto. Tutti gli edifici, tutte le fortificazioni, tutta la pietra: ogni cosa era costruita con pietra antica, rossa e scintillante. La met? pi? elevata di Silesia, a picco, verticale, ben fortificata con parapetti e decorata da guglie, si ergeva sulla terraferma, mentre la parte bassa era incastonata nel fianco del Canyon. La vorticante nebbia del Canyon soffiava qua e l?, avvolgendola e facendo scintillare e brillare alla luce il rosso delle costruzioni, facendola apparire come se fosse costruita tra le nuvole. Le fortificazioni si ergevano di oltre trenta metri, coronate da parapetti e sostenute da un’interminabile linea di mura. Quel luogo era una fortezza. Anche se in qualche modo un esercito avesse valicato le sue mura, avrebbe poi dovuto scendere nella parte bassa della citt?, direttamente gi? lungo il dirupo, e combattere sul bordo del Canyon. Era di sicuro una guerra che nessun esercito invasore avrebbe voluto intraprendere. Ed era per questo che la citt? non era mai stata toccata in migliaia di anni. I suoi uomini si fermarono e guardarono a bocca aperta. Gwen sentiva che anche loro erano tutti in contemplazione reverenziale. Per la prima volta dopo un po’ di tempo, Gwen si sent? ottimista. Quello era un posto nel quale sarebbero potuti rimanere, lontano dalle grinfie di Gareth, un posto che potevano difendere. Un posto dove lei avrebbe potuto governare. E forse – solo forse – il regno di MacGil sarebbe potuto rinascere. Srog rimase l?, le mani ai fianchi, esaminando la sua stessa citt? come se la vedesse per la prima volta, e i suoi occhi brillarono di orgoglio. “Benvenuti a Silesia.” CAPITOLO SEI Thor apr? gli occhi alle prime luci dell’alba e vide le quiete onde dell’oceano che salivano e scendevano schiumando, ammantate dalla tenue luce del primo sole. L’acqua giallo chiaro del Tartuvio luccicava nella nebbia mattutina. La barca galleggiava silenziosamente nell’acqua e l’unico rumore era quello delle onde che sciabordavano contro lo scafo. Thor si mise a sedere e si guard? in giro. Aveva gli occhi pesanti per la stanchezza: effettivamente non si era mai sentito cos? stanco in vita sua. Stavano navigando da giorni e ogni cosa in quel luogo, da quella parte del mondo, sembrava diverso. L’aria era cos? densa di umidit?, la temperatura cos? calda: era come respirare in un continuo flusso d’acqua. Lo infiacchiva e gli rendeva gli arti pesanti. Era come se fosse scoppiata l’estate. Guardandosi in giro vide che tutti i suoi amici, normalmente svegli prima dell’alba, erano accasciati sopraccoperta, ancora addormentati. Addirittura Krohn, di solito sempre sveglio, dormiva accanto a lui. Quel tempo particolarmente tropicale aveva i suoi effetti su tutti loro. Nessuno di loro si preoccupava neanche pi? di mettere mano al timone: avevano desistito giorni prima. Non aveva senso: le vele erano sempre gonfie di vento che spingeva verso ovest, e le magiche correnti dell’oceano trascinavano incessantemente la barca nella medesima direzione. Era come essere trasportati verso una direzione fissa. Avevano tentato pi? di una volta di virare e cambiare rotta, ma era stato inutile. Si erano tutti rassegnati a lasciare che il Tartuvio li portasse dove doveva. In ogni caso non ? che avessero idea di dove andare nell’Impero, pens? Thor. Fintanto che le maree li avessero portati alla terraferma, andava bene cos?. Krohn si svegli?, gemendo, poi si sollev? e and? a leccare la faccia di Thor. Thor infil? una mano nel sacco, ormai quasi vuoto, e ne prese l’ultimo pezzo di carne secca per dargliela. Con sua grande sorpresa Krohn non gliela strapp? dalle mani come di suo solito. Si limit? invece a guardarla, volgendo poi lo sguardo al sacco vuoto e di nuovo a Thor. Esit? a prendere il cibo e Thor si rese conto che il leopardo non voleva privarlo dell’ultimo pezzo. Fu colpito dal gesto, ma tent? di insistere, spingendogli la carne in bocca. Thor sapeva che presto sarebbero stati a corto di cibo e preg? di raggiungere presto la terraferma. Non aveva idea di quanto ancora il viaggio potesse durare: e se ci fossero voluti mesi? Come avrebbero fatto a nutrirsi? Il sole sorgeva velocemente, diventando brillante e intenso troppo presto. Thor si alz? mentre la nebbia iniziava a svanire dall’acqua e and? a prua, da dove scrut? l’orizzonte. La barca dondolava sotto i suoi piedi e la nebbia si stava dissipando tutt’attorno. Sbatt? le palpebre, chiedendosi se stesse avendo una visione, dato che vide apparire in lontananza il contorno di una costa. Il cuore acceler?. Era terraferma. Vera terraferma! La costa aveva una forma insolita: due lunghe e strette penisole incastonate tra le onde, come due punte di un forcone. Mentre la nebbia si sollevava Thor guard? alla sua sinistra e poi alla sua destra e si stup? di vedere due strisce di terra da entrambi i lati della barca, ciascuna lunga una cinquantina di metri. Erano risucchiati proprio nel mezzo di una profonda baia. Thor fischi? e i compagni della Legione si svegliarono. Balzarono in piedi e lo raggiunsero di corsa, portandosi a prua e guardando verso il mare aperto. Rimasero tutti senza fiato: le coste erano le pi? esotice che avessero mai visto, ricoperte di una sorta di giungla: fitti e altissimi alberi abbarbicati lungo la riva, una foresta cos? fitta che era impossibile vedere cosa ci fosse dietro. Thor scorse delle grandi felci, alte una decina di metri, protese verso l’acqua, alberi gialli e viola che sembravano toccare il cielo, ovunque il verso continuo e sconosciuto  di bestie, insetti e chiss? cos’altro tra ringhi, guaiti e canti. Thor deglut? a fatica. Si sentiva come se stessero entrando in un impenetrabile regno animale. Ogni cosa sembrava diversa qui, l’aria aveva un odore differente, sconosciuto. Niente ricordava neanche lontanamente l’Anello. Gli altri membri della Legione si voltarono tutti guardandosi l’un l’altro e Thor scorse l’incertezza nei loro occhi. Tutti si stavano chiedendo quali creature ci fossero ad attenderli in quella giungla. Non sembrava che comunque avessero altra scelta. La corrente li portava in un’unica direzione e chiaramente era l? che dovevano sbarcare per accedere alle terre dell’Impero. “Quaggi?!” grid? O’Connor. Corsero al suo fianco, accanto al parapetto e lui si sporse indicando in basso, verso l’acqua. L? c’era un enorme insetto che nuotava lungo il bordo della nave: era di color viola brillante, lungo almeno tre metri e aveva centinaia di zampe. Luccicava sott’acqua, poi affior? in superficie. In quel momento le sue ali – ne aveva migliaia – iniziarono a ronzare e l’insetto si sollev? al di sopra delle onde. Poi torn? a galleggiare sul pelo dell’acqua, infine si immerse di nuovo. Continu? a ripetere queste operazioni diverse volte. Mentre lo guardavano, l’animale improvvisamente si sollev? in aria al livello dei volti dei ragazzi, volteggiando e fissandoli con i suoi grandi occhi verdi. Sibil? e tutti involontariamente fecero un salto all’indietro, mettendo mano alle spade. Elden si fece avanti e cerc? di colpirlo. Ma quando la sua spada fu in aria, l’insetto era gi? di nuovo in acqua. Thor e gli altri volarono di colpo e caddero sul pontile quando la barca improvvisamente si ferm?, incagliandosi contro la terra con uno scossone. Il cuore di Thor batteva forte mentre guardava oltre il bordo: sotto di loro c’era una stretta fascia di spiaggia composta di migliaia di sassi appuntiti, tutti viola chiaro. Terra. Ce l’avevano fatta. Elden fece strada verso l’ancora, tutti insieme la sollevarono e la lasciarono cadere al di fuori dell’imbarcazione. Scesero uno alla volta lungo la catena e si trovarono quindi sulla costa. Thor pass? Krohn a Elden perch? lo portasse gi?. Thor sospir? quando i suoi piedi toccarono il terreno. Era una bella sensazione avere della terra – terra asciutta e stabile – sotto i piedi. Si sarebbe sentito bene all’idea di non doversi pi? imbarcare su una nave. Afferrarono le funi e trascinarono la barca pi? a riva che poterono. “Pensi che le correnti la porteranno via?” chiese Reece osservando la nave. Thor la guard?: sembrava sicura sulla sabbia. “Non con quell’ancora,” disse Elden. “Non sar? la corrente a portarla via,” aggiunse O’Connor. “La questione ? se qualcun altro lo far?.” Thor diede un’ultima lunga occhiata alla barca e si rese conto che l’amico aveva ragione. Anche se avessero trovato la spada, poteva capitare che tornassero a riva e non trovassero pi? l’imbarcazione. “E allora come faremo a tornare?” chiese Conval. Thor non poteva fare a meno di sentirsi come se, a ogni passo che facevano, stessero recidendo i ponti dietro di loro. “Troveremo un modo,” disse. “Dopotutto ci saranno pure altre navi nell’Impero, no?” Cerc? di avere un tono autoritario, in modo da rassicurare i suoi amici. Ma dentro di s? non ne era cos? certo lui stesso. Tutto quel viaggio gli stava apparendo sempre pi? infausto. Tutti insieme si voltarono a guardare la giungla. Era un muro di vegetazione, dietro il quale si vedeva solo buio. I versi animali crebbero in una totale cacofonia tutt’attorno a loro, cos? forti che Thor faceva fatica a sentire anche i propri pensieri. Sembrava che ogni bestia dell’Impero li stesse salutando. O forse mettendo in guardia. * Thor e gli altri camminavano fianco a fianco, cautamente, tutti in guardia, attraverso la fitta giungla tropicale. Era difficile per Thor concentrarsi, tanto erano insistenti le grida e le urla dell’orchestra di insetti e animali attorno a loro. Eppure, guardando nell’oscurit? della vegetazione, non riusciva a vedere nessuna creatura. Krohn camminava dietri di lui, ringhiando, con il pelo ritto sulla schiena. Thor non lo aveva mai visto cos? all’erta. Guard? i suoi compagni e vide che tutti, come lui, avevano una mano posata sull’elsa della spada, tesi come corde di violino pure loro. Erano ormai ore che camminavano, inoltrandosi sempre pi? nella giungla, l’aria sempre pi? calda e densa, pi? umida, pi? pesante da respirare. Avevano seguito le tracce di quello che pareva essere un sentiero: qualche ramo rotto indicava il passaggio che il gruppo di uomini arrivati l? aveva probabilmente preso. Thor sperava solo che fosse il tracciato segnato dal gruppo che aveva preso la spada. Sollev? lo sguardo contemplando quella natura selvaggia: tutto era cresciuto oltremisura, raggiungendo proporzioni epiche, anche una sola foglia era grande come lui stesso. Si sentiva come un insetto in una terra di giganti. Scorse qualcosa che si muoveva dietro alcune foglie, ma non riusc? a vedere effettivamente di cosa si trattasse. Aveva l’infausta sensazione che qualcuno li stesse spiando. Il sentiero davanti a loro improvvisamente termin? contro un fitto muro di vegetazione. Si fermarono e si guardarono confusi. “Ma non ? possibile che il sentiero finisca cos?!” disse O’Connor perdendo le speranze. “Non ? finito,” disse Reece esaminando le foglie. “Solo che la giungla ? ricresciuta.” “Quindi da che parte andiamo adesso?” chiese Conval. Thor si guard? in giro, chiedendosi la stessa cosa. In ogni direzione non c’era nient’altro che fitto fogliame e sembrava non esserci via d’uscita. Iniziava ad avere un terribile presentimento e a sentirsi perduto. Poi gli venne un’idea. “Krohn,” disse inginocchiandosi e sussurrando nell’orecchio del leopardo. “Arrampicati su quell’albero. Guarda tu e dicci da che parte andare.” Krohn lo guard? con occhi pieni di amore per lui e Thor cap? che aveva compreso. Infatti il leopardo corse verso un enorme albero, il tronco  largo come dieci uomini, e senza la minima esitazione vi balz? sopra risalendolo con i suoi artigli. Sal? e balz? sopra uno dei rami pi? alti. Cammin? fino all’estremit? e guard?, le orecchie ritte per l’attenzione. Thor aveva sempre avuto la sensazione che Krohn lo capisse, e ora ne aveva la certezza. Krohn rialz? la testa ed emise uno strano verso simile a delle fusa, poi si volt?, ridiscese velocemente il tronco e part? verso una precisa direzione. I ragazzi si scambiarono occhiate incuriosite, poi si voltarono tutti a seguirlo, diretti verso quella parte di giungla, spingendo indietro le spesse foglie in modo da poter camminare. Dopo pochi minuti Thor fu sollevato dal vedere che il sentiero riprendeva, con i segni ben evidenti dei rami rotti e della vegetazione schiacciata o tagliata che facevano capire dove fosse passato il gruppo. Thor accarezz? Krohn e gli diede un bacio sulla testa. “Non so cosa avremmo fatto senza di lui,” disse Reece. “Neanche io,” conferm? Thor. Krohn fece le fusa, soddisfatto e orgoglioso. Inoltrandosi sempre di pi? nella giungla, svoltando e girando, giunsero a un'altra distesa di vegetazione, con fiori tutt’attorno a loro. Erano enormi, grandi quanto Thor, e di ogni colore. Altri alberi avevano frutti grandi quanto macigni che pendevano dai rami. Tutti si fermarono dubbiosi mentre Conval si avvicinava a uno dei frutti, di un rosso brillante, e allungava una mano per toccarlo. Subito si ud? un ringhio profondo e minaccioso. Conval fece un passo indietro e afferr? la spada, mentre gli altri si guardavano ansiosi. “Cos’? stato?” chiese Conval. “Veniva da laggi?,” disse Reece, indicando una parte della giungla. Tutti si voltarono a guardare. ma Thor non riusc? a vedere altro che foglie. Krohn ringhi?. Il rumore si fece pi? forte, pi? persistente, e alla fine i rami iniziarono a scuotersi. Thor e gli altri fecero un passo indietro, sguainarono le spade e rimasero in attesa, aspettandosi il peggio. Ci? che sbuc? dalla giungla superava le peggiori aspettative di Thor. L? di fronte a loro c’era un enorme insetto, grande cinque volte Thor. Sembrava una specie di mantide, con due zampe posteriori, due pi? piccole zampe anteriori che roteavano nell’aria, e lunghi artigli alle estremit?. Il corpo era verde fluorescente, ricoperto di squame e aveva delle piccole ali che ronzavano e vibravano. In cima alla testa c’erano due occhi, un terzo si trovava sulla punta del naso. Si allung? mostrando altri artigli – nascosti sotto la gola – che vibravano e schioccavano. Rimase l?, incombendo si di loro, e un altro artiglio gli usc? dalla pancia: una lunga zampa che sporgeva. Improvvisamente, talmente veloce che nessuno di loro pot? reagire, afferr? O’Connor  per la vita allungando i tre artigli e lo sollev? in aria come fosse una foglia. O’Connor fece roteare la sua spada, ma non era sufficientemente vicino per poterlo colpire. La bestia lo scosse diverse volte, poi apr? improvvisamente la bocca, mostrando diverse file di denti affilati, ruot? O’Connor a testa in gi? e inizi? ad abbassarlo verso le sue fauci. O’Connor strill? mentre gli si profilava davanti una morte istantanea e dolorosa. Thor reag?. Senza pensarci due volte mise un sasso nella fionda, prese la mira e tir? contro il terzo occhio del mostro, sulla punta del naso. Fu un centro diretto. La bestia grid?, un verso orrendo, tanto forte da poter spezzare un albero, poi lasci? cadere O’Connor che precipit? ruotando in aria e andando ad atterrare sul soffice terreno della giungla con un tonfo. L’insetto si infuri?, poi si volt? verso Thor. Thor sapeva che opporre resistenza e combattere contro quella creatura sarebbe stato inutile. Almeno uno dei suoi compagni ne sarebbe rimasto ucciso e probabilmente anche Krohn. Ci? avrebbe diminuito le loro preziose energie. Cap? che probabilmente erano degli intrusi nel suo territorio e che se fossero riusciti ad andarsene abbastanza velocemente, forse li avrebbe lasciati stare. “CORRIAMO!” grid?. Si voltarono, iniziarono a correre e la bestia inizi? a inseguirli. Thor sentiva il rumore degli artigli del mostro che tagliavano la fitta vegetazione alle loro spalle, fendendo l’aria e mancando di poco proprio la sua testa. Pezzi di foglia volavano in aria e piovevano attorno a lui. Corsero tutti insieme e Thor sentiva che se fossero riusciti a guadagnare sufficiente distanza, avrebbero potuto trovare un modo per ripararsi. Altrimenti avrebbero dovuto lottare. Ma Reece improvvisamente scivol? dietro di lui, inciampando in un ramo e cadendo lungo disteso tra le foglie. Thor sapeva che non si sarebbe rialzato in tempo. Si ferm?, sguain? la spada e si mise tra Reece e la bestia. “CONTINUATE A CORRERE!” grid? agli altri, rimanendo l? pronto a difendere Reece. La bestia balz? su di lui, strillando e agitando i suoi artigli mirando alla sua faccia. Thor si abbass? e fece roteare la spada. Il mostro lanci? un grido orribile quando Thor riusc? a tagliare una delle sue zampe. Un liquido verde spruzz? ovunque e Thor vide con orrore che l’artiglio ricresceva tanto veloce quanto era stato tagliato. Era come se Thor non l’avesse mai ferito. Thor deglut?. Sarebbe stato impossibile uccidere quella bestia. E ora l’aveva anche fatta arrabbiare. La bestia sferr? un colpo con un’altra zampa spuntata da un’altra parte del suo corpo, colpendo con violenza Thor alle costole e mandandolo a cadere tra degli alberi. Il mostro abbass? un altro artiglio per colpirlo di nuovo e Thor si rese conto di trovarsi in seria difficolt?. Elden, O’Connor e i gemelli corsero verso di lui e, mentre la bestia stava per colpirlo, O’Connor gli tir? in bocca una freccia che and? a conficcarglisi in gola facendola gridare. Elden prese la sua ascia doppia e la piant? nella schiena dell’insetto, mentre Conven e Conval tiravano una lancia ciascuno, trafiggendogli anche loro la gola. Reece si rimise in piedi e conficc? la spada nella pancia della bestia. Anche Thor balz? in piedi e fece roteare la spada tagliando un’altra zampa del mostro. Infine Krohn si un? a loro, saltando in aria e affondandogli le zanne nel collo. La bestia continuava a gridare mentre tutti la attaccavano e la ferivano meglio che potevano. Thor si meravigli? che stesse ancora in piedi, le ali ancora vibranti. Sembrava non voler morire. La guardarono con orrore mentre, una alla volta, si toglieva di dosso le lance e spade e l’ascia e tutte le ferrite si rimarginavano sotto i loro occhi. Era una bestia imbattibile. L’animale ringhi? e tutti la guardarono scioccati. Avevano fatto tutto il possibile e non l’avevano minimamente scalfita. La bestia si prepar? ad attaccarli di nuovo, con i suoi denti e artigli affilati come rasoi, e Thor si rese conto che non c’era nulla che potessero fare. Stavano tutti per morire. “LEVATEVI DI MEZZO!” disse improvvisamente una voce. La voce proveniva da dietro le loro spalle e sembrava giovane. Thor si volt? e vide un ragazzino di forse undici anni correre portando ci? che sembrava essere una caraffa d’acqua. Thor si abbass? e il ragazzo lanci? l’acqua bagnando completamente il muso della bestia. L’animale si inarc? all’indietro e stridette, del vapore si lev? dal suo muso mentre lei si portava gli artigli alle guance, agli occhi e alla testa. Continu? a strillare, un rumore cos? potente che Thor dovette ripararsi le orecchie con le mani. Alla fine la bestia si volt? e sfrecci? via, nel fitto della giungla, scomparendo tra la vegetazione. Si voltarono tutti a guardare il ragazzino con espressione carica di meraviglia e gratitudine. Era vestito di stracci, aveva lunghi capelli castani e occhi intelligenti di colore verde chiaro. Era ricoperto di polvere e sembrava, a giudicare dai piedi scalzi e dalle mani sporche, che vivesse l? fuori. Thor non aveva mai provato una tale gratitudine per qualcuno. “Le armi non servono a nulla contro un belvagatore,” disse sollevando gli occhi al cielo. “Fortunati voi che ho sentito le grida e che ero qui vicino. Senn? oramai eravate morti. Non lo sapete che non si affronta mai un belvagatore?” Thor guard? i suoi amici, tutti senza parole. “Non l’abbiamo affrontato,” disse Elden. “? stato lui ad affrontare noi.” “Loro non affrontano mai,” ribatt? il ragazzino, “a meno che non vi introduciate nel suo territorio.” “E cosa avremmo dovuto fare?” chiese Reece. “Beh, come prima cosa non guardatelo mai negli occhi,” rispose il ragazzo. “E se vi attacca, stendetevi a faccia in gi? fino a che non vi lascia stare. E soprattutto, non cercate mai di scappare correndo.” Thor fece un passo avanti e mise una mano sulla spalla del ragazzo. “Ci hai salvato la vita,” gli disse. “Ti siamo immensamente debitori.” Il ragazzo scroll? le spalle. “Non sembrate soldati dell’Impero,” disse. “Sembra veniate da qualche altra parte del mondo. Quindi perch? non avrei dovuto aiutarvi? Sembrate come quelli che sono venuti dalla nave qualche giorno fa.” Thor e gli altri si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi si voltarono verso il ragazzino. “Sai dove sono andate quelle persone?” chiese Thor. Il ragazzo scroll? le spalle. “Era un bel gruppetto, e trasportavano un’arma. Sembrava pesante: ce la mettevano tutta per portarla. Li ho seguito per giorni. Erano facili da pedinare. Si muovevano lentamente. Ed erano pure distratti e approssimativi. So dove sono andati, anche se non li ho seguiti molto dopo il villaggio. Posso portarvi l? e indicarvi la direzione giusta, se volete. Ma non oggi.” Gli altri si guardarono confusi. “Perch? no?” chiese Thor. “Tra poche ore scender? la notte. Non potete stare fuori al buio.” “Perch??” chiese Reece. Il ragazzo lo guard? come se fosse un folle. “Gli etasetti,” disse. Thor si avvicin? al ragazzo e lo guard?. Gli era piaciuto da subito. Era intelligente, sincero, coraggioso e aveva un grande cuore. “Conosci un posto dove possiamo trovare riparo per la notte?” Il ragazzino lo guard? e scroll? le spalle, incerto. Ponder? la situazione. “Penso che non dovrei,” disse. “Il nonno si arrabbier? un sacco.” Improvvisamente Krohn apparve alle spalle di Thor e cammin? verso il ragazzino, i cui occhi si accesero di gioia. “Wow!” esclam?. Krohn gli lecc? la faccia e il ragazzino rise divertito accarezzandogli la testa. Poi si inginocchi?, abbass? la lancia e lo abbracci?. Krohn sembr? apprezzare e quasi ricambiare e il ragazzino rise istericamente. “Come si chiama?” chiese. “Cos’??” “Si chiama Krohn,” disse Thor sorridendo. “? un raro leopardo bianco. Viene dall’altra parte dell’oceano. Dall’Anello. Da dove veniamo noi. Gli piaci.” Il ragazzino baci? Krohn ripetutamente e alla fine si rialz? in piedi e guard? Thor. “Bene,” disse incerto, “Credo di potervi portare alla mia casa. Speriamo che il nonno non si arrabbi troppo. Se lo far?, la vostra fortuna sar? finita. Seguitemi. Dobbiamo sbrigarci. Presto sar? notte.” Il ragazzo si volt? e velocemente li guid? attraverso la giungla. Thor e gli altri lo seguirono. Thor era sorpreso dalla sua destrezza e da quanto bene conoscesse quella foresta. Era difficile stargli dietro. “C’? gente che passa di qui di tanto in tanto,” disse il ragazzino. “L’oceano e le correnti li conducono dritti al porto. Alcuni vengono dal mare e tagliano per di qua, diretti in qualche altro luogo. La maggior parte di loro non ce la fanno. Vengono mangiati o gli capita qualcos’altro nella giungla. Voi siete stati fortunati. Ci sono cose ben peggiori dei belvagatori, qui.” Thor deglut?. “Peggio di quello? Cosa per esempio?” Il ragazzino scosse la testa e continu? a camminare. “Non credo vogliate saperlo. Ho visto cose piuttosto sgradevoli qui.” “Da quanto sei qui?” gli chiese Thor curioso. “Da sempre,” rispose. “Mio nonno ci ha fatto trasferire quando ero ancora piccolo.” “Ma perch? qui, in questo posto? Sicuramente ci sono luoghi mille volte pi? ospitali.” “Non conoscete l’Impero, vero?” chiese loro il ragazzo. “Le truppe sono ovunque. Non ? cos? facile rimanere inosservati. Se mai ci catturassero, ci farebbero schiavi. Vengono raramente da queste parti e comunque non si addentrano mai cos? tanto nella giungla.” Mentre attraversavano una folta macchia di vegetazione, Thor allung? una mano per spostare una foglia dal cammino, ma il ragazzo si volt? e gli spinse via il braccio gridando: “NON TOCCARLA!” Tutti si fermarono e Thor fiss? la foglia che aveva quasi toccato. Era grande e gialla, e sembrava piuttosto innocua. Il ragazzo allung? un bastone e la sfior? appena con la punta. Improvvisamente la foglia si avvolse attorno al bastone, con incredibile velocit?, e ne segu? un sibilo: il bastoncino evapor?. Thor era scioccato. “Una foglia bruciante,” disse. “Veleno. Se l’avessi toccata, saresti senza mano ora.” Thor si guard? attorno esaminando tutti i tipi di foglie con nuova circospezione. Si meravigli? di quanto fortunati fossero stati a incontrare quel ragazzino. Proseguirono lungo il loro tragitto e Thor mantenne le mani vicine al corpo, cos? come gli altri. Cercarono di prestare maggiore attenzione a ogni cosa che calpestavano. “Rimanete vicini e camminate esattamente dove metto i piedi io,” disse il ragazzo. “Non toccate nulla. Non cercate di mangiare quella frutta. E non annusate neanche i fiori, a meno che non vogliate andare all’altro mondo.” “Ehi, e quello cos’??” chiese O’Connor voltandosi e guardando un enorme frutto che pendeva da un ramo, lungo e stretto, di un bel giallo brillante. O’Connor vi si avvicin?, allungando una mano. “NO!” strill? il ragazzino. Ma era troppo tardi. Non appena O’Connor l’ebbe toccato il terreno si apr? sotto di loro e Thor si sent? scivolare, come correndo gi? da una collina ricoperta di fango e acqua. Erano intrappolati in una colata di fango e non riuscivano a fermarsi. Continuarono a gridare mentre scivolavano per decine di metri, gi? verso i bui e profondi recessi della giungla. CAPITOLO SETTE Erec era in groppa al cavallo, respirava affannosamente e si preparava ad attaccare i duecento soldati che gli stavano di fronte. Aveva combattuto valorosamente ed era riuscito ed abbattere i primi cento, ma ora le sue spalle erano pi? deboli e gli tremavano le mani. La sua mente era pronta a combattere per sempre, ma non aveva idea di quanto a lungo il suo corpo avrebbe retto. Eppure era deciso a continuare a battersi con tutte le sue forze, come aveva fatto per tutta la vita, e lasciare che fosse il fato a decidere per lui. Erec grid? e spron? quel cavallo sconosciuto che aveva rubato a uno dei suoi avversari, lanciandosi contro i soldati. Quelli a loro volta galoppavano verso di lui e risposero al suo grido solitario con i loro, feroci. Molto sangue era gi? stato versato su quel campo di battaglia, ma era evidente che nessuno se ne sarebbe andato senza aver prima ucciso l’altra parte. Mentre avanzava Erec estrasse un coltello da lancio dalla cintura, prese la mira e lo tir? al soldato che stava a capo dell’esercito davanti a lui. Fu un lancio perfetto che gli perfor? la gola. L’uomo si port? le mani al collo, lasci? andare le redini e cadde da cavallo. Come Erec aveva sperato, il soldato cadde davanti agli zoccoli degli altri cavalli obbligandone molti a passare sul suo corpo, cadendo a terra a loro volta. Poi Erec sollev? con una mano un giavellotto, tenendo lo scudo nell’altra, abbass? il para volto e si lanci? alla carica con tutta la sua forza. Aveva intenzione di attaccare quell’esercito quanto pi? velocemente e violentemente fosse stato capace, sferrare quanti pi? colpi possibili e tagliarlo a met?. Lanci? un grido mentre si lanciava nel gruppo. Tutti i suoi anni di tornei gli erano stati utili, e us? il giavellotto lungo con destrezza abbattendo un soldato dopo l’altro, mandandoli a terra in rapida successione. Si accucci? sul cavallo e con l’altra mano si copr? con lo scudo. Sent? una raffica di colpi cadergli addosso – sullo scudo e sull’armatura – da ogni direzione. Fu colpito da spade, asce e mazze, una tempesta di metallo, e preg? che l’armatura reggesse. Stava aggrappato al suo giavellotto, eliminando quanti pi? soldati poteva nella sua avanzata, creando un passaggio proprio nel mezzo dell’enorme gruppo. Non rallent? e, dopo circa un minuto, alla fine sgusci? dall’altra parte, all’aperto, avendo creato un canale di devastazione in mezzo all’esercito di soldati. Aveva atterrato almeno una decina di guerrieri, ma aveva anche sofferto parecchio. Respirava affannosamente, il corpo gli doleva, il clangore metallico ancora gli risuonava nelle orecchie. Gli sembrava di essere stato messo in una macina. Si guard? e vide che era ricoperto di sangue: fortunatamente non sentiva di avere ferite gravi. Sembravano per lo pi? graffi e tagli superficiali. Fece un ampio cerchio, una sorta di inversione di marcia, preparandosi a riaffrontare l’esercito. Anche loro si erano girati e si preparavano nuovamente all’attacco. Erec era fiero delle sue vittorie fino a quel momento, ma stava diventando pi? difficile riprendere fiato e sapeva che un altro passaggio attraverso quel gruppo avrebbe potuto finirlo. Eppure si ripropose di lanciarsi nuovamente all’attacco, determinato a non fuggire mai da una battaglia. Da dietro l’esercito si lev? improvvisamente un grido diverso, ed Erec fu inizialmente confuso nel vedere un contingente di soldati che attaccavano dalle retrovie. Ma poi riconobbe l’armatura e il cuore gli si gonfi? di sollievo: era il suo grande amico dell’Argento, Brandt, insieme al duca e a decine di uomini. Il cuore gli balz? in gola quando scorse anche Alistair tra loro. Le aveva chiesto di rimanere al sicuro al castello e lei non lo aveva ascoltato. Per questo la amava pi? di quanto riuscisse ad esprimere. Gli uomini del duca attaccarono l’esercito lanciando un feroce grido di battaglia e scatenando il caos. Met? dell’esercito si volt? per affrontarli, e si scontrarono con loro con forte clangore di metallo. Brandt era a capo dei rinforzi brandendo la sua ascia doppia. La fece roteare contro il soldato a capo dell’esercito nemico e gli tagli? la testa di netto, poi, senza interrompere il movimento, and? a colpire anche il petto di un altro uomo. Erec, spronato, ebbe un  nuovo momento di slancio: prese vantaggio dal caos e si avvent? contro l’altra met? dell’esercito. Mentre galoppava si chin? in avanti e afferr? una lancia che era conficcata in terra, poi la scagli? con la forza di dieci uomini. La lancia perfor? la gola di un soldato e continu? poi il suo volo conficcandosi nel petto di un altro. Erec poi sollev? la spada e la cal? sul primo soldato che gli capit? a tiro, tagliando a met? il manico della sua mazza, poi roteando gli mozz? la testa. Continu? a combattere, gettandosi nel gruppo con tutta l’energia che gli rimaneva, spingendo, bloccando, parando, attaccando tutti i soldati che gli arrivavano addosso da ogni parte. Alternatamente sollevava lo scudo per fermare dei colpi e attaccava. Nel giro di pochi istanti tutti i soldati – decine di uomini – stavano convergendo su di lui attaccandolo da ogni direzione. Ne uccise pi? di quanti riusc? a contarne, ma ce n’erano troppi, anche con gli uomini del duca che tenevano a bada il resto. Uno di loro mir? ad Erec con la sua mazza e and? a colpirlo alla schiena, tra le lamine della spalle. Erec grid? di dolore quando la palla di metallo gli piomb? sulla colonna vertebrale. Cadde da cavallo e rotol? a terra. Ma non si arrese. Il suo istinto lo spinse ad andare avanti ed ebbe la prontezza di ruotare subito su se stesso, sollevare lo scudo e bloccare il colpo successivo che mirava alla sua testa. Poi par? con la spada e and? a tagliare il braccio dell’uomo. Un altro soldato cerc? di calpestargli la testa, ma Erec ruzzol? via dalla sua traiettoria, fece ruotare la spada e tagli? le gambe del cavallo, mandando a terra il cavaliere. Subito si alz? e pugnal? l’uomo al petto. Sempre pi? uomini convergevano su di lui ed Erec, in ginocchio, bloccava un colpo dopo l’altro, controbattendo quando poteva. Le spalle gli si stavano indebolendo. Un cavaliere piuttosto corpulento, con una barba lunga e liscia, gli si avvicin? e sollev? un’ascia. Erec alz? lo scudo per bloccarla, ma un altro soldato glielo calci? via dalle mani e, prima che lui potesse reagire, un terzo gli piomb? sul petto, bloccandolo a terra. Erano troppo per lui ed Erec era ormai troppo esausto. Non c’era altro da fare ormai che restare a guardare mentre il grosso cavaliere iniziava a calare la sua ascia. Êîíåö îçíàêîìèòåëüíîãî ôðàãìåíòà. Òåêñò ïðåäîñòàâëåí ÎÎÎ «ËèòÐåñ». Ïðî÷èòàéòå ýòó êíèãó öåëèêîì, êóïèâ ïîëíóþ ëåãàëüíóþ âåðñèþ (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=43691615&lfrom=688855901) íà ËèòÐåñ. Áåçîïàñíî îïëàòèòü êíèãó ìîæíî áàíêîâñêîé êàðòîé Visa, MasterCard, Maestro, ñî ñ÷åòà ìîáèëüíîãî òåëåôîíà, ñ ïëàòåæíîãî òåðìèíàëà, â ñàëîíå ÌÒÑ èëè Ñâÿçíîé, ÷åðåç PayPal, WebMoney, ßíäåêñ.Äåíüãè, QIWI Êîøåëåê, áîíóñíûìè êàðòàìè èëè äðóãèì óäîáíûì Âàì ñïîñîáîì.
Íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë Ëó÷øåå ìåñòî äëÿ ðàçìåùåíèÿ ñâîèõ ïðîèçâåäåíèé ìîëîäûìè àâòîðàìè, ïîýòàìè; äëÿ ðåàëèçàöèè ñâîèõ òâîð÷åñêèõ èäåé è äëÿ òîãî, ÷òîáû âàøè ïðîèçâåäåíèÿ ñòàëè ïîïóëÿðíûìè è ÷èòàåìûìè. Åñëè âû, íåèçâåñòíûé ñîâðåìåííûé ïîýò èëè çàèíòåðåñîâàííûé ÷èòàòåëü - Âàñ æä¸ò íàø ëèòåðàòóðíûé æóðíàë.